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Giornata internazionale degli stagisti, nel "day after" parte l'appello ai ministri: «Stop agli stage gratuiti e normativa comune»

Il giorno dopo la prima Giornata internazionale degli stagisti, balzata in cima alle tendenze dei social network con l'hashtag #internsday, è già tempo di proposte. Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti - che è stata promotrice dell'evento italiano della giornata a Trento - rilancia il tema con due appelli ai due ministri italiani che sono competenti in materia di tirocinio. Ospite questa mattina di Sky Tg 24, Eleonora Voltolina ricorda per prima cosa al ministro Stefania Giannini, titolare del ministero dell'Istruzione Università e ricerca, che in questo momento e ormai già da tre anni di fatto i tirocini curriculari si trovano in un paradossale vuoto relativo: «È un caso di vacatio legis. Dopo i cambiamenti normativi avvenuti a cavallo tra il 2012 e 2013, che hanno di fatto “mandato in pensione” il vecchio decreto ministeriale del 1998 che regolamentava tutti gli stage senza fare distinzione tra extracurriculari e curriculari, questi ultimi sono finiti in un limbo. Si tratta di quelli che vengono effettuati durante il percorso di studio, perlopiù da studenti universitari. In questo caso la competenza è statale, dunque starebbe al ministero dell'Istruzione il compito di regolamentarli, attraverso per esempio un nuovo decreto ministeriale. Con la Repubblica degli Stagisti avevamo già rivolto a Maria Chiara Carrozza, che aveva rivestito l'incarico di Ministro dell'istruzione nel governo Letta, l'appello che oggi rinnoviamo all'indirizzo di Stefania Giannini: non è accettabile che questi tirocini restino sprovvisti di normativa. Anche perché, secondo le nostre stime, si tratta di circa 250mila stage all'anno. Il nostro auspicio è che nella prossima Giornata internazionale degli stagisti, nel 2016, si possa annunciare che questo vuoto normativo è stato finalmente colmato. Anche i tirocinanti curriculari devono essere inseriti in un chiaro quadro di diritti e doveri, scongiurando la possibilità - purtroppo sempre concreta - che il vuoto normativo crei delle sacche di abuso».Coerentemente con uno dei messaggi principali della Giornata internazionale degli stagisti, e cioè la lotta senza quartiere agli stage gratuiti (al grido di “unpaid is unfair”), l'auspicio di Eleonora Voltolina è che anche per i tirocini curriculari venga introdotto, così come già accade oggi in Italia per quelli extracurriculari, l'obbligo di un rimborso minimo: «Noi suggeriamo al ministro Giannini che andrebbe definito un compenso mensile minimo, sull'ordine dei 200-250 euro al mese, da corrispondere obbligatoriamente a tutti coloro che fanno uno stage curriculare di durata superiore alle quattro settimane. Questo certamente comporterebbe una netto miglioramento delle condizioni di stage e anche di vita delle decine di migliaia di studenti, universitari e non, che ogni anno svolgono questo tipo di formazione on the job».Il secondo appello della Repubblica degli Stagisti è invece rivolto al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, e in generale all'intero governo Renzi. Il punto qui è la semplificazione: «Sembra incredibile a dirsi, ma oggi in Italia esistono ben 21 leggi diverse in materia di tirocini extracurriculari. Eh sì, perché essendo la formazione professionale una materia di competenza esclusiva regionale, ci troviamo nel bel mezzo di un cortocircuito normativo per il quale uno stagista deve sottostare a regole diverse a  seconda della regione dove svolge il suo tirocinio. A noi tutto questo sembra folle e bizantino: la riforma del Titolo V della Costituzione, in agenda proprio nei prossimi mesi, sia una straordinaria occasione per rimettere le cose a posto. Il nostro suggerimento è che lo Stato recuperi almeno una parte della competenza e che, similmente a ciò che già accade per l'istituto dell'apprendistato, Stato e regioni siano competenti insieme sulla materia dello stage. In questo modo lo Stato potrebbe produrre una legge quadro in materia, per garantire a tutti gli stagisti su tutto il territorio nazionale una piattaforma comune di diritti, che poi le regioni potrebbero naturalmente integrare tenendo conto delle caratteristiche specifiche del proprio sistema produttivo, delle condizioni economiche e del mercato del lavoro. Avere 21 normative diverse in materia di stage è fonte di grande confusione» conclude Eleonora Voltolina: «Anche qui il rischio di abuso è dietro l'angolo».La Giornata internazionale degli stagisti ha quindi avuto anche in Italia il merito di rimettere sotto i riflettori il tema dell'occupazione giovanile e soprattutto della transizione dalla formazione al lavoro.

10 novembre, prima Giornata internazionale degli stagisti: a Trento l'evento italiano con la Repubblica degli Stagisti

Stagisti di tutto il mondo unitevi. Era con questa frase ad effetto - ricalcata sul più famoso motto comunista in cui a doversi unire per una battaglia comune erano i proletari - che tanti anni fa cominciava in Italia l'avventura della Repubblica degli Stagisti, uno spazio online dedicato ai giovani nel momento molto delicato della transizione della formazione al lavoro. Martedì 10 novembre questa frase si traduce in realtà con la prima International Interns' Day, la Giornata internazionale degli stagisti, ideata dall'associazione InternsGoPro e dallo European Youth Forum e promossa da alcune realtà, tra cui la Repubblica degli Stagisti in Italia, che sono nate nel corso degli anni in tanti paesi europei ma anche in Stati Uniti e in Australia proprio per tutelare e difendere la categoria dei tirocinanti - generalmente ignorata, sottovalutata dalla quasi totalità del mondo politico e sindacale. Tutto il mondo è paese, insomma e i problemi che già da anni riscontrano gli stagisti italiani sono più o meno gli stessi, mutatis mutandis, che incontrano i loro colleghi francesi, inglesi, belgi, americani… La Giornata internazionale degli stagisti vedrà quindi la realizzazione di eventi in città lontanissime ma con un intento comune: portare all'attenzione pubblica l'ingiustizia degli stage gratuiti - balzata all'attenzione mediatica, quest'estate, anche per il caso dello "stagista in tenda" che ha denunciato pubblicamente l'insostenibilità dei tirocini gratuiti dell'Onu - e proseguire la battaglia affinché venga riconosciuto prima di tutto un giusto compenso a tutti coloro che svolgono un'attività di formazione on the job. A Bruxelles ci sarà la manifestazione principale: la capitale belga, che è anche sede principale del Parlamento europeo, è diventata negli ultimi anni un hub per i movimenti a difesa degli stagisti, anche per la capacità di coordinare le varie realtà sul territorio europeo per formulare delle azioni comuni. Alcuni eurodeputati hanno già dato il loro endorsement all'iniziativa: tra questi anche Brando Benifei, trentenne del Partito democratico che fa parte della Commissione Lavoro, secondo cui il tema della disoccupazione giovanile e delle condizioni dei giovani nel mercato del lavoro è sempre più centrale: «Dobbiamo assicurarci che questi temi vengano posti al centro dell'agenda politica dell'Unione europea, non solo adesso ma per i prossimi cinque anni».Per l'Italia il testimone dell'International Interns' Day è affidato naturalmente alla Repubblica degli Stagisti, che di tutte queste realtà a livello internazionale è, insieme a Génération Précaire, decisamente la più antica e longeva, e anche quella che hai ispirato molte delle attività di altre associazioni in giro per il mondo.L'evento italiano avverrà a Trento dove Eleonora Voltolina, la giornalista che ha fondato e dirige la Repubblica degli Stagisti, è stata invitata a partecipare a una manifestazione organizzata dalla provincia autonoma di Trento intitolata "In partenza per l'Europa". Un appuntamento, ormai giunto alla sua sesta edizione, che ha l'obiettivo di informare tutti giovani, specialmente quelli che stanno facendo le scuole superiori e sono iscritti all'università, rispetto alle possibilità che l'Unione Europea mette in campo per la formazione e anche per svolgere una esperienza all'estero, sempre più preziosa per arricchire il proprio curriculum nell'ottica di essere cittadini europei.A Trento dunque Eleonora Voltolina interverrà nella tavola rotonda della mattina, alle 11:30, presentando e lanciando la Giornata internazionale degli stagisti; poi la Repubblica degli stagisti sarà presente per tutta la giornata con un suo stand per rispondere alle domande dei ragazzi fornire informazioni e anche raccogliere storie e proposte. In particolare alle 15 lo stand si trasformerà infine nel teatro di un flash mob che avrà come protagoniste le scarpe, diventate uno dei simboli di questa Giornata. Con l'hashtag #‎UNPAIDisUNSEEN si vuole veicolare un messaggio chiave: e cioè che se vengono lasciati senza compenso, i tirocinanti diventano invisibili, e di loro restano solamente le scarpe. Le foto sono un progetto della giovane Teuta Turani, che sta svolgendo uno stage all'Onu senza percepire alcun compenso.L'evento italiano su Facebook: → a questa paginaDove? a Trento, nell'ambito dell'evento "In partenza per l'Europa" promosso dalla Provincia autonoma di Trento attraverso l'ufficio Servizio Europa (Europe Direct Trentino), in piazza Dante 15 presso la sede della Regione Trentino-Alto Adige.Vivi a Trento? Partecipa al nostro flash mob! Conosci qualcuno che vive a Trento? Invitalo all'evento tramite FB o condividendo questo articolo sui tuoi social network!I sostenitori dell'evento:Pay Your Interns Initiative - Geneva, SwitzerlandGénération Précaire - Paris, FranceStagiares Sans Frontières - Paris, FranceInterns Australia - Melbourne, AustraliaRepubblica Degli Stagisti - Milan, ItalyBrussels Interns NGO - Brussels, BelgiumAgora Jeunes en Europe - Paris, FranceGanhem Vergonha - Porto, PortugalCanadian Intern Association - CanadaGeneva Interns Association - Geneva, SwitzerlandInternational Young Professionals Foundation - Canberra, AustraliaFair Internship Initiative - New York, USAJunior Chamber International - Brussels, BelgiumIntern Labor Rights - Washington D.C., USAMake Sense - Paris, FranceProject 668 - Brussels, BelgiumUniplaces - London, UKThink Young - Brussels, BelgiumDrop’pin@EURES - Brussels, BelgiumBelieve and Achieve Programme - Brussels, BelgiumL'evento internazionale su Facebook: → a questa pagina

Il servizio volontario europeo, un'esperienza che cambia la vita: i giovani volontari a raccolta a Messina

Per i giovani che hanno voglia di fare una esperienza all'estero, usufruendo dei programmi di mobilità dell'Unione europea, una delle opzioni è lo SVE: il servizio volontario europeo. Si tratta di un periodo di volontariato in un Paese straniero, di durata variabile da 2 settimane a 12 mesi; non prevede per il volontario una retribuzione, ma tutte le spese - viaggio, vitto, alloggio - sono coperte (attraverso il finanziamento ricevuto dal Programma Erasmus+) e in più si mette nel proprio bagaglio un'esperienza utile sotto tanti punti di vista. Innanzitutto si impara una lingua; si acquisiscono poi competenze di tipo professionale e anche relazionale, dato che quasi tutti i percorsi di volontariato SVE prevedono l'interazione con gruppi di persone svantaggiate (bambini negli orfanotrofi, disabili fisici e mentali, ragazzi disagiati…). Senza contare che il fatto di trasferirsi - anche se solo temporaneamente - in un altro Paese è di per sé una esperienza che arricchisce.Oltre alla preparazione pre-partenza, alla formazione all’arrivo e al supporto linguistico, ogni volontario può contare su due figure di riferimento: quella del tutor che lo segue nelle attività quotidiane e quella del mentor che lo aiuta ad inserirsi nella comunità locale e lo supporta nel processo di acquisizione di competenze personali / professionali attraverso la compilazione dello Youthpass, lo strumento di certificazione delle competenze acquisite, previsto dal Programma Erasmus+: Gioventù in Azione.Una delle particolarità dello SVE è che è molto aperto: possono candidarsi tutti coloro che abbiano tra i 17 e i 30 anni, non è richiesto un titolo di studio particolare, e non è richiesta nemmeno la cittadinanza(basta risiedere in modo legale in uno dei Paesi UE).Negli ultimi due giorni a Messina si è tenuto l'EVS Annual Event 2015, l’appuntamento annuale - alla sua seconda edizione - promosso dall’Agenzia Nazionale per i Giovani, per coinvolgere i ragazzi rientrati dal Servizio Volontario Europeo, le associazioni e gli aspiranti volontari e offrire una panoramica delle opportunità offerte dall’Unione Europea.Oggi, nella giornata conclusiva, è prevista la tavola rotonda «Cambia vita, apri la mente con il Servizio Volontario Europeo!», con il sottotitolo «Volontari del Servizio Volontario Europeo e rappresentanti delle Istituzioni a confronto, per scoprire insieme il valore dello SVE». Dopo i saluti del sindaco di Messina Renato Accorinti, il dibattito vedrà coinvolti il "padrone di casa" - il direttore generale dell'Agenzia Giovani - Giacomo D’Arrigo, l'europamentare catanese Michela Giuffrida, il consigliere comunale di Reggio Calabria Mauro Riccardo, e poi il presidente del Centro Orientamento e Placement dell'università di Messina Dario Caroniti e il direttore del Centro Servizi Volontariato di Messina Rosario Ceraolo. A moderare gli interventi, e sopratutto a intramezzarli con i contributi dei giovani volontari europei, sarà Eleonora Voltolina, fondatrice e direttore della Repubblica degli Stagisti e anche membro del consiglio direttivo dell'Agenzia Giovani.La Repubblica degli Stagisti ha raccontato, nell'ultimo anno, molte storie di giovani che hanno fatto una esperienza di SVE. Dalla 25enne emiliana Sonia, che grazie ai 10 mesi passati ad  Amstetten, avendo imparato perfettamente il tedesco, dopo solo un mese dalla laurea ha trovato subito un lavoro in Italia proprio in virtù di questa competenza linguistica, al 29enne sardo Carlo, che stava facendo il suo SVE in Nepal proprio nel periodo in cui il tremendo terremoto ha squassato il Paese; dall'abruzzese Pietro, 29enne appassionato di educazione non formale che ha potuto mettersi alla prova con un progetto nelle scuole di Burgas, in Bulgaria, alla 24enne Diana, originaria della provincia di Varese, che in Croazia ha passato un anno facendo animazione in un centro giovanile.Il servizio volontario europeo viene raccontato da tutti i giovani che lo hanno fatto come un'esperienza che cambia, effettivamente, la vita. Ogni anno sono 600 gli under 30 italiani che partono con questo progetto; inversamente, l'Italia ospita mediamente 650 volontari SVE provenienti da altri Paesi. Tecnicamente, lo SVE è un progetto di mobilità inserito nel programma europeo ERASMUS+:Gioventù in Azione. Venne istituito nel 1998, all’interno del Programma “Servizio Volontario Europeo per i Giovani”, e ad oggi ha coinvolto oltre 55mila giovani.Per chi volesse provarci, il consiglio è quello di leggere questo nostro vademecum e poi cercare sul database delle organizzazioni accreditate SVE, all’interno del Portale Europeo per i Giovani, le informazioni sulle organizzazioni di invio. L'offerta è talmente ampia che è quasi impossibile non trovare qualcosa che rispecchi i propri interessi. E un periodo di servizio volontario europeo, similmente a un anno sabbatico, può servire per uscire dalla propria quotidianità, mettersi alla prova e riformulare le proprie aspirazioni.

I "500 giovani per la cultura" ora chiedono un percorso di stabilizzazione: ma «si rischia la guerra tra poveri»

Hanno risposto a un bando uscito ormai quasi due anni fa, nel dicembre del 2013. E dopo un lungo processo di selezione (e un complesso iter burocratico scandito da decine di atti amministrativi), da fine maggio di quest'anno hanno cominciato il loro programma formativo. Al termine delle 100 ore di lezione in aula, dal 1° settembre hanno iniziato la seconda fase, che li vedrà impegnati fino a giugno 2016 in attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale presso Poli museali, soprintendenze, biblioteche e archivi di Stato facenti capo al ministero dei Beni culturali. Sono i “500 giovani per la cultura”, i laureati selezionati dal Mibact per svolgere un “programma straordinario di formazione” della durata di 12 mesi, che già dall’uscita del bando aveva suscitato aspre polemiche, seguite con attenzione dalla Repubblica degli Stagisti, per le condizioni proposte (5 mila euro di rimborso spese complessivo per un anno).Ora i ragazzi hanno dato vita al “Comitato nazionale 500 giovani”, con l’obiettivo di chiedere al ministero di essere inseriti, alla fine dell’esperienza, in un «percorso di stabilizzazione». Nonostante nel bando del 2013 si specificasse che “il rilascio dell’ attestato di partecipazione non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”. A riaccendere le speranze dei ragazzi (ragazzi per modo di dire, dato che il bando permetteva di candidarsi a chi avesse meno di 35 anni) è stato l’annuncio di “un concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di 500 professionisti del patrimonio culturale” fatto dal ministro, Dario Franceschini, lo scorso 15 ottobre. Un concorso per “funzionari dei beni culturali selezionati tra antropologi, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, esperti di promozione e comunicazione, restauratori e storici dell’arte”. «Profili che coincidono, almeno in parte, con quelli dei 500 giovani» spiegano dal Comitato, chiedendo al Mibact di «dare un futuro - se non per forza con il concorso per funzionari, con future iniziative ad hoc – anche ai giovani professionisti che sta formando, impiegando tra l’altro ingenti risorse economiche».«Siamo stati selezionati attraverso una procedura concorsuale con criteri alquanto rigidi: la prima scrematura è avvenuta sulla base dei titoli documentati, ove le attività che contavano di più erano proprio le collaborazioni, i lavori e gli stage svolti per la pubblica amministrazione. A questa prima fase di cernita è seguita una prova scritta che affrontava varie tematiche: storia, Codice di Tutela dei Beni Culturali, logica e informatica» spiega Marta Laureanti del Comitato.  «La selezione ha dato vita ad una graduatoria con tanto di atti consultabili» prosegue «sono stati individuati dei vincitori di bando pubblico per un “programma di formazione straordinario” che di fatto non hanno un contratto di lavoro, ma non sarebbero nemmeno tirocinanti (come spiega la circolare n. 62/2015)». E che sono oggi impegnati «in progetti ambiziosi e complessi, che necessitano di continuità». In quest’ottica, sostengono i ragazzi in un comunicato pubblicato sul loro sito, "vorremmo adesso avere la speranza che l'impegno ministeriale e personale non si perda nel vuoto, ma anzi sia convertito in possibilità e opportunità concrete per le future e necessarie assunzioni e regolarizzazioni all'interno del Ministero, con un concreto riconoscimento del programma di formazione straordinario fino ad ora intrapreso”.Una richiesta che rischia di innescare una «guerra fra poveri» secondo Salvo Barrano [nella foto a sinistra], presidente dell’Associazione nazionale archeologi. «È giusto che ogni esperienza, come un tirocinio o il programma di formazione a cui hanno partecipato i “500 giovani”, sia ben valorizzata e “pesata” in sede di concorso attribuendole un congruo punteggio, l’importante però è che non diventi discriminante» avverte Barrano. «Non può essere, in questo caso, un titolo preferenziale perché ci sono moltissimi professionisti dalla consolidata esperienza che non hanno potuto partecipare a quel bando perché si prevedeva un’età massima di 35 anni o che non hanno voluto, viste le condizioni che il Mibact offriva, ma che hanno tutti i titoli per partecipare al futuro concorso per l’assunzione di 500 funzionari, con cui il ministro Dario Franceschini ha dimostrato di tenere fede agli impegni presi».Se Barrano plaude all’ultimo annuncio del ministro, si dice però critico nei confronti della scelta del Mibact di continuare a bandire selezioni per tirocini formativi. Dopo il bando per il programma annuale dei “500 giovani”, infatti, nel 2014 ne è seguito un altro (con limite di età a 29 anni, durata semestrale e rimborso spese aumentato a mille euro lordi al mese) per 150 laureati, che hanno già effettuato i 6 mesi di tirocinio previsti da febbraio a agosto 2015. E un mese e mezzo fa è stato pubblicato un altro avviso di selezione, con relativi bandi, sempre per tirocini formativi semestrali (e sempre con limite d’età a 29 anni e rimborso spese di mille euro lordi al mese) che coinvolgerà altri 130 laureati in progetti finalizzati a sostenere attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale. «Questi tirocini in passato sono serviti al ministero per tappare i buchi» spiega Barrano «ma la via d’accesso per entrare nell’amministrazione pubblica deve essere esclusivamente quella dei concorsi pubblici».Anche perché è possibile che anche questi 150 + 130 ragazzi si vadano a unire, una volta terminato il tirocinio, ai 500 predecessori, bussando al Mibact per chiedere una stabilizzazione.Sara Grattoggi

Trovare lavoro all'estero, la piattaforma Eures si rafforza: "Obiettivo 900 contratti in due anni"

29mila curriculum caricati sulla piattaforma EUJOB4EU, 350 aziende registrate, 1.200 contratti attivati in tre anni, grazie al matching fra i profili dei candidati e le richieste delle imprese. Sono i numeri raggiunti nel primo triennio dai progetto pilota di “Your first Eures job” (YfEj) coordinati dal ministero del Lavoro e dalla Città metropolitana di Roma (l'ex Provincia di Roma), che Marie Debicki, assistant manager del progetto per la Città metropolitana di Roma, ha illustrato alla Repubblica degli Stagisti in occasione di uno dei due seminari dedicati al tema “Lavoro, apprendistato e tirocini in Europa: Your first EURES Job”, nel corso dello Young International Forum [nella foto a destra] organizzato qualche giorno fa a Roma da Italia Orienta.Nel corso del seminario, Debicki ha descritto l’iniziativa, cofinanziata dall’Unione Europea (all'incirca 4 milioni di euro il budget per il primo triennio), che dallo scorso febbraio vede la collaborazione di altri 8 ministeri del Lavoro europei (Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna) insieme a un ampio network di partner associati.Se l’iniziativa in Italia era partita con una serie di progetti pilota (due della ex Provincia di Roma, uno del Ministero del Lavoro e altri realizzati da enti pubblici e privati), dallo scorso febbraio il coordinamento è unitario. E il nuovo progetto, che si chiama YfEj 4.0 ed è finanziato dal programma europeo EaSI (Employment and social innovation) con altri 3 milioni di euro, prevede nel biennio febbraio 2015 - febbraio 2017 «di arrivare all’attivazione di 900 nuovi contratti per il progetto coordinato dall'Italia, che coinvolge però anche ragazzi di altri Paesi» spiega Debicki.Obiettivo dell’iniziativa, partita nel 2012 è infatti quello di favorire la mobilità e aiutare giovani dei 28 Stati dell’Unione europea e di Islanda e Norvegia a trovare un impiego (tirocinio, apprendistato o posto di lavoro) in un altro dei Paesi coinvolti. Ma anche aiutare le aziende a trovare la forza lavoro di cui hanno bisogno e che non riescono a reperire nel proprio Paese.I requisiti per beneficiare dei servizi offerti per chi è in cerca di lavoro sono la nazionalità e la residenza in uno dei 30 Paesi coinvolti e l’età, compresa fra i 18 e i 35 anni. Le aziende, invece, che devono avere sede in uno dei 30 Paesi, devono offrire un contratto retribuito della durata minima di 6 mesi, full-time o part-time, che sia conforme alla legislazione nazionale.Per partecipare al progetto basta compilare il proprio cv in inglese sulla piattaforma dedicata. «È importante riempire tutti i campi previsti, perché altrimenti non possiamo validare il curriculum» spiega Debicki. Siccome in passato accadeva che molti ragazzi lasciassero alcuni campi vuoti, come il “desired occupational field”, pensando forse di non precludersi così alcuna possibilità, «da alcuni mesi è stata modificata la piattaforma» precisa Debicki «permettendo così di inserire due settori di preferenza e non più uno solo. Ma è importante che i ragazzi sappiano che queste indicazioni non li escluderanno mai da un’offerta di lavoro anche in altri settori, perché il nostro metodo di selezione si basa su una serie di filtri per parole chiave».Per questo «è fondamentale che i ragazzi, nel redigere il cv, siano il più esaustivi possibile, al contrario di quel che si raccomanda invece, solitamente, per chi si candida a un’offerta di lavoro specifica. Se un’infermiera, poniamo il caso, durante gli studi ha fatto spesso la babysitter, non deve sottovalutarlo, perché nel caso ci sia una posizione aperta in un reparto pediatrico anche questo elemento potrebbe contare. Così come consigliamo a un informatico, ad esempio, di inserire tutti i programmi che sa usare, perché potrebbero rientrare fra le parole chiave della nostra ricerca». In un secondo momento, nel caso in cui arrivi un’offerta specifica, «possiamo però contattare i ragazzi e chiedere loro di preparare un cv più specifico».Quando arriva un’offerta da un’azienda, parte subito la preselezione. «Generalmente non pubblichiamo le offerte di lavoro sul sito, ad eccezione di quelle inserite nella sezione “Hot Jobs” che sono quelle per cui non troviamo profili idonei già registrati nel nostro database o che vengono reiterate periodicamente» puntualizza Debicki «Contattiamo subito, però, i ragazzi potenzialmente adatti, anche perché ci impegniamo a dare risposta alle aziende entro cinque giorni. Per questo è fondamentale che i ragazzi ci rispondano velocemente per proseguire nella selezione».Ma quali sono i settori e le professioni più richieste al momento? «Abbiamo moltissime richieste per infermieri. Ma anche per informatici e ingegneri. Contemporaneamente, siamo alla ricerca di parrucchieri e chef e di personale da impiegare nel settore turistico e dei servizi» racconta Debicki. «Abbiamo, invece, difficoltà con le professioni autonome per cui in genere non è previsto un vero e proprio contratto di lavoro, come gli architetti o altre professioni artistiche. Questo perché al momento, ad esempio, nessuno studio di architettura si è iscritto sulla nostra piattaforma».Per tutti i ragazzi preselezionati per un impiego tramite la procedura sopra descritta, “Your first Eures Job” mette a disposizione anche una serie di aiuti finanziari, destinati a agevolare l’inserimento lavorativo in mobilità. Fra questi, un’indennità forfettaria per coprire le spese di viaggio di chi sia chiamato per un colloquio in un altro Paese - la cifra è calcolata sulla base della distanza da coprire - e un’indennità di trasferimento, con importo variabile a seconda del Paese di destinazione, per chi sia stato selezionato per un impiego e sia pronto a fare le valige. Ma anche un contributo, fino a un massimo di 1.270 euro, per la formazione linguistica, sottoforma di rimborso per i corsi effettuati. E un altro, fino a mille euro, per le spese eventualmente necessarie per il riconoscimento delle qualifiche all’estero. Infine, i giovani preselezionati con bisogni specifici (per questioni di salute, contesto socio-economico o geografico) possono beneficiare di un assegno di trasferimento supplementare, erogato sulla base del rimborso delle spese ammissibili dichiarate fino a 500 euro. Oltre agli aiuti finanziari, i servizi di YfEj prevedono anche attività di formazione di base o linguistica, attraverso seminari tematici organizzati periodicamente.Sara Grattoggi

Disoccupazione giovanile, in Italia è la più persistente: per sei su dieci va oltre l'anno

L'Italia batte un triste record mondiale: i suoi giovani disoccupati sono tra quelli che restano tali per più tempo in tutto il mondo. La notizia arriva dal Global Employment Trends for Youth 2015, il report che analizza l'andamento mondiale della disoccupazione giovanile pubblicato dall'Ilo, l'Organizzazione mondiale del lavoro. E il risultato è chiarissimo: superata da Croazia e Bulgaria, l'Italia detiene il triste primato insieme alla Grecia di 15-24enni senza un'occupazione per più di un anno consecutivo. Con una tendenza in crescita, perché se nel 2012 questa condizione riguardava circa la metà della popolazione sotto i 24 anni senza un impiego, due anni dopo la percentuale è salita al 60%. L'essere a spasso diventa una situazione cronica, senza speranza. Tanto che gli analisti dell'Ilo parlano di «una disoccupazione di lungo periodo che sta diventando un fenomento strutturale» per alcuni paesi come l'Italia e la Grecia.Per capirne la portata basta un confronto con la media Ue, i cui giovani senza lavoro sono poco meno di uno su tre, la metà rispetto all'Italia. La stessa Spagna non arriva a tanto. Sotto il tasso medio europeo si attestano per esempio Francia, Belgio, lo stesso Portogallo. C'è chi come la Germania e il Regno Unito è poco sopra il 20%, senza contare i soliti virtuosi del Nord (Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia), tutti molto più in basso. Tradotto significa che in Italia non avere un lavoro a vent'anni può tradursi in uno stigma perenne. Una condizione molto pericolosa, come fa notare alla Repubblica degli Stagisti Massimiliano Mascherini, research manager all'Occupazione presso Eurofound: «Se la disoccupazione di breve periodo è quasi naturale nella transizione scuola-lavoro, è con quella di lungo periodo che si creano danni rispetto alle future prospettive occupazionali, fino al rischio di un lifelong disengagment dal mercato del lavoro». Cioè un distacco dalle prospettive professionali per tutta la vita.Quello dell'Italia è però un caso talmente circoscritto - solo la Grecia vanta percentuali analoghe - che gli esperti del rapporto minimizzano, facendo un paragone con la condizione perfino più pesante degli adulti: «Per loro i valori di disoccupazione di lungo termine sono maggiori, con una media Ue del 52% in crescita di più di dieci punti sul 2008». Tutto sommato farebbe più paura questo dato, se non fosse che gli italiani fanno ancora peggio, scalzando ogni indicatore per gli under 24. E i primati negativi per l'Italia non finiscono qui. «Grecia, Italia, Portogallo e Spagna hanno sperimentato aumenti del tasso di disoccupazione giovanile tra il 2010 e il 2014 tra i dieci e i venti punti percentuali» ricorda il report, «ben al di sopra della media Ue, che è stata di circa un punto». La quota per questi paesi si è attestata sopra il 21%, e la tendenza è stata verso la decrescita. Per tutti, tranne per l'Italia, l'unica a veder crescere il numero dei suoi disoccupati sui 32 paesi analizzati. Insomma finora a poco sembrerebbero valsi per ora gli sforzi dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni, anche se a onor del vero bisogna sottolineare che gli effetti di Garanzia Giovani non possono ancora rientrare in queste rilevazioni, dato che il programma è stato lanciato a maggio del 2014 e ha cominciato a dispiegare i suoi effetti solamente a partire dalla fine del 2014. Nel frattempo però i Neet, i giovani inattivi, si sono moltiplicati. Anche qui il nostro paese è isolato: è superato solo dalla Grecia (dove comunque sono il 20% contro il nostro 22), mentre gli altri 'pigs' – Spagna, Portogallo, Irlanda – ne contano sempre di meno. È questa la categoria più a rischio secondo Mascherini: «Se andiamo a disaggregare la popolazione dei Neet, vediamo che in Italia un quarto di loro è un long-term unemployed, mentre un restante 14% è uno scoraggiato». Se si sommano però le due quantità «arriviamo a concludere che circa il 40% dei Neet italiani è a alto rischio di disengagement».Solo da una visione più complessiva, inquadrata a livello globale, arriva qualche speranza. Innanzi tutto perché – ed è questo il principale esito del rapporto – i giovani disoccupati stanno diminuendo. Se erano 76 milioni con il picco della crisi, adesso sono calati di 3 milioni. Una discesa che – a sorpresa – è iniziata ben prima degli anni di recessione: nel 2004, osservano dall'Ilo, «la disoccupazione giovanile era sopra il 40%, oggi è inferiore di cinque punti». E infatti i senza lavoro under 24 agli inizi degli anni Duemila erano ben di più che ora, a quota 78 milioni. Adesso siamo all'incirca al livello del 1998. Dunque non è vero che per i giovani sia questo il periodo più nero in assoluto. Chi, nel mondo, aveva vent'anni o giù di lì nel 2002 se la passava decisamente peggio. E c'è anche un elemento da non sottovalutare: in circa vent'anni, dai primi anni Novanta a oggi, la forza lavoro attiva si è molto contratta - dal 59 al 47%, sottolinea lo studio. «Ma il principale fattore dietro il calo è la tendenza delle nuove generazioni a proseguire negli studi» ragionano gli analisti. E questa è senz'altro una buona notizia.  Ilaria Mariotti 

I giovani devono poter esprimere il loro spirito d'iniziativa, per l'Agenzia Giovani «#lascommessaseitu»

Oltre duecento ragazzi riuniti a Roma, al Tempio di Adriano, per una due giorni organizzata dall'Agenzia nazionale per i giovani dal titolo «La scommessa sei tu» (con un hashtag, #lascommessaseitu, che ha raccolto centinaia di tweet e menzioni sui social network), con l'obiettivo di «supportare e valorizzare lo spirito d’iniziativa e auto imprenditorialità dei giovani». Giovani tra i 20 e i 30 anni soprattutto, selezionati in tutta Italia (per aderire bisognava candidarsi tramite cv), che mercoledì e giovedì hanno partecipato a caccia di spunti e informazioni per la ricerca di un lavoro, o meglio per tentare di procacciarselo, ideando progetti e trovando finanziatori. Un evento che ha fornito un'occasione per riflettere sul loro futuro interrogando i fautori delle politiche giovanili di questi anni.Tanti gli interlocutori nella maratona di interventi moderati da Gianluca Semprini, giornalista di SkyTg24, e Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti: tra loro anche il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, l'imprenditore e consigliere del presidente del Consiglio sull’Innovazione sociale Paolo Barberis, il presidente del Coni Giovanni Malagò, il neopresidente di Unioncamere Ivan Lobello, l'amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri, e poi Diego Ciulli di Google Italia, Laura Bononcini di Facebook Italia, la direttrice dell'Agenzia per la coesione territorialeMaria Ludovica Agrò e molti altri. Non sono mancati da parte dei ragazzi gli interventi e le riflessioni, propositive e talvolta anche critiche, di fronte a un sistema che spesso li fa sentire abbandonati nella pianificazione di un percorso professionale. Con Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, intervenuto nella discussione nella prima giornata, si è entrati nel cuore delle problematiche del mondo occupazionale. A cominciare dal Jobs Act, che Poletti ha difeso rispedendo al mittente le critiche e rispondendo alla domanda sul numero effettivo di occupati generati dalla riforma: «Sappiamo che abbiamo 325mila occupati in più agosto 2015 su agosto 2014: è un più 8 per cento, che è comunque un numero importante» ha sottolineato, pur ammettendo di non sapere ancora se si tratta di «contratti precari o meno».Sta di fatto, ha ribadito Poletti, che «veniamo da vent'anni di precarizzazione del lavoro, e noi abbiamo fatto una cosa banale: rendere questi contratti meno convenienti». Con le nuove assunzioni a tempo indeterminato i giovani «possono farsi una vita, prendersi un mutuo». Per incentivare questi contratti sono serviti molti soldi: «Ma se vuoi rovesciare una cultura devi spostare almeno un milione di posti di lavoro, con 5mila non cambi lo stock». Sull'articolo 18 ha invece minimizzato: «Non è quello che mi chiedono i datori di lavoro quando li incontro: gli imprenditori vogliono essere più liberi nel momento in cui si espandono o assumono. E noi abbiamo dato regole chiare per esserlo. E non è nemmeno quello che mi chiedono i ragazzi, che sono interessati sopratutto ad avere più opportunità».Rispondendo a chi, dalla platea, chiedeva - «dopo un dottorato, un master, due stage a titolo gratuito e ancora nessun lavoro in vista» - cosa pensa di fare il governo per rimediare (tasto dolente, almeno stando al forte applauso spontaneo generato dalla domanda), Poletti ha riconosciuto che «c'è bisogno di politiche attive strutturali, come Garanzia Giovani: finora sono state attuate logiche sbagliate, di protezione dell'esistente. A cominciare dalle rendite, che invece si proteggono da sole» sbotta. Per ripartire bisogna fare invece una rivoluzione culturale. Lo ha sottolineato più volte nel suo intervento Alessandro Rosina, ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano e curatore del Rapporto Giovani dell'Istituto Toniolo: basta con «le nuove generazioni destinatarie passive delle politiche di governo: devono comportarsi da protagoniste, costruirsi un percorso professionale e di vita già dalle superiori. Non devono porsi il problema del posto di lavoro dopo la laurea, bensì prima, optando per una determinata facoltà pensando già da subito al percorso da seguire». Sulla stessa linea anche il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba: «Occorre fare delle scelte a monte, di medio-lungo periodo, per evitare che si faccia la fine degli avvocati di Roma che – si dice spesso – sono più di quelli della Francia intera» e rimangono poi a spasso. Insomma non aspettarsi un lavoro che venga a cercare a casa, ma «crearselo da sé» ragionando in anticipo sulla strada da intraprendere, e sopratutto intercettando i lavori del futuro: sia quelli nati grazie alle nuove tecnologie, sia i vecchi mestieri "modernizzati" in chiave contemporanea. Un esempio? La Agrò ha ricordato che «di giuristi ci sarà sempre bisogno», anche per modernizzare quelle branche del diritto che sono più esposte alle innovazioni: «il diritto d'autore, per dirne una, che oggi ha bisogno di una profonda revisione per restare al passo con i tempi che cambiano».Il digitale è la fucina dalla quale partire, fonte com'è di nuova occupazione. Tra le professioni ancora semi-sconosciute che spuntano, per esempio, c'è quella del 'digitalizzatore'. Lo ha ricordato Ciulli di Google Italia (dove, come ovvio, «si entra solo tramite application online»): «Noi cerchiamo ragazzi che vadano in giro a parlare con le imprese, per spiegare cosa possano fare con Internet e quali vantaggi potrebbe trarne l'azienda»; una figura di cui in Italia c'è fortemente bisogno perché purtroppo ancora «quattro imprenditori su dieci ritengono inutile l'apporto del web alle proprie aziende» ha evidenziato con rammarico Poletti. Si tratta del fulcro di 'Crescere in digitale' una iniziativa che implementa Garanzia giovani, che consente agli iscritti di seguire un corso a cui può poi seguire un tirocinio di sei mesi «per affiancare le imprese nel digitale». Da parte loro gli imprenditori possono invece candidarsi per accogliere un tirocinante – sempre in ambito Garanzia giovani - «a supporto delle attività sul web».Un'idea per creare un punto di incontro tra i due mondi, giovani e datori di lavoro, e per dare concretezza a quella parola, la «corresponsabilità», più volte uscita nel corso del dibattito e tra le domande dei partecipanti: a dire che – se è vero che i ragazzi devono impegnarsi per crearsi un futuro – chi detiene il potere ha il dovere di fare la sua parte. Lo ha sintetizzato Giacomo D'Arrigo [nella foto a fianco, insieme ai quattro protagonisti del dibatttito sulle startup: da sinistra Anna Amati di ItaliaStartup, Hagaj Badash di NanaBianca, Roberto Macina per Qurami, D'Arrigo e Benedetto Linguerri di H-Farm], presidente dell'Agenzia giovani, nel suo intervento conclusivo. L'Agenzia ha come sua mission principale l'assegnazione di fondi europei (come quelli di Erasmus+) a progetti rivolti ai giovani o da loro messi in piedi: «Io sono, voglio essere corresponsabile. Noi con l'Agenzia non vogliamo limitarci a fare il nostro "compitino", che sarebbe quello di dare soldi e poi rendicontare» ha detto. «Vogliamo fare un passo in più, insieme a voi, creando un contatto con le imprese, con le istituzioni, creando la Rete per le opportunità, lavorando in partnership con le altre istituzioni, in modo da "scaricare a terra" energia moltiplicata. Abbiamo cominciato a farlo attraverso La scommessa sei tu, adesso la cosa più importante è mantenere il contatto e proseguire su questa strada».Ilaria Mariotti

L'Iefp non è un canale formativo di serie B, anzi garantisce sbocchi occupazionali migliori delle scuole superiori

«Non è un canale formativo di serie B, ma un altro tipo di scuola». Antonio Varesi, presidente dell'Isfol - ente di ricerca su formazione e politiche sociali e del lavoro - spiega così sul sito dell'istituto il sistema educativo cosiddetto Iefp: l'istruzione tecnica, per dirla in parole semplici, entrata sperimentalmente nel regime scolastico italiano nel 2003 e oggi considerata a tutti gli effetti ordinamentale. Corsi triennali o quadriennali per ristoratori, elettrauti, operatori del benessere, erogati da scuole statali così come da agenzie formative (ce ne sono centinaia in ogni regione), sia pubbliche che convenzionate. Un'alternativa alla scuola tradizionale per l'assolvimento dell'obbligo scolastico per i 14-17enni, la cui competenza è in capo alle Regioni. E che conferisce un diploma di stato equivalente a tutti gli altri, con circa mille ore annuali spalmate su percorsi sia comuni che individuali di recupero, divise tra aule e laboratori, esperienze di alternanza scuola-lavoro incluse. Il dato principale è che la Iefp ha una discreta efficacia ai fini dell'inserimento lavorativo. Uno su due, dopo tre anni, ha un lavoro. Tra i diplomati 2011 "tradizionali", a tre anni dal titolo, ne risultavano invece occupati solo quattro su dieci, secondo le statistiche di Almadiploma. Un dato cruciale, sopratutto per uno dei paesi europei con la più alta concentrazione di Neet, l'ormai famoso acronimo che definisce i giovani inattivi. A testimoniare il buon funzionamento dell'Iefp è il rapporto che l'Isfol ha pubblicato poche settimane fa.«Se all'epoca del suo avvio si contavano appena 23mila iscritti» osserva Valeria Scalmato, ricercatrice responsabile del rapporto, «oggi sono quasi 330mila». L'incremento rispetto all'anno scorso è inoltre dell'8%. L'identikit dei diplomati - 75mila - è di maschi residenti per lo più al Nord (più di sei su dieci), mentre i settori più gettonati sono la ristorazione, il benessere e l'elettrico. La metà sembrerebbe destinata a trovare lavoro quasi subito - «a tre anni dalla qualifica gli occupati sono la metà» conferma lo studio - nonostante il calo rispetto all'indagine del 2011, che evidenziava un tasso di occupazione del 59%. Le migliori performance arrivano dalle agenzie formative accreditate, i cui allievi trovano lavoro nel 55% dei casi, mentre per le scuole la percentuale si ferma sotto di più di quindici punti. E i posti sono soprattutto stabili: «più di tre su quattro hanno una posizione da dipendente, la restante parte è suddivisa equamente tra lavoro autonomo e contratti atipici» spiega il rapporto. Un punto lascia però perplessi. Per la Iefp sono stanziati annualmente 780 milioni (590 dalle Regioni, 189 dal governo), con un costo medio per studente attorno ai 4.600 euro, con oscillazioni tra i 3.900 della Toscana e gli 8mila di Bolzano. Una somma arrotondata peraltro per difetto, che non considera la parte dei costi sostenuta per conto proprio dagli istituti professionali: «strutture, personale, spese di mantenimento didattico», si legge nel report. Una cifra consistente, visto il numero ridotto di chi frequenta la Iefp: sono appena 330mila, contro l'insieme degli studenti italiani della statale che raggiunge gli 8 milioni. Soprattutto se si pensa che sulla riforma della Buona scuola è stato messo non molto di più: un miliardo per il 2015 (una volta a regime saranno tre). Una sproporzione che mette in luce come questo sia uno dei settori di punta, o almeno tra i favoriti dalle recenti politiche di governo. Che funzioni, è innegabile: ma forse anche proprio perché può contare su un ammontare di risorse che la maggior parte degli studenti italiani si sogna. Sono anche altre le note di merito della Iefp. In primis «la capacità inclusiva della filiera», specie in favore delle categorie più deboli dal punto di vista occupazionale: «Gli iscritti di nazionalità straniera sono circa il 15% del totale» riferisce il rapporto. Gli stranieri sono anche i più motivati, con voti migliori e meno bocciature, e quelli che «scelgono in maggior misura il percorso formativo in prima battuta e non a seguito di un insuccesso scolastico». L'altro dato è infatti che gli studenti italiani Iefp sono spesso soggetti «a rischio di abbandono scolastico, con una scarsa consapevolezza dei propri mezzi e con un percorso irregolare». Non a caso entrano nel triennio formativo di solito dal secondo anno. La Iefp è insomma un valido «argine al fenomeno della dispersione formativa» sostiene l'Isfol nel rapporto.Tuttavia non mancano le consuete criticità del sistema occupazionale italiano: sono molto rilevanti, per esempio, le disuguaglianze territoriali perché si lavora sempre di meno al Sud, dove la quota di diplomati Iefp immessi nel mercato è di uno su tre, contro quasi il doppio del Nord est. E a prevalere è sempre la componente maschile, assunta nel 53,4% dei casi - da rilevare una contrazione di quasi dieci punti rispetto a quattro anni fa - giustificata nell'analisi dell'Isfol con «la forte crisi registrata nell’industria e nelle costruzioni, a vocazione tipicamente maschile». Ilaria Mariotti 

Legge Controesodo, il governo a sorpresa cambia le regole: sgravi fiscali meno forti per gli expat che tornano in Italia

Uno dei motivi per cui i giovani italiani vanno all'estero è, innegabilmente, che ci sono opportunità di lavoro migliori rispetto all'Italia. Poi restano lì, e non tornano, sopratutto per una ragione altrettanto innegabile: mediamente all'estero si guadagna di più. Eppure negli ultimi quattro anni sono rientrati in Italia 7mila expat: lo hanno fatto grazie a una legge chiamata "Controesodo", una sorta di incentivo fiscale che permetteva ai laureati rimpatriati dopo una significativa esperienza di lavoro o studio fuori dall'Italia di pagare le tasse per i primi tre anni non sul totale del proprio stipendio, bensì solamente sul 30% (per gli uomini) o 20% (per le donne). La legge era stata una delle poche conquiste "bipartisan" dell'ultimo governo Berlusconi: a inizio 2015, dopo molte tribolazioni, c'era stata una proroga che estendeva la possibilità di beneficiare delle agevolazioni fino a tutto il 2017. Ma a settembre è arrivata la tegola: un decreto ha cambiato le regole del gioco, stabilendo che i "talenti di ritorno" dovranno pagare le tasse sul 70% dei propri guadagni. Cosa succede adesso a quei 7mila che erano sicuri di poter usufruire del regime di vantaggio fino alla fine del 2017? Potranno fidarsi della parola data dal governo appena qualche mese fa? In effetti, i cambiamenti introdotti hanno ritoccato in maniera migliorativa altre condizioni, ma...→ Continua a leggere su Linkiesta

Fulbright, 20 borse di studio per laureati e ricercatori italiani che vogliono specializzarsi negli Usa

Sette borse di studio per Master e PhD e undici per soggiorni di ricerca di 6-9 mesi nelle università americane. Sono alcune delle borse di studio offerte per l’anno accademico 2016-2017 a laureati e ricercatori italiani dalla Us-Italy Fulbright Commission, che ogni anno mette a disposizione complessivamente, attraverso programmi specifici, circa 70 scholarships equamente divise fra quelle rivolte a italiani che desiderano andare negli Stati Uniti e quelle destinate a americani che aspirano invece a fare un’esperienza nel nostro Paese. Non tutte le borse vengono messe a bando nello stesso periodo e, se molte sono destinate a giovani, ce ne sono altre dedicate a profili più senior. La Repubblica degli Stagisti ha selezionato quelle rivolte a laureati e ricercatori italiani per cui le candidature sono ora aperte e si chiuderanno fra dicembre e gennaio.Cominciamo dallo studio. Quattro sono i bandi pubblicati sul sito ufficiale Fulbright per i laureati italiani che desiderino fare un Master o un PhD negli Usa. Per il prossimo anno accademico, due borse di studio fino a 50mila dollari disponibili per chi voglia fare un master in Business Administration (Mba) presso università americane con il Fulbright Ethenea Program. Una borsa fino a 38.500 dollari (Fulbright Santoro) è invece riservata a master programs in International Relations e un’altra, la Fulbright-Law da 20mila dollari, a master o PhD in Law. Per tutte le altre discipline (con l’unica eccezione di quelle che prevedano attività di tipo clinico, come le specializzazioni in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria, Psicologia e Veterinaria), sono disponibili tre borse di studio fino a 38mila dollari, valide solo per un anno accademico. Tutte le borse comprendono inoltre un contributo di 1.100 euro per le spese di viaggio tra Italia e Stati Uniti, l’assicurazione medica finanziata dallo Us Department of State e la sponsorizzazione del visto d’ingresso J-1.Per candidarsi a questi quattro programmi, compilando l’application sul sito e consegnando a mano, via posta o corriere i documenti aggiuntivi richiesti agli uffici della Commissione Fulbright (via Castelfidardo 8, 00185 Roma), c’è tempo fino all’11 dicembre. Tre i requisiti fondamentali: essere cittadini italiani, essere in possesso di un titolo di laurea triennale e/o magistrale, avere inviato la domanda di ammissione a un college statunitense. Richiesta ovviamente anche la conoscenza della lingua inglese, comprovata dalla certificazione linguistica Toefl o Ielts, con un punteggio accettato dall’università americana prescelta.Quali sono i criteri di valutazione delle domande? «Essenzialmente tre» spiega Sandro Zinani, Pr officer della Commissione Fulbright italiana «Il profilo accademico, la qualità delle tre lettere di referenza richieste e dei due saggi motivazionali: il personal statement in cui il candidato si presenta in forma narrativa e lo study project in cui spiega perché vuole frequentare quel determinato corso negli Usa. Oltre, naturalmente, al test di lingua». Per questo Zinani consiglia ai candidati «di non compilare in fretta l’application e di consultarsi con l’università statunitense prescelta, prendendo contatto con i professori». Essenziale è infatti che i candidati siano ammessi dai campus americani. «In genere una trentina di candidati passano la fase di pre-selezione sulla base dell’application inviata» spiega Zinani «e arrivano alle interviste del Comitato di selezione Fulbright», che si terranno il 16 febbraio 2016. Mentre l’esito finale sarà comunicato ai candidati fra maggio e giugno.Stesso iter diviso in due fasi, ma tempi diversi, per chi desidera candidarsi al bando Fulbright Research Scholar che per il prossimo anno accademico mette in palio 11 borse di studio dai 9 ai 12mila dollari (a seconda della durata dei soggiorni) per periodi di ricerca compresi fra i 6 e i 9 mesi in università statunitensi, destinati a assegnisti di ricerca che abbiano conseguito il dottorato da almeno due anni, ricercatori universitari a tempo determinato o indeterminato e professori associati in tutte le discipline ad eccezione delle materie cliniche di Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Veterinaria. Anche in questo caso sono previsti un contributo di 1.100 euro per le spese di viaggio, l’assicurazione medica e la sponsorizzazione del visto d’ingresso.I candidati qui, oltre alla cittadinanza italiana e all’ottima conoscenza dell’inglese, devono godere di un’affiliazione accademica presso un centro di ricerca o un’università italiana o europea, essere in possesso di almeno un titolo accademico rilasciato da un ateneo italiano e di una lettera di invito di da parte di un’istituzione accademica o di ricerca degli Usa. Per candidarsi a queste borse, attraverso il sito, c’è tempo fino all’8 gennaio 2016. Mentre i colloqui-interviste avranno luogo a Roma nella seconda metà del mese di marzo.Una particolare borsa di ricerca è invece quella attribuita attraverso il concorso Fulbright – Fondazione Falcone – Niaf, che offre a giovani studenti iscritti al corso di laurea magistrale o specialistica o al dottorato di ricerca in università della Sicilia l’opportunità di attuare un progetto di ricerca in Criminologia presso college americani, finalizzato al completamento della tesi di laurea o di dottorato. Possono presentare domanda i laureati in Criminologia o in Giurisprudenza, o in altre discipline a indirizzo giuridico-economico, sociologico e antropologico, il cui obiettivo di ricerca riguardi i temi della legalità e della lotta al crimine organizzato. Il progetto, sempre di durata compresa fra i 6 e i 9 mesi, potrà anche qui svolgersi nell’università prescelta dal candidato previa lettera d’invito da parte del campus stesso. E l’entità della borsa (da 9 a 12 mila dollari) dipenderà come di consueto dalla durata del soggiorno. Per candidarsi a questa borsa - con le stesse modalità descritte in precedenza - c’è tempo fino al 29 gennaio 2016.Uscirà a maggio 2016, infine, il bando per le borse di studio del Fulbright – Foreign Language Teaching Assistant Program, destinato a giovani insegnanti di inglese o a laureati che si stiano specializzando per diventare insegnanti, che vogliano fare un’esperienza di lettorato (assistendo docenti americani nell’insegnamento della lingua italiana o tenendo un proprio corso) in un college americano. Lo scorso anno le borse messe a bando furono quattro e anche per il prossimo, anticipa Zanini, «il numero sarà più o meno quello». Chi se la sente, e ha i requisiti giusti, può provarci: e sperare di poter vivere «lo “spirito Fulbright”», diventando anche un po' «ambasciatore del proprio Paese in America», come raccontava qualche tempo fa alla Repubblica degli Stagisti la veterinaria ed ex borsista Laura Cavicchioli. In bocca al lupo!Sara Grattoggi