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Tirocini al Cern di Ginevra, sogno per gli aspiranti scienziati: 1600 euro al mese di indennità

Uno dice “Cern di Ginevra” e subito si pensa al top della ricerca scientifica mondiale, all’acceleratore di particelle, ai neutrini; in qualcuno scatta anche un po’ di orgoglio italiano nel pensare che si tratta di una istituzione guidata da una scienziata romana di fama internazionale, la fisica Fabiola Gianotti. Qualcun altro con la memoria lunga forse sorride ripensando alla gaffe dell’allora ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, che in un comunicato tanti anni fa aveva magnificato un (inesistente) tunnel tra il Cern e il Gran Sasso. La reputazione del Cern lo precede, molti sognano di lavorarci… o di farci un tirocinio.E questa opzione non è impossibile. I tirocini al Cern esistono e sono anche ben pagati: 1.600 euro al mese, cifra record, almeno per gli stagisti italiani abituati a ben più magre cifre. La European Organization for Nuclear Research – di cui “Cern” è l’acronimo – è il più grande laboratorio al mondo che svolge ricerca scientifica sulla fisica delle particelle elementari; dal 2016 vede, per la prima volta, una donna alla direzione: Gianotti, appunto, ora al suo secondo mandato.Lo stage in questione, lo Short Term Internship, ha al momento le application aperte per tirocini curricolari da svolgersi il prossimo anno. Per candidarsi è necessario essere maggiorenni e studenti di una laurea triennale o magistrale, ma non dottorandi. Bisogna mantenere lo stato di studente per tutta la durata del tirocinio e provenire da una delle seguenti aree di studio: fisica applicata, informatica, matematica, elettricità, elettronica, ingegneria meccanica o civile, strumentazione, scienza dei materiali, radioprotezione, sicurezza e protezione ambientale, topografia, comunicazione scientifica. Oppure da ambiti amministrativi quali: traduzione, contabilità, servizi legali, risorse umane, biblioteconomia, logistica.Non c’è però molta trasparenza sui numeri di tirocinio disponibili, sugli eventuali benefit per i tirocinanti (come buoni pasto o rimborsi per spese di viaggio) e nemmeno sul numero di candidature che ogni anno il Cern riceve per questo tipo di stage. La Repubblica degli Stagisti ha contattato l’ufficio stampa – come fa sempre per stage di questo tipo– e dopo una lunga attesa dovuta alla chiusura di anno ha saputo che «sfortunatamente il dipartimento Risorse umane non tiene traccia delle statistiche per i Tirocini a breve termine» e quindi, in sostanza, non può rispondere alle domande. Decisamente poca chiarezza per il più importante laboratorio mondiale di ricerca che nel 2022 contava circa 2.658 dipendenti del laboratorio che partecipano alla progettazione, costruzione e gestione dell’infrastruttura di ricerca, a cui si aggiungono più di 17mila utenti nel mondo che lavorano insieme «per superare i limiti della conoscenza». Un ambiente sopratutto maschile: al 31 dicembre dello scorso anno solo il 21 per cento del personale scientifico, fisici, ingegneri e computer scientists, erano donne, ma la presenza femminile è in crescita rispetto al passato, nel 2018 erano il 12 per cento e ventanni prima solo il tre.Sullo Short Term Internship, si diceva, non ci sono statistiche registrate quindi, per capire qualcosa in più sull’appeal dei tirocini al Cern bisogna basarsi solo sui dati relativi agli altri programmi di tirocinio: il Technical student programme, dedicato agli studenti universitari in fisica applicata, ingegneria o informatica che possono completare il progetto finale di studi proprio presso questa Organizzazione per un periodo dai 4 ai 12 mesi; l'Administrative Student Programme, per studenti in amministrazione sempre per un periodo dai due ai 12 mesi; il Summer Student Programme, che dura però solo dalle 8 alle 13 settimane ed è dedicato agli studenti universitari o di master in fisica, ingegneria, matematica o computer science; e infine il Doctoral Student Programme per chi sta scrivendo una tesi di dottorato in fisica applicata, ingegneria o informatica, e può firmare un contratto di sei mesi, rinnovabile tre volte, per completare le proprie ricerche. Per questi quattro programmi il Cern fornisce dati statistici a partire dal 2018. E come tutte le selezioni con un ottimo rimborso mensile, le domande dal nostro Paese sono tra le più numerose. Per esempio per il Technical student programme l’Italia è quarta, con quasi l’otto per cento di application – ma seconda per selezionati, con il dieci per cento: meglio di noi solo la Germania. L’Italia è prima per tirocinanti nell'intero quinquennio, con più del 12 per cento di stagisti su un totale di 788. Anche per l’Administrative student applicants il nostro Paese è terzo sia per domande, circa il sette per cento, sia per numero di selezionati. Non male la posizione nemmeno per il Doctoral student programme dove pur essendo terzi con il 16 per cento di domande, gli italiani sono i più selezionati nel 2022: quasi il 37 per cento. Posizione consolidata nel quinquennio 2018-2022, con il 30 per cento di stagisti provenienti dall’Italia. Tornando allo Short Term Internship, oltre ai requisiti illustrati prima, è necessario anche avere una buona conoscenza dell’inglese e/o del francese. Lo stage può durare da uno a sei mesi: chi fa domanda deve indicare in fase di application la preferenza.Da sapere che, pur trattandosi di tirocini rivolti a studenti universitari e quindi in italiano qualificabili come “curricolari”, il Cern non firma, e lo sottolinea, alcun tipo di eventuale convenzione di tirocinio delle università: viene utilizzata solo quella prevista dall’Organizzazione per la ricerca nucleare. In aggiunta, ed è importante ricordarlo, l’ateneo di provenienza deve assicurarsi che lo stagista sia coperto interamente da un assicurazione medica, lavorativa e per incidenti privati valida nell’area di Ginevra, quindi  –  dato che la città è al confine – sia Francia sia Svizzera. Il tema del costo della vita, infatti, raffredda un po’ gli entusiasmi rispetto all’entità del rimborso spese: Ginevra è una delle città più care del mondo e anche solo l’affitto di una stanza in una casa in condivisione può arrivare a 900-1000 euro al mese; quindi è molto probabile che gli stagisti, pur ricevendo un'indennità mensile che per i parametri italiani sembra generosa, debbano comunque dover contare anche su un sostegno economico delle loro famiglie.Per partecipare alla selezione è necessario fare domanda compilando il form presente su questa pagina ma è possibile anche procedere con la candidatura attraverso Linkedin o Indeed. Dopo aver inserito dati personali, curriculum e lettera motivazionale, o in inglese o in francese, bisogna rispondere ad alcune domande preliminari sulla conoscenza delle lingue ufficiali al Cern, il motivo per cui si fa domanda per una precisa posizione e il periodo nel quale si preferirebbe fare il tirocinio. Il Cern chiede esplicitamente ai candidati di dichiarare se dispongono di «sufficienti disponibilità economiche per affrontare questo tirocinio, necessarie per vivere sul posto durante lo stage, tenendo a mente che si riceverà un rimborso mensile di 1.557 franchi svizzeri».Le domande vengono poi esaminate da un gruppo di esperti del Cern e gli idonei successivamente contattati dal coordinatore del programma di stage. Non tutti, però: visto l’alto numero delle domande ricevute, si riceve una risposta solo se è positiva. Se si è interessati ad avere qualche dettaglio in più su come può essere lavorare al Cern e che tipo di persone ci sono, si può dare una lettura alla sezione “la nostra gente”.  Qui, per esempio, ci sono le storie di chi ha partecipato al Summer student programme per tre mesi e poi è riuscita a tornare in seguito con un altro contratto, chi ha partecipato all’Administrative Studentship programme che consiglia di non scoraggiarsi al primo diniego ma di continuare a tentare – perché a volte si viene scartati semplicemente per mancanza di posti. Marianna LeporeFoto di apertura: di Pietro Battistoni da Pexels  Foto in alto a destra: Cern credits Foto di Pietro Battistoni: https://www.pexels.com/it-it/foto/cern-806763/

Continental entra nel network di aziende virtuose di RdS: «Per noi un'azione socialmente importante»

In quest'ultimo scorcio di 2023 la Repubblica degli Stagisti dà il benvenuto a un nuovo nome nel suo network di aziende virtuose: Continental Italia. Fondata in Germania oltre cent'anni fa, con un organico di 200mila persone nel mondo, Continental è attiva nei settori Automotive, Tires e Tech, e nota sopratutto per gli pneumatici. In Italia è presente con un branch commerciale e impiega circa duecento dipendenti sulle tre società Continental Italia, Franchising Service Company (FSC) che offre servizi di franchising ai rivenditori di pneumatici, e Conti Trade che sviluppa la rete di officine in franchising BestDrive.L'adesione al network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti è una scelta che rappresenta una «azione socialmente importante, perché riteniamo lo sviluppo dei giovani un aspetto fondamentale per il futuro della nostra azienda e della nostra comunità» spiega Luca Armand, da maggio dell’anno scorso direttore Risorse umane di Continental Italia dopo oltre vent'anni in direzioni HR di importanti gruppi multinazionali: «Crediamo che RdS valorizzi il percorso formativo dei giovani e, attraverso l’informazione, ne tuteli e promuova anche la qualità».In Continental gli stage sono organizzati in modo che «gli stagisti possano acquisire competenze spendibili nel mercato del lavoro, sviluppare le proprie attitudini e soft skills, raggiungere i loro obiettivi personali» dice Armand: «Offriamo un trampolino di lancio per la loro carriera: crediamo nello scambio di conoscenze con i giovani professionisti e forniamo un adeguato rimborso spese per il periodo trascorso con noi». Per tutti, senza distinzione tra curricolari ed extracurricolari, l’indennità è di 850 euro al mese – che caso di proroga dello stage oltre i sei mesi “canonici” diventano 1000 – più buoni pasto e notebook aziendale.Gli stage si svolgono in modalità ibrida: come i dipendenti, anche gli stagisti possono svolgere la propria attività «fino al 50% mensile da remoto», anche se poi il consiglio di Armand, almeno per le prime settimane, è sempre quello di essere il più possibile presenti «per meglio conoscere le attività, il proprio gruppo e il contesto dell’organizzazione». A metà e alla fine del percorso vengono organizzati degli incontri tra ciascun stagista e l'ufficio HR, «per condividere insieme aspettative e stato di avanzamento rispetto agli obiettivi del progetto formativo. Passiamo tanto tempo insieme ai nostri ragazzi, e ci piace vederli crescere».Più o meno uno stage su tre si trasforma in assunzione: «Il nostro obiettivo, non riuscendo sempre a garantire un contratto di lavoro dopo lo stage, è di supportare i nostri stagisti il più possibile lungo il loro percorso», prosegue il direttore HR, «contribuendo alla loro employability e ampliando il loro orizzonte lavorativo».Aderire al network della Repubblica degli Stagisti è anche un modo per «avvicinare giovani universitari provenienti da diverse istituzioni accademiche». Le università sono infatti un bacino di candidati strategico per Continental: «In materia di stage per noi il requisito di formazione universitaria è indispensabile», conferma Armand (che a sua volta ha al suo attivo una laurea in Economia). Per i curricolari è anche aperta l'opzione “tesi in azienda”, particolarmente adatta a «integrare concretamente l'esperienza lavorativa acquisita in azienda con la teoria appresa attraverso i testi accademici». Negli anni, Continental ha anche sviluppato partnership con alcuni atenei del territorio milanese, come per esempio il master in Sales Management dell’università Cattolica.Nei rapporti con le università molta attenzione viene posta a «stimolare un aumento delle candidature da parte delle donne». Perché in un settore – quello dei motori – ancora percepito come maschile a causa di stereotipi duri a morire, il tema del gender balance è molto sentito: specialmente quando si tratta di posizioni in ambito commerciale, a Continental arrivano molte più candidature di uomini. Come fare per riequilibrare? «Noi lavoriamo per sradicare l’elemento culturale presente nel nostro Paese che vede il carico familiare ricadere prevalentemente sulle donne, che quindi potrebbero avere meno tempo da dedicare al lavoro – in particolare a un lavoro che porta a spostarsi molto sul territorio. Ci impegniamo ogni giorno a lavorare su una cultura organizzativa flessibile che garantisca benessere e armonia tra lavoro e vita privata per tutti i colleghi, e che non precluda l’accesso a posizioni di vendita o manageriali alle donne».Continental offre per esempio «programmi di mentoring, counseling e coaching mirati a supportare le persone nella gestione dello stress e a sviluppare nuovi modi per affrontare le sfide professionali di tutti i giorni – come, ad esempio, il momento di transizione da stage a dipendente» dice Armand. E poi c'è il sostegno «a organizzazioni no-profit, per contribuire al benessere delle comunità», nell'ottica della responsabilità sociale di impresa.Senza dimenticare, nella gestione del core business, un aspetto sempre più importante per le nuove generazioni: quello dell'attenzione all'ambiente. “Il nostro obiettivo è essere l'azienda di pneumatici più all'avanguardia in termini di responsabilità ambientale e sociale” si legge sul sito di Continental, e per una volta non si tratta solo di parole. «Siamo stati i primi produttori a lanciare uno pneumatico rispettoso dell’ambiente, che garantisce una minore resistenza al rotolamento e pertanto una riduzione delle emissioni inquinanti delle auto» dice Armand. Nel 2021 Continental ha anche presentato un altro pneumatico realizzato per «più del 50% con materiali rinnovabili o riciclate, che mira a minimizzare il consumo di risorse lungo l'intera catena del valore del pneumatico». Un impegno sul fronte dell'ambiente che si riflette anche in due gamme specifiche di prodotti che utilizzano PET e altri materiali riciclati, rinnovabili e certificati, e in una ricerca costante per nuovi materiali più ecosostenibili: come quella sulle proprietà del tarassaco, che ha già permesso di mettere in produzione un pneumatico per biciclette realizzato proprio con la gomma di tarassaco – con la speranza di poter poi allargare anche ad auto e camion.«Guardando alla Vision 2050, Continental vuole essere parte del cambiamento» riassume Armand: «Carbon neutrality, emission-free mobility and industry, circular economy e value chain responsabile sono i nostri obiettivi di sostenibilità per il futuro». Benvenuti nell’RdS network, allora!

Oltre 700mila tirocini all'anno in Italia: tutti numeri più aggiornati

Quali sono i numeri più aggiornati sugli stage in Italia? Come denunciamo da molti anni, non c'è una risposta precisa a questa domanda, perché i tirocini si dividono in due grandi segmenti: quelli curricolari, svolti mente si studia, e quelli extracurricolari. Degli extracurricolari si conosce anno dopo anno il numero preciso perché ogni attivazione deve essere formalizzata attraverso la “comunicazione obbligatoria”, una procedura che permette al ministero del Lavoro di tracciarli. Ma per i curricolari la situazione è ben più complessa e nebulosa.L'unica rilevazione che censisce parzialmente questi tirocini è il Rapporto biennale dell'Anvur, l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. L'Anvur conta però solo i tirocini degli studenti universitari, e inoltre li conta un anno sì e un anno no, e per giunta li conta non seguendo l'anno solare bensì quello accademico. Infine, li conta con talmente tanta lentezza e ritardo che gli ultimi dati disponibili risalgono a quasi un decennio fa (ben prima della pandemia!).Quindi, ecco il dato più recente: poco più di 300mila tirocini – 301.319 per la precisione – attivati nelle università italiane nell’anno accademico 2015/16. Non vuol dire, ahinoi, molto. Nel 2023 è uscito un nuovo Rapporto biennale, che dovrebbe teoricamente contenere i dati dell'anno accademico 2017/18. Ma finora il testo integrale non è ancora stato pubblicato; sul sito dell'Anvur è presente una versione “sintesi” di 196 pagine, che però non contiene dati sui tirocini (c'è anche il video dell'evento della presentazione ufficiale, con la ministra dell'Università Anna Maria Bernini). Quindi non è detto che il Rapporto contenga ancora, come negli anni passati, una sezione dedicata ai tirocini. Peraltro, non è nemmeno chiaro se quelli censiti da Anvur siano tutti i tirocini attivati dalle università, quindi compresi anche quelli in favore di studenti di dottorato e di studenti di master universitari, oppure esclusivamente quelli in favore di studenti iscritti a percorsi triennali, specialistici e a ciclo unico. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto alla dirigenza di Anvur questo e altri dettagli, ma non ha ancora ricevuto risposta. La situazione di trasparenza per quanto riguarda i tirocini curricolari è dunque molto scarsa. Non si conosce il numero delle attivazioni. Si può stimare che siano ogni anno (2020 escluso, ovviamente) circa 400mila: a quelli universitari bisogna anche aggiungere tutti quelli realizzati durante percorsi di formazione non universitari, ma formalmente riconosciuti – come per esempio gli ITS, i corsi professionalizzanti, i master non universitari. Considerando che questi tirocini sono probabilmente più di 100mila all'anno, forse 400mila è addirittura una stima prudente. Ma si tratta, appunto, di una stima.Per il segmento dei tirocini extracurricolari per fortuna la situazione è più chiara. Secondo il Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del 2023, nel corso del 2022 (anche qui c'è un leggero ritardo tra il dato e la sua divulgazione, ma comunque limitato a un anno) sono stati attivati quasi 314mila percorsi: va ricordato che in questo caso ad essere censiti sono esclusivamente gli stage attivati al di fuori dei percorsi di studi, quindi svolti da persone che cercano in qualche modo di entrare nel mondo del lavoro.Il numero, che per la precisione è 313.603, è in leggera flessione rispetto all'anno precedente (2021): circa un 5% in meno. I cali più vistosi si sono verificati in Calabria (-27% tra il 2021 e il 2022), Friuli-Venezia Giulia e Veneto (-17%), Puglia e Marche (intorno al -12%). All'estremo opposto, ai due capi dell'Italia si è verificato un aumento notevole: in Valle d’Aosta i tirocini sono aumentati del +20%, in Sicilia del 18%.Come sempre, la parte del leone in assoluto la fa la Lombardia, con 66.360 tirocini extracurricolari attivati sul suo territorio nel corso del 2022: rappresentano il 21% di tutti gli stage d'Italia. Insomma oltre un tirocinio extracurricolare su cinque si svolge in Lombardia. A seguire il Lazio con quasi 33mila percorsi attivati, il Piemonte con oltre 29.500, il Veneto con un po' più di 29mila e la Campania con 26.500.In particolare il Veneto aveva avuto un vero e proprio "exploit" di stage nel 2021 (oltre 35mila), molti dei quali erano probabilmente percorsi fermati dal Covid l'anno prima e "recuperati"; col 2022 il numero è tornato ai livelli abituali.Degli stage attivati nel 2022, circa 156mila - quindi quasi il 50% del totale - sono stati attivati su persone di meno di 25 anni: una crescita di circa un punto percentuale rispetto al 2021, e di oltre tre punti percentuali rispetto all'annus horribilis 2021, dove i tirocini in favore di giovani si erano fermati sotto il 46%. In questa fascia di età i maschi sono leggermente più numerosi, 53% contro 47% di femmine – la quota di giovani donne è comunque in ripresa, dato che rappresentava solo il 44% nel 2020 e il 45% nel 2021.Vi sono stati poi poco più di 111mila tirocini extracurricolari attivati per "giovani adulti", cioè nella fascia di età 25-34 anni; e circa 37.500 per adulti, tra i 35 e i 54 anni. In entrambi questi segmenti c'è una maggioranza di donne, 56%. Infine, quasi 9mila stage hanno coinvolto persone over 55, con il solito corollario di criticità rispetto all'inquadramento in stage di persone molto più vicine alla pensione che non all'avvio del percorso professionale.Nel Rapporto si scopre che la maggior parte dei tirocini attivati è come al solito concentrata nel settore dei Servizi, che con 239mila attivazioni rappresenta oltre i tre quarti del totale, in gran parte all'interno dei macro-segmenti “Trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese” (84.672 attivazioni) e del “Commercio e riparazioni” (72.950 attivazioni). Insieme, i due totalizzano oltre la metà del totale; entrambi i settori vedono una prevalenza di stagiste donne. Circa uno stage extracurricolare su dieci in Italia avviene in un ente pubblico (33.307 sono stati i percorsi attivati nel settore “Pubblica amministrazione, istruzione e sanità”).Dei tirocini extracurricolari il Rapporto del ministero del Lavoro consente anche di conoscere altri dettagli, anche se purtroppo si tratta di dati strutturati in modo da essere poco rilevanti. Per esempio, viene indagata la durata dei tirocini: ma inspiegabilmente le quattro categorie previste sono “Fino a 30 giorni” (cioè meno di un mese), poi “31- 90 giorni” (uno-tre mesi), “91- 365 giorni” (da tre mesi a... dodici!) e “366 e oltre” (cioè tirocini di durata superiore a un anno). È chiaro che l'informazione rilevante è annegata nella categoria sproporzionata 91-365, perché uno stage di quattro mesi è ben diverso da uno stage di un anno! Per questo, il fatto che nel Rapporto si legga che «la maggior parte dei tirocini ha avuto una durata da 3 a 12 mesi (73,7% del totale)» non permette di valutare in profondità questo aspetto, né di capire se gli stage di 6 mesi siano ancora lo "standard", né quanti stage si avvicinino alla durata massima prevista da quasi tutte le normative, e cioè appunto 12 mesi. Più interessante lo spacchettamento dei tirocini più brevi: solo il 6,4% dura meno di un mese, il 17,2% si colloca tra 2 e 3 mesi. I tirocini con durata superiore all’anno, che come specifica il Rapporto «sono destinati presumibilmente a disabili», rappresentano ovviamente una quota piccolissima, il 2,7% del totale.Rispetto allo svolgimento di questi percorsi formativi “on the job”, che prevedono tutti un progetto formativo individuale e che hanno una durata prestabilita, il Rapporto indica che solo il 68% dei 314mila tirocini del 2022 si è svolto fino alla fine. Un 14,8% è stato interrotto anticipatamente per volontà del tirocinante, quindi nel 2022 oltre 46mila stagisti hanno abbandonato in corso d'opera. Solo una frazione microscopica, zero virgola quattro per cento, è stata interrotta invece per volere del soggetto ospitante: questo perché la maggior parte delle normative regionali pone molti vincoli a questa fattispecie, giustamente per evitare che gli stagisti vengano magari "liquidati" perché non molto efficienti o produttivi.In ogni caso, una risposta esauriente alla domanda “quanti stage sono avvenuti in Italia l'anno scorso” non c'è. Possiamo dire: un po' sopra i 700mila, sommando i 314mila extracurricolari al numero indefinito di curricolari, stimato a 400mila. Ma per avere finalmente un numero preciso bisognerebbe (re)introdurre anche per i tirocini curricolari la comunicazione obbligatoria di avvio. Una procedura semplice, non costosa, veloce. Una procedura che inspiegabilmente trova forti resistenze in Parlamento, dove più volte è stata proposta e più volte è stata rigettata. Oggi più che mai, invece, ci sarebbe bisogno di trasparenza nel mercato del lavoro – e ancor più nel segmento del “mercato degli stage”, che riguarda i nostri giovani e il loro futuro.  Eleonora VoltolinaL'immagine a corredo dell'articolo è di Cottonbro Studio [da Pexels in modalità Creative Commons]

Numero chiuso a Medicina, nuove proposte di legge per abolirlo

Tre semplici articoli per chiedere l’abolizione delle limitazioni all’accesso ai corsi universitari di area sanitaria: sono quelli contenuti nella proposta di legge presentata a settembre dal Consiglio regionale della Campania che mira a eliminare dal prossimo anno accademico, 2024/2025, ogni restrizione per iscriversi alle lauree non solo in medicina e chirurgia ma anche in medicina veterinaria, odontoiatria e protesi dentaria, «nonché ai corsi universitari concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione e ai corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie».La proposta di legge, fortemente voluta dal Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, dopo essere stata illustrata in Conferenza delle Regioni ricevendo appoggi trasversali, ha raccolto l’unanimità in Consiglio. «Dal momento in cui si registra una carenza drammatica di personale medico è inaccettabile tenere in piedi ostacoli di accesso alla facoltà di medicina, non legati peraltro a nessuna valutazione di merito», spiega il Governatore del Partito democratico alla Repubblica degli Stagisti. «Così come è intollerabile un sistema di quiz che sta spingendo verso forme di depressione e di disagio mentale decine di migliaia di ragazzi e ragazze».Per l’anno accademico 2023 – 2024 il ministero dell’università e ricerca ha messo a disposizione 19.544 posti, per la sola laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, compresi i posti per i candidati di Paesi non dell’Unione europea residenti all’estero (escluso quindi Odontoiatria e Veterinaria per i quali c’erano altri 2mila 428 posti). Quasi un quinto di posti in più rispetto all’anno precedente. Nella sola Campania, tra le sedi della Federico II, dell’università Vanvitelli e di quella di Salerno, il numero totale di posti per il corso di laurea in Medicina e chirurgia per i candidati europei e non, residenti in Italia, e per quelli dei paesi non europei residenti all’estero ammontava a 1.513.Le domande (a livello nazionale), però, sono state decisamente di più visto che per la prima sessione del TOLC Med (le nuove modalità di selezione) per l’anno accademico da poco partito erano 79mila 356, di cui 72mila 450 per medicina e chirurgia. Mentre per la seconda sessione sono state 88mila 679, anche se di questi, secondo il Cisia, il Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l’accesso che supporta le università nella realizzazione ed erogazione dei test di accesso, più di sette candidati su 10 avevano già fatto un tentativo in primavera. Bisogna ricordare che con la nuova modalità di selezione potevano partecipare al test anche gli studenti iscritti al quarto anno delle scuole superiori, che secondo il Cisia erano circa il ventotto per cento del totale, che quindi non potevano iscriversi ma semplicemente tentare il test come esercitazione. Facendo qualche rapido calcolo, molto approssimativo, si può dedurre che solo il 20 per cento del totale candidati poteva avere una chance di superare il numero chiuso. E infatti i test di ammissione alla facoltà di medicina nemmeno quest’anno sono stati esenti da polemiche. Il nuovo quiz conteneva domande errate il che ha generato non solo i soliti ricorsi ma anche una petizione, lanciata a fine settembre dal comitato Aboliamo il numero chiuso, che ha raggiunto al momento oltre 51mila firme e chiede, appunto, l’abolizione del numero chiuso, considerata «improcrastinabile» e di «rivedere profondamente il sistema d’accesso alla formazione medica»: i promotori sostengono che il metodo attuale «non tiene conto né delle esigenze reali del nostro sistema sanitario né prevede un sistema di selezione legittimo e meritocratico». Il test di ammissione, denunciano, non premia la preparazione o l’impegno, perché è sempre «la casualità di un quiz iperspecialistico e la fatalità di un sistema equalizzato aleatorio a decretare chi potrà proseguire per la propria strada e chi no, ledendo quel diritto allo studio sancito dal nostro ordinamento».Nel testo della proposta di legge campana viene evidenziato come «l’attuale sistema di accesso alle facoltà di medicina, fondato sul superamento dei test di ingresso – in grandissima parte incentrati su materie che non sono oggetto di approfondimento nel corso degli studi scolastici e, talvolta, su materie completamente avulse sia dal percorso scolastico che da quello, poi, accademico – implica una preparazione specifica, tesa esclusivamente al superamento di quei medesimi test». Obbligando spesso le famiglie a pagare per corsi specifici di preparazione ai quiz.La proposta consta di soli tre articoli: nel primo si rende libero l’accesso ai corsi di laurea di area sanitaria, per «superare il disagio sociale connesso al regime di accesso programmato»; nel secondo articolo si precisa che con decreto da adottare entro il 31 gennaio 2024, il Ministero dell’università e della ricerca «accerta l’eventuale fabbisogno di risorse umane e strumentali necessario al rafforzamento del sistema universitario e lo trasmette al Ministro dell’economia e delle finanze» per la successiva approvazione di un piano straordinario pluriennale di reclutamento e adeguamento; al comma due c’è la questione specializzazione – vero nodo del problema di carenza di organico – precisando che entro il 31 dicembre 2026 il Miur debba definire il fabbisogno di risorse umane, strumentali e finanziarie per incrementare i posti disponibili nei corsi di formazione specialistica dei medici; il terzo e ultimo articolo introduce una novità, consentendo nelle more dell’attuazione dell’ampliamento di docenti e aule la possibilità di fruizione dei primi due anni di corso anche in modalità on line, spostando i corsi pratici a partire dal terzo anno.Non è solo la Campania, però, ad aver intrapreso questa strada: in Conferenza Stato Regioni «è emerso che anche le altre regioni italiane sono a favore dell’abolizione del numero chiuso per il test di Medicina. Ci aspettiamo, quindi, che tutte le forze politiche portino avanti la proposta di legge della Regione Campania», osserva De Luca. E infatti già l’Assemblea regionale siciliana a fine ottobre ha presentato a sua volta una proposta di legge analoga  che mira a modificare la legge attualmente vigente in Italia e approvata alla Camera nel 1999.  L’intenzione del legislatore 24 anni fa di introdurre l’accesso programmato, si legge nel testo, «sarebbe stata quella di limitare il numero di studenti, riducendo gli oneri per la didattica e determinando un miglioramento della qualità formativa con una preliminare selezione dei discenti». Invece ha prodotto «conseguenze negative per il sistema universitario e per l’intero sistema Paese, portando anche «migliaia di studenti a iscriversi ai corsi promossi da università di altri Paesi europei, costringendo le famiglie a sostenere oneri pesanti». Ma la conseguenza più grave, sottolinea il documento, è emersa durante l’emergenza della pandemia Covid: «l’acclarata carenza di figure professionali in campo medico e nell’area sanitaria in genere». Per questo la proposta di legge, costituita da due soli articoli, propone «di abrogare le disposizioni in materia di numero programmato».Entrambe le proposte di legge, quella dell’Assemblea Regionale Siciliana e del Consiglio Regionale della Campania, sono state poi presentate dai rispettivi Consigli alla Camera dei deputati. La Costituzione, infatti, stabilisce  che una proposta di legge possa essere presentata alle Camere dal Governo, da ciascun deputato, da almeno 50mila elettori, dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro o dai Consigli regionali. Questi, quindi, esercitano la potestà legislativa attribuita alle Regioni e possono anche fare proposte di legge, secondo l’articolo 121 della Costituzione. I due testi dopo la presentazione sono stati assegnati alla stessa commissione. Potrebbe anche succedere, come spesso accade in Parlamento, che a fronte di più proposte su uno stesso argomento – in questo caso l’abolizione del numero chiuso – si arrivi ad unire i vari documenti per arrivare a un testo unico. È, però, decisamente prematuro parlarne visto che al momento non è stato ancora calendarizzato l’inizio dell’esame delle due proposte. Ora parte la corsa contro il tempo: l’abolizione dovrebbe essere operativa da settembre, tra soli nove mesi, ma la discussione alla Camera non è ancora cominciata. Considerando i tempi dei dibattiti e il successivo passaggio per l’approvazione anche al Senato, qualsiasi eventuale rallentamento potrebbe posticiparne l’entrata in vigore. «Sarebbe un disastro», osserva De Luca, «ma siamo fiduciosi, l’iter procede. Il disegno di legge è stato approvato il 6 settembre dalla Giunta Regionale, poi dal Consiglio regionale il 12 e trasmesso alle Camere è stato assegnato il 7 novembre alla VII Commissione Cultura della Camera». Decisamente contraria all’abolizione è l’Anaao Giovani, sindacato di medici e dirigenti sanitari. «L’abolizione del numero programmato, non chiuso, a medicina presenta diversi punti deboli», spiega alla Repubblica degli Stagisti Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale. «È impraticabile per via dell’entità delle strutture universitarie presenti; è inutile per l’abbondanza di medici che ne scaturisce; è anacronistica perché avremmo specialisti formati tra 11 anni; è costosa perché formare un medico in surplus costa 125mila euro».Come risolvere, dunque, la carenza di medici ospedalieri? In tre modi: bisogna secondo Liuzzi «riformare le condizioni di lavoro dei professionisti, finanziare finalmente in maniera adeguata il servizio sanitario nazionale e riformare la formazione medica post-laurea. Occorre semplicemente la volontà politica di potenziare in maniera forte e pragmatica la sanità pubblica e l’erogazione di salute a tutti gli italiani». L’Anaao è convinta che questo provvedimento sia una pura illusione e che andrebbero invece migliorate le condizioni di lavoro, gli stipendi, e anche depenalizzato l’atto medico. «L’Anaao pone dei problemi seri sui quali il Governo dovrebbe intervenire ma che non hanno a che vedere con il problema altrettanto serio – concreto e non pura illusione - dell’ostacolo del numero chiuso per l’accesso alla professione», obietta il Presidente De Luca. «Non ci sono motivazioni tecniche per mantenerlo e, in ogni caso, ogni selezione va fatta dopo i primi due anni, ma sulle materie sanitarie non su argomenti che nulla hanno a che vedere con la medicina».Che i test di accesso possano essere migliorati lo crede anche Anaao: «È indubbio che qualunque meccanismo di selezione può essere implementato e ottimizzato ed ovviamente non c’è nessuna preclusione a riformare nuovamente quello attuale, ma ciò non è un alibi per mettere in discussione l’abolizione dell’intero impianto di selezione sulla programmazione dei medici e dei futuri specialisti», dice Liuzzi che aggiunge come paradossalmente «il problema della carenza di alcune specialità non è un problema di finanziamento ma un inquadramento vecchio di 24 anni», in cui ogni medico specializzando ha «pochi diritti e molti doveri, viene retribuito solo 1.650 euro mensili» e per giunta nemmeno riceve «una formazione di qualità a causa della carenza di personale dirigente».E Anaao si chiede: che fine faranno i medici dopo il biennio aperto a tutti? In Francia, dove c’è un sistema simile ma con selezione dopo il primo anno, l’ottanta per cento non supera lo sbarramento. La domanda quindi è: perderanno un anno [ndr. nel caso italiano due anni visto che si parla di biennio] o saranno dirottati su un binario di seconda scelta?  Troppo presto per dirlo, ma la proposta dell’abolizione è un’idea che nel mondo politico gira da tempo. Non solo la ministra Anna Maria Bernini ha annunciato nei mesi scorsi di voler aumentare di 4mila unità i posti a Medicina, ma in Conferenza delle Regioni sono state numerose le aperture e già altre regioni – tra le ultime il Molise - si stanno occupando del tema.Ora bisognerà aspettare l’inizio della discussione alla Camera per verificare la posizione delle forze politiche e capire se riceverà l’appoggio sufficiente per diventare legge così com’è o se durante il dibattito accoglierà alcune delle obiezioni avanzate da Anaao.  Marianna LeporeFoto di apertura di senivpetro da Freepik in modalità creative commons

82mila expat nel 2022, sempre più giovani sono ormai “stanchi di attendere”

Si arresta un po' la crescita della comunità degli italiani all’estero, ma non quella dei giovani. Gli espatriati nel 2022 sono 82mila, in calo del 2,1% rispetto all'anno precedente, secondo i calcoli del Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, giunto quest’anno alla diciottesima edizione e presentato a novembre a Roma. Tra coloro che sono partiti l'anno scorso per andare a vivere fuori dai confini nazionali, ben il 44% ha tra i 18 e i 34 anni, una quota che risulta in crescita di tre punti in un anno e che rappresenta l'incremento più alto tra tutte le fasce d'età. Mentre quasi un neo-espatriato su quattro ha tra i 35 e i 49 anni, anche se per questa fascia di età le partenze sono in calo. Gli espatri oltre confine vedono ragazzi e giovani adulti in testa, ed è in qualche modo normale che la composizione degli italiani all’estero sia in prevalenza rappresentata dalle nuove generazioni è qualcosa di «fisiologico», come commenta con la Repubblica degli Stagisti la sociologa Delfina Licata, coordinatrice del rapporto. Licata spiega che questa in particolare «è un’epoca di migrazioni, viviamo in un tempo di mobilità». Non c'è  niente di strano dunque se i giovani partono per un’esperienza all’estero: «Si tratta di una fascia di età che di per sé è portata al rischio, per cui le partenze sono normali e andrebbero anzi incentivate». Il punto è un altro: e cioè che nel nostro Paese c'è «tutta una serie di fragilità diventate emergenze strutturali: disoccupazione giovanile, invecchiamento della popolazione, inverno demografico». Di fronte a un simile panorama «la soluzione per le giovani generazioni è quella di partire». I giovani italiani sono in sofferenza e così, «non trovando margini di partecipazione all’interno dei propri territori di appartenenza, vanno alla ricerca di spazi di protagonismo altrove» si legge nel rapporto.  I ragazzi si trovano per di più in una condizione di rassegnazione e secondo lo studio «tra i 18 e i 34 anni  un ragazzo su due nel 2022 (4,8 milioni di individui) ha riscontrato almeno un segnale di deprivazione in una delle due sfere, istruzione e lavoro». La conclusione è che ci si trova di fronte «a una nuova importante questione giovanile» osserva il rapporto, «che tocca il piano identitario, esistenziale, occupazionale e professionale». Se ne parla, ma si fa troppo poco; e i giovani, «stanchi di attendere, trovano soluzioni lontano da casa». Un segnale inedito del malessere giovanile viene dal Sud dove per la prima volta, sottolinea il Rim, si riscontra «una riduzione strutturale del peso dei giovani, sintomo primario delle difficoltà che caratterizzano la condizioni giovanile in questi territori». Dietro c’è «la permanenza protratta nella famiglia di origine, fino alla soglia dei 40 anni, con picchi che si verificano in Sardegna, Campania e Calabria». Le partenze non hanno all’origine solo difficoltà economiche, «ma più senso di rivalsa» sottolinea il rapporto. Prova ne sia che «Il 53,9 per cento (44mila) di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero per espatrio lo ha fatto partendo dal Nord Italia», la zona d’Italia più ricca e piena di opportunità, contro «il 30,2 per cento degli abitanti del Sud». Neppure chi parte trova stabilità. C’è un decremento nelle iscrizioni all’Aire, il registro ufficiale degli italiani all’estero. Un diritto-dovere di iscrizione che non viene rispettato, ragiona Licata, «per un sentimento di indecisione», che è un po’ anche uno strascico della pandemia. «Aumentano coloro che sono in una sorta di limbo tra il qui e il là» si legge nel rapporto, «di quelli che sono andati all’estero e vi lavorano anche, ma che continuano a tenere fermo un piede anche in Italia non ottemperando all’obbligo di iscrizione all’anagrafe dei residenti all’estero». «Moderni clandestini» che non danno peso alla mancata regolarizzazione, e si giustificano perché «sentono di essere stati poco valorizzati». C’è poi il capitolo dei rientri, sempre più consistenti dal periodo post Covid. La comunità italiana all’estero è composta da sei milioni di individui, aumentati del 91 per cento dal 2006. Menzione speciale spetta alle italiane, raddoppiate nel periodo considerato. Ma la decisione di rientrare è in salita, soprattutto dal 2021, da quando si è passati a una media di 2-3mila rientri all’anno a oltre 6.500. Il merito «è della legge Controesodo», sottolinea Licata, «che ha fatto raddoppiare i rientri grazie alla defiscalizzazione». Rimpatri tutti concentrati nella fascia 20-30 anni nel triennio 2020-2022. A dare una lettura del fenomeno nel rapporto sono Francesco Rossi e Michele Valentini, fondatori del gruppo Controesodo, che rappresenta la comunità di italiani all'estero: «Si tratta di una fascia di età spinta dalle agevolazioni fiscali, ma che poi tendono a riespatriare» scrivono. Meno facile incidere sui 30-40enni, «dove si concentrano le famiglie con minori, che sono più difficili da spostare». Un punto che si aggiunge «alla scarsa attrattività del welfare italiano».Ad analizzare il tema dell'avere figli all'estero è anche Eleonora Voltolina, direttrice della Repubblica degli Stagisti e fondatrice di The Why Wait Agenda, che per questa edizione del Rim ha scritto il saggio 'Del mondo o nel mondo: gioie e dolori di crescere figli italiani lontano dall'Italia', raccogliendo testimonianze di famiglie espatriate con figli al seguito, o che invece ne hanno avuti una volta fuori dall'Italia. Luci e ombre, con aspetti positivi e altri meno: uno degli esempi più emblematici è quello di Fiammetta, in Francia dal 2010 e con due figli avuti lì, che pur avendo beneficiato di tutti gli aiuti francesi per poter conciliare maternità e lavoro, racconta che avrebbe «preferito di gran lunga avere la famiglia vicino e poter stare a casa un anno».Chi espatria, dunque, talvolta lo fa con amarezza, e spera di poter tornare. Servirebbero più incentivi: «i rimpatri farebbero da argine alla denatalità e all’inverno demografico», ragionano da Controesodo. E invece, se le previsioni dovessero essere confermate, la legge Controesodo sarà invece depotenziata dalla prossima manovra finanziaria, fornendo meno supporto a chi decide di rientrare. E lasciando forse a infoltirsi sempre di più la comunità di italiani all’estero. Ilaria Mariotti 

L'Agenzia spaziale europea paga anche gli stagisti curricolari: oltre 100 opportunità in scadenza

Non per forza i tirocini curricolari devono essere gratis: il fatto di essere studenti non è in contrasto col poter ricevere un emolumento per lo svolgimento di un tirocinio (chissà se la Camera dei deputati italiana è in ascolto…). Lo dimostrano tanti programmi di enti blasonati: il più recente è quello dell’Agenzia Spaziale Europea – European Space Agency – in scadenza giovedì 30 novembre, per tirocini che si svolgeranno nel corso del 2024.I posti a disposizione sono circa 130, distribuiti nelle varie sedi degli stabilimenti ESA, a seconda del tipo di stage. La sede centrale è a Parigi, ma ci sono vari centri operativi anche in altri paesi europei: in Germania, a Darmstadt e Colonia, nei Paesi Bassi, a Noordwijk, in Italia, a Frascati vicino Roma, nel Regno Unito, a Oxfordshire, in Belgio, a Redu, e in Spagna, a Madrid.Per partecipare «È necessario anche essere iscritti all’università e conservare lo status di studente per tutto il periodo del tirocinio», fanno sapere alla Repubblica degli Stagisti dal dipartimento Risorse umane dell'Agenzia. La durata può variare dai tre ai massimo sei mesi ed è previsto «un rimborso spese mensile di 500 o 800 euro, a seconda se si è residenti o no nei pressi della sede dello stage. Non c’è alcun altro tipo di benefit».Per non residente si intende un soggetto che «vive a più di 50 chilometri. Gli stagisti devono, quindi, dotarsi di assicurazione medica, se richiesta nel Paese dello stage, ed è a loro carico anche quella contro gli infortuni e le spese di viaggio», si legge dal sito internet in cui è specificato anche che per gli studenti con particolari bisogni sono garantiti gli stessi benefici dei “non residenti” indipendentemente dal loro status. Le lingue ufficiali dell’Agenzia sono inglese e francese ed è richiesta una buona conoscenza di almeno una delle due.Scorrendo le tante pagine del sito dedicato alle opportunità di stage si scopre che è preferibile essere all’ultimo o penultimo anno di corso universitario. E che il background di studi più indicato è principalmente scientifico, vista la natura del lavoro dell’Esa. Tra le discipline dei tirocini c’è ingegneria meccanica, elettrica e dei sistemi, matematica applicata, scienze sociali, ma anche diritto (tutto ciò che è inerente contratti e appalti), finanza e comunicazione. «I candidati devono avere la nazionalità di un Paese membro dell’ESA, quindi Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera o Regno Unito, o di uno di questi otto stati: Canada, Bulgaria, Croazia, Cipro, Lettonia, Lituania, Slovenia, o Slovacchia.L’elenco di tutte le opportunità di stage è disponibile a questo link. Selezionando l’annuncio che sembra più interessante esce la lista più dettagliata di compiti, competenze e requisiti necessari e, se in linea con quelle possedute, si può direttamente fare l’application. Prima di candidarsi, però, è necessario registrarsi e creare il proprio profilo completo di curriculum e lettera motivazionale. Una volta inviata la domanda si può monitorare dal sito lo status. Bisogna però ricordarsi che non si possono inviare più di due candidature per persona, in quel caso saranno tutte ignorate. Nel caso in cui, invece, il proprio profilo è adatto per una posizione per cui non si è candidati, sarà direttamente lo staff Esa a indirizzarlo al giusto responsabile.Una volta chiuso il periodo di raccolta delle candidature, a fine novembre, subito dopo, a dicembre, parte la fase di selezione dei candidati fino a febbraio quando cominciano anche i primi tirocini. L’inizio dello stage è flessibile e arriva fino a ottobre del 2024 e può essere deciso insieme al proprio tutor. ESA dà anche qualche piccolo suggerimento per rendere la propria candidatura la migliore possibile, vale a dire: «leggere attentamente tutte le opportunità prima di selezionare quella che si adatta meglio al proprio background e alle proprie aspirazioni. Candidarsi per un massimo di due posizioni di stage, ma all’interno di ciascuna opportunità non c’è limite alla scelta degli argomenti. Condividere la propria motivazione, gli interessi e l’entusiasmo nella lettera di presentazione, ma mantenerla chiara e concisa. Rispondere attentamente alle domande del modulo di candidatura, perché sono importanti per conoscere meglio il profilo e il background del candidato».Sul sito è disponibile una sezione con tutte le principali faq su questo tipo di selezione. Qui si precisa un altro punto importante: visto che l’Esa è un’organizzazione intergovernativa, «non è soggetta alle normative nazionali sul lavoro o la previdenza sociale e non può firmare accordi individuali con la tua università. Riceverai una lettera di offerta dettagliata che riassume tutte le condizioni, come sede, durata, orari, che potrai condividere con il tuo ateneo», e si consiglia di far presente questi aspetti con la propria università prima di fare domanda. Disponibile anche una guida per il sito web dedicato alla selezione del personale.Questo tipo di stage non deve essere confuso con un altro programma, il Young Graduate Trainee Programme,  sempre organizzato da Esa ma accessibile a chi sta per conseguire o ha appena concluso un master e che richiede, quindi, un livello di preparazione e competenze superiore.Una volta mandata la candidatura si può controllare lo status della domanda sulla pagina web dedicata alla selezione del personale: solo quando l’esame di tutte le applications è concluso, sarà notificato il risultato via email e si raccomanda vivamente di controllare anche la casella spam.Se selezionati si entrerà a far parte di un gruppo di lavoro che conta circa 2.700 dipendenti, un grande gruppo di scienziati, ingegneri e professionisti europei che lavorano in un ambiente diversificato e multiculturale. Esa è «la porta d’accesso dell’Europa allo spazio». Una delle sue missioni è garantire che gli investimenti nello spazio continuino a portare benefici ai cittadini dell’Europa e del mondo e che ci sia un uso pacifico dello spazio per tutti. È proprio nelle tante sedi Esa che si sviluppano e lanciano progetti spaziali, si addestrano gli astronauti e si cercano risposte alle grandi domande sull’Universo. «Ci dedichiamo allo spazio unito in Europa e all’Europa unita nello spazio», si legge dal sito: insomma un gran bel posto dove provare a muovere i primi passi nel mondo del lavoro. Marianna LeporeFoto di apertura: EUMETSAT/ESA in modalità Creative Commons CC BY-SA 3.0 IGOFoto a sinistra: ESA in modalità Creative Commons CC BY-SA 3.0 IGO

Tirocini in Piemonte, com’è cambiata la situazione dopo la pandemia

Più della metà dei giovani neodiplomati e qualificati riesce a trovare un’occupazione dopo uno stage extracurriculare in Piemonte: è una delle evidenze presenti nel report della Regione e dell’Agenzia Piemonte Lavoro. Nel periodo tra il 2018 e il 2022 il Piemonte si è distinto in positivo anche per i tirocini per l’inclusione sociale, con la stessa percentuale di soggetti che riesce ad avere un reddito al termine del programma. C’è però anche un aspetto negativo e riguarda i più istruiti: è aumentato di un terzo il numero di dottori di ricerca che a fine stage rimane a casa senza lavoro.Questi dati vanno confrontati con quello che accade su scala nazionale e internazionale. Per esempio, riguardo allo sbocco occupazionale il Piemonte con i suoi sei giovani su dieci inseriti nel mondo del lavoro a stage terminato è in linea con quanto succede in Europa dove, secondo l’ultima indagine Eurobarometro, il rapporto è simile visto che sono sette su dieci a trovare un lavoro a fine tirocinio.Se, però, si confrontano i dati con quelli nazionali si scopre che il Piemonte addirittura raddoppia gli esiti occupazionali. Prendendo in esame il biennio 2019 – 2020, infatti, otto tirocinanti su dieci a un anno dal termine dello stage hanno avuto un rapporto di lavoro, pari appunto al doppio di quello che avviene a livello nazionale, secondo il Rapporto per le comunicazioni obbligatorie 2020.«Questo dato si connette sicuramente alla situazione economica piemontese in ripresa, da un lato, e all’utilizzo in molti casi improprio dello strumento del tirocinio, che è servito nella coda della pandemia ad inserire giovani nelle aziende, necessari per il passaggio generazionale» commenta Anna Maria Poggio della Cgil Piemonte, alla Repubblica degli Stagisti, che però sottolinea anche come «specie nelle piccole e medie aziende, anche artigiane, il tirocinio, che come è noto non è un vero rapporto di lavoro, spesso è utilizzato per non pagare giovani dipendenti in “prova”». In aggiunta, per l’anno in corso, tra guerra, inflazione e rincari energetici, continua a spiegare la sindacalista, le aziende sono state fortemente scoraggiate dall’investire nella manodopera futura; e il forte aumento dei tirocini extracurriculari registrato nella regione durante gli anni del Covid fino al 2022 è controbilanciato da una notevole flessione in atto proprio ora.Se invece si guardano i risultati dei tirocini per l’inclusione sociale, più della metà dei tirocinanti del Piemonte riesce ad avere un reddito al termine del programma e anche se a prima vista sembra un traguardo esiguo, in realtà è il triplo di quello che succede su scala nazionale. La percentuale di attivazioni è comunque bassissima, intorno al cinque per cento negli ultimi cinque anni, questo perché si tratta di «tirocini molto difficili», spiega Poggio: «Sia le aziende pubbliche sia le private spesso preferiscono pagare le sanzioni sul collocamento obbligatorio piuttosto che intraprendere percorsi che poco si coniugano con i concetti di efficienza e iper produttività, oltre che rischiare situazioni difficili da gestire all’interno del proprio personale». Per questo motivo «probabilmente sarebbe necessaria una specifica formazione verso il personale dipendente, dirigente e l’azienda stessa per gestire processi di vera inclusione sociale nei luoghi di lavoro» suggerisce la sindacalista: «In Piemonte, ad esempio, la sperimentazione ha prodotto risultati positivi solo nella cooperazione di tipo B, [ndr. le cooperative sociali che si occupano della gestione di attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate nei settori dell’industria, commercio, servizi e agricoltura] dove è più facile attuare veri percorsi di inclusione di soggetti svantaggiati».E poi c’è il dato relativo ai dottori di ricerca: in questo caso i risultati per il Piemonte sono negativi. Nel 2019, infatti, è aumentato di un terzo il numero di neodottorati che a fine stage rimaneva a casa senza lavoro, quando invece in Italia, secondo i dati Almalaurea, quell’anno in pratica tutti i neodottorati trovavano un’occupazione (ben nove su dieci).Il report va ad aggiornare una precedente analisi in cui era rimasto fuori proprio il periodo pandemico, maggiormente colpito dal punto di vista occupazionale. Nei cinque anni tra il 2018 e il 2022 in Piemonte sono stati attivati più di 149mila tirocini extracurriculari: l’analisi si sofferma su quelli che sono stati non solo attivati ma anche conclusi in questo arco di tempo, ovvero circa 120mila. L’obiettivo è «valutare, per ogni tirocinio conclusosi nell’anno di riferimento, la sussistenza di un rapporto di lavoro nel periodo successivo di dodici mesi dalla conclusione dello stesso».In realtà per “rapporto di lavoro successivo” sono considerati anche i lavori socialmente utili, i Cantieri di lavoro e gli ulteriori tirocini. In quest’ultimo caso, che è bene ricordare non è un vero contratto di lavoro, si cerca di capire se è stato attivato nella stessa azienda ospitante e quali possano essere le variabili che hanno influito su questo esito. Se due stage su dieci non sono seguiti da alcuna contrattualizzazione, per la restante parte c’è un rapporto praticamente identico tra un contratto nella stessa azienda del tirocinio e in un’altra ditta. La possibilità di avere un lavoro successivo è maggiore se lo stage giunge alla sua naturale scadenza.L’analisi risulta, però, in parte incompleta. Se lo scopo degli stage extracurriculari è quello di inserire in un contesto occupazionale lo stagista e questi, alla fine, si trova a cominciare un nuovo tirocinio o a partecipare a una misura come i Cantieri di lavoro, una misura della durata massima di 260 giorni e comunque dedicata solo agli over 45, è evidente che l’obiettivo primario non ha avuto successo.Il settore che attrae il maggior numero di stagisti è quello dei servizi, in cui nel quinquennio ci sono più di 11mila tirocini attivati all’anno, con una perdita di circa 4mila unità nel 2020, causa pandemia Covid. Seguono commercio, con commessi, baristi e camerieri, e industria. Se si analizza, invece, il grande gruppo professionale di inserimento, sono richiesti più stagisti nei settori esecutivi nel lavoro di ufficio e in quelli qualificati nelle attività commerciali e nei servizi, a cui seguono artigiani e operai specializzati e le professioni tecniche. Fanalino di coda le professioni non qualificate, in cui in cinque anni c’è stato un forte calo di nuove attivazioni.Altro dato interessante è quello relativo al grado di istruzione dei tirocinanti: le più “stagizzabili” sono le persone con diploma di istruzione secondaria superiore, seguite da chi ha una licenza media e solo dopo da chi ha un titolo universitario. Il dato è stabile nei cinque anni in esame. Così come quello dell’età: la categoria fino ai 29 anni è quella con più tirocinanti, probabilmente anche grazie, sottolinea il rapporto, a misure specifiche come la Garanzia Giovani, che era rivolta appunto a soggetti tra i 15 e i 29 anni.Il report analizza anche qual è il tipo di contratto firmato al termine dello stage: solo per metà è di lungo periodo. «L’inserimento dei tirocinanti in Piemonte e poi la conferma spesso avvengono in apprendistato o con contratti a tempo determinato, molto meno a tempo indeterminato» conferma Anna Maria Poggio della Cgil Piemonte. Più è alto il livello di istruzione più possibilità ci sono di trovare un lavoro a fine tirocinio: per i soggetti svantaggiati o i disabili ci sono molte meno chance.C’è poi, in conclusione, un’analisi nel tempo sui tirocinanti coinvolti che mira a verificare la situazione occupazionale a sei e a 12 mesi. Nelle quattro annualità considerate (la quinta, il 2022, non può essere considerata in questo caso) il risultato è sempre positivo per i tirocinanti che hanno concluso l’esperienza in quel determinato anno. Con un dato in crescita nel lungo periodo.Per quanto il report cerchi di analizzare la situazione lavorativa di tutti gli stagisti in Piemonte dal 2018 al 2022, in realtà non riesce a prendere in esame tutti i dati significativi dello scorso anno, il 2022 appunto, che avrebbero aiutato a capire meglio la ripresa eventuale post pandemia; non è quindi possibile un’analisi puntuale degli effettivi benefici dei tirocini nell’inserimento occupazionale post pandemia. Bisognerà aspettare, quindi, l’eventuale nuovo aggiornamento per verificare se alcuni trend emersi, come il non sempre effettivo inserimento per chi ha concluso un tirocinio di inclusione sociale e la difficoltà maggiore per i neo dottorati di trovare un’occupazione stabile, siano confermati anche dall’analisi degli esiti dei tirocini attivati nel 2022.Marianna LeporeFoto di apertura di Annie Spratt da Unsplash

Giornata Internazionale degli Stagisti, perché è ancora un giorno importante

Un’occasione per condividere le migliori pratiche e focalizzare le sfide ancora attive, per cercare nuove opportunità di partnership e scambiare informazioni tra professionisti delle risorse umane e stagisti del sistema delle Nazioni Unite: venerdì 10 novembre torna l’International Interns’ Day, la giornata istituita nove anni fa per ricordare al mondo il problema dei tirocini senza rimborso spese e dello sfruttamento di intere generazioni di giovani.Quest’anno l’evento è organizzato dalla Fair Internship Initiative con lo European Youth Forum e consiste in un appuntamento online, a partire dalle 17.30 ora italiana, più vari eventi dal vivo in molte sedi di servizio delle Nazioni Unite. In Italia sarà a Roma presso Yellow Bar, su viale Aventino 78, a partire dalle otto di sera.Ha promesso di partecipare anche Irena Vojáčková-Sollorano, vice direttrice generale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Chi è interessato ad ascoltare i dibattiti può registrarsi a questo link per seguire gli interventi.I tirocini sono uno strumento cruciale per aiutare la transizione dall’istruzione al mercato del lavoro. Possono essere un’opportunità preziosa per fare una prima esperienza lavorativa e apprendere delle competenze specifiche, ma allo stesso tempo possono a volte introdurre i giovani in un circolo vizioso di lavoro sottopagato incidendo sulla loro situazione finanziaria, sulle prospettive future e sul benessere generale.Ancora più grave, come sottolineano dalla Fair Internship Initiative, è il fatto che i tirocini siano spesso – e nelle organizzazioni internazionali capita con più frequenza – sottopagati o addirittura senza alcun rimborso spese, rendendoli accessibili solo a chi ha risorse sufficienti per permetterseli. Discriminando chi ha meno disponibilità economica e portando a uno squilibrio geografico non indifferente. Che la situazione sia andata peggiorando lo evidenzia anche il Rapporto Mondiale sulla Gioventù delle Nazioni Unite, che già nel 2016 rilevava un aumento degli stage di bassa qualità e senza indennità mensile all’indomani della crisi finanziaria del 2010.È in questo scenario che si cala la Giornata internazionale degli stagisti. Negli ultimi anni, infatti, è partito un lungo processo di riflessione in molte organizzazioni delle Nazioni Unite che ha portato all’introduzione, in alcuni casi, di un rimborso spese.Lo scopo di questa giornata, giunta all’ottava edizione, è sensibilizzare sull’importanza di garantire l’accessibilità a tirocini di qualità. Sono previsti vari panel, tra cui uno dal titolo “Stage di qualità nel mondo: la Carta dei tirocini di qualità dello European Youth Forum e le migliori pratiche esistenti”, che vedrà interventi di Claudia Pinto, European Youth Forum, Zen Patel, Unhcr - Agenzia Onu per i Rifugiati, Rafael Trejo, Iom - Organizzazione internazionale per le migrazioni e Sylvie Layous-Saltiel, Ilo - Organizzazione internazionale del Lavoro. Quest'anno infatti la Giornata internazionale degli stagisti è anche l'occasione per presentare la nuova Carta di qualità su stage e apprendistati che stabilisce, rinnovandoli, i criteri per un tirocinio di qualità: reclutamento trasparente, sostegno finanziario, obiettivi di apprendimento chiari e contatti regolari con un tutor.Nel secondo blocco di interventi, dal titolo “L’esperienza degli stagisti: anteprima del sondaggio di Fair Internship Initiative sugli stagisti delle Nazioni Unite e testimonianze degli stagisti attuali” presentato da Philippa Shoemark, di FII, sono previsti gli interventi di alcuni stagisti del World Food Program, dell’Organizzazione mondiale della Sanità e della Commissione europea. La loro partecipazione servirà per portare una testimonianza diretta degli aspetti positivi e negativi di questi programmi internazionali di stage. Che, come più volte raccontato dalla Repubblica degli Stagisti, hanno in alcuni casi il forte limite di non prevedere indennità mensili obbligando i giovani che vogliono parteciparvi a grossi sacrifici familiari, visto il costo elevato delle città in cui si svolgono.Il sondaggio della Fair Internship Initiative ha raccolto oltre 600 risposte di tirocinanti in uffici Onu o in agenzie correlate in tutto il mondo: una buona base per aprire la discussione su come migliorare l’esperienza di tirocinio e soprattutto garantire parità di accesso a tutti.In alcune delle città in cui hanno sede uffici delle Nazioni Unite sono stati organizzati anche eventi dal vivo, dove poter seguire i dibattiti online e poi scambiarsi opinioni vis-à-vis. Oltre alla sede del Secretariato delle Nazioni Unite a New York, gli altri eventi sono previsti a Copenaghen, Ginevra e Roma. Quando la Giornata degli stagisti è nata, nel 2014, riguardava solo l’Europa. Coinvolgeva una ventina di realtà internazionali a difesa degli stagisti – e già c’era anche la Repubblica degli Stagisti – con l’obiettivo di denunciare lo stato di precarietà dei tirocinanti e sollecitare soluzioni per garantire percorsi di qualità e contrastare la pratica degli stage gratuiti. L’anno seguente, nel 2015, la Giornata è diventata “internazionale” e ha trovato la sua collocazione in autunno. Se nove anni dopo, nonostante alcuni traguardi raggiunti come l’introduzione per alcuni uffici di un rimborso spese per gli stagisti, si continua ad avere una ricorrenza dedicata al tema vuol dire che si deve ancora fare molta strada.Per questo motivo bisogna partecipare tutti, in modo compatto, ad ogni tipo di ricorrenza. Perché il diritto più importante di uno stagista è quello ad avere un rimborso spese che consenta di svolgere il proprio tirocinio senza preoccupazioni, senza gravare sulle spalle della propria famiglia, senza dover sacrificare i propri risparmi solo per fare esperienza.La Giornata internazionale degli stagisti serve a ribadire che il problema non può essere ignorato. In Italia in particolare gli stagisti hanno ancora troppi pochi diritti, specie quando si tratta di stagisti curriculari. Basti pensare al caso più recente che abbiamo denunciato su queste pagine, quello del programma di tirocini semestrali gratuiti alla Camera dei deputati. L’International Interns’ Day serve a ricordare che i giovani hanno diritto a imparare e fare esperienza, e che devono poterlo fare a condizioni umane. Con l’unica preoccupazione di svolgere al meglio i propri compiti e apprendere nuove competenze, e non di dove trovare i soldi per pagarsi da dormire e mangiare. Marianna Lepore

La vergogna dei tirocini gratis alla Camera dei deputati

È uno dei luoghi della politica più importanti in Italia: metterci dentro un piede, magari farci un’esperienza lavorativa, è un sogno per molti giovani. Adesso c’è anche un bando, in scadenza tra tre settimane, che mette in palio dieci opportunità di stage. Ma la doccia fredda arriva immediatamente: si tratta di stage senza alcun rimborso spese mensile. Il programma è disciplinato da una convenzione sottoscritta nel marzo 2021 dalla Camera e dalla Fondazione Crui e riservato a studenti universitari particolarmente meritevoli. Lo scopo, si legge nel bando, è «affinarne il processo di apprendimento e di formazione e di agevolarne le scelte professionali». Il tutto, però, a carico dei giovani stessi. E nemmeno per un tempo breve, le classiche 150-200 ore dei tirocini solitamente svolti dagli studenti universitari, equivalenti a 4-5 settimane: qui la durata è addirittura di sei mesi. Gratis.Nessuna legge – purtroppo – viene violata, visto che al momento non c’è l’obbligo di garantire agli stagisti curriculari, coloro che svolgono un tirocinio durante un percorso di studi, un rimborso spese mensile – obbligo che invece esiste per gli extracurriculari, quelli svolti da persone che non sono impegnate in un percorso formativo.Negli anni, però, si è sviluppata una sensibilità sul tema che ha portato tante aziende a introdurre indennità anche per i curriculari – lo garantiscono per esempio tutte quelle che aderiscono al network della Repubblica degli Stagisti – e ha innescato anche a livello pubblico un dibattito politico sulla questione. Nella passata legislatura era partita la discussione della riforma dei tirocini curricolari, che avrebbe introdotto anche un rimborso spese mensile. Nel 2018 Massimo Ungaro, allora neoletto deputato, aveva presentato  come primo firmatario una proposta di legge, alla cui stesura aveva contribuito anche la Repubblica degli Stagisti, per riformare i percorsi curricolari prevedendo anche una indennità obbligatoria. Nel tempo altri disegni di legge simili erano stati depositati e nel 2021 si era arrivati a un testo unico in cui erano confluiti quelli di Italia Viva, Liberi e Uguali, Movimento Cinque Stelle, e Partito Democratico. Il punto centrale della bozza di riforma era l’introduzione di una indennità, ma con la caduta del Governo Draghi la proposta di legge è decaduta. E ora si è di nuovo punto e a capo.Il fatto che non ci sia l'obbligo per legge di pagare i tirocinanti curriculari non significa, però, che questo sia giusto. Nè che pagarli sia vietato. Stupisce quindi che proprio la Camera, dove l'iter di discussione della legge era cominciato, non abbia pensato di introdurre un rimborso spese nel suo nuovo bando per tirocini curriculari. Il bando tradisce peraltro un timore di eventuali rivendicazioni da parte dei tirocinanti: vi si legge nero su bianco che ogni giovane selezionato dovrà sottoscrivere, all’interno del progetto formativo, «la seguente dichiarazione liberatoria, “Il tirocinio […] non può in alcun modo […] dar luogo ad aspettative di futuri rapporti lavorativi o ad oneri a carico della Camera”». Come a mettere le mani avanti: non pensate di essere poi assunti, e sopratutto dateci “la liberatoria”, accettate supinamente la gratuità dei vostri stage. Noi per questo programma non sborsiamo un euro, non ci impegniamo a trovare fondi, a rendere i vostri tirocini economicamente sostenibili. “Non può dar luogo a oneri a carico della Camera”, vale a dire: non rompeteci le scatole sui soldi, non ve ne diamo e stop.C’è un altro passaggio interessante: nell’elenco dei requisiti di accesso si precisa che «il conseguimento del titolo di laurea prima della conclusione del tirocinio comporta l’immediata esclusione dal tirocinio stesso». La precisazione è significativa: una volta laureati, infatti, i tirocinanti potrebbero teoricamente chiedere di riconfigurare lo stage da “curriculare” – quindi all’interno di un percorso di studi – a extracurriculare; e a quel punto dovrebbero essere applicate tutte le regole e garanzie relative agli extracurricolari. Tra cui il rimborso spese obbligatorio, che in Lazio – dove la Camera ha sede – è il più alto d’Italia, 800 euro mensili. Dunque per evitare possibili rogne nel bando si precisa fin dall’inizio che per svolgere il periodo di stage è necessario conservare lo status di studente dall’inizio alla fine dei sei mesi.Ma com’è possibile che la Camera non riesca a trovare le risorse per offrire un minimo di indennità a questi dieci futuri stagisti? Poniamo anche solo un’indennità di 400 euro (la metà dell'importo minimo previsto per gli extracurricolari in Lazio): vorrebbe dire 2.400 euro totali per ogni stage semestrale. 24mila euro per questi dieci stage, nello specifico.Soldi alla Camera dei deputati non mancano. Sul suo sito si può leggere che l’indennità parlamentare netta è pari a circa 5mila euro mensili cui si aggiungono 3.500 di diaria al mese e un rimborso di 3.690 euro per collaboratori, consulenze, ricerche e gestione dell’ufficio. La Repubblica degli Stagisti ha spulciato anche i bilanci. Secondo il bilancio triennale 2022-2024, la Camera spende 130 milioni di euro all'anno per i deputati in carica, e anche se può sembrare assurdo perfino di più – quasi 134 milioni – per gli ex deputati; senza contare gli oltre 280 milioni di euro, più di un quarto della sua spesa annuale, destinati ai suoi pensionati. La Camera paga i suoi elettricisti, autisti e barbieri tra i 91mila e i 100mila euro annui, che fa più o meno 8mila euro al mese: cifre da capogiro, certamente non allineate con il reddito medio di chi svolge quelle professioni al di fuori di Montecitorio. Possibile non si trovino nelle pieghe del bilancio pochi spiccioli per pagare dieci giovani tirocinanti meritevoli?Insomma, la Camera è una mamma generosissima con i suoi deputati, ex deputati, coi suoi dipendenti e pensionati. Li ricopre letteralmente d’oro. Ma in soffitta ha chiuso la sua Cenerentola: gli stagisti. A loro non pensa nessuno: chi se ne importa che debbano affrontare spese per lo stage. Chi non se lo può permettere, sembra essere il messaggio, faccia a meno di candidarsi a questo bando, e non ci dia noia. Ma davvero la pubblica amministrazione, e la Crui, in questi anni non hanno imparato niente? Non si rendono conto che offrire stage gratuiti – anche in caso di stage curricolari! – è profondamente ingiusto, classista, blocca l’ascensore sociale, e fa anche fare una magrissima figura a chi li propone? Com’è possibile che queste istituzioni rimangano sorde e cieche perfino di fronte ai proclami del Parlamento europeo, che si è più volte espresso ultimamente contro gli stage gratuiti (sopratutto grazie all’azione di un eurodeputato italiano, Brando Benifei)? Questo bando avrebbe potuto – e dovuto – essere pensato meglio, trovando preventivamente un fondo in modo da poter assicurare agli stagisti una dignitosa indennità mensile. Così, è l’ennesima vergogna italiana, a scapito dei giovani che, pur di mettere un’esperienza prestigiosa in curriculum, si troveranno a dover accettare queste condizioni capestro.Marianna LeporeFoto di apertura: di Vlad Lesnov in modalità Creative commons

Mestieri del futuro, Bip e Cefriel formano dieci Enterprise Architect: e anziché pagare per il corso, si viene assunti

Ogni azienda, salvo rari casi, ha una sede – quindi un aspetto “architettonico”. C'è una reception, gli uffici, le sale riunioni, gli spazi comuni. Le scale per accedere da un piano all'altro. Ogni stanza è attrezzata per offrire a chi la utilizza gli strumenti giusti per lavorare. C'è chi si prende cura degli spazi, chi li prepara, chi li ristruttura se necessario. Un architetto che li ha costruiti, o arrangiati, e che è anche in grado di adattarli se sopravvengono nuove esigenze.Oggi molte aziende, oltre a questa architettura fisica, ne hanno anche un'altra: l'architettura tecnologica. L’architetto in questo caso deve fare in modo che tutti i sistemi informativi, il software e la tecnologia che vengono utilizzati in azienda lavorino in simbiosi e contribuiscano a farla funzionare in modo efficiente ed efficace. Come? Costruendo «una mappa dell’architettura tecnologica dell'azienda, proprio come un architetto progetta un edificio» spiega Arturo Magni, partner e Senior Enterprise Architect della società di consulenza BIP, da molti anni tra le aziende virtuose del network della Repubblica degli Stagisti: «Si focalizza su ciò di cui l'azienda ha bisogno ora e in futuro e si assicura che tutte le diverse componenti tecnologiche si inseriscano insieme come pezzi di un puzzle. Aiuta a decidere quale nuova tecnologia l'azienda dovrebbe utilizzare e si assicura che venga utilizzata nel modo giusto». In qualche modo è insomma «il “consulente tecnologico” dell'azienda».L’“Enterprise Architecture” è una delle nuove professioni del nostro secolo. Ma proprio perché è una novità, non è facile trovare persone che abbiano già competenze di questo tipo. Per questo BIP e un'altra azienda che da molto tempo fa parte dell'RdS network, il centro di innovazione digitale Cefriel, lanciano per la prima volta un corso di perfezionamento proprio sulle strategie di trasformazione delle architetture enterprise, riconosciuto dal Politecnico di Milano e rivolto a giovani interessati ad acquisire queste competenze.Come già altri corsi organizzati da BIP e Cefriel, anche questo non ha un costo per chi partecipa, al contrario: i giovani selezionati verranno pagati per seguirlo, nel senso che verranno assunti fin dal primo giorno in BIP. «La valorizzazione delle persone, oltre a essere un aspetto fondamentale da tenere in considerazione all’interno di una organizzazione, passa anche attraverso un percorso di formazione ben strutturato» dice Magni: «Il nostro obiettivo è proprio valorizzare fin da subito i talenti che entreranno a far parte di questo percorso, in modo da permettere loro di sviluppare tutte le loro potenzialità». Si tratta, secondo il manager, di «un ottimo investimento». «Le aziende più innovative progettano corsi di perfezionamento e master corporate per i propri dipendenti come soluzione a molteplici esigenze» aggiunge Roberta Morici, responsabile dei programmi di formazione di Cefriel: «Attraction di giovani talenti neolaureati, training specialistico di alto livello certificato dal Politecnico di Milano, retention a medio-lungo termine, e accelerazione della capacità di generare innovazione ad alto impatto».I partecipanti verranno contrattualizzati con un apprendistato professionalizzante della durata di 12 mesi, con un inquadramento al livello B1 del ccnl metalmeccanico – che è quello in uso in BIP. Dalla tipologia contrattuale deriva il limite di età per i candidati, che non possono quindi avere più di 29 anni (30 non compiuti a gennaio 2024, quando il corso – e il relativo contratto – prenderà il via). L'unico altro requisito per candidarsi è avere – o stare per conseguire – una laurea di 2° livello in materie Stem (informatica, ingegneria, matematica, fisica, economia); anche se poi l'azienda è disponibile a valutare caso per caso in caso ci fossero  candidati particolarmente brillanti con “solo” una laurea triennale. Per questo corso non servono competenze informatiche, né è previsto che i partecipanti svolgano attività di coding. «L’Enterprise Architect non si occupa di sviluppo codice» conferma Magni, anche se «è certamente utile avere delle conoscenze di ingegneria del software, ad esempio, per comprendere al meglio il processo di sviluppo di una applicazione IT, l’architettura interna e le relative problematiche tecniche e a essere più efficaci nel dialogo tra utenti di business e IT». Servono invece senz'altro doti comunicative e una capacità di “divulgazione-traduzione”, in un certo senso, perché chi fa questo mestiere interagisce continuamente con professionalità diverse, dai responsabili di business ai team IT, dai fornitori ai partner: «Ciò richiede abilità di relazione e di comunicazione molto importanti, la capacità di modulare le conversazioni, di astrarre ad esempio soluzioni tecniche per spiegarle a figure non tecniche e viceversa di tradurre necessità, modelli di business, priorità e strategie verso figure IT» riassume Magni.L’Enterprise Architect è una figura «sempre più richiesta e organizzativamente presente, con delle strutture dedicate, nella maggior parte delle grandi aziende» dice ancora Arturo Magni, sottolineando come «sempre più clienti, anche di media dimensione» si stiano orientando verso «la creazione di strutture di Enterprise Architecture, che sono viste come abilitatori per scalare lo sviluppo e la crescita». Solo all’interno di BIP vi sono una cinquantina di professionisti con questo profilo.Ma, di preciso, qual è l'obiettivo del lavoro di un Enterprise Architect? «Provo a raccontarlo con un parallelismo: cosa succederebbe se un committente chiedesse a varie imprese di costruire un complesso di edifici tra loro interconnessi senza passare da una fase dell’intera progettazione?» risponde Magni: «Ecco, tipicamente un team di Enterprise Architecture si occupa di progettare le architetture aziendali partendo dalle esigenze del committente – il Business – e fornendo il risultato alle imprese – i team IT – in modo che la fase di realizzazione risulti coerente rispetto alle aspettative iniziali. Un buon allineamento tra IT e obiettivi aziendali si raggiunge quando l’architettura tecnologica è in grado di supportare i processi di business e non risulta un freno rispetto a tutte le evoluzioni e i cambiamenti che nel tempo si rendono necessari: pensiamo a nuovi servizi o a nuove modalità con cui servizi esistenti possono o devono essere fruiti». Senza questo lavoro di coordinamento si potrebbero creare situazioni di disallineamento, se «l’IT realizza delle soluzioni senza avere chiaro quale sia il reale obiettivo di business alla base del progetto, o prendendo delle scelte che risulteranno nel seguito incoerenti con la direzione aziendale». Come per esempio «investimenti per rinnovare piattaforme che non sono più strategiche per il futuro modello di business».Dopo le dieci settimane di corso intensivo, i partecipanti saranno coinvolti nel lavoro della Service Line di BIP denominata “Plas”, che sta per Platform Architecture Strategy: «Una volta inseriti all’interno del team, calati nel ruolo di Enterprise Architect, potranno per esempio seguire attività di software scouting per identificare la migliore tecnologia e soluzione presente sul mercato per rispondere alle specifiche esigenze di un nostro cliente; o ricostruire l’architettura di un cliente e valutare come farla evolvere» spiega Magni: «Si occuperanno di analizzare i requisiti di una nuova iniziativa – per il lancio di un nuovo servizio, prodotto o addirittura di una nuova azienda – e disegnare una intera architettura che la supporti». Oltre a queste attività progettuali sono previste anche «ricerche e laboratori per approfondire temi rilevanti per la nostra professione: trend di mercato, nuove soluzioni innovative».I posti sono dieci. Le selezioni restano aperte fino all'11 dicembre, e il corso vero e proprio comincerà a gennaio 2024. È anche attivo il servizio “BIP Ti Risponde”: compilando un form si può richiedere un incontro online con un dipendente di BIP e porre domande rispetto a questo corso. «Credo che il confronto con un BIPer in un contesto libero e privo di giudizio sia un ottimo modo per entrare in sintonia con l’azienda e con il team» chiude Arturo Magni: «Le curiosità relative al mondo della consulenza e dell’Enterprise Architecture possono essere davvero tante; trattandosi di una disciplina che difficilmente si affronta all’università, invito tutti coloro che sono interessati a richiedere un incontro, in modo da approfondire ogni tema in uno spazio dedicato».