L'Iefp non è un canale formativo di serie B, anzi garantisce sbocchi occupazionali migliori delle scuole superiori

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 20 Ott 2015 in Notizie

«Non è un canale formativo di serie B, ma un altro tipo di scuola». Antonio Varesi, presidente dell'Isfol - ente di ricerca su formazione e politiche sociali e del lavoro - spiega così sul sito dell'istituto il sistema educativo cosiddetto Iefp: l'istruzione tecnica, per dirla in parole semplici, entrata sperimentalmente nel regime scolastico italiano nel 2003 e oggi considerata a tutti gli effetti ordinamentale.

Corsi triennali o quadriennali per ristoratori, elettrauti, operatori del benessere, erogati da scuole statali così come da agenzie formative (ce ne sono centinaia in ogni regione), sia pubbliche che convenzionate. Un'alternativa alla scuola tradizionale per l'assolvimento dell'obbligo scolastico per i 14-17enni, la cui competenza è in capo alle Regioni. E che conferisce un diploma di stato equivalente a tutti gli altri, con circa mille ore annuali spalmate su percorsi sia comuni che individuali di recupero, divise tra aule e laboratori, esperienze di alternanza scuola-lavoro incluse.

Il dato principale è che la Iefp ha una discreta efficacia ai fini dell'inserimento lavorativo. Uno su due, dopo tre anni, ha un lavoro. Tra i diplomati 2011 "tradizionali", a tre anni dal titolo, ne risultavano invece occupati solo quattro su dieci, secondo le statistiche di Almadiploma. Un dato cruciale, sopratutto per uno dei paesi europei con la più alta concentrazione di Neet, l'ormai famoso acronimo che definisce i giovani inattivi. A testimoniare il buon funzionamento dell'Iefp è il rapporto che l'Isfol ha pubblicato poche settimane fa.

«Se all'epoca del suo avvio si contavano appena 23mila iscritti» osserva Valeria Scalmato, ricercatrice responsabile del rapporto, «oggi sono quasi 330mila». L'incremento rispetto all'anno scorso è inoltre dell'8%. L'identikit dei diplomati - 75mila - è di maschi residenti per lo più al Nord (più di sei su dieci), mentre i settori più gettonati sono la ristorazione, il benessere e l'elettrico. La metà sembrerebbe destinata a trovare lavoro quasi subito - «a tre anni dalla qualifica gli occupati sono la metà» conferma lo studio - nonostante il calo rispetto all'indagine del 2011, che evidenziava un tasso di occupazione del 59%. Le migliori performance arrivano dalle agenzie formative accreditate, i cui allievi trovano lavoro nel 55% dei casi, mentre per le scuole la percentuale si ferma sotto di più di quindici punti. E i posti sono soprattutto stabili: «più di tre su quattro hanno una posizione da dipendente, la restante parte è suddivisa equamente tra lavoro autonomo e contratti atipici» spiega il rapporto.

Un punto lascia però perplessi. Per la Iefp sono stanziati annualmente 780 milioni (590 dalle Regioni, 189 dal governo), con un costo medio per studente attorno ai 4.600 euro, con oscillazioni tra i 3.900 della Toscana e gli 8mila di Bolzano. Una somma arrotondata peraltro per difetto, che non considera la parte dei costi sostenuta per conto proprio dagli istituti professionali: «strutture, personale, spese di mantenimento didattico», si legge nel report.

Una cifra consistente, visto il numero ridotto di chi frequenta la Iefp: sono appena 330mila, contro l'insieme degli studenti italiani della statale che raggiunge gli 8 milioni. Soprattutto se si pensa che sulla riforma della Buona scuola è stato messo non molto di più: un miliardo per il 2015 (una volta a regime saranno tre). Una sproporzione che mette in luce come questo sia uno dei settori di punta, o almeno tra i favoriti dalle recenti politiche di governo. Che funzioni, è innegabile: ma forse anche proprio perché può contare su un ammontare di risorse che la maggior parte degli studenti italiani si sogna.

Sono anche altre le note di merito della Iefp. In primis «la capacità inclusiva della filiera», specie in favore delle categorie più deboli dal punto di vista occupazionale: «Gli iscritti di nazionalità straniera sono circa il 15% del totale» riferisce il rapporto. Gli stranieri sono anche i più motivati, con voti migliori e meno bocciature, e quelli che «scelgono in maggior misura il percorso formativo in prima battuta e non a seguito di un insuccesso scolastico».

L'altro dato è infatti che gli studenti italiani Iefp sono spesso soggetti «a rischio di abbandono scolastico, con una scarsa consapevolezza dei propri mezzi e con un percorso irregolare». Non a caso entrano nel triennio formativo di solito dal secondo anno. La Iefp è insomma un valido «argine al fenomeno della dispersione formativa» sostiene l'Isfol nel rapporto.

Tuttavia non mancano le consuete criticità del sistema occupazionale italiano: sono molto rilevanti, per esempio, le disuguaglianze territoriali perché si lavora sempre di meno al Sud, dove la quota di diplomati Iefp immessi nel mercato è di uno su tre, contro quasi il doppio del Nord est. E a prevalere è sempre la componente maschile, assunta nel 53,4% dei casi - da rilevare una contrazione di quasi dieci punti rispetto a quattro anni fa - giustificata nell'analisi dell'Isfol con «la forte crisi registrata nell’industria e nelle costruzioni, a vocazione tipicamente maschile».

Ilaria Mariotti 

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