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L'eccellenza del Made in Italy ha bisogno di nuove leve: 30 tirocini da 700 euro al mese per aspiranti artigiani

«Le nuove generazioni non sono vasi da riempire, ma torce da accendere». La sapeva lunga Quintiliano. È passato qualche secolo dalle parole dell'oratore e maestro di retorica romano, ma i giovani del terzo millennio non sono poi tanto diversi. Ché il sapere non sta solo nei libri, ma pure nelle mani. Gli italiani ne sanno anche loro qualcosa: portano con orgoglio il «made in Italy» in giro per il mondo. Ma forse mai abbastanza: il sapere artigiano non può stare sulle pagine. Va tramandato. Sposa questa filosofia il progetto «Una scuola. Un lavoro. Percorsi di eccellenza» voluto dalla Fondazione Cologni. Mette in palio 30 tirocini, tutti spesati, per l'anno scolastico 2015-2016. Sei mesi al massimo, per «mettere a bottega» 30 giovani talenti e dare loro la possibilità di imparare un «mestiere d'arte» sul campo, fianco a fianco con i maestri artigiani. Il termine per presentare le domande scade il 15 settembre. Il bando è rivolto a neo-qualificati, neo-diplomati, neo-laureati (a massimo 12 mesi dalla data di conseguimento del titolo) di licei artistici, istituti professionali, scuole d'arte o università che abbiano a che fare con l'arte e l'artigianato. Ma attenzione: le candidature non possono arrivare dai singoli ma solo dalle scuole. «Abbiamo messo molti paletti per spingere verso esperienze di qualità», spiega alla Repubblica degli Stagisti Federica Cavriana, referente del progetto per la Fondazione Cologni, realtà privata non profit nata proprio per «formare nuove generazioni di Maestri d'Arte, salvando le attività artigianali d'eccellenza dal rischio scomparsa». «Solo le scuole possono presentare le candidature: conoscendo i loro studenti, sanno già quali sono i migliori. Ma non basta questo. Al nome del ragazzo deve essere già abbinata la bottega che lo ospiterà. Questo ci garantisce che ci sia già una conoscenza preventiva, per capire se hanno il "feeling" giusto per lavorare insieme». L'interesse c'è, tanto che più di qualche volta sono stati gli stessi studenti a stimolare le scuole e cercare informazioni. C'è fame di esperienza. La Fondazione, da parte sua, offre una copertura totale dei costi: 700 euro netti al mese al tirocinante, oltre alle relative coperture assicurative. Il tirocinio, si legge nel bando, «è assimilato a un rapporto di lavoro dipendente, ma non può costituire vincolo per l'azienda ospitante a un'eventuale assunzione». Niente obblighi, dunque, per chi insegna l'arte. Ma da cosa nasce sempre cosa: il bando appena concluso ha mandato a bottega 35 studenti. E «a circa il 70% di loro è stato offerto un altro contratto, nella maggior parte dei casi con la stessa realtà che li ha ospitati per il tirocinio», afferma la Cavriana. Si apre un percorso, insomma. In tutto i tirocinanti a cui la Fondazione Cologni ha voluto dare una chance, dalla prima edizione alla quarta in partenza quest'anno, sono cento. Per ogni ragazzo ci vogliono 5mila euro: in parte li mette la Fondazione, in parte altre donazioni private. «Di esperienze di tirocinio se ne trovano tante in giro, ma non in questo settore, quello dei mestieri d'arte. È un ambito molto specifico, con strade lunghe e difficili, che spesso presenta difficoltà nel passaggio dal mondo della formazione a quello del lavoro». Il sito della Fondazione Cologni racconta di 23 istituti scolastici coinvolti nell'edizione appena conclusa, distribuiti in 11 Regioni. Ci sono, ad esempio, il Centro per la Conservazione e il Restauro dei Beni culturali «La Venaria reale» e l'Accademia Teatro alla Scala. E poi la Civica scuola di Liuteria di Milano, il Politecnico calzaturiero di Vigonza (nel Padovano), la Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo, insieme alla Scuola dell'Arte della Medaglia di Roma, al Centro Restauro Materiale Cartaceo di Lecce e alla Nuova Accademia Arti Pratiche di Catania. «La nostra sede è a Milano e quindi abbiamo molti rapporti con le realtà del Nord, ma stiamo spingendo molto per coinvolgere sempre più realtà  anche al Centro-Sud», precisa la referente della Fondazione Cologni. La rete degli atelier, una trentina, conta grandi glorie nazionali accanto a realtà piccole ma altrettanto preziose. Tra gli altri, hanno aperto ai giovani le loro porte piccole botteghe di liutai piemontesi, milanesi e della Brianza, una floricoltura di Desio, oreficerie di Villabate (Palermo), Marcianise (Caserta), Roma e Macerata, ceramisti di Caltagirone, mosaicisti di Udine e laboratori di sartoria e calzature da Milano al Veneto. Poi c'è chi ha imparato a cesellare bracciali e gioielli da Bulgari o orologi da Richemont. Chi si è tuffato nel reparto camiceria di Dolce e Gabbana e chi nel reparto corse di Ferrari e Ducati. Che anche i motori, in fondo, sono mestieri d'arte. Sarebbe bene che iniziative come questa smettessero di essere un'eccesione e diventassero la regola, in un Paese che sul "saper fare" dovrebbe incentrare l'eccellenza della sua economia. Qualcosa si sta muovendo. E in effetti all'apprendistato sempre più concreto, basato sull'alternanza scuola-lavoro di stampo tedesco si sta guardando con sempre più interesse, soprattutto con le novità contenute nella riforma della cosiddetta Buona scuola (ne avevamo parlato qui). «Questo è il nostro modo di supportare questo settore» conclude Federica Cavriana: «La nostra idea è quella di preservare il made in Italy, in un periodo in cui il modo di formarsi per questi mestieri è cambiato. Ieri i giovani andavano a bottega gratis. Oggi bisogna pagare gli stagisti, e non tutte le botteghe, possono permetterselo». Largo agli apprendisti artigiani, dunque, che siano pronti, come dice il bando, «a realizzare sogni fatti a mano, con cura, con passione e con impegno». Nel nome del made in Italy. Maura Bertanzon maura07 foto di Susanna Pozzoli

Laureati in biologia, ambiti ma "introvabili": ora il database dell'Ordine aiuta l'incrocio

In tempi di forte crisi occupazionale ci sono settori, come quelli della biologia, in cui in realtà le offerte di lavoro ci sono, ma è l’incrocio tra l’azienda che cerca una particolare figura professionale e il biologo che ha quella specializzazione che diventa molto difficile. Per questo motivo l’Ordine nazionale dei biologi ha pensato di lanciare da circa due mesi un nuovo servizio per i suoi iscritti. È un database in grado di rispondere alle richieste di chi cerca e chi offre lavoro e che è stato ideato e realizzato dall’Onb con il supporto di alcuni tecnici informatici e con costi molto bassi. Se, infatti, il match tra domanda e offerta è sempre abbastanza complicato, «nel nostro settore risulta accentuato dal fatto che il professionista potrebbe essere penalizzato dalla limitata evidenza che hanno le offerte di lavoro» spiega Ermanno Calcatelli, 69 anni, dal 2011 presidente dell’Ordine, e oggi anche promotore e responsabile di questo progetto. Sul perché le offerte di lavoro siano poco chiare, il presidente non ha dubbi: «si tratta di mestieri poco noti, perché le declinazioni di questa professione sono molte». Le figure più richieste dal mercato al momento sono i biologi che lavorano nell’ambiente e che si occupano della cura del paesaggio naturalistico, della bonifica delle reflue e della cura dei parchi. A cui seguono i biologi marini e i nutrizionisti. Per tutti c’è la possibilità di iscriversi gratuitamente a questo nuovo database. Basta essere iscritti all’Ordine nazionale dei biologi e compilare una scheda online con i propri dati, allegare il curriculum e scegliere alcune aree di competenza. Sono poi le aziende, pubbliche e private, che su invito anche dell’Ordine visualizzano nella banca dati i vari profili presenti e selezionano il candidato più adatto a cui proporre stage, collaborazioni o contratti di lavoro.  Ad oggi, su un totale di 50mila iscritti all’ordine, hanno già registrato i loro dati in 1.500: la regione che ha visto più iscritti è la Sicilia, con 186 registrazioni, seguita da Lazio e Campania, 179 e 172, e dalla Puglia a 124. Prima regione del nord per numero di iscritti alla piattaforma è la Lombardia, ferma a 111. Considerato, però, il numero di iscritti e il fatto che il portale sia stato realizzato senza inserire limiti di età, ma basando la differenziazione sul livello di specializzazione dei singoli soggetti, Calcatelli si dice convinto che nei prossimi mesi saranno in tanti a inserire i propri curricula. Così per stimolare le iscrizioni, l’ordine sta promuovendo tra i biologi questo nuovo servizio e a breve estenderà la promozione dell’uso del portale anche alle aziende. «Attualmente sul mercato ci sono molti giovani in cerca di lavoro, quindi ci aspettiamo altre adesioni e di avere un quadro più completo a fine anno», spiega alla Repubblica degli Stagisti il presidente dell’Ordine. Che aggiunge anche come questo sistema «sia consultabile da qualsiasi azienda alla ricerca di un biologo, sia essa nazionale o straniera». E tra queste sono sicuramente le imprese che operano nel settore alimentare ad essere sempre più alla ricerca di biologi visto che negli ultimi anni sono alle prese con esigenze normative e di mercato per cui necessitano dell’intervento di biologi con competenze elevate.Visto quindi l’andamento del mercato e gli sbocchi occupazionali, conviene a un giovane interessato alla biologia intraprendere questa strada negli studi? Calcatelli non ha dubbi nel dire «Oggi trovare un lavoro per i giovani è difficile. Ma questo vale per molti settori. Eppure fatta questa premessa consiglierei comunque di seguire questa strada, soprattutto se si è spinti da una forte motivazione».  Anche perché «la biologia è ovunque intorno a noi»: nelle bio e nano tecnologie, negli alimenti, nello smaltimento dei rifiuti, nella cosmesi, nella tutela dei beni culturali. «Una figura sempre più richiesta alle imprese e per cui ci sono margini di crescita per gli anni a venire».  Buoni motivi quindi per continuare su questa strada e, usando le parole del presidente dell’Ordine, «guardare positivamente a un futuro che comincia a mostrare i primi segnali di ripresa economica».    Marianna Lepore

A Trento la Lega insorge denunciando tirocini da 600 euro al mese per i profughi: peccato che sia una bufala

Forse è stato il meccanismo ormai rodato di rivolgersi più alla pancia che alla testa della gente per ottenere consensi. O forse più semplicemente una notizia non verificata gridata ai quattro venti per innescare la solita polemica populista. In un post pubblicato sabato scorso sul profilo Facebook della Lega Nord Trentino e ripreso da quotidiani nazionali e locali, il segretario del Carroccio regionale Maurizio Fugatti denunciava che «in alcune strutture alberghiere trentine stanno iniziando i primi tirocini per i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale la cui durata massima, stante la normativa in corso, verrebbe fissata in dodici mesi e la cui indennità di partecipazione sarebbe di minimo 300 euro mensili o 70 euro settimanali, massimo 600 euro mensili». Soldi che sarebbero stati sborsati dalla Provincia e finiti nelle tasche dei profughi. Tanto è bastato per dare fuoco alle polveri e scatenare i moralizzatori sui social network: “Invece di aiutare i nostri giovani disoccupati…”, quei giovani, secondo il post leghista, «costretti a emigrare all’estero per costruirsi un futuro oppure a compiere (se fortunati) alcuni lavoretti saltuari in provincia». La Repubblica degli Stagisti ha voluto verificare che cosa davvero stesse accadendo. Innanzitutto, i numeri: dal marzo 2014 ad oggi sono giunti in Trentino (che è una provincia autonoma e che insieme a quella di Bolzano costituisce la regione a statuto speciale del Trentino Alto Adige, con un milione di abitanti) oltre un migliaio di profughi - metà dei quali soltanto di passaggio, in transito per raggiungere altre mete. E alcuni, sì, vengono inseriti in tirocinio in realtà produttive del territorio: ma non certo da oggi e, contrariamente a quanto affermato dal dirigente leghista trentino, senza prendere un euro.«La normativa nazionale sui tirocini è stata recepita dal Trentino con la delibera 2780 del 30 dicembre 2013» spiega Valentina Merlo, operatrice del progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) del Cinformi, il Centro informativo per l'immigrazione, un’unità operativa del Dipartimento Salute e solidarietà sociale della Provincia Autonoma di Trento, che facilita l’accesso dei cittadini stranieri ai servizi pubblici e offre consulenze sulle modalità di ingresso e soggiorno in Italia, oltre ad un supporto linguistico e culturale. Ed effettivamente secondo quella delibera gli stagisti in Trentino hanno diritto, come in tutta Italia, a ricevere un compenso, che ciascuna Regione ha stabilito e che in Trentino va appunto, come indicato dal post di Fugatti, da 300 a 600 euro al mese. Ma, sorpresa, non per i profughi: «Fra le altre cose la normativa prevede l’esenzione totale o parziale dell’erogazione dell’indennità di partecipazione al tirocinio» prosegue la Merlo «nei confronti di quei soggetti, fra cui i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale, già beneficiari di sussidi economici». Ciò significa che è vero che la Provincia ha attivato dei tirocini, ma a costo zero per l’ente locale: «I richiedenti asilo o i rifugiati usufruiscono già di alcuni benefici, come vitto, alloggio, in alcuni casi denaro: la Provincia non c’entra nulla, sono soldi erogati dallo Stato». A favore di queste persone, spiega ancora Valentina Merlo alla Repubblica degli Stagisti, «il Cinformi attiva dei tirocini di otto settimane, assolutamente non retribuiti, che riguardano mansioni artigianali come pasticcere, panettiere, aiuto cuoco, elettricista, e così via, durante i quali i partecipanti ricevono una formazione adeguata e imparano le basi della lingua italiana. C’è poi la possibilità di prorogare questi tirocini per un periodo massimo di 12 mesi e in questo caso chiediamo all’azienda di erogare una borsa di tirocinio, che può variare da 300 a 600 euro, a seconda dell’impegno e del tipo di lavoro. Chi ottiene la borsa, automaticamente rinuncia a ricevere i benefici derivanti dal suo status». Una bella differenza rispetto al j'accuse della Lega, secondo cui i profughi «vengono tranquillamente fatti lavorare dalla stessa Provincia». La Provincia non mette un euro, semmai è la ditta privata che è libera di scegliere se trattenere o meno il lavoratore, pagandolo a sue spese. «Da marzo 2013 ad oggi abbiamo attivato 182 tirocini destinati ai titolari di protezione internazionale e richiedenti asilo» precisa alla Repubblica degli Stagisti Lorenzo Rotondi, dell’ufficio stampa provinciale «e attualmente ne sono attivi all’incirca una cinquantina». Numeri che certificano come in Trentino si stia operando in maniera intelligente, ovvero cercando di fronteggiare l’emergenza con percorsi costruttivi di orientamento al lavoro. In questo modo, almeno, nessuno potrà lamentarsi - altra polemica ricorrente - dei profughi che vanno a zonzo per le vie delle città. Una ben magra figura ci fanno le testate che nei giorni scorsi hanno rimbalzato e pompato questa notizia, a cominciare da Il Giornale con il suo titolone strillato «In Trentino tirocini per i profughi da 600 euro al mese» in cima a un articolo che si limita a copincollare le frasi del post della Lega su Facebook senza nemmeno darsi la pena di capire se la "denuncia" fosse fondata. Ancor più triste rilevare che quest'ultima polemica innescata giunge proprio nel centenario dell' "Esodo dei Trentini", una pagina triste della storia nazionale, forse tra le meno conosciute della prima guerra mondiale. Allora furono proprio gli abitanti di questa terra a divenire profughi, colpevoli soltanto di trovarsi al confine tra le belligeranti Austria e Italia. Molti vissero lontani dalle proprie case per anni: 60mila furono costretti a combattere contro i russi, 75mila deportati nei campi austriaci e ciechi, tanti altri divisi nelle regioni italiane, con molte famiglie smembrate. Tutto questo accadeva soltanto un secolo fa. Ma oggi la memoria è labile, e ad agosto la caccia allo scandaletto estivo attiraclic è più aperta che mai e non guarda in faccia niente e nessuno.Marco Panzarella 

Programma Eye, con l'Erasmus per imprenditori si fa esperienza all'estero

Non solo studenti come da tradizione, ma anche giovani che muovono i primi passi nel mondo dell’imprenditoria. Da qui il nome del programma Erasmus for Young Entrepreneurs, abbreviato Eye, finanziato dalla Commissione Europea e per il quale è possibile fare domanda tutto l’anno. Destinatari nuovi imprenditori che abbiano già avviato una propria attività negli ultimi tre anni o aspiranti tali. Non ci sono limiti d’età, ma è fondamentale essere residenti in uno dei paesi partecipanti al programma. L’Eye dà la possibilità di trascorrere un periodo di durata variabile da uno a sei mesi in uno dei 37 paesi che aderiscono all’iniziativa presso un imprenditore già affermato da cui poter apprendere i «trucchi del mestiere» per la gestione di un’azienda. Nel corso del soggiorno all’estero i partecipanti al programma ricevono un rimborso spese mensile proporzionato al costo della vita del paese di destinazione, di importo solitamente compreso tra i 500 e i 1100 euro. Si va infatti dai 530 dell’Albania ai 1100 di paesi come Norvegia e Danimarca.Quanti progetti vengono approvati mediamente ogni anno? «Nel 2014 sono stati conclusi 853 scambi, coinvolgendo 1706 imprenditori.  In totale, più di 3100 scambi finalizzati dall’anno di inizio del programma, il 2009, con la partecipazione di 6200 imprenditori. 1761 scambi di imprenditori italiani sono stati accettati dall’inizio del programma: il 28% di imprenditori ospiti e il 72% di nuovi imprenditori», spiega alla Repubblica degli Stagisti Guendalina Cominotti dell’ufficio stampa Eurochambres, ente che gestisce il programma per conto della Commissione UE. È proprio l’Italia, insieme alla Spagna, a far registrare il numero più consistente di giovani imprenditori partecipanti al progetto nei suoi primi cinque anni di vita, seguita da Romania, Grecia e Polonia. «La crescita del programma è influenzata da diversi fattori, che variano da un paese partecipante all'altro. L'Erasmus per giovani imprenditori è ancora un nuovo programma» sottolinea la Cominotti: «Ha solo cinque anni e ha un budget modesto, rispetto a programmi come l'Erasmus per gli studenti che si protrae da oltre 25 anni, ha un budget significativamente più grande di Erasmus per i giovani imprenditori, ed è molto più conosciuto in tutta Europa. Inoltre, i primi anni il programma ha dovuto costruire la massa critica che era necessario per cominciare a crescere».«La domanda per il programma varia anche per paesi e settori» continua: «La Germania ha molti imprenditori ospitanti, ma non molti nuovi imprenditori, molto probabilmente a causa della forte presenza di programmi nazionali che vengono utilizzati per sostenere le start-up. Allo stesso modo, gli imprenditori ospitanti nel settore IT sono spesso meglio rappresentati di imprenditori ospitanti nel settore agricolo in quanto hanno una migliore conoscenza  e competenze linguistiche». La candidatura va inoltrata online in pochi step: innanzitutto è indispensabile registrarsi al sito e compilare l’apposito modulo online dopo aver effettuato l’accesso all’area dedicata. Successivamente vanno caricati il proprio cv e un progetto di impresa (solo nel caso in cui si tratti di aspiranti imprenditori) segnalando l’imprenditore straniero presso cui si intende svolgere il programma. La scelta può avvenire in due modi: o indicando a un centro di contatto locale – uno dei soggetti intermediari nel progetto, tra cui Camere di commercio, incubatori e altre organizzazioni di sostegno all’impresa, indicati sul sito – il nome di un imprenditore ospitante già conosciuto o  selezionandolo tra quelli aderenti al progetto. L'imprenditore dal canto suo deve possedere una serie di requisiti: risiedere stabilmente in uno dei paesi partecipanti al programma, essere titolare di una piccola-media impresa da diversi anni oppure membro del consiglio di amministrazione di una PMI. Fondamentale è la comprensione di una lingua comune a imprenditore giovane e ospitante, di livello almeno sufficiente.Nella fase successiva è necessario concordare con l’imprenditore «esperto» un progetto di lavoro e apprendimento da sottoporre poi al vaglio del centro di contatto locale di riferimento. Il rapporto che si instaura è una collaborazione tra imprenditori: i nuovi imprenditori non possono essere inquadrati come stagisti, né come dipendenti, spiegano da Eurochambres.«Nel 2014 abbiamo ricevuto 2.688 candidature da tutta Europa, di cui 2.007 approvate: il 61% di nuovi imprenditori e il 39% di imprenditori ospiti», continua la Cominotti. Chi sono questi imprenditori? La maggior parte di essi ha un’età media di 40 anni, un terzo dei partecipanti totali nei cinque anni è di sesso femminile. «Nel programma non chiediamo l'età: quando parliamo di "giovani imprenditori" facciamo riferimento all'esperienza imprenditoriale». Gran parte resta all’estero mediamente per un periodo di tre mesi e mezzo. Quanto alle prospettive successive «di sicuro alcuni giovani imprenditori sono rimasti fuori casa e hanno avviato una propria impresa, anche se non abbiamo dati certi a riguardo», conclude la Cominotti.Di sicuro c'è che per il periodo 2014-2020 sono stati stanziati nell'ambito del bilancio Cosme (acronimo che sta per EU programme for the Competitiveness of Enterprises and Small and Medium-sized Enterprises) 55,3 milioni di euro destinati al programma, che si spera possa crescere e guadagnarsi un posto di riguardo nell'ambito dei programmi di mobilità europei.Chiara Del Priore

Mercato del lavoro, senza gli immigrati in Italia starebbe peggio

Il mercato del lavoro in Italia sta male, ma senza gli immigrati starebbe peggio. A guardare i numeri raccolti dal ministero del Lavoro nel quinto rapporto sul mercato del lavoro degli immigrati, i lavoratori stranieri stanno risalendo la china della crisi più e meglio di quanto non stiano facendo gli italiani. Crescono i disoccupati e gli inattivi, ma anche gli occupati. Si tratta però soprattutto di lavori poco qualificati e scarsamente retribuiti. Come per l’Italia, anche per gli stranieri la disoccupazione si concentra tra i giovani: più della metà di quelli che sono in cerca di un lavoro ha meno di 34 anni. E i Neet, i ragazzi che non sono impegnati né nel lavoro né nello studio, si trovano pure tra gli immigrati. Su oltre 2,4 milioni di Neet italiani, quasi 347mila sono stranieri, ovvero il 14,4 per cento. Ma emerge anche una grossa percentuale di imprenditori stranieri, soprattutto tra i giovani. Se i lavoratori in proprio under 34 italiani sono il 7,5%, tra gli stranieri questa percentuale sale al 23,4. In generale però i giovani immigrati, anche quelli più istruiti, svolgono mansioni di basso livello ben più dei coetanei italiani...→ Continua a leggere l'articolo su Linkiesta

Lavoretti estivi, come orientarsi in Italia e in Europa

Ci sono i classici lavoretti estivi, camerieri, animatori e baristi, o quelli che possono aiutare a trovare la propria strada professionale. Tutti con un comune denominatore: andare all’estero e imparare, o meglio perfezionare, una seconda lingua e confrontarsi con una realtà differente. Il panorama di possibilità, soprattutto per i più giovani, per passare un’estate in un altro paese è vasta e conta su diversi canali, sia istituzionali che privati. Orientarsi non è semplice perchè online si trovano centinaia, se non migliaia, di pagine che promuovo un impiego per il periodo estivo. In generale il consiglio è di iniziare la ricerca per tempo, verso marzo o aprile, perchè spesso viene richiesto un impegno di almeno due o tre mesi. Ma per chi volesse partire last minute si trovano ancora diverse possibilità, soprattutto per settembre.Fondamentale riuscire a far emergere una propria peculiarità. «Bisogna sempre cercare di far emergere una propria specificità» spiegano dall’Informagiovani di Torino «ad esempio qualche tempo fa era venuta una ragazza bravissima nel preparare i cappuccini e che sapeva fare diversi disegni con la schiuma. Questo le ha consentito di essere presa in un bar in Spagna che non avrebbe avuto motivo di assumerla al posto di uno spagnolo, ma per loro quella competenza era preziosa». In generale a questo punto i villaggi turistici e gli hotel hanno già coperto le esigenze di organico e bisogna essere disposti a fare un po’ da jolly e accettare eventuali sostituzioni dell’ultimo minuto.  Per iniziare a cercare si possono utilizzare i siti dell’Informagiovani di ogni città in cui si trovano consigli e rimandi ai siti web europei e di altri paesi che offrono opportunità di lavoro. In tutti viene indicato il sito di Eures, la rete europea di cooperazione dei servizi pubblici per l'impiego in cui sono presenti oltre un milione di offerte di lavoro in 32 Paesi. Il numero maggiore di offerte si trovano tra Regno Unito e Germania, ma anche Paesi Bassi , Polonia, Svezia e Francia. Si possono poi consultare le offerte anche sulle maggiori agenzie per il lavoro che hanno un profilo europeo. Anche il lavoro stagionale ha subito la crisi e ora è tutto più veloce e più facile che in passato trovare qualcosa anche all’ultimo minuto. «Si trovano ancora offerte per settembre» spiegano all’Informagiovani torinese «ad esempio ci sono delle opportunità a Disneyland Paris, ma soprattutto in agricoltura con la raccolta della frutta e in Francia per la vendemmia». Per scegliere bisogna prima di tutto capire per quanto tempo si è disposti a stare fuori casa e a quali condizioni: ci sono opportunità, come i soggiorni alla pari, che consentono  in cambio di aiuto in casa e con i bambini, di avere ospitalità e un piccolo compenso. Si deve anche valutare il proprio livello linguistico, a seconda del paese scelto, e gli eventuali costi da sostenere nel caso si debba procurarsi vitto e alloggio. Per il lavoro alla Pari di solito viene richiesto un impegno di un paio di mesi minimo e cercando si trova ancora qualcosa per settembre anche se le offerte sono molto ridotte.  I diritti e i doveri della persona collocata alla pari, nonché i diritti e i doveri della famiglia ospitante, devono essere concordati per iscritto. Ci sono diverse formule orarie e di compenso a seconda dei paesi. In generale si riceve vitto e alloggio dalla famiglia ospitante, per quanto possibile in camera singola. Il compenso medio settimanale varia, ma in generale non può essere inferiore ai 70 euro settimanali. Per le formule più impegnative, (collaborazione in famiglia sei giorni a settimana per massimo 40 ore) si ha diritto a un pocket money di circa 85-95 euro che arrivano a 120 euro per un impegno di 50 ore settimanali. A tal proposito il sito Easyaupair può risultare molto utile. Tra i  lavori estivi più gettonati ci sono quelli in alberghi, villaggi, navi e ristoranti: animatori, cuochi, baristi camerieri e dj. «Faccio lingue all’università e volevo provare a vedere come me la sarei cavata da solo all’estero» racconta Marco, 22 anni di Torino «così l’anno scorso dopo Pasqua ho iniziato a guardare un po’ su internet quali possibilità c’erano. Volevo qualcosa che mi permettesse anche di divertirmi, era pur sempre la mia estate!». Alla fine Marco, attraverso degli annunci di agenzie online, ha trovato un lavoro di animatore in un villaggio turistico a Palma di Maiorca. «Appena arrivato avrei voluto tornare indietro» spiega «c’erano ragazzi da altri paesi e tutti parlavano senza difficoltà inglese tra loro. Capivo la metà delle cose. Tutti però mi hanno aiutato e dopo una settimana comprendevo quasi tutto. Alla fine del primo mese ero in grado di intavolare una conversazione quasi su ogni argomento senza difficoltà. A volte ho anche fatto qualche sogno in inglese!». Il suo contratto stagionale prevedeva un impegno di 40 ore settimanali «ma alla fine si lavorava sempre di più. Da contratto mi davano 500 euro al mese oltre al vitto e alloggio. Non nascondo che il lavoro è stato abbastanza faticoso, ma mi sono anche divertito. Senza contare che ora me la cavo anche con un po’ di spagnolo!» racconta Marco, che conclude «è un’esperienza che mi ha cambiato, mi ha fatto capire che posso cavarmela da solo». C’è invece chi come Roberta, 28 anni, ha fatto di un’esperienza estiva il suo lavoro. «Ho studiato biologia marina all’università di Genova perchè ho sempre voluto lavorare sul mare»  spiega «per questo l’estate della laurea ho deciso di partire e ho accettato di fare la guida marina per un villaggio turistico in Egitto. Ora lavoro per un tour operator alle Maledive e porto i turisti alla scoperta delle meraviglie della barriera corallina». Oltre al settore turistico esistono anche una serie di opportunità con contratti temporanei in catene commerciali, call center e grande distribuzione che in questo periodo offrono posti per delle sostituzioni. Per lavorare in Europa basta la carta di identità e a  volte è richiesto un certificato medico di buona salute. Per i paesi extra Ue è invece necessario un visto temporaneo con procedure che variano da paese a paese. In questo periodo però è sicuramente più semplice trovare lavori dell’ultimo minuto all’interno dell’Unione Europea. Per farlo bisogna però avere le idee chiare. «Spesso arrivano da noi ragazzi che dicono di voler andare a lavorare all’estero, senza avere un’idea precisa di qual è il loro obiettivo e anche delle proprie possibilità» spiegano all’Informagiovani di Torino. «Noi cerchiamo di fornire gli strumenti per poi riuscire a trovare quello che fa per loro. La cosa fondamentale, anche per un lavoro stagionale, resta comunque la lingua anche se dipende dal tipo di mansione che si va a svolgere. In quelle che non sono a contatto con il pubblico, come ad esempio il lavapiatti, di sicuro incide meno. Però tutti devono mettere in conto che magari gli verrà chiesto di fare un colloqui via skype, pratica ormai molto diffusa. Bisogna informarsi bene e non fare un salto nel buio. Per aiutare a orientarsi tra i vari paesi e i requisiti necessari abbiamo preparato sul nostro sito varie schede orientative». Un'ulteriore opportunità è rappresentata dalle Città dei Mestieri, una rete internazionale nata nel 1993 a Parigi con l'apertura della prima Cité des Métiers, per aiutare a orientarsi su percorsi formativi, lavorativi e professionali in tutta Europa. Nel corso degli anni la Rete si è sviluppata e oggi ne fanno parte oltre 40 realtà  in Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Germania, Svizzera, Mauritius e Cile. Nel nostro paese si trova a Milano, Genova, Treviso, Roma, e, da luglio, anche a Torino. L’accesso è libero e gratuito e oltre a materiale informativo si trovano esperti in vari ambiti, dalla formazione all’orientamento scolastico e professionale, a cui chiedere consiglio. Sara Settembrino

Un'università a misura di giovani mamme (e papà), Cagliari e Campobasso apripista della conciliazione

«Studentessa universitaria, sfiori la tua pancia dentro c'è una bella novità, che a primavera nascerà per farti compagnia ... e la sera ti ritrovi a pensare al futuro e ti sembra più vicina la tua serenità» cantava, forse con troppo ottimismo, Simone Cristicchi nel 2008. Ma per le studentesse universitarie che lo hanno ispirato non è facile proseguire gli studi e venire incontro alle esigenze familiari. E, nonostante le continue promesse di politiche in funzione delle famiglie, quasi nessun ateneo italiano prevede misure specifiche per chi ha figli a carico o in arrivo. Non è nemmeno facile capire quante siano nel nostro paese le giovani madri alle prese con esami e lezioni: dalll'ultima analisi statistica sulla maternità, pubblicata alla fine del 2014 dall'Istat,  Avere figli in Italia negli anni 2000, risulta che l’età media della nascita del primo figlio è arrivata a 30 anni. Nel 2014 sono stati partoriti poco più di 500mila bambini e il totale medio di numero di figli per donna è sceso a 1,29. Rispetto a dieci anni fa le madri under 25 sono passate dal 13% all’11,4%: fra di loro solo l'8,7% ha la cittadinanza italiana. Nel 2013 le partorienti sotto i 19 anni sono state 8.085 - con un calo del 17% rispetto a tre anni prima. Interessante la distribuzione sul territorio: le mamme giovanissime vivono soprattutto nel sud e nelle isole (60,4%), mentre nel nord-ovest sono il 16,6%, nel nord-est il 10,3% e nel centro il 12,7%. Un altro dato incontrovertibile che emerge anche dall'analisi Istat è che più il livello d'istruzione è alto, più il numero di figli è basso. Non solo: se la mamma è altamente istruita, partorirà più tardi il figlio.Eppure ci sono ancora giovani donne che vivono una maternità precoce senza rinunciare a portare avanti studi universitari. Larisa Petean, 29 anni, iscritta al corso di laurea specialistica di Economia e commercio all'università di Perugia, racconta la sua esperienza a Repubblica degli Stagisti: pochi mesi fa, il primo aprile 2015, ha messo al mondo una bambina e per il momento ha messo da parte lezioni e prove. «Mi mancano solo quattro esami alla fine e non ho intenzione di lasciar pedere, ma sono sola e in questo primo periodo la mia bambina ha un sacco di necessità. L'ultimo esame sostenuto? A febbraio, con le nausee, ma non sono stata affatto facilitata». Non appena ha scoperto di essere incinta Larisa si è rivolta alle segreterie di ateneo e di facoltà, ma le è stato detto che non erano previste facilitazioni. Anche quest'anno dunque Larisa ha pagato circa 400 euro di tasse, divise in tre scadenze. Poi ha parlato anche coi professori: «Sapendo che non sarei riuscita a frequentare regolarmente le lezioni come negli altri anni, ho chiesto di poter comunque sostenere gli esoneri. Ma tranne in un caso, non mi è stato  permesso». Larisa conclude parlando dei parcheggi: «Non ci sono posti riservati alle donne in gravidanza e non sono mai arrivata tanto in anticipo da trovarlo a meno di un chilometro dalla facoltà. Perugia è una città in salita e all'ottavo mese di gravidanza mi sarei risparmiata volentieri tutte quelle scale». «Il baby parking mentre sostengo gli esami? Se ci fosse lo sfrutterei volentieri, ma la vedo un'ipotesi irrealistica qui».Invece a Cagliari sarà realtà già dal prossimo anno accademico: se ne è parlato pochi giorni fa durante la presentazione dell'offerta formativa dell'ateneo più frequentato della Sardegna. Una delle novità sarà infatti la tessera baby istituita, come ha spiegato lo stesso rettore Maria del Zompo, insieme ad altre misure «per evitare che gli studenti abbandonino gli studi». La speciale card darà diritto a parcheggi riservati negli spazi dell'ateneo, priorità presso gli uffici, agevolazioni nella scelta dell'orario per sostenere esami di profitto. Ma anche l'accesso gratuito al materiale dei corsi on line e alla "stanza baby", uno spazio per stare con il proprio figlio in un momento di pausa tra una lezione e l'altra. L'obiettivo è anche quello di creare due baby parking, uno a Cagliari e l'altro a Monserrato (sede del campus universitario dell'ateneo) dove poter lasciare i bambini durante l'attività accademica. «L’iniziativa è nata da una mail: una studentessa "in dolce attesa", intenzionata a non abbandonare gli studi, esponendo le sue difficoltà ha chiesto se fossero già previste agevolazioni per la sua particolare condizione» racconta alla Repubblica degli stagisti il responsabile dell'ufficio stampa dell'ateneo: «Il prorettore Mola ha voluto incontrarla e, grazie all’attività del Comitato unico di garanzia presieduto dalla dottoressa Orrù, abbiamo predisposto queste iniziativa. A breve, e in base alle risposte che riscontreremo, arriveranno anche altre attività». Cagliari sembra seguire il buon esempio dell'ateneo di Campobasso, che a marzo ha aperto la prima nursery universitaria italiana, riservata a  mamme studentesse, ricercatrici e docenti dell'università del Molise. "Universomamma" è uno spazio sperimentale allestito all'interno del Dipartimento di Scienze umanistiche, sociali e della formazione primaria dell’ateneo molisano, unica nel suo genere. Si tratta di un'area comfort dotata di fasciatoio, giochi, riviste di settore.  Ma come è nato il progetto? «L'idea, come spesso accade, è venuta fuori da una situazione reale, davanti ai nostri occhi. Alcune ragazze del dipartimento di Scienze della formazione frequentavano i nostri corsi con bambini al seguito, così abbiamo pensato di dare loro un aiuto tangibile nel conciliare tempi di studio, di lavoro e di maternità. Speriamo di contribuire in questo modo alla loro realizzazione» racconta alla Repubblica degli Stagisti Elisa Novi Chavarria, consigliera del rettore per le Pari opportunità, soddisfatta dei primi risultati di questo piccolo grande esperimento: «Facciamo parte di un ateneo e un territorio di modeste dimensioni, quindi mentirei se le parlassi di centinaia di adesioni, ma sicuramente c'è stata una grande risposta da parte degli studenti e di chi lavora all'università. E proprio  l'entusiasmo di chi ha partecipato ci ha spinto a proseguire l'esperimento puntando a una vera e propria calendarizzazione per tutto l'anno accademico». Infatti per il 2015 sarà inaugurato un servizio aggiuntivo con personale specializzato che si prenderà cura dei piccoli quando le mamme o i papà saranno a lezione. Inoltre, grazie a una convenzione con il Centro sportivo universitario sarà possibile inserire alcune lavoratrici con contratti part-time, in base al numero delle richieste ricevute. A parte queste due eccezioni, e pochi altri casi - per esempio il Politecnico di Torino che previa compilazione di una domanda specifica, offre un servizio di babyparking cui hanno accesso i figli di studenti e dipendenti dell'ateneo - gli atenei italiani non riservano grandi attenzioni alle studentesse mamme o in dolce attesa, che possono al massimo usufruire dell'estensione di servizi previsti per altre categorie. «Abbiamo molti tipi di agevolazioni, come il "bonus Fratelli e Sorelle"» dice per esempio alla Repubblica degli Stagisti Valentina Alvaro dell'ufficio stampa della Sapienza di Roma, il più grande ateneo d'Europa: «Ma per il momento per le mamme e neo mamme non sono previste agevolazioni». Idem l'università Cattolica di Milano: l'ateneo non prevede alcuna agevolazione, ma «i singoli casi possono essere esposti alla Commissione contributi» specificano dall'ufficio stampa «che verifica di volta in volta se e in quali termini offrire un supporto agli studenti/ studentesse che ne fanno richiesta». . Da qualche anno poi all'università Statale di Milano è stato introdotto il «tempo parziale», una formula che prevede l’adattamento del percorso di studio, dal punto di vista organizzativo ed economico, ai singoli casi degli studenti. nche in questo caso non si tratta di un servizio pensato apposta per gli studenti-genitori, dato che può essere fruito da chi assiste un nonno o un familiare non autosufficiente e da chi lavora almeno sei mesi all’anno, nonché da sportivi e artisti con impegni professionali comprovati; ma è aperto anche a chi sta per diventare mamma (o papà) o ha figli piccoli sotto i cinque anni. Anche l'università di Padova si è dotata del tempo parziale, e anche in questo caso tra i potenziali beneficiari figurano gli studenti genitori.Un'altra possibilità è quella di sospendere momentaneamente l'attività accademica in concomitanza con la nascita del figlio, e qui il vantaggio è sopratutto economico: evitare di pagare le tasse universitarie per i periodi in cui si sa già che non si potranno frequentare le lezioni né sostenere esami. A questo proposito, all'università di Bologna - l'ateneo più antico d'Europa - è possibile avviare la procedura d'interruzione anche per le studentesse in stato di gravidanza o che abbiano appena partorito un figlio. L'interruzione dà diritto alla sospensione del pagamento delle tasse per un anno. Dall'anno prossimo tasse dimezzate per le mamme con un figlio piccolo o in dolce attesa all'università di Torino. Agevolazioni previste anche per le mamme iscritte all'università di Catania: «Già da molti anni, le studentesse ragazze madri con figli di età inferiore ai cinque anni, sono esonerate dal pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio, fissata dalla Regione Siciliana in 140 euro» spiega alla Repubblica degli Stagisti il capoufficio stampa dell'ateneo siciliano Mariano Campo: «Il Senato accademico dell’università di Catania ha inoltre appena approvato delle proposte per agevolare la carriera universitaria di studentesse con figli fino a cinque anni di età, studentesse in gravidanza, dall’ottavo mese o con diagnosi di gravidanza a rischio. Le mamme  dunque dal prossimo anno accademico potranno usufruire della riduzione dell’obbligo di frequenza, sostenere gli esami negli appelli straordinari e partecipare a specifiche attività di supporto didattico».Dunque agevolazioni a discrezione dell’ateneo e nessun dato ufficiale. Ma il problema esiste e c’è chi ha aperto un blog sul tema: mammastudia ha attualmente 30 anni, è ingegnere e ha avuto suo figlio Dede a 4 esami dalla laurea. Le sua pagina Facebook ha più 700 mi piace e il forum è pieno di lettere di ragazze di diverse facoltà, ma nella medesima situazione. Nella sua presentazione l'autrice (che mantiene l'anonimato) spiega perché ha aperto un blog: «Ho iniziato a scoprire il mondo delle mamme blogger e alla fine mi sono decisa e ho pensato: "perchè no? Lo apro anche io così intanto scrivo e mi sfogo, in più dò qualche notizia utile o faccio ridere qualche mamma, e magari chissà mi viene un lampo di genio e poi torno a studiare" . Ho ritrovato la motivazione e la forza, ho finito i miei progetti per l'esame e mi sono messa sotto a studiare... ho passato l'esame finale, preparato la tesi e finalmente mi sono laureata!». E con tutta probabilità in prima fila ad applaudire il neoingegnere c'era anche il piccolo Dede.Silvia Colangeli

Estate di stage in Europa: selezioni alla Corte dei conti e al Comitato delle regioni Ue

Le opportunità di stage in Europa non finiscono mai. Nel caso della Corte dei Conti Ue, per esempio, le candidature sono aperte tutto l'anno. Per chi fosse appassionato di revisione contabile è possibile fare domanda presso questo ente incaricato di «controllare le finanze dell'Ue», si legge sul sito, «principalmente nei settori riguardanti crescita e occupazione, valore aggiunto, finanze pubbliche, ambiente e azione per il clima». Gli stage durano cinque mesi e si svolgono a Lussemburgo, sede dell'istituzione.Non ci sono periodi determinati, qualsiasi data è possibile per un eventuale inizio: «La Corte dei Conti organizza periodi di tirocinio nel corso dell'anno nelle aree di interesse del suo lavoro» è specificato fin dalla homepage, senza però aggiungere dettagli sul numero di ammessi. Quello che si sa è che il rimborso è abbastanza sostanzioso, di 1120 euro mensili per gli stage con indennità (perché attenzione, in questa istituzione sono anche previsti tirocini senza borsa). Vista l'entità del rimborso e «le restrizioni di budget a cui è sottoposta la Corte» viene spiegato ancora sul sito, «il numero di posizioni con emolumento è molto ristretto». Del resto anche l'organico è piuttosto piccolo, composto dai soli 28 giudici – uno per ogni stato membro – eletti per sei anni dal Consiglio della Ue.  Per accedere sono richieste ai candidati caratteristiche ben precise: oltre alla nazionalità europea, un diploma universitario o almeno il completamento di quattro semestri di studio in uno dei campi di interesse per la Corte (si intende quindi giurisprudenza, economia, senz'altro scienze politiche), la conoscenza approfondita di una lingua europea e quella soddisfacente di una seconda. Ma devono rispettarsi anche requisiti motivazionali come ad esempio la volontà di svolgere un periodo di pratica presso la Corte e essere dotati di un buon carattere. L'application si spedisce online, compilando un form con i propri dati e titoli, il tutto in inglese. L'invio di documentazione cartacea è previsto solo in caso di superamento della selezione.Per tutto l'anno sono aperte anche le candidature al Comitato delle regioni Ue di Bruxelles, «voce delle regione e delle città europee». Qui le sessioni annuali sono due, entrambe di cinque mesi: dal 16 febbraio al 15 luglio (sessione primaverile), per cui si candida chi si iscrive ora fino alla fine di settembre, e dal 16 settembre al 15 febbraio (sessione autunnale). I posti sono limitati - le statistiche non vengono rese note ma tutto lascia pensare che non si superino le poche decine di tirocinanti all'anno - e a ogni ammesso viene riconosciuto un rimborso mensile equivalente al 25% di un funzionario di livello AD 5. Circa 900 euro lordi mensili, che diventano 1000 per chi è sposato o ha figli, oltre alle maggiorazioni per disabili e rimborso delle spese di viaggio.Eccettuati quelli che abbiano già alle spalle esperienze di tirocini o collaborazioni presso enti europei con rimborso o retribuzione, può farsi avanti chi ha la nazionalità europea, possiede una laurea almeno triennale e conosce almeno due lingue europee di cui una in modo approfondito (in questo caso o l'inglese o il francese). Gli ammessi vengono assegnati ai vari dipartimenti, «dalla cui attività dipendono le mansioni degli stagisti: alcune aree sono più orientate alla politica, altre al lavoro amministrativo». Le selezioni si svolgono online, partendo dall'application form, da compilare e inviare. Da quel momento in poi ogni dipartimento esamina le candidature, puntanto sui candidati più appetibili ai fini della loro attività.Ai "finalisti" verrà richiesto di caricare documentazione scannerizzata sul sito per poi essere eventualmente contattati telefonicamente per un colloquio. Entro dicembre, a tutti viene notificato l'esito della candidatura, e anche per i non finalisti c'è speranza: si finisce in un elenco di riserva da cui attingere in caso di «eccezionali circostanze». Chi non la spunta, sottolineano i selezionatori, non deve disperarsi: «Non essere selezionati non significa non essere qualificati, significa che si è trovata una migliore combinazione e non un miglior candidato». Ilaria Mariotti 

Commissione e Consiglio Ue, 800 posti di stage a 1000 euro al mese

Nuova opportunità di tirocini alla Commissione europea. Le selezioni per la prossima "tranche" sono cominciate l'altroieri - il 15 luglio - a mezzogiorno, e si chiuderanno il 31 agosto. Per chi si candiderà in questo periodo, e avrà la fortuna di venire scelto, le porte dell'organo di governo Ue si apriranno dal 1° marzo 2016 per un periodo di stage di 5 mesi. Ottimo il rimborso spese: oltre ai mille euro mensili (e qui bisogna fare attenzione, per quanto riguarda il netto e il lordo, alla propria situazione finanziaria e interpellare un commercialista), si può contare su un'indennità forfettaria per il viaggio di andata e ritorno da Bruxelles, a patto che la distanza superi i 50 chilometri.  Quanto ai requisiti per fare domanda, si ripete il solito schema degli stage europei: laurea almeno triennale, ottima conoscenza di almeno l'inglese o il francese e di una seconda lingua europea. Gli stage vengono realizzati praticamente in tutti settori della Commissione: «Potresti prestare servizio nel settore legale, risorse umane, politiche ambientali» si legge sul sito, «il tuo lavoro quotidiano consisterà in organizzare meeting, working group, conferenze, ricerca di documentazione e reportistica, collaborazione a progetti».I posti sono tanti per ogni edizione: 1400 suddivisi nelle due tornate, quindi circa 700 per ciascuna "tranche". Per candidarsi si compila il form online (qui) in inglese. La procedura prevede una prima scrematura, che confluisce in una short list (il famoso Blue Book), e poi una selezione finale attraverso colloqui telefonici. Il tutto è tracciabile sul sito: in ogni momento il candidato può accedere nel suo account e verificare lo stato di avanzamento della propria candidatura. C'è da tenere presente che il numero di domande è davvero consistente. «Il boom persiste, questo è sicuro» conferma Federica Funelli, dell'ufficio traineeship: le richieste erano state circa 18mila nel 2012, hanno raggiunto quota 28mila l'anno successivo, per poi arrivare a 14mila nella sola prima sessione del 2014. Gli italiani? Sempre la fetta principale, a conferma che il fuggi fuggi è ancora in atto: si sono fatti avanti in 4mila nel 2012, in 6.500 nel 2013 e in 4.400 nella sola prima tranche del 2014: un terzo del totale. Interessante anche un altro dato, che riguarda però tutti i candidati: «Sempre più tirocinanti hanno un master (77%), pochi hanno solo il diploma triennale (17%), alcuni hanno addirittura un dottorato (5%)». Insomma a cercare opportunità altrove sono sempre i più qualificati, pure nel resto d'Europa. Un'altra chance è poi quella al Consiglio dell'Unione europea, «l'organo che decide le proprità politiche della Ue e la generale direzione politica». Gli stage offerti ogni anno sono circa 120, suddivisi in due periodi, ciascuno di cinque mesi. Il primo va dal 1° febbraio al 30 giugno, il secondo dal primo settembre al 31 gennaio. Per entrambi le candidature si accettano dal primo giugno al 31 agosto dell'anno precedente. Il rimborso è più o meno lo stesso di quello concesso dalla Commissione: quasi 1100 euro al mese lordi, a cui aggiungere buoni pasto e indennità di viaggio. Per candidarsi bastano una laurea, almeno triennale, la conoscenza dell'inglese o del francese e la nazionalità europea.Chi ha studiato giurisprudenza, scienze politiche, relazioni internazionali e economia ha qualche probabilità in più di finire tra i prescelti, ma il bando non esclude chi abbia titoli in comunicazione, grafica, biologia, traduzione per esempio. Sono inammissibili solo, come per ogni organo europeo, le candidature di chia abbia già prestato servizio presso un ente dell'Unione, con compenso, per più di otto settimane. Le candidature si spediscono online, in inglese, e comportano un procedimento di validazione per cui è bene prepararsi per tempo, compilarle per intero e spedirle in una sola volta. Il rischio altrimenti è quello di veder scadere la sessione e dover ricominciare da capo. È bene sapere che anche qui il numero dei competitor è alto e in progressiva crescita: le domande «sono state 3970 nel 2013, e 5265 nel 2014» fa sapere alla Repubblica degli Stagisti Tamás Záhonyi dell'ufficio tirocini: ben un terzo in più da un anno all'altro. «Tra il 20 e il 45% la provenienza è italiana» aggiunge, specificando che gli ammessi sono circa 60 a turno di stage.Al solito si tratta di opportunità che fanno gola ai tanti giovani in cerca di occupazione, in Italia e non solo. E per chi tenta la sorte con il Consiglio, dita incrociate tra settembre e gennaio, mesi in cui la candidatura viene esaminata (e in cui potrebbe capitare la famosa intervista telefonica, non indispensabile però). Poi il responso, che arriva a tutti, via mail: una volta tanto, in questo caso, un feedback è promesso sia ai selezionati sia agli esclusi. Ilaria Mariotti    

Non solo Mae-Crui, stage in ambasciata anche per 15 aspiranti diplomatici della Sioi: ma il rimborso è di 150 euro al mese

Uno stage a Baghdad, in piena estate, a 150 euro al mese, mentre si studia per preparare il concorso per diplomatici. Per chi aspira a una carriera in ambasciata sarà (di nuovo) possibile da quest'anno fare uno tirocinio presso le rappresentanze del ministero degli Esteri nel mondo grazie a un'intesa siglata dalla Farnesina con la Sioi, la Società italiana per l'organizzazione internazionale, «ente morale sottoposto alla vigilanza del ministero degli Esteri, che ha come finalità istituzionale la formazione e la ricerca sui temi della organizzazione e cooperazione internazionale», presieduto oggi dal'ex ministro Franco Frattini. La Sioi organizza ogni anno una serie di master di formazione per carriere di stampo internazionale. Tra tutti spicca quello per diplomatici, attivo da ben cinquant'anni: nove mesi all'anno full time per due classi da circa 50 persone ciascuno (i candidati sono circa 150 a tornata).La notizia del ripristino degli stage Mae-Sioi in ambasciata è uscita ovviamente un po' in sordina rispetto a quella della riattivazione del Mae-Crui (riveduto e corretto in "Maeci-Crui"), per il quale le selezioni si sono chiuse proprio lunedì scorso registrando un numero di candidati enorme, 1774. Ma le condizioni offerte agli stagisti Mae-Sioi destano qualche perplessità. Questi stage sono riservati a chi sta frequentando il master del Sioi: «La possibilità esisteva anche in passato. Avevamo una stretta collaborazione con il Mae: loro ci chiedevano, noi mandavamo, senza però mai superare il numero di una ventina di stagisti all'anno», spiega alla Repubblica degli Stagisti la direttrice della scuola Sara Cavelli [nella foto]: «Il programma di stage è stato interrotto a causa della nuova normativa sugli stage», quella del 2012, che aveva introdotto il principio dell'obbligo di rimborso spese poi concretizzato attraverso le linee guida concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni all'inizio del 2013. Del resto, la stessa sorte era toccata anche ai famosi Mae-Crui oggi redivivi. La soluzione che si è trovata a partire da quest'anno per il Sioi è quella di attivare 15 stage, prevedendo per ciascuno di essi una indennità di 150 euro mensili. Un totale di 450 euro, che moltiplicato per il numero di stagisti ammessi fa 6.750 euro di stanziamento complessivo. Vero è che «tecnicamente si tratta di tirocini curriculari, perché svolti all'interno di un percorso formativo, e dunque non scatta per legge l'obbligo di rimborso spese» si giustifica la Cavelli: «Potrebbero essere a titolo gratuito senza andare incontro a nessuna violazione di legge». Così come anche i Maeci-Crui, del resto. Difficile però non ammettere che si tratta di un rimborso davvero esiguo,  che non basterà agli aspiranti diplomatici quasi neppure per coprire le sole spese di viaggio. Un volo di andata e ritorno per una delle destinazioni indicate non costa infatti meno di 200 euro, e questo considerando il Roma-Madrid, ma per Bagdad o altre destinazioni più "esotiche" il costo può lievitare anche a 600 euro.  Sorprende che non sia riuscito a fare di meglio un ente che può contare su risorse sostanziose, come ha certificato la Corte dei conti nel 2010, in un documento in cui attesta che «le risorse finanziarie della Sioi sono costituite da contributi dello Stato, delle regioni e di enti locali, quote dei soci, rendite derivanti dal proprio patrimonio, contributi di enti sostenitori e da convenzioni con altri enti (corsi di preparazione al concorso per la carriera diplomatica), proventi derivanti dalle attività svolte». Tanto che solo in quell'anno poteva contare su entrate pari a 1 milione e 500mila euro, di cui una buona fetta a carico degli studenti. La retta di iscrizione al master per diplomatici, per fare un esempio, ammonta a 5.500 euro: la direttrice assicura che esistono anche borse di studio a copertura totale - ma non specifica quante, né se vengano assegnate tutti gli anni o no, e sul sito ufficiale non si trovano informazioni in merito. In pratica la Sioi dal solo master per diplomatici guadagna ogni anno almeno 500mila euro: è come se per gli stagisti mettesse sul piatto poco più di una delle quote di iscrizione, a fronte di un introito, derivante dalle sole rette a carico degli iscritti, che ammonta a quasi cento volte tanto. In più, i corsisti-stagisti inviati nelle sedi straniere non sono semplici studenti prossimi alla laurea, ma persone già laureate e spesso molto qualificate che per entrare al master hanno sostenuto un duro esame di accesso «con prove di diritto internazionale, economia, storia delle relazioni internazionali oltre alla conoscenza della lingua inglese e di un'altra lingua», come conferma alla Repubblica degli Stagisti la direttrice: «Senza quelle competenze non potrebbero mai passare il concorso finale». Eppure, in piena estate, in sedi spesso disagiate come Algeri, Bagdad, Pristina, Riad o Tbilisi, questi giovani aspiranti ambasciatori dovranno cavarsela con appena 150 euro al mese. A fianco di 'colleghi' che invece percepiscono indennità d'oro, come di norma per chi è assunto dalla Farnesina. «Avranno comunque l'alloggio garantito» assicura la Cavelli: «Dodici sedi hanno dato il loro assenso e alcune di queste ospiteranno più di uno stagista» perché nessuno rimanga fuori. Come si legge nel comunicato di lancio dell'iniziativa, «l’intesa segue quella già conclusa tra Maeci, Miur e Fondazione Crui l’11 giugno, che offre la stessa opportunità agli studenti delle università italiane che aderiranno all’iniziativa». Gli aspiranti diplomatici della Sioi hanno subìto una selezione prima di partire. Una conferma che si aggiudica uno di questi prestigiosi stage solo chi davvero se lo merita: «I candidati erano 30, ne abbiamo scelti la metà in base ai titoli», fa sapere la Cavelli. A fare la valige saranno insomma i più brillanti della scuola che, per tre mesi, si troveranno in zone di crisi a mettere a frutto tutte le loro competenze. Con il lauto contributo di 150 euro al mese. E la domanda resta sempre la stessa: ma ai suoi giovani migliori, l'Italia non è davvero capace di offrire opportunità a condizioni migliori?Ilaria Mariotti