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Formare i giovani al lavoro, ripartono gli stage del “Campus” di Sanpellegrino

«Tra sei mesi sarete persone completamente diverse: sarete dei professionisti super appetibili nel mondo del lavoro». Un biglietto da visita migliore, per un programma di stage, non potrebbe esistere: specialmente se a pronunciare la frase è un ex tirocinante che ha vissuto la stessa esperienza l'anno precedente. Così ha presentato il Sanpellegrino Sales Campus Plus Ian, 25enne bergamasco, che l'anno scorso ha fatto la sua esperienza da “campussino” nella zona dell'Emilia Romagna: «Siete fortunati perché l'azienda vi sarà veramente vicina: sfruttate bene i tutor, io nel mio ho trovato non solo un mentore ma anche un amico». Entusiasta anche un'altra ex “campussina”, Lucrezia: «Ci si mette realmente in gioco, è un training sul campo».Il “Sanpellegrino Sales Campus”, opportunità di fare un'esperienza on the job nella più importante azienda del settore beverage non alcolico, è ripartito questa settimana. «I giovani hanno bisogno di ritrovare la fiducia nel mercato del lavoro e nel Paese» ha detto Stefano Agostini, AD di Sanpellegrino, all'evento che ha dato avvio all'edizione 2016. «È fondamentale per voi trovare un contesto dove cominciare a mettere in pratica le cose imparate» ha aggiunto rivolgendosi direttamente ai ragazzi: «Questo nostro Sales Campus all'interno di Sanpellegrino, azienda tra le icone e i simboli del “Made in Italy”, si inscrive nel progetto più ampio Nestlé Needs Youth. Ragazzi, avete una grandissima opportunità: da domani sarete già operativi. Nei primi giorni potrete capire insieme ai nostri colleghi cos'è questa azienda, come siamo organizzati». Raccomandando a ciascuno dei 19 neo “campussini” di sfruttare al massimo l'occasione: «Un ruolo molto importante lo avranno i tutor, vi seguiranno nel percorso e anche quando sarete sul campo, nelle vendite o nelle fabbriche». Quattro dei ragazzi andranno a fare la loro esperienza all'interno di  stabilimenti produttivi Sanpellegrino: «Stare nelle fabbriche è bellissimo, lì si vedono nascere i prodotti»; parallelamente «chi sarà nelle vendite  vedrà i consumatori o i ristoratori prendere la decisione di acquistare i prodotti Sanpellegrino o quelli della concorrenza». Due percorsi diversi ma ugualmente interessanti: «Non è detto poi che chi comincia nelle vendite poi resti lì per tutta la vita» ha specificato Agostini, che proprio come venditore entrò vent'anni fa nel gruppo Nestlé, fino ad arrivare a ricoprire il ruolo di amministratore delegato di Sanpellegrino. Le sue parole trovano conferma nella testimonianza di Lucrezia, ieri campussina nelle vendite a Roma, oggi assunta nell'ufficio marketing della categoria cioccolata: «Una prova che le competenze acquisite in ambito commerciale mi sono servite per il mio futuro».«Vivete questo momento anche come una opportunità per voi di capire quali sono le vostre ambizioni» è stata l'esortazione di Agostini: «Metteteci tanta dedizione e fate tante domande. La nostra priorità è darvi 6 mesi di formazione, se poi porterete dei risultati ne saremo contenti, ma l'obiettivo é quello della formazione: darvi la possibilità di fare un'esperienza che vi permetta di trovare un posto di lavoro, qui in azienda o anche in altre realtà».«È la terza volta che partiamo con questa avventura, ed ogni volta è più bello ed emozionante» ha aggiunto Giacomo Piantoni, direttore HR di Nestlé Italia: «Complimenti ai ragazzi che hanno superato le selezioni, che sono state durissime: da quando è partita l'iniziativa abbiamo ricevuto più di 100mila cv». Non a caso il Gruppo Nestlè, per la sua attenzione al tema dell'occupazione giovanile, da sempre aderisce al network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti e ha ottenuto anche per l'anno in corso il riconoscimento Bollino OK Stage. Piantoni ha voluto riassumere la realtà e condividere con i neo campussini i valori di Nestlé: «Abbiamo 13 fabbriche e diamo lavoro a 5.500 persone con un fatturato enorme, 2,2 miliardi di euro. Nestlé non ha come obiettivo solo di remunerare gli azionisti dell'azienda o di soddisfare le esigenze dei consumatori, ma anche di creare un equilibrio e un beneficio sociale. Per questo dalla fine del 2013 è partita una iniziativa di Nestlé Europa, chiamata Nestlé Needs Youth, per dare un piccolo contributo a uno dei problemi sociali di oggi: quello della disoccupazione giovanile». Il manager è ben consapevole che «non è certo un problema che può risolvere un'azienda» e che «ci vuole un sistema», ma è orgoglioso di raccontare che «Nestlé, in quanto azienda leader nel suo settore, ha deciso a livello europeo di alzarsi in piedi e di dire “voglio dare un mio contributo”». Il progetto NNY si ripromette di aprire in tutta Europa 20mila opportunità in 3 anni (2014-2016) per ragazzi under 30. «In Italia l'obiettivo che ci era stato assegnato a livello di Paese è stato raggiunto dopo soli due anni, creando opportunità di vero e proprio lavoro - dunque assunzioni - oppure di traineeship per 1.100 persone» ha specificato Piantoni, raccontando anche i progetti collaterali come “readiness for work” «per cui abbiamo realizzato 60 eventi coinvolgendo migliaia di ragazzi, organizzando workshop su come scrivere un cv, fare un colloquio…». Piantoni ha anche ricordato come il progetto Nestlé Needs Youth si sia espanso anche attraverso la Alliance for Youth, «per moltiplicare a valanga l'energia e aumentare le opportunità». Nestlé ha cioè chiesto alla filiera dei suoi fornitori e partner commerciali di realizzare iniziative analoghe a favore dei giovani e così «oggi a livello europeo sono coinvolti 200 nostri partner commerciali. Noi in Italia ne abbiamo 13, il fiore all'occhiello é Chep. Se prendiamo in conto l'intera Alliance, parliamo di 3.500 opportunità in più create in due anni: capite l'impatto che può avere». Infine un riferimento all'alternanza scuola-lavoro, «che in altri paesi come Germania o Austria è già naturale, è normale fare 2-3 giorni a scuola e 2-3 giorni al lavoro: pensate all'impatto che avrebbe se applicata al sistema italiano». Perché secondo Piantoni uno dei problemi principali in Italia è proprio quel «gap tra teoria e pratica» che penalizza i giovani che escono dai percorsi formativi nostrani: «Ma adesso non dovete solo imparare un mestiere nuovo, bensì anche andare oltre l'aspetto tecnico: capire quali sono le vostre caratteristiche e cosa vi piace fare. Dovete trovare un lavoro che si adatti alle vostre caratteristiche ma vi permetta anche di realizzarvi come persone. I vostri tutor sono qui per questo, per aiutarvi ad avere successo».Chep, chiamata in causa da Piantoni, è una società partner del gruppo Nestlé da 15 anni: «Per noi è il secondo anno di partecipazione a questa iniziativa, siamo siamo tra le prime 14 aziende in Europa che hanno aderito alla Alliance» ha detto  Paola Floris, country general manager per l'Italia: «Anche noi vogliamo dare il nostro contributo per dare nuove opportunità di lavoro: il Sanpellegrino Sales Campus Plus è un progetto bellissimo per arginare la disoccupazione. Alla fine tanti parlano, ma veramente pochi hanno delle iniziative concrete in corso». Per questo Chep ospiterà quest'anno due campussini che andranno ad aggiungersi ai 19 di Sanpellegrino: dunque in totale saranno 21 i giovani impegnati in questa edizione. «L'obiettivo è darvi una maggiore employability in futuro, cioè competenze aziendali che completino la preparazione culturale che avete accumulato in questi anni» ha concluso la Floris con un augurio ai ragazzi: «che vi portiate a casa il più possibile. Fate domande e siate curiosi, capite quali sono i valori che vi differenziano». «Il Sanpellegrino Sales Campus Plus è una esperienza di grandissimo valore: ovviamente noi vogliamo prenderci una parte di questo valore, vogliamo la vostra freschezza, vogliamo capire come fare le cose in modo diverso. Dateci tanti feedback in questi sei mesi, sarete per noi una fonte inestimabile!» ha scherzato Gabriella Carello, che da qualche mese è direttore HR di Sanpellegrino. Chiarendo poi subito, ovviamente, che il vantaggio vero sarà naturalmente sopratutto per i campussini: «Vogliamo che alla fine del sesto mese siate nelle condizioni di avere un percorso facilitato nel trovare una occupazione». E c'è da scommettere che il desiderio dei 21 ragazzi sia esattamente questo.

Smartworking, Milano spinge l'acceleratore: “Aziende, si può lavorare anche fuori dall'ufficio”

«Il lavoro agile, o “smart working”, può essere uno dei tasselli per cambiare profondamente il modo di lavorare degli anni 2000: un modo per migliorare sia le condizioni di lavoro, sia la produttività delle aziende e la qualità della vita delle persone». Con queste parole Andrea Orlandini, vicepresidente dell’AIDP – l'Associazione italiana per la direzione del personale –  ha aperto qualche giorno fa l’incontro «Una legge agile per un lavoro agile» organizzato dalla sua associazione e dal Comune di Milano per presentare il nuovo testo sullo smart working collegato alla Legge di stabilità e anche la terza Giornata del lavoro agile fissata dall’amministrazione milanese per il prossimo 18 febbraio (sul sito del Comune tutte le informazioni).Milano si è in effetti distinta negli ultimi anni per la sua attenzione verso il «lavoro agile», ovvero quella nuova forma di organizzazione dell’impiego che permette al lavoratore di svolgere i propri compiti in luoghi diversi dall’abituale posto di lavoro e con altri orari rispetto a quelli tradizionali, venendo valutato in base agli obiettivi raggiunti invece che per le ore di presenza in ufficio.Alle precedenti edizioni della Giornata del lavoro agile hanno aderito più di 200 aziende e sono stati organizzati dal Comune spazi di lavoro nei più disparati luoghi pubblici (piscine, parchi e aree comuni), generando una bella partecipazione dei cittadini. La città infatti può contare, come racconta Cristina Tajani, assessore al Lavoro della giunta Pisapia, su 49 spazi di coworking accreditati presso il registro comunale – più del doppio se si contano i non registrati – e si è impegnata a presentare per il prossimo 18 febbraio un’app dedicata ai cittadini per trovare lo spazio di lavoro libero più vicino. E Non solo i privati aderiscono a questa iniziativa, aggiunge l’assessora, ma anche la pubblica amministrazione.Il lavoro agile permette di ripensare il proprio rapporto con l’orario e il luogo di lavoro. E la nuova legge «mancava in passato», come ci tiene a chiarire una “collega”  di giunta della Tajani, l’assessora Chiara Bisconti [nella foto, le due assessore insieme durante l'evento], che guida il settore di Palazzo Marino che si occupa di benessere e qualità della vita: una legge necessaria, insomma, che finalmente «risolve gli aspetti problematici dello smart working». Maurizio Del Conte, professore associato di Diritto del lavoro all'università Bocconi e tra gli ideatori della legge, identifica questi problemi nella sicurezza del lavoratore fuori dall’ufficio o nell’evitare l’isolamento che il lavoro autonomo potrebbe creare. Oltre a questi problemi, il testo fornisce una nuova definizione del lavoro agile: si applica a ogni tipo di contratto subordinato privato, è su base volontaria, in caso di abbandono si torna al contratto precedente; gode di speciali assicurazioni sugli infortuni e si applicano le normali condizioni di recesso. Per la pubblica amministrazione verranno definite regole particolari nella futura Riforma della pubblica amministrazione, ancora in fase di studio.Il disegno di legge vuole essere «leggero, e non porre paletti» e in particolare «non predefinire livelli organizzativi a cui il lavoro agile può essere offerto ma lasciare aspetti di sviluppo, perché se c’è una cosa che abbiamo riscontrato è che le sperimentazioni di lavoro agile sono molto timide».Chi non è stato timido nelle sperimentazioni è Nestlé, come racconta Giacomo Piantoni, direttore risorse umane Italia della multinazionale svizzera che non a caso ha ricevuto dal Comune di Milano e dalla Repubblica degli Stagisti, l'anno scorso, proprio il premio "RdS award speciale Giornata Lavoro Agile": «Abbiamo iniziato nel 2012. Non avendo una normativa di riferimento ci siamo ispirati a ciò che volevamo raggiungere: una nuova cultura aziendale più orientata alla performance che alla presenza fisica del lavoratore». E i numeri di questo singolo caso evidenziano risultati importanti: nella sede di Assago dell’azienda, su 1800 persone circa il 90% ha utilizzato una o più volte lo smart working, per una media di circa 300 al mese. Nestlé ha sperimentato un approccio sistematico, con quote fisse di lavoro fuori dalla sede per ogni dipendente, e uno occasionale quando ragioni  contingenti rendevano necessario al lavoratore utilizzare una sede differente. Allo stesso tempo sono stati registrati un aumento della produttività e una diminuzione di richiesta degli straordinari. L’azienda è più che soddisfatta dell'esperienza e scommette sulla sostenibilità del lavoro agile anche per il futuro: «Siamo convinti che contribuisca alla parità di genere, dato che non si sono rilevate da noi differenze nella richiesta tra uomini e donne infatti» conclude Piantoni «e che piaccia ai giovani».«Il tema di attrarre persone giovani e dei talenti è un tema importante che non possiamo tralasciare» concorda Patrizia Bonometti, responsabile risorse umane di Tenaris Dalmine, azienda che al momento invece non usa il lavoro da remoto ma non esclude di introdurlo in futuro: «Cerchiamo sempre di migliorare il rapporto fra vita e lavoro dei nostri dipendenti. Nel tempo vogliamo coinvolgere alcune aree aziendali, tra quelle possibili, per trovare un modo di iniziare a instillare alcune forme di lavoro agile». La maggiore flessibilità dell’impiego e dell’orario infatti sono un plus per le nuove generazioni: «I giovani riconoscono un’impresa che usa il lavoro agile come più vicina ai loro stili di vita» ribadisce alla Repubblica degli Stagisti l’assessora Bisconti.E poi in realtà questa modalità non favorisce solo chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro. Anzi, sono sopratutto i lavoratori con figli a carico a poter apprezzare e sfruttare una maggiore indipendenza nell’organizzazione. L’equilibrio maggiore tra vita e lavoro sembra essere veramente una delle caratteristiche principali del lavoro agile, capace di creare un vero e proprio vantaggio competitivo per le aziende che lo utilizzano come spiega la Bisconti: «Noi questo vantaggio l’abbiamo misurato fisicamente durante le edizioni precedenti della Giornate del lavoro agile, in due ore di tempo risparmiate quotidianamente per ogni lavoratore». Insomma questa modalità di lavoro sembra aiutare non solo le aziende ma  tutti i cittadini: per questo la Bisconti lancia un ultimo appello ad aderire alla terza Giornata del lavoro agile: «Un’intera città può trarre vantaggi dal ripensamento di un nuovo rapporto con il lavoro. Il lavoro agile fa bene anche al territorio. Il singolo individuo può raggiungere nuovi livelli sia di produttività sia di qualità della vita». Resta solo da vedere quando la nuova normativa sul lavoro agile verrà approvata, e diventerà uno strumento concreto a disposizione di datori di lavoro e lavoratori del nuovo Millennio.Matteo Moschella

Jobs Act, addio al contratto a progetto: anzi no

Era stata annunciata lo scorso anno e con Capodanno è diventata realtà. Stiamo parlando della scomparsa dei contratti a progetto, i cocopro, cioè le collaborazioni continuative a progetto. Il Jobs Act recita infatti che «a far data dal primo gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro».Rientrano nell’abolizione però solo le collaborazioni esclusivamente personali, ossia «svolte dalcollaboratore unicamente tramite propri mezzi e capacità, senza avvalersi, a sua volta, di collaboratori, uffici, o strutture di propria proprietà o di cui ha la direzione. Ad esempio, il libero professionista con un proprio ufficio, una segretaria ed eventualmente collaboratori o praticanti non svolge la propria professione in maniera esclusivamente personale, ma soltanto prevalentemente personale». Le collaborazioni devono essere poi continuative e con modalità lavorative gestite prevalentemente dal committente, cioè etero-organizzate. La differenza rispetto al passato è che «anche in precedenza questi elementi potevano essere indice di subordinazione, ma mancava un automatismo, come invece stabilito dalla riforma», chiarisce Giampiero Falasca, avvocato esperto di diritto del lavoro e partner dello studio DLA Piper, che ha aiutato La Repubblica degli Stagisti nell'analisi delle novità legate a questo tipo di collaborazioni.Quanti sono i soggetti coinvolti? Non ci sono dati ufficiali: l'Istat parla per il 2014 di 378mila collaboratori continuativi a progetto. «Ma è difficile conciliare i dati provenienti dalle varie fonti» avverte Falasca: «La stima più credibile è quella di 500mila cocopro l’anno, con una tendenza a diminuire, in virtù della crescente contribuzione previdenziale applicata negli ultimi anni. Inoltre, gli iscritti agli ordini erano ad esempio esentati dalla normativa sul progetto».Bisogna ricordare che diverse tipologie di collaborazioni non rispondono ai requisiti previsti, e quindi non sono coinvolte dall’abolizione. Tra queste le collaborazioni continuative, svolte in maniera prevalentemente personale e autonomamente organizzate dal collaboratore; quelle disciplinate dai contratti collettivi nazionali; quelle prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per cui è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali; le attività rese da amministratori e sindaci di società e da partecipanti a collegi e commissioni; e ancora, le collaborazioni rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate al Coni e quelle collaborazioni certificate dalle Commissioni di Certificazione, in base all'art. 76 del decreto legislativo 276/2003.Un esempio sono, come detto, i  collaboratori coinvolti da accordi collettivi nazionali che prevedono discipline specifiche, tra questi docenti di scuole e università private o addetti dei call center: «In parole povere elimino il lavoro a progetto e dico che tutto il lavoro etero-organizzato è dipendente, ma poi lascio spazio ad accordi sindacali per cui si torna ai vecchi cococo», chiarisce il giuslavorista Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, già allievo del compianto Marco Biagi e poi braccio destro di Maurizio Sacconi all'epoca in cui quest'ultimo era ministro del Lavoro, nel governo Berlusconi.L'aspetto importante, in tutta questa vicenda, è che non sono invece intaccati dalla normativa i «parenti» dei contratti a progetto, ossia i cococo, che restano quindi in vigore come da articolo 409 n.3 del codice di procedura civile e disciplinano le attività lavorative di cui sopra. Cioé se è vero che «non è più possibile stipulare i contratti a progetto regolati dal d.lgs. 276/2003, la cosiddetta Legge Biagi, perché queste norme sono state abrogate», Tiraboschi sottolinea che «i contratti a progetto erano però, nella sostanza, una categoria particolare di collaborazioni coordinate e continuative, quelle regolate dall’art. 409 n° 3 del codice di procedura civile, che invece rimane in vigore». Morale della favola: «Si possono ora stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa del tutto similari ai contratti a progetto, come avveniva prima del 2003» dice il giuslavorista «ma ai collaboratori non dovranno essere riconosciute necessariamente le tutele introdotte dalla legge Biagi. Tra queste le norme che consentivano al lavoratore una sospensione del contratto in caso di malattia, o definivano la durata del contratto, legandola appunto al progetto, e limitavano i casi in cui il committente poteva recedere. Senza dimenticare quelle che fornivano indicazioni in merito al corrispettivo minimo da garantire al collaboratore. Non essendo più in vigore tali limitazioni, la regolazione di questi aspetti rimane in mano alle parti». Tiraboschi prevede pessimisticamente che «spesso si risolverà in una disciplina meno favorevole per il collaboratore, quando quest’ultimo non avrà lo stesso potere contrattuale di chi offre lavoro. Insomma, da questo punto di vista pare ci sia un arretramento di tutele». Le collaborazioni che potranno essere instaurate insomma «non sono nuove, come sopra evidenziato, e anzi potrebbero far riscontrare nuovamente, nell’ordinamento, quegli abusi applicativi a cui la legge Biagi aveva tentato di porre rimedio».Falasca è sostanzialmente d'accordo: «I cococo erano vigenti ma applicabili solo se collegati a un progetto. Il Jobs Act ha cancellato l'obbligo di progetto ma ha lasciato in vita i  cococo; per la pubblica amministrazione già prima non c'era il vincolo del progetto, oggi i due settori, pubblico e privato, si sono allineati». Ma secondo l'avvocato «la riforma dovrebbe ridurre ulteriormente l'utilizzo delle collaborazioni, considerato anche che ci sono gli incentivi,  seppure meno convenienti del 2015, per chi assume a tempo indeterminato ed è prevista anche una sanatoria per gli illeciti. Non scompariranno del tutto, però, perché in molte attività lo strumento è quello più adatto al rapporto».Se dunque da un lato i contratti a progetto come previsti dalla legge Biagi spariscono, dall’altra continuano a rimanere in vita una serie di collaborazioni continuative, segnate da un numero di restrizioni minore rispetto ai vecchi cocopro e quindi non sempre necessariamente favorevoli al lavoratore. «Oggi i cococo si possono fare in tutti i settori, prima era solo pubblica amministrazione ma solo perché non si applicava la legge Biagi e dunque il lavoro a progetto» aggiunge Tiraboschi: «Venuto meno il lavoro a progetto, si può fare il cococo per ogni lavoro e per ogni settore, ferma restando quella presunzione di subordinazione per i rapporti di collaborazione etero-organizzati dal committente. Tempo e luogo di lavoro sono i principali indicatori della etero-organizzazione».Sarà interessante valutare nel prossimo anno quante delle attuali collaborazioni diventeranno effettivamente assimilabili al lavoro subordinato a livello contrattuale e quante invece tenderanno a «sopravvivere» seppur in forme e modalità differenti. Inoltre «bisognerà vedere se la riforma prenderà sul serio i rischi connessi alla etero-organizzazione» conclude il giuslavorista: «Se così non fosse, l'abrogazione del progetto si risolverebbe in una liberalizzazione del lavoro parasubordinato, effetto contrario a quello voluto dal legislatore». Speriamo di no. Chiara Del Priore

Stage alla Commissione Ue, il bando è aperto e gli italiani accorrono: «Un'esperienza che aumenta le possibilità di trovare lavoro»

Ancora boom di partecipazione degli italiani agli stage presso la più importante istituzione della Ue, la Commissione europea di Bruxelles. «Negli ultimi dieci anni le loro candidature sono state le più alte di tutti i paesi Ue»: a confermarlo alla Repubblica degli Stagisti è Florencia van Houdt, responsabile alla direzione Youth programme, outreach tools and traineeships all'organo di governo dell'Unione. «Il programma di tirocini ha sempre attratto una grande quantità di giovani fin dalla sua creazione nel 1960» prosegue «e le statistiche dimostrano che chi fa questa esperienza ha più chance di trovare un lavoro in seguito, molto spesso legato alle politiche europee». Quella riga prestigiosa in più sul cv, sopratutto considerando il contesto del mercato del lavoro italiano che rispetto all'occupazione giovanile è messo piuttosto male, spiega insomma le 2.730 candidature arrivate dal Belpaese solamente nella sessione di ottobre 2015. Su un totale di circa 24mila domande pervenute per quella sessione noi siamo davanti a tutti gli altri (la Spagna è seconda con 2.300,gli altri Paesi si attestano molto al di sotto delle mille unità). Anche se si rileva un lieve calo, perché negli anni precendenti si era andati oltre le 4mila application dall'Italia per la sessione di ottobre.Il richiamo insomma è sempre forte, anche perché le condizioni di stage sono tra le migliori in circolazione: 1.120 euro di rimborso mensile, con copertura aggiuntiva delle spese di viaggio di andata e ritorno (l'assicurazione sanitaria è invece a parte), per cinque mesi. Chi si iscrive adesso, se supera le selezioni, è ammesso alla tranche di tirocini – ogni anno ce ne sono due – che va dal primo marzo al primo ottobre 2016. Ci si candida attraverso il web, a questo link, entro il 29 gennaio a mezzogiorno. I posti disponibili sono molti, circa 650 a sessione, e gli italiani ammessi a ottobre scorso sono stati più di 50. Può farsi avanti chiunque abbia conseguito una laurea, anche triennale, e abbia un'ottima conoscenza dell'inglese, del francese o del tedesco e di una seconda lingua europea: come specificato sul sito non si deve trattare di soggetti madrelingua, il punteggio è assegnato infatti sulla sola base del merito. Escluso dalla corsa chi abbia partecipato a stage rimborsati o abbia lavorato presso le istituzioni Ue per sei settimane consecutive. Il processo di selezione prevede poi alcune particolarità. Dopo la prima scrematura dei cv – nell'application non serve inviare documentazione, che sarà invece richiesta in caso di superamento della prima fase – si finisce nel cosiddetto Blue Book. «Ci sono due valutatori» specifica la van Houdt, «viene assegnato un punteggio, anche in base alla nazionalità di provenienza» nel senso che si cerca di garantire un equilibrio tra i diversi paesi di origine. I migliori finiscono appunto nel Blue Book, una shortlist di circa 3mila persone, attraverso «un meccanismo procedurale» spiega, a cui è associata la richiesta dell'invio della documentazione ufficiale: certificati, diplomi e altro. Da questa lista attingano le varie direzioni della Commissione a seconda delle loro esigenze. Chiamare o insistere per la propria selezione è da evitare, spiega la responsabile, «perché sono le direzioni generali a contattare i diversi candidati in caso ne abbiano necessità»: ma su questo i pareri sono discordanti e alcuni ex eurotirocinanti, tra cui uno che aveva condiviso tempo fa la sua esperienza proprio con la Repubblica degli Stagisti, raccontano invece di essere riusciti a entrare proprio dimostrandosi proattivi e prendendo contatti diretti con le Direzioni.  Attenzione comunque a non illudersi in caso si riceva una telefonata "esplorativa": un'intervista telefonica non significa che si sia stati presi, e l'ufficialità è data solo dall'invio della convenzione da sottoscrivere. Quanto alle mansioni, possono essere le più disparate e «abbracciano tutti i settori di competenza della Ue: risorse umane, legal, ambiente, formazione» snocciola Florencia van Houdt. La tipica giornata dello stagista Ue prevede «l'assistenza a meeting, gruppi di lavoro, ricerca di documentazione, partecipazione a progetti in corso». C'è molto da aspettarsi da un'esperienza simile anche al di là dei compiti affidati nella quotidianità. Si passa attraverso un periodo di approfondimento delle politiche della Ue, «con l'opportunità di vedere cosa succede giorno per giorno e di trasferire le conoscenze accademiche nella pratica». I reclutatori della Commissione cercano nei candidati «apertura verso le problematiche europee, proattività, desiderio di imparare e contribuire con la freschezza del proprio background». Per chi se la sente, come detto le selezioni sono aperte fino al 29 gennaio: gli italiani in lizza al momento sono già più di 2.200.  Ilaria Mariotti 

Openjobmetis e Mind the bridge cercano startup per innovare il mondo delle Risorse umane

L'agenzia per il lavoro Openjobmetis e la fondazione “Mind the Bridge” cercano start-up e idee innovative nel settore del recruitement: c'è tempo fino al 30 gennaio per candidarsi. Openjobmetis, nata nel 2011 dalla fusione di Openjob spa e Metis spa, conta più di 120 filiali distribuite su tutto il territorio nazionale; con un bilancio che a fine 2014 si è chiuso con ricavi pari a 400 milioni di euro, è oggi quotata sul mercato telematico azionario di Borsa Italiana.Su queste basi ha deciso di lanciare un bando per selezionare i migliori progetti di innovazione digitale nell'ambito della selezione del personale. «Per la nostra azienda è fondamentale confrontarsi con le realtà che stanno rivoluzionando il mondo delle human research», spiega alla Repubblica degli Stagisti l'amministratore delegato Rosario Rasizza [nella foto a destra].Possono candidarsi le start-up, sia italiane che straniere, che siano attive nel settore della ricerca e selezione del personale. Non ci sono limiti di età per partecipare e potrà presentare la propria candidatura anche chi avesse un'idea innovativa per questo ambito professionale senza per forza averla ancora trasformata in una società - con la precisazione che in questo caso sarà data preferenza ad iniziative sviluppate nei territori delle province di Milano, Varese e Novara. Un legame territoriale che l'azienda fondata a Gallarate, nel Varesotto, vuole sottolineare anche con la scelta di organizzare per il 27 ed il 28 febbraio un boot camp dedicata alle start-up e alle idee selezionate, con un momento di presentazione pubblica al PalaWhirlpool - il palazzetto che ospita le partite della Pallacanestro Varese, della quale Openjobmetis è per la seconda stagione consecutiva lo sponsor principale.La due giorni, a porte chiuse, coinvolgerà i partecipanti al bando in sessioni di mentorship e di incontri con i manager dell'agenzia per il lavoro. Una conoscenza propedeutica alla selezione dei progetti vincitori. Prevista anche, nella serata del 27, una “Notte bianca del lavoro”, evento pubblico nel corso del quale saranno presentati i progetti selezionati. «Con questo evento abbiamo voluto condividere con la città e il territorio che ci ha visto crescere la volontà di conoscere, approfondire e scoprire le dinamiche che stanno cambiando rapidamente il mercato del lavoro» dice Rasizza.In questo percorso Openjobmetis sarà affiancata dalla fondazione italo-americana “Mind the bridge”, realtà che offre formazione imprenditoriale agli startupper, accompagnandoli a conoscere da vicino il mondo della Silicon Valley. Una realtà che nel 2014 è stata scelta dalla Commissione Europea per guidare la Startup Europe Partnership, piattaforma nata con l'obiettivo di favorire lo sviluppo di un ecosistema continentale.Sarà MTB ad affiancare l'agenzia nel lavoro di scouting delle idee candidate e nella selezione delle migliori. «Oggi le startup sono di moda, ma questo non basta» ammonisce il presidente Alberto Onetti: «Le loro potenzialità di innovazione andranno perse se non troveranno partner commerciali in grado di dare loro possibilità di applicazione su larga scala». In palio infatti in questo caso non ci sono né fondi, né percorsi di mentorship, né periodi di incubazione: Openjobmetis offrirà alle startup vincitrici una partnership commerciale o addirittura anche l'acquisizione. In altre parole, vuole «dare loro un'opportunità di crescita».Riccardo Saporiti Photo Credit: Flickr Licenza CC BY 2.0 

Niente salario minimo ma tante nuove tutele, in arrivo il Jobs Act del lavoro autonomo: ecco in anteprima i contenuti

Molte critiche si possono avanzare al governo Renzi, ma non che sul Jobs Act stia tirandola per le lunghe - quantomeno rispetto ai tempi medi dei provvedimenti normativi italiani. La bozza della nuova regolamentazione del lavoro autonomo, uno degli ultimi tasselli mancanti, è pronta, e la prospettiva è che possa venire approvata entro metà anno. La Repubblica degli Stagisti ha potuto visionare in anteprima il testo, che ricalca in molti punti le istanze e rivendicazioni portate avanti da gruppi organizzati di lavoratori autonomi, dall'Acta al collettivo Alta Partecipazione. Ecco i pro e i contro che abbiamo rilevato.Contro - non c'è nessun intervento a tutela dei compensi. Nessun "salario minimo", in nessuna formulazione, nemmeno sperimentale. Certo, è vero che non è una misura semplice da elaborare, perché il lavoro autonomo ha mille facce e mille livelli di specializzazione; ma certamente il più grande buco di questo testo è proprio quello di non affrontare il grave problema degli autonomi sottopagati.Pro - non sono esclusi gli iscritti agli ordini professionali. Finora la maggior parte degli interventi sul lavoro autonomo atti a disincentivare gli abusi ha avuto un limite incomprensibile e ingiusto, escludendo i professionisti. Bastava essere iscritti a un ordine professionale per rimanere fuori dalle tutele previste, per esempio, dalla legge Fornero rispetto alle limitazioni per i contratti a progetto. Il Jobs Act del lavoro autonomo prevede all'articolo 1 invece un campo di applicazione sull'universo pressoché intero dei «rapporti di lavoro autonomo», escludendo - come del resto è logico - solamente «i piccoli imprenditori artigiani e commercianti iscritti alla Camera del commercio». Inevitabilmente, però, alcune delle disposizioni non potranno riguardare gli iscritti a ordini professionali: si tratta di quelle che hanno a che fare con la previdenza, perché ciascun Ordine ha una sua cassa previdenziale che prevede regole specifiche relative anche alla malattia e alla maternità.Pro - tutela della maternità / paternità. Il dualismo del mercato del lavoro italiano negli ultimi vent'anni ha comportato per le donne un vero e proprio apartheid: quelle con contratto di lavoro subordinato avevano diritto a tutta una serie di garanzie in caso di maternità, che invece per le lavoratrici precarie e ancor di più per quelle autonome erano fantascienza. Gli ultimi interventi legislativi stanno cercando di sanare questa ingiustizia, allargando progressivamente le tutele. In questo senso, il Jobs Act prevede all'articolo 8 una modifica all'articolo 66 del decreto 151/2001, sancendo che l'indennità «viene erogata, indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività, dall'Inps a seguito di apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente per territorio». Evitando dunque i tristi sotterfugi cui molte autonome hanno finora dovuto fare ricorso, fatturando successivamente i lavori svolti nei mesi appena successivi al parto per non incorrere in penalizzazioni. Inoltre, il congedo parentale viene esteso «alle lavoratrici o ai lavoratori autonomi» che siano diventati genitori «di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2016»: a loro il Jobs Sct garantisce il «relativo trattamento economico e il trattamento previdenziale» per «periodo di 6 mesi entro i primi tre anni di vita del bambino».Pro - tutela in caso di  malattia. Che succede al lavoratore autonomo se partorisce o se, circostanza ben meno felice, si infortuna o si ammala di una malattia grave? Che se la deve cavare da solo. Finora infatti non erano previste tutele; anche perché il rapporto tra un committente e un lavoratore autonomo è particolare, e non si può negare che, qualora quest'ultimo sia impossibilitato ad assicurare la prestazione, il committente possa trovarsi nella necessità di far svolgere quel lavoro da qualcun altro. E inevitabilmente i guadagni di un lavoratore autonomo in questi periodi si riducono moltissimo, perché chi non lavora non fattura e chi non fattura non guadagna. Proprio in periodi in cui spesso le spese aumentano, come per esempio se ci si deve curare. Ora il Jobs Act prova a introdurre qualche elemento di garanzia, prevedendo che all'articolo 10 che «in caso di malattia di gravità tale da impedire lo svolgimento della attività professionale per una durata superiore ai 60 giorni, il versamento degli oneri previdenziali è sospeso per l’intera durata del periodo di malattia fino ad un massimo di due anni». Attenzione però: si tratta di una sospensione, e una volta tornato in salute il lavoratore autonomo dovrà pagare gli arretrati. Una volta cessata la malattia «il lavoratore autonomo è tenuto ad effettuare il pagamento del debito previdenziale maturato durante il periodo di sospensione», con tempistiche diluite e cioè «in rate mensili nell’arco di un periodo pari a tre volte quello di sospensione». Allo studio del governo c'è poi ancora un dettaglio non da poco: se prevedere che la sospensione riguardi, oltre agli oneri previdenziali, anche quelli fiscali, oppure no.Pro con punto di domanda - tutela rinforzata in caso di tumori. Il Jobs Act attribuisce ai «trattamenti terapeutici delle malattie oncologiche» l'equiparazione alla «degenza ospedaliera», andando a ritoccare un decreto del ministero del Lavoro del 2001 che descrive i «criteri per la corresponsione dell’indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera agli iscritti alla gestione separata». Ma è pur vero che vi sono altre malattie altrettanto gravi dei tumori, che prevedono trattamenti terapeutici invasivi che potrebbero - dovrebbero - essere anch'essi equiparati alla degenza.Pro - viene introdotto un bilanciamento che riequilibra i rapporti di forza tra le parti. Finora il libero professionista che offre la sua prestazione sul mercato, a meno di non partire da una (rara) posizione di grande forza (nome famoso, competenze specifiche introvabili sul mercato, folta rete di conoscenze…), parte da una posizione di svantaggio. Nella maggior parte dei casi infatti i termini di prestazione lavorativa, le tempistiche e addirittura i compensi sono imposti dal committente, che si fa forte della possibilità di trovare altrove qualcun altro più disponibile, annullando così la genuinità del rapporto tra un professionista e il suo committente. A questo proposito il Jobs Act delinea all'articolo 3 un quadro delle «clausole abusive», definendole appunto come quelle «clausole che, all’interno di un contratto cha abbia ad oggetto una prestazione di lavoro autonomo, realizzino un eccessivo squilibrio contrattuale tra le parti in favore del committente». L'elenco prevede quattro fattispecie: le clausole che «riservino al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto», quelle che «attribuiscano al committente la facoltà di recedere dal contratto senza congruo preavviso», la pattuizione di «termini di pagamento superiori ai 60 giorni» e infine «il rifiuto del committente  di stipulare in forma scritta gli elementi essenziali del contratto». Resta tutta da verificare, però, la reale possibilità che queste regole scoraggino i committenti a priori dalla tentazione di abusare della propria posizione di forza; sembrano cioè disposizioni da far applicare ai giudici, in caso di contenziosi legali, più che condizioni da rispettare a priori. Utili, dunque, ma solo per quella microscopica casistica di casi che arrivano in Tribunale.Pro - le spese diventano deducibili. Non si finisce mai di imparare: per essere sempre aggiornato un professionista ha bisogno di dedicare tempo e denaro per la formazione. Chi trascura questo aspetto si trova prima o poi fuori mercato. Il Jobs Act all'articolo 5 prevede una modifica di un decreto del 1986 che amplia la deducibilità di queste spese: «entro il limite annuo di 10mila euro, le spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale nonché le spese di iscrizione a convegni, congressi e simili sono integralmente deducibili». Inoltre, all'articolo 6 si aggiunge che anche «le spese sostenute dal lavoratore autonomo per servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca, addestramento, sostegno all’auto-imprenditorialità, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro erogati dagli organismi accreditati sono interamente deducibili dal reddito entro il limite annuo di 5mila euro».  Pro - appalti pubblici. Finora i lavoratori autonomi non hanno potuto facilmente svolgere lavori per la pubblica amministrazione, se non in qualità di consulenti - e dunque favorendo spesso le conoscenze amicali piuttosto che il merito. Il Jobs Act apre invece alla possibilità che le amministrazioni pubbliche nazionali e locali «in qualità di stazioni appaltanti» debbano promuovere «la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici, in particolare favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche» e che debbano anche adattare «laddove possibile i requisiti previsti dai bandi e dalle procedure di aggiudicazione alle caratteristiche di tali lavoratori».Pro ma con punto di domanda - uno dei punti più dolenti per i lavoratori autonomi è la certezza di essere pagati, e quello delle tempistiche di pagamento. Il Jobs Act introduce rispetto a questo tema una garanzia «contro i ritardi di pagamento dei compensi», all'articolo 2, semplicemente modificando il raggio di applicazione di un vecchio decreto legislativo (231/2002 e successive modifiche), finora limitato ai «contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni», ed estendendolo «anche alle transazioni commerciali tra imprese e lavoratori autonomi o tra lavoratori autonomi». Il problema qui è che questo decreto legislativo è risultato palesemente inefficace: pur prevedendo che tutte le fatture dovrebbero essere saldate a 30 giorni, e che termini di pagamento più lunghi dovrebbero essere concordati tra le parti e mai eccedere i 60, in realtà la cronaca ci ha raccontato i ritardi mostruosi - sopratutto delle pubbliche amministrazioni - nei confronti dei creditori. E anche nei rapporti tra imprese, spesso una piccola non può che adattarsi alle lungaggini del committente più potente, perché andare in giudizio comporta non solo spese legali e ulteriori attese, ma spesso può anche minare il rapporto di fiducia e comportare la fine della collaborazione (con una penalizzazione, a conti fatti, della piccola impresa). Questi problemi rischiano di riprodursi tali e quali, se non aggravati, applicando la normativa anche ai lavoratori autonomi.Pro ma con un grosso punto di domanda - lo sportello per gli autonomi sul mercato del lavoro. Finora i lavoratori autonomi hanno sempre dovuto arrangiarsi; tutt'al più qualche professionista ha potuto forse far riferimento, nella ricerca di lavoro, al suo Ordine professionale (benché siano davvero pochi quelli che negli ultimi anni si sono seriamente posti il problema degli sbocchi professionali dei propri iscritti - noi abbiamo raccontato per esempio, di recente, l'idea dell'Ordine dei biologi per il matching con le aziende in cerca di quelle professionalità, ma si tratta di una mosca bianca). Ora il Jobs Act prevede che gli autonomi debbano poter avere «diritto di accesso alle informazioni sul mercato» e sopratutto fruire di «servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione». Il che vuol dire, si legge nel testo dell'articolo 6, che «i centri per l’impiego e gli organismi accreditati si dotano, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo». Questo sportello «raccoglie le domande e le offerte di lavoro autonomo, fornisce le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta, fornisce informazioni relative alle procedure per l’avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni, per l’accesso a commesse ed appalti pubblici, nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali». Il problema è che i centri per l'impiego sono oggi totalmente inadeguati a fornire servizi di qualità all'utenza: hanno poco personale, nella maggior parte dei casi poco preparato; hanno subito un contraccolpo fortissimo con il caos della soppressione delle Province, con il risultato che la loro già scarsa dotazione economica è stata ulteriormente rivista al ribasso, o quantomeno congelata. Con turn-over bloccato e dotazione di strumenti tecnologici pressoché inesistente, i centri per l'impiego già fanno fatica a non soccombere e a far fronte all'ordinaria amministrazione. Per aprire degli sportelli per lavoratori autonomi bisognerebbe necessariamente mettere a disposizione un budget adeguato, assumere personale specializzato. Una prospettiva realistica?Staremo a vedere quali saranno le reazioni del parlamento quando la bozza di decreto arriverà in discussione, e se vi sarà spazio per eventuali migliorie.Eleonora Voltolina

30 opportunità di stage all'anno all'Interpol, il rimborso è 550 euro al mese

Anche l'Interpol accoglie stagisti. Con un programma di tirocini che non prevede pause: «Non ci sono edizioni che si succedono, accettiamo candidature tutto l'anno e selezioniamo profili ogni volta che si apre una posizione» dice alla Repubblica degli Stagisti l'ufficio stampa. Gli ammessi non sono un numero elevato – poche decine l'anno, «circa una trentina» – benché le richieste siano incessanti: «intorno alle 300 al mese» si legge nelle Faq pubblicate sul sito ufficiale. Uno su cento ce la fa, dunque, più o meno.Sono benvenute le candidature di ragazzi da tutti i 190 paesi membri dell'organizzazione (ognuno dei quali dotato di un ufficio centrale connesso con i restanti per «permettere la realizzazione di inchieste mondiali»). È bene specificare infatti che l'Interpol, nata negli anni Venti del secolo scorso, svolge un ruolo essenziale – mai come oggi – per collegare le polizie di tutto il mondo allo scopo di prevenire e combattere l'illegalità internazionale nei settori più diversi: crimini finanziari, informatici, ambientali, corruzione, terrorismo, narcotraffico, solo per citarne alcuni.Non a caso a chi si candida da uno dei Paesi della rete (di cui fa parte l'Europa intera) è richiesta – come conditio sine qua non – la fedina penale immacolata, che andrà presentata in caso di superamento della selezione. Tra i requisiti c'è la laurea presa da meno di sei mesi oppure la condizione di studente e la conoscenza fluente dell'inglese, mentre è titolo preferenziale sapere altre lingue usate negli uffici dell'ente, come lo spagnolo, il francese e l'arabo. Il rimborso spese non è dei più sostanziosi per stage internazionali di questa caratura, anche se dignitoso (specie considerando che gli ammessi sono studenti o neolaureati): 550 euro mensili. Una cifra associata però ai soli tirocini su Lione, la sede centrale Interpol, che è quella a cui normalmente si è destinati.In caso di stage in altra città o paese (una destinazione tipica è ad esempio anche Singapore), l'importo viene ridefinito «adattandosi al costo della vita locale in base alle statistiche Onu e rivisto secondo i giorni di presenza effettiva se lo stage non è cominciato a inizio mese». A differenza di altri programmi di tirocini internazionali non è prevista però, è bene saperlo in anticipo, la copertura delle spese di viaggio per raggiungere la sede assegnata. Quanto alla durata dell'esperienza, in genere si va da un minimo di due a un massimo di 11 mesi, «senza particolari formalità: dipende dalle singole circostanze» aggiungono dall'ufficio stampa.Per partecipare si invia una application online (dopo essersi creati un account personale). Bisogna essere consapevoli che la risposta arriverà solo in caso di esito positivo: «Solo gli ammessi saranno contattati: a causa del grande numero di richieste, non siamo in grado di rispondere a tutti». La scrematura avviene sulla base dei titoli, a cui fa seguito un'intervista telefonica. Da tenere a mente c'è poi un altro aspetto: gli stagisti Interpol non vengono inseriti nei reparti operativi di polizia, né in quelli di coordinamento. Non si gioca insomma a fare i poliziotti. Ci si sta formando, e si viene per questo inseriti in 'tranquilli' contesti di ufficio. Sul sito c'è l'elenco delle unità dove più di frequente vengono indirizzati stagisti, per lo più su Lione e Singapore: e le aree sono comunicazione, finanza, legal, traduzioni, risorse umane. Anche se, premesso ciò, nulla vieta a uno stagista di indicare il settore di preferenza nella sua candidatura e sperare di essere accontentato.Uno stage all'Interpol non è tra i più consueti, senza dubbio. Ma – almeno sulla carta – è tra i più affascinanti, se non altro perché si ha la sensazione che chi si recluta venga messo davvero al lavoro, e possa prendere parte a progetti di un certo peso. Chi ha fatto uno stage qui si è garantito «una visione su come opera un'organizzazione internazionale e su come la cooperazione internazionale di polizia sia strutturata», viene sottolineato nelle Faq, oltre a un «rafforzamento del proprio background formativo grazie all'assegnazione di compiti pratici». Da parte loro gli stagisti, seguiti  da «persone qualificate, sono stimolati a offrire i loro punti di vista e a fornire competenze di livello universitario». Un percorso di condivisione di competenze e di crescita professionale, insomma, che dovrebbe essere alla base di ogni stage che rispetti la sua finalità primaria: quella formativa.Ilaria Mariotti

È ora di tornare a investire sul capitale umano: oggi il punto sul fenomeno expat al Meetalents di Bologna

«La molla che fa scattare la decisione di partire non è tanto il livello di occasioni di lavoro del proprio territorio, ma il divario tra le prospettive offerte qui e le aspettative di valorizzazione del proprio capitale umano». Alessandro Rosina, direttore del dipartimento di Demografia dell'università Cattolica di Milano e presidente dell'associazione Italents, spiega così il fenomeno sempre crescente dei giovani italiani che scelgono la via dell'estero dando il via oggi a Bologna all'evento Meetalents, appuntamento annuale giunto alla sua quarta edizione.Un giorno per riflettere sul tema expat, confrontare dati e politiche: «L’emigrazione di oggi è molto diversa rispetto a quella degli anni Sessanta e Settanta» continua Rosina, perché i giovani di oggi hanno una grande «apertura verso il mondo, il desiderio di non dare confini al proprio movimento e alla propria azione, la libertà di scegliere, l’insofferenza verso contesti che non riconoscono il proprio valore». Torna il concetto di capitale umano: «Per mettere fine alla perdita di risorse più che ridurre la “fuga” si deve favorire la circolazione: è necessario mettere in atto un piano credibile di valorizzazione del capitale umano in Italia, ovvero attrarre talenti. E non lo si può fare continuando a investire poco in ricerca, sviluppo e innovazione come facciamo noi».Padrona di casa del Meetalents 2015 insieme a Rosina sarà Maria Chiara Prodi, fondatrice di EXBO, rete di bolognesi all'estero. Lei stessa da molti anni emigrata a Parigi, dove oggi è coordinatrice artistica de l’Opéra Comique, la Prodi è stata da poco anche eletta tra i quattro consiglieri per la Francia del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero.Al Meetalents, che quest'anno ha ricevuto il patrocinio del Comune di Bologna e della Regione Emilia-Romagna, parteciperà naturalmente anche la Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo, ente creato nel 2006 che ad oggi federa oltre cento associazioni sparse in quattro continenti.Appuntamento all'Urban Center di piazza Nettuno: il programma prevede che la mattinata si apra alle 10, con i saluti istituzionali e la relazione «Expat: numeri, narrazione, politiche di una generazione in movimento» di Alessandro Rosina, seguita dalla presentazione della ricerca promossa dalla Consulta degli emiliano-romagnoli «Indagine conoscitiva sui talenti emiliano-romagnoli emigrati e sui talenti rientrati». A illustrare i dati sarà Paolo Balduzzi, anche lui docente della Cattolica e tra i più attivi membri dell'associazione Italents.A seguire, la tavola rotonda «Politiche nazionali e locali per la valorizzazione e la circolazione virtuosa dei talenti e la partecipazione dei cittadini all’estero» che verrà moderata da Eleonora Voltolina, direttore della testata online Repubblica degli Stagisti e vicepresidente di Italents. Al dibattito parteciperanno Annibale d’Elia, dirigente dell'Ufficio Politiche Giovanili della Regione Puglia; Anna Ascani, direttore dell'Agenzia Umbria Ricerche; Manuela Atzori dell'Agenzia Regionale del Lavoro della Regione Sardegna; Gian Luigi Molinari, neopresidente della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo; Roberta Mori, presidente della Commissione “Parità e diritti delle persone” della Regione Emilia-Romagna; e Nadia Monti, Assessore alla legalità, giovani, servizi demografici del Comune di Bologna.Nel pomeriggio, a partire dalle 14:30, Maria Chiara Prodi [nella foto, durante un suo recente speech "Ted"] terrà una presentazione sulla rappresentanza degli italiani all’estero tra istituzioni e associazioni, ad uso di amministrazioni locali e cittadini attivi, per rispondere alla domanda «Qual è il luogo in cui istituzioni e italiani all’estero si incontrano e collaborano?».Seguirà un momento in cui amministrazioni locali e reti associative si metteranno a confronto a partire dagli stimoli forniti dal pamphlet «Prima che sia domani» di Furio Hansell e Gabriele Giacomini, presentato da Luisa Cavestri di Exbo, per approfondire quanto importante possa essere il ruolo giocato dalle politiche locali per migliorare l’attrattività dei talenti e la partecipazione dei cittadini all’estero.Il Meetalents proseguirà con un workshop organizzato con numerose associazioni -  La Comune del Belgio, Libera, Exbo, MCL/ACLI Francia, Progetto RENA, Bellunesi nel mondo, Expatclic... - facilitato dalla giornalista Silvia Favasuli della testata online Linkiesta, per focalizzare le modalità più efficaci per i giovani italiani, sia in patria sia all'estero, per far sentire la propria voce e contribuire ai processi di cambiamento dell'Italia. E certamente per fare il punto su quanto accaduto nelle ultime settimane con la legge Controesodo, con il "balletto" di disposizione contraddittorie sugli sgravi fiscali per gli expat che scelgono di tornare in Italia: un caso di cui anche la Repubblica degli Stagisti si è occupata, che per fortuna sembra destinato a risolversi positivamente, ma che da chi vive all'estero è stato purtroppo percepito come la cartina di tornasole dell'inaffidabilità dell'Italia nei confronti dei suoi cittadini.La giornata si chiuderà in bellezza con un aperitivo, dalle 18:30 in poi, al Caffè “La linea”, piazza Re Enzo 1/4: #tousenterrasse Chi è interessato a questi temi non può mancare!

Stage, nel 2014 timidi segnali di miglioramento: i dati del dossier Excelsior di Unioncamere

Gli stage nelle imprese private realizzati nel 2014 sono stati 320.100, in aumento del 3,1% rispetto all'anno precedente. È il primo dato del dossier "Formazione continua e tirocini" del Rapporto Excelsior di Unioncamere, che la Repubblica degli Stagisti ha potuto visionare in anteprima; il dossier è stato da poco pubblicato anche sul sito ufficiale.320mila, dunque. Di loro, circa 38mila sono stati assunti: in percentuale vuol dire 11,9%. Anche questo è un dato in crescita rispetto agli anni precedenti: tra il 2010 e il 2013 eravamo rimasti inchiodati al di sotto del 10%.Impossibile che questi dati possano già risentire degli effetti del Jobs Act, dato che sono riferiti ai tirocini attivati nelle aziende italiane tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 2014, quando nessuno dei decreti attuativi del provvedimento sul lavoro targato Renzi-Poletti era ancora stato approvato; né della decontribuzione delle assunzioni a tempo indeterminato prevista dalla Legge di stabilità, che ha riguardato solo le assunzioni realizzate dal 1° gennaio 2015 in poi. Improbabile anche che abbia influito più di tanto la Garanzia Giovani, con i suoi incentivi all'assunzione di stagisti: la GG infatti è partita ufficialmente il 1° maggio del 2014, con l'avvio dei primissimi tirocini intorno al luglio di quell'anno.Dunque si tratta di dati senza particolari "connotazioni", che ci dicono come sempre cose abbastanza interessanti. «I fondamentali risultati dell’indagine, quasi tutti di segno positivo, sono piuttosto confortanti» scrivono i ricercatori di Unioncamere: «Confermano il carattere formativo di questa esperienza, che consente ai giovani in uscita o appena usciti dai diversi cicli di istruzione di completare e integrare la preparazione ricevuta, e la sua importanza per le imprese, che in questo modo possono verificare nel concreto la preparazione effettiva dei giovani in uscita dal sistema scolastico, la loro capacità di integrazione nell’ambiente di lavoro e l’interesse per le prospettive professionali che l’azienda può loro offrire». Quell'11,9% di tasso di assunzione post stage viene valutato positivamente: «Lo stage e il tirocinio continuano ad essere modalità privilegiate dalle imprese per testare possibili candidati cui offrire un contratto di lavoro e, come si evince per le assunzioni programmate nel 2014, le stesse imprese hanno attinto in misura superiore al passato ai giovani che avevano già ospitato come tirocinanti o stagisti».Anche se a Unioncamere non sfuggono le zone d'ombra: «Si tratta di un fenomeno che si presta a più interpretazioni: se da un lato è segno di spazi crescenti per l’inserimento lavorativo dei giovani - un segmento particolarmente in sofferenza negli ultimi anni – e di opportunità da parte delle imprese di acquisire nuove risorse, dall’altro potrebbe essere il risultato di comportamenti indotti nei giovani dalle crescenti difficoltà incontrate nell’inserirsi con un contratto standard».Il nuovo Dossier conferma che le grandi aziende sono quelle più abituate e interessate ad ospitare stagisti: «Come negli anni precedenti, la quota delle imprese che hanno manifestato disponibilità a ospitare tirocinanti e stagisti cresce all’aumentare delle dimensioni aziendali, dal 10,3% di quelle fino a 9 dipendenti al 71,6% di quelle con almeno 250 addetti». In particolare è più frequente l'utilizzo dello strumento dello stage in alcuni settori: «Nelle industrie high-tech, Public Utilities e servizi qualificati l’incidenza delle imprese che hanno ospitato stagisti e tirocinanti è molto superiore alla media» con «valori sono compresi tra il 17,8 e il 20,1%».Ma cosa intende Unioncamere quando parla di aziende high-tech e servizi qualificati? Per quanto riguarda l'industria, «adottando come discrimine una quota di laureati superiore almeno al doppio della media, vengono identificati come high-tech il comparto estrattivo, quello chimico, farmaceutico e petrolifero, quello delle produzioni elettriche ed elettroniche e quello della produzioni di macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto». Per il comparto dei servizi, invece, adottando lo stesso criterio, «servizi dei media, informatici e delle TLC, servizi avanzati alle imprese, credito e assicurazioni, istruzione e servizi formativi, sanità e assistenza e studi professionali».A livello geografico gli stage avvengono prevalentemente nell'Italia settentrionale: «Il Nord-Est si conferma l‘area nella quale anche nel 2014 è massima la propensione ad ospitare tirocinanti», prova ne sia che «tutte le regioni del Triveneto rientrano tra le prime cinque in classifica». In cifre assolute resta però Milano la capitale degli stagisti, con 28.170 tirocinanti ospitati nelle sue imprese private nel corso del 2014: tanti quanti l'intero Lazio. Tutta la Lombardia complessivamente ne ha ospitati poco più di 74mila: oltre un quarto degli stage nelle imprese private italiane si svolge dunque in questa Regione. Fatte le dovute proporzioni con la popolazione di ciascuna Regione, ve ne sono poi alcune dove si è registrato l'anno scorso un piccolo boom dell'utilizzo dello strumento dello stage: «Performance positive soprattutto in Valle d’Aosta (+15%), in Piemonte e Lombardia». Per converso, invece, c'è stata una «forte riduzione registrata in Liguria (-14,3%)». Sempre a livello di quantità di stage, in Centro Italia Unioncamere rileva «una robusta crescita nel numero complessivo di stagisti e tirocinanti (+5,8%)» specificando che «la regione che ha più contribuito a questo aumento è il Lazio (+10,2%), seguito, a distanza, dalla Toscana (+6%)» e che «la punta positiva massima si raggiunge», sempre nella Regione amministrata da Enrico Rossi, «nella provincia di Pistoia». Un dato che sfata dunque una volta per tutte i timori che, nel 2012, avevano accompagnato l'approvazione in Toscana della prima normativa regionale italiana che poneva l'obbligo del rimborso spese a favore degli stagisti: si sbagliava, evidentemente, chi aveva predetto che gli stage sarebbero crollati. Ma chi sono gli stagisti? In sostanza tutti coloro che hanno bisogno di «completare “sul campo” la formazione» e vengono dunque attivati «soprattutto per coloro che stanno completando o hanno appena completato i cicli di studio specialistici»: ecco perché, come conferma lo studio di Unioncamere, «una quota rilevante di stagisti» è rappresentata da laureati o laureandi - «quasi il 32% del totale».Qui va però rilevato che Unioncamere non ha ancora adeguato la sua rilevazione ai mutamenti normativi degli ultimi anni: per esempio, continua a registrare insieme il dato dei «laureati o laureandi», senza considerare che i primi svolgono stage extracurriculari, secondo le 21 regolamentazioni regionali; mentre i secondi svolgono stage curriculari, con un quadro normativo completamente diverso.L'indagine Excelsior indaga poi la propensione all'assunzione post stage; premettendo che i «tirocini rappresentano per le imprese la possibilità di testare il grado di preparazione dei giovani in vista di un eventuale inserimento lavorativo, ed è soprattutto questo l’obiettivo perseguito dalle aziende a fronte dei costi espliciti ed impliciti sostenuti per le attività di formazione», i ricercatori di Unioncamere ritengono quindi «del tutto logico che una quota di tirocinanti e stagisti, una volta completata questa esperienza, venga assunta dalle imprese che li ha ospitati». L'assunzione post stage  valorizza insomma lo sforzo di addestramento che i tutor svolgono a favore degli stagisti, ed evita «ulteriori costi di ricerca e selezione»: ma in realtà solo 38mila stagisti, sui 320mila del 2014, sono stati poi assunti. Certo, è vero che rispetto al 2013 vi è stata «una variazione positiva del 29%», e che la percentuale media di assunzione post-stage è salita dal 9,5% quasi a sfiorare il 12%: ma è sempre bassina. In particolare, nelle venti regioni italiane il tasso di assunzione «è compreso fra il 6,6% del Trentino Alto Adige e il 17,2% del Lazio»; Unioncamere rileva che «oltre al Lazio, si collocano al di sopra della media nazionale solo altre due regioni, una del Nord Ovest, la Lombardia (con un tasso del 13,7%), e una del Mezzogiorno, la Campania (con un tasso del 12,6%)». Le chance più basse di essere assunti al termine del tirocinio sono invece in Trentino Alto Adige, Molise e Friuli Venezia Giulia, con «tassi che non superano il 9%».Bisogna ricordare, in chiusura, che i dati di Excelsior sui tirocini sono una "campionatura" con risposte raccolte attraverso un questionario e con un raggio d'azione limitato agli stage attivati nelle sole imprese private; l'indagine Excelsior di Unioncamere è però tuttora praticamente l'unica rilevazione a offrire dati nazionali e affidabili sull'utilizzo dello strumento dello stage in Italia.Eleonora Voltolina

Erasmus Plus, nuovi bandi “natalizi”: 2mila opportunità di stage in giro per l'Europa con un rimborso UE

L’arrivo del Natale è imminente e perché non farsi un bel regalo tentando un’esperienza formativa all’estero con il programma Erasmus Plus? Periodicamente La Repubblica degli Stagisti propone una selezione dei bandi a scadenza più vicina: e questo periodo è davvero ricco di opportunità, con 2mila percorsi di stage complessivamente messi a disposizione da varie realtà.Si parte da venerdì 18 dicembre: questa è data da annotare per gli studenti di laurea triennale, magistrale e dottorato dell'università  La Sapienza di Roma. Si tratta dell'ultimo giorno per candidarsi al programma Nort South Traineeship: borse di studio a loro riservate per tirocini all'estero della durata di tre mesi verso paesi dell'Unione europea più stati membri dello Spazio economico europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e Turchia. Sono 95 gli stage destinati agli studenti dell'ateneo di Roma. La candidatura va inviata esclusivamente online; il contributo mensile per i tirocini varia dai 430 euro dei paesi con costo della vita più basso come, ad esempio, Bulgaria, Estonia e Lituania, ai 480 euro di quelli con costo della vita più alto come Austria, Danimarca, Finlandia, Irlanda.Manca poco, la data di scadenza è il prossimo lunedì 21 dicembre, anche per accaparrarsi una delle 24 borse di studio per tirocini di quattro mesi, destinate questa volta agli studenti dell’università Roma Tre che non abbiano già usufruito del numero massimo di mesi di mobilità previsti dal programma Erasmus Plus per il proprio ciclo di studi. I tirocini possono essere svolti tra febbraio e fine settembre 2016 e prevedono il solito contributo mensile da 430 a 480 euro Parte dell’importo è corrisposta appena dopo la sottoscrizione della firma dell’accordo di mobilità, mentre il pagamento della seconda tranche è subordinato alla consegna di tutta la documentazione finale sul tirocinio, che deve avvenire entro 15 giorni dalla sua conclusione. La domanda va presentata online compilando il modulo di candidatura disponibile sul sito. Il 30 dicembre è invece la deadline per candidarsi a una delle 140 borse di mobilità offerte dal bando “Progetta il tuo futuro in Europa”, che propone tirocini di tre mesi, da effettuare nel periodo compreso tra il primo febbraio e il 31 ottobre 2016, presso aziende straniere del settore dell’europrogettazione (l'elenco è disponibile a questo link). Le borse sono rivolte a studenti di corsi di laurea triennale, magistrale, magistrale a ciclo unico, dottorato e master degli atenei appartenenti al consorzio Send e sono così suddivise: 12 per l’università di Trieste, 25 per Venezia, 24 per Padova, 30 per Parma, 10 rispettivamente per Macerata e l’università La Sapienza di Roma, 14 per Cagliari e 15 per Palermo. Il contributo economico mensile varia a seconda del costo della vita del paese di destinazione. Anche in questo caso la borsa di mobilità è erogata in due fasi: l’80% dell’importo totale viene corrisposto entro 30 giorni dalla firma dell’accordo per la mobilità e la restante parte successivamente alla consegna della documentazione completa finale da parte dello studente. .La candidatura deve essere effettuata online attraverso uno specifico formulario al quale vanno allegati cv formato euro pass in italiano e nella lingua del paese ospitante, autodichiarazione del possesso dei requisiti richiesti e certificazioni che attestino le conoscenze linguistiche richieste.Gli studenti dell’università di Trieste possono concorrere anche per una delle circa 600 borse di mobilità di durata da tre a 12 mesi per tirocini all’estero (da svolgere entro il 30 settembre 2017), per le quali ci si può candidare fino all’11 gennaio 2016. L’elenco completo delle destinazioni e dei posti disponibili per ciascuna di essa è consultabile sulla pagina dedicata del sito dell’ateneo. Attenzione perché in questo caso gli importi sono un po' più bassi: vanno dai 230 euro ai 230 euro, a cui però si aggiunge un contributo aggiuntivo di 200 euro per giovani con condizioni economiche più svantaggiate. La domanda anche in questo caso va inoltrata online attraverso la piattaforma del portale dell’ateneo.Sono invece 680 suddivise tra l'università di Pavia e un gruppo di atenei del centro e sud Italia (Tuscia, Teramo, Calabria, Basilicata, Bari, Federico II di Napoli, Messina e Sannio) le borse di studio che rientrano nel progetto Bet for Jobs. Scadenza per la presentazione delle domande per i tirocini, di durata minima due mesi, appena dopo la Befana: venerdì 8 gennaio. Per partecipare è necessario essere iscritti al secondo anno se studenti di corsi di laurea triennale o al primo per le lauree specialistiche o magistrali. Anche in questo caso i contributi mensili variano tra i 480 e i 430 euro. L'application va effettuata online a questo link.Un po’ di tempo in più, la deadline è fissata al 1° febbraio 2016, per candidarsi alla seconda tranche delle oltre 1.100 borse di studio bandite dall’università di Padova. In palio tirocini da svolgere entro il 30 settembre 2016, durata minima di due mesi. Anche in questo caso l’importo mensile oscilla tra i 430 e i 480 euro a copertura delle spese di viaggio e soggiorno e l’accredito avviene con modalità simili a quanto previsto dai precedenti bandi: 80% del totale a 30 giorni dalla firma dell’accordo per il tirocinio e restante parte a seguito della consegna della documentazione finale. La domanda va fatta attraverso la compilazione dell’Application Package comprendente, tra i vari documenti, modulo di candidatura scaricabile dal sito dell’ateneo e cv formato europeo. Il «pacchetto» va consegnato a mano all’ufficio stage dell’università. La prossima scadenza per l'ultima tranche di tirocini è fissata ad aprile.Chiara Del Priore