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Le "150 ore" degli studenti universitari crescono a 200, ma i compensi? 6 euro all'ora, a volte anche meno

È un’opportunità per migliaia di studenti universitari per guadagnare qualcosa durante gli anni di studio e fare un po’ di esperienza, ma soprattutto una possibilità per gli atenei per riuscire a coprire orari di uffici che altrimenti resterebbero chiusi: è il part time studentesco, le famose "150 ore" istituite dall’articolo 13 della legge 390/1991. Nonostante negli ultimi anni il numero di collaborazioni si sia notevolmente ridotto - passando da oltre 31mila a meno di 25mila, come dimostra il bilancio sugli ultimi dieci anni di part time fatto da Federica Laudisa dell’osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio universitario della regione Piemonte - in molti continuano a partecipare per guadagnare una somma certamente esigua ma che possa aiutare a coprire le tante spese universitarie.Oggi con l’articolo 11 del decreto legislativo 68/2012 le ore del part time sono aumentate fino a 200, senza che però sia stato previsto un aumento del compenso – definito “borsa lavoro” - erogato agli studenti. Così, scrive alla Repubblica degli stagisti una studentessa che preferisce restare anonima, «si inizia ad abituare i giovani a essere sfruttati» prima ancora di metterli alla prova con tirocini gratuiti. È il caso dell’università per stranieri di Siena che a metà dicembre ha pubblicato il nuovo bando per il part time studentesco, sfruttando subito la possibilità data dalla nuova normativa di innalzare il limite delle ore a 200. A un impegno maggiore non corrisponde, però, una borsa lavoro altrettanto valida. Per questo ateneo, infatti, «il corrispettivo totale per lo svolgimento della collaborazione è pari a circa 753,2 euro». Quindi 3,76 euro l’ora calcolando tutte le 200 ore. Un compenso quasi dimezzato rispetto a quello, già molto basso, che la stessa università aveva previsto nel bando 2010-2011: 961,83 euro - in quel caso per 150 ore - pari 6,41 euro all'ora.La ragione di queste cifre al ribasso va probabilmente cercata in una normativa poco chiara, che non stabilisce minimi orari e di retribuzione. Fino al 2012 il part time è stato regolato dalla legge 390/1991 che all’articolo 13 disciplina le attività a tempo parziale stabilendo al comma 2 che «la prestazione richiesta allo studente comporta un corrispettivo» ma che «l’assegnazione delle predette collaborazioni avviene nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio delle università, con esclusione di qualsiasi onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato». Al comma 3 si aggiunge che «le prestazioni dello studente non possono superare un numero massimo di 150 ore per ciascun anno accademico». A marzo del 2012 le cose, però, cambiano con il decreto legislativo n° 68 che all’articolo 11 torna sull’attività a tempo parziale degli studenti e stabilisce che «le università disciplinano con propri regolamenti le forme di collaborazione degli studenti», la cui assegnazione sempre «avviene nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio delle università senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Il decreto aggiunge che questa prestazione «comporta un corrispettivo entro il limite di 3.500 euro annui», che il compenso orario è come di consueto «determinato dalle università» ma che che le prestazioni dello studente possono essere «in numero massimo di 200 ore per ciascun anno accademico». Se le università pagassero il massimo previsto - 3.500 euro per un totale di 200 ore - i part time sarebbero pagati 17,5 euro l’ora. La legge, però, stabilisce che sia l’università a decidere il corrispettivo orario, così in tempi di tagli anche le risorse per gli studenti part time diminuiscono. Ma i bandi restano: perchè difficilmente senza questi studenti-lavoratori gli atenei potrebbero assicurare la copertura di tutti gli uffici.Senza arrivare al caso limite al ribasso dell’università per stranieri di Siena, che con i suoi 3,76 euro l’ora convincerà molti studenti che è meglio essere choosy e rinunciare al bando, il compenso orario per gli altri atenei è comunque spesso al di sotto dei 10 euro l’ora – con notevoli differenze tra nord e sud. Si va dagli 11,40 euro l’ora per le collaborazioni per la didattica del Politecnico di Torino, che scendono a 9,30 euro per le collaborazioni per i servizi e ai 9 euro per l’università degli studi sempre nel capoluogo piemontese. In entrambi i casi, il bando parla di «un limite massimo di 200 ore» quindi se gli studenti dovessero fare tutte le ore senza assenze, si ritroverebbero rispettivamente con 2.280, 1.860 e 1.800 euro, ben lontano quindi dal massimo di 3.500 euro previsti nel decreto. Si scende a 8 euro all’ora all’università di Milano e a quella dell’Insubria a Varese: in questo caso il part time è di 200 ore (per un totale di 1600 euro) mentre nel capoluogo lombardo sono ancora 150 le ore di attività richiesta agli studenti (per 1.200 euro totali). All’università di Bologna si tolgono altri preziosi centesimi nel bando scaduto a fine settembre 2012 e si arriva a 7,50 euro all’ora per massimo 150 ore (1.125 euro totali), importo identico al bando 2010/2011; mentre all’università di Camerino nel bando 2012/2013 si arriva a 7,20 euro l’ora, ma solo per 100 ore (quindi 720 euro). A Roma la Lumsa si adegua alle 200 ore con il bando scaduto a fine gennaio, per il part time destinato ad aiutare gli studenti disabili: il compenso orario è di 6,74 euro, in crescita di un centesimo (!) rispetto ai 6,73 euro del bando 2011/2012 e di 10 centesimi rispetto al 2010/2011 (quando le ore previste erano 150 e il compenso totale 990 euro). Alla Sapienza, invece, dove sono pubblicati singoli bandi dai vari dipartimenti, prendendo per esempio in esame la facoltà di farmacia, il compenso è di 7,30 euro l’ora per 150 ore. In Campania, invece, all’università Parthenope di Napoli il bando 2012/2013, scaduto a metà febbraio, prevede 7,23 euro all’ora per 150 ore (1.084,5 euro totali). Ancor di meno per l’ultimo bando pubblicato dall’università di Salerno: 7 euro sempre per 150 ore (per un totale di 1.050 euro). In questo caso la cifra è costante, visto che già nell'anno accademico 2008/2009 erano previsti stesso compenso e numero di ore. La situazione non migliora in Puglia dove nel 2013 si arriva a 6,66 euro all’ora per 150 ore (quindi appena mille euro per i ragazzi part time) per il bando dell’università del Salento scaduto a metà gennaio; e 6,20 euro per l’università di Bari dove l’ultimo bando, scaduto a maggio 2012, prevedeva 150 ore, pari a 930 euro totali. Salgono invece i compensi previsti per l’università della Calabria e quella di Catania, entrambe con 7,75 euro l’ora, ma nel primo caso per 100 ore (quindi 775 euro)  e nel secondo per 150 ore (1.162,5 euro). Per l'università della Calabria è la stessa cifra oraria prevista nel bando 2009/2010, ma in quel caso il limite massimo di ore era 150 - quindi il rimborso totale di 1162,5 euro, quasi 400 in più. Per compensi che vanno dagli irrisori tre euro all'ora dell’università per stranieri di Siena agli 11,40 euro del Politecnico di Torino (unico caso in esame che supera i 10 euro orari), l’attività di part time si rivela un metodo sicuro su cui gli atenei possono contare per riuscire a offrire servizi che altrimenti non potrebbero coprire, mentre gli studenti finiscono per sottrarre ore preziose allo studio. In molti, però, continuano a fare domanda, attratti dalla somma della borsa lavoro che - per quanto scarsa - può aiutarli a coprire le spese connesse all'università. E se in dieci anni i tagli si sono abbattuti come una scure sull'università, dai fondi per il diritto allo studio fino ad arrivare a queste borse, in tempi di spending review non c’è alcuna prospettiva positiva sulla possibilità di scongiurarne di nuovi ed evitare il ripetersi degli scarsi quattro euro previsti dall’università di Siena. L’invito al prossimo governo è quindi quello di investire sull’istruzione, sull’università e in particolare nelle politiche di diritto allo studio universitario, rinnovando i bandi di part time e garantendo quel rimborso minimo dignitoso che ogni persona che svolga un'attività lavorativa, ancorché da studente, dovrebbe meritare.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Presidente Napolitano, la dignitosa retribuzione è un diritto costituzionale anche per i giovaniE anche:- Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato» - Università, i corsi iper-professionalizzanti non sempre pagano

Confindustria e sindacati, perché nell'accordo sull'occupazione giovanile mancano i punti principali?

Spazio ai giovani, al merito, alla formazione e all'orientamento. Dopo il dibattito sulla Youth Guarantee è questo l'appello che hanno lanciato i principali rappresentanti delle parti sociali - Confindustria, Cgil, Cisl e Uil – che a metà febbraio, pochi giorni prima delle elezioni politiche e amministrative, si sono riuniti per firmare un patto congiunto dal titolo «Una formazione per la crescita economica e l'occupazione giovanile». «Se si vuole favorire la crescita, la formazione deve essere al centro» si legge nel comunicato dell'iniziativa. Peccato però che il documento non parli affatto di come recuperare il ritardo enorme accumulato dall'Italia sull'istruzione universitaria rispetto agli obiettivi di Lisbona del 2000 - che richiedevano, tra le altre cose, maggiore tecnologia, adeguamento alle esigenze del mercato del lavoro, più mobilità dei giovani attraverso il sistema di riconoscimento delle competenze. E il raggiungimento del famoso 40%, cioè 4 laureati ogni 10 cittadini della fascia d'età 29-34 anni: in Italia siamo fermi sotto il 20%.Nel documento congiunto imprese-sindacati questo aspetto è completamente tralasciato a favore di focus su altri problemi: mismatch tra domanda e offerta di lavoro, mancanza di figure professionali tecniche, record di disoccupazione giovanile, Neet. «Equità, produttività e istruzione, merito e lavoro, possono andare di pari passo e diventare concrete strategie di sviluppo» riconosce Ivano Lo Bello [nella foto in basso], vicepresidente di Confindustria per le politiche giovanili, nel suo intervento alla conferenza di presentazione. Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, gli fa eco sostenendo che «la spinta alla crescita si declina attraverso iniziative concrete, incontro tra scuola e impresa, tirocini, alternanza scuola lavoro. Così i ragazzi conoscono la realtà delle aziende mentre studiano e quando hanno finito di studiare, in modo che non siano marziani quando entrano nella società reale». La carta d'intenti, seppur un po' troppo corposa e dispersiva, dà comunque un segnale positivo di interesse verso la questione giovanile. Si suddivide in sostanza in dieci punti: eccoli.Orientamento e tirocini. Per i firmatari «è indispensabile un potenziamento dei servizi e la costruzione di un sistema a rete in cui l’orientamento sia parte integrante del piano di studi di ogni studente» si specifica nel documento, riprendendo un tema caro alla Repubblica degli Stagisti che ne ha più volte rivendicato l'importanza per evitare le conseguenze disastrose prodotte dal mismatch. Anche i tirocini sono da concepire come strumento orientativo: per chi ha siglato il patto occorre «favorire nei giovani lo sviluppo di competenze trasversali, finalizzate alla maturazione di scelte formative e professionali pienamente consapevoli».Istruzione tecnica. È stata centrale nei dibattiti più recenti sulle politiche occupazionali, e condivisibile se si pensa all'Italia come un Paese sostenuto dalla piccola e media impresa («il 70% sono imprese manifatturiere» si legge nel patto) dove le competenze tecniche la fanno da padrone (anche se bisogna fare attenzione a non cadere nell'eccesso, relegando i mestieri intellettuali in un angolo o giudicandoli secondari per la ripresa). «L’istruzione tecnica ha favorito il boom economico del nostro Paese e il suo potenziamento è una priorità» che potrebbe sconfiggere il problema del reperimento di profili tecnici: un concetto ribadito dal segretario confederale Cgil Serena Sorrentino, per cui «la valorizzazione dell'istruzione tecnica e professionale è uno degli strumenti per uscire dalla crisi». Poli e istituti tecnico-professionali. Secondo le parti sociali i primi (che i firmatari definiscono «contenitori territoriali specializzati dell’intera filiera formativa per il lavoro») vanno implementati al pari dei secondi, che rappresentano una «valida risposta alla necessità di colmare la carenza di percorsi universitari tecnico-scientifici». Valorizzare il lavoro nel processo formativo. Vale a dire le aziende devono parlare con i giovani mentre studiano, e non essere a sé stanti, per promuovere «un'occupabilità sostenibile» come la definisce Lo Bello. «Le imprese andrebbero riconosciute da tutti gli attori come principale interlocutore, perché possono offrire ai giovani opportunità di crescita culturale e acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro» si legge nell'accordo.Sistema di riconoscimento delle competenze. Spesso dimenticato, rientra anche questo tra gli obiettivi mancati di Lisbona. Si legge nel comunicato che deve essere omologato «a livello nazionale per favorire una maggiore trasparenza del mercato del lavoro e dei meccanismi di incrocio di domanda e offerta». Ma è anche necessario «offrire a tutti maggiori possibilità di occupazione e mobilità, raggiungere una maggiore consapevolezza da parte delle persone delle proprie capacità, così da favorirne la crescita non solo professionale, ma anche personale». Affinché anche la mobilità, con il tramite del sistema di riconoscimento delle competenze, riceva una spinta. Apprendistato. In Italia solo 1.723 apprendisti su 570mila hanno avuto l’opportunità di un contratto di apprendistato per l’acquisizione di un titolo di studio o di una qualifica. Di questi solo il 2,8% ha meno di 18 anni e il 33% ha più di 25 anni. Si tratta secondo le parti sociali «di semplificare lo strumento, snellendo l’iter ancora troppo burocratico, creando un’offerta formativa su misura e nuovi incentivi. Ne va valorizzata la componente formativa». Quanto all'apprendistato di alta formazione «occorre favorire collaborazioni - a partire da Its, lauree triennali, master e dottorato industriale - più in linea con le esigenze delle imprese di minori dimensioni, che hanno sempre più bisogno di managerialità altamente qualificata». Ma anche qui il documento trascura i problemi maggiori: e cioè il numero di apprendistati attivati troppo esiguo, il fatto che tre quarti di loro non faccia nessun tipo di formazione e che questo contratto sia una chimera per i laureati visto che i principali beneficiari (i due terzi) sono soggetti con titoli di studio bassissimi. Perchè questi aspetti vengono messi ai margini da Confundustria e sindacati? Difficile pensare che non vi sia da parte loro consapevolezza che questi sono i veri talloni d'Achille della diffusione dell'apprendistato in Italia. Dottorati di ricerca. Tre quarti dei ricercatori italiani una volta conseguito il titolo abbandonano l'università: uno spreco enorme di sapere. Perciò «occorre rifinanziare i corsi di dottorato di ricerca, metà dei quali è sprovvisto di borsa, e riformarli anche per favorire un’interazione stabile tra formazione, ricerca e sviluppo tecnologico e industriale», dicono le parti sociali. Come? Ad esempio attraverso «PhD in azienda sul modello dei competitor internazionali».Fondi Interprofessionali. Si tratta di «una gamba importante del più ampio sistema delle tre LLL (LifeLong Learning)» e una garanzia di crescita professionale, che migliora opportunità formative e mobilità. Nel perseguire l'obiettivo dell'aumento di produttività e competitività delle imprese, si legge ancora,  «devono porsi il cruciale obiettivo della crescita professionale dei loro occupati».  La parità di accesso al sistema educativo e delle professioni. Il merito, stroncato dal mancato riconoscimento del valore delle competenze e delle capacità, va rimesso al centro per abbattere «il rapporto fiduciario e clientelare che finisce per frenare sia lo sviluppo della democrazia che la crescita economica». «Un capitale umano innovativo e competente è l’arma vincente per uscire dalla crisi» scrivono i firmatari.  La questione del merito viene posta all'ordine del giorno soprattutto dal vicepresidente di Confindustria, per cui «l’Italia sta pagando un costo altissimo di merito mancato che pesa fortemente sui nostri figli e blocca l'ascensore sociale creando frustrazione e rancore. Non dobbiamo avere paura del merito, che non è in antitesi con l’equità». Si ferma qui il documento programmatico dell'associazione degli industriali e dei sindacati, convinti che il futuro italiano dipenda anche dal rilancio del sistema formativo e quindi dall'occupazione dei giovani.Nell'accordo si punta tutto sull'istruzione tecnica, e molto poco sulle competenze intellettuali, ritenute forse non strategiche per un Paese manifatturiero come l'Italia. Il problema delle nuove generazioni è quindi affrontato solo in maniera parziale, e il rischio che le buone intenzioni restino solo parole è alto. Ma si può sempre sperare che questa carta d'intenti sia un primo passo verso qualcosa di più concreto.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- ll mismatch tra domanda e offerta di lavoro, un problema sottovalutato- Meritocrazia, una notte per convincere i giovani a crederci (e le aziende a metterla in pratica)- Le aziende cercano grafici e ingegneri del web: ma non ce ne sonoE anche:- Apprendistato: coinvolge pochissimi laureati e spesso non garantisce vera formazione- Apprendistato: contratto a tempo indeterminato oppure no?

Università, fuga col bottino: dal Veneto alla Sicilia, in scadenza oltre 40mila euro in premi di laurea

La notizia è recente: secondo il Consiglio universitario nazionale, in dieci anni gli atenei italiani hanno perso 58mila studenti. Come se fosse scomparsa metà Sapienza, o l'intera Statale di Milano. "Le emergenze del sistema" è non a caso il titolo del report, che piazza l'Italia al 32esimo posto sui 34 Paesi Ocse per investimento nell'università. Tutti i partiti promettono grande attenzione al tema, ma per ora una mano arriva da singole iniziative e progetti poco strutturati - prima, durante e dopo gli studi. Cominciando dal "dopo", ecco i più interessanti premi di laurea in scadenza.Una buona notizia per gli aspiranti dottori commercialisti della provincia di Vicenza: lo studio Rebecca & associati bandisce tre borse da 7200 euro lordi l'una per i vicentini da poco laureati in economia, con un voto non inferiore a 105, che intendono iniziare il praticantato. A inizio 2012 il decreto di riforma delle libere professioni, poi legge, ha dimezzato a 18 mesi la durata del percorso,  lasciando però inalterata l'opacità in fatto di emolumento al praticante: la dicitura «equo compenso» è diventata durante l'iter della legge un vago «rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio», e di fatto oggi non esistono vincoli chiari. In questo caso il premio garantirebbe un rimborso mensile di 400 euro lordi, a cui lo studio aggiungerà l'iscrizione gratuita ad una scuola di formazione per praticanti, punto su cui però non fornisce dettagli alla Repubblica degli Stagisti (su nome dell'istituto ad esempio, o su percorso formativo e costi). Per candidarsi basta inviare il proprio cv a segreteria [at] studiorebecca.it entro il 22 febbraio. Lo studio, con sede a Vicenza e Schio, dichiara oggi tre praticanti, su una decina di dottori commercialisti. Rimanendo in zona, la spa padovana Etra, multiutility pubblica del settore ambientale, promuove il premio "Gino Bortollon", in memoria di un suo tecnico scomparso sul lavoro: due somme da 2mila euro nette l'una per chi ha conseguito una laurea (di ogni tipo e in qualsiasi ateneo), un master o un dottorato discutendo, entro il 28 febbraio 2013, un elaborato sulla tutela del territorio individuato dai 75 comuni soci (elencati nel bando), corrispondente grosso modo al bacino del Brenta. La domanda deve pervenire per raccomandata A/R entro il 15 marzo con allegati certificato di studi (o autocertificazione), una copia della tesi e abstract - gli ultimi due anche in digitale all'indirizzo comunicazione [at] etraspa.it. La premiazione si terrà il prossimo venerdì 24 maggio. Attenzione perché il bando offre anche la possibilità di effettuare uno stage di tre mesi presso l'Etra. La società fa sapere alla testata che per ora si tratta di un'idea ancora poco definita: non sono previsti limiti di età, questo è sicuro, e le mansioni dipenderanno strettamente dal tipo di formazione dello stagista; ma non è possibile anticipare se ci sarà un rimborso, e di quanto, o se lo stage potrà evolversi in un rapporto di lavoro. Come detto, si tratta comunque di una possibilità, che i due vincitori saranno liberi di cogliere o meno. Scade poi il 30 marzo il premio "Enrico Augelli" della Cgil Esteri, che dal 2002 ricorda così il diplomatico ed ex ambasciatore a Singapore. Insieme alla Sapienza, il coordinamento esteri premia il migliore elaborato nazionale, inedito, che guarda ai Paesi in via di sviluppo da una delle molte prospettive possibili (diplomatica, economica, politica...). Sono ammessi tutti i laureati e laureandi nati dopo il primo gennaio 1982, autori di tesi magistrali (in palio una somma di 3mila euro netti) oppure di master o di dottorato (si vince la pubblicazione). Entro il 30 marzo al piazzale della Farnesina devono pervenire per raccomandata A/R: tesi, abstract, cv (con autorizzazione al trattamento dei dati personali), copia dei titoli di studio (o autocertificazione) e dei certificati posseduti e, importante, una scheda di due cartelle redatta dal candidato sull'attività del sindacato in ambito internazionale. Il tutto va anche messo su cd e inserito in busta. La premiazione avverrà entro febbraio 2014.  Fino al 31 marzo invece la srl spezina di consulenza e formazione aziendale Gesta bandisce 2900 euro lordi per il miglior lavoro inedito in tema di prevenzione degli infortuni nell'area terminal container (dove sostano i carichi mercantili, in genere navali) attraverso l'innovazione tecnologica; il bando fornisce molti esempi di temi specifici. Possono partecipare tutti i laureandi e laureati con tesi discussa dopo luglio 2012 o da discutere entro il prossimo 30 giugno. La candidatura deve pervenire per raccomandata A/R con una nota del relatore che la avalli, tre copie della tesi, certificato di laurea (o certificato storico nel caso di laureandi, che dovranno poi perfezionare la procedura) e abstract. Da definire la data di premiazione, che si svolgerà comunque durante un evento di risonanza almeno provinciale. C'è tempo sempre fino al 31 marzo per provare a vincere i 2mila euro del premio "Vittorio Napoli" firmato Rotary club di Enna, giunto all'undicesima edizione e dedicato a tutti i laureati italiani che, a partire dall'anno accademico 2009/2010 e fino a quello scorso,  hanno dedicato la loro tesi ad Enna e provincia. Sono esclusi solo i rotariani e i loro parenti fino al quarto grado. La candidatura deve giungere al segretario del club presso l'albergo della città sede delle riunioni con copia cartacea e digitale della tesi, autocertificazione dei dati personali (anagrafici e recapiti) e certificato di laurea. La premiazione avverrà entro fine giugno. Dall'associazione romana Oci - Osservatorio sulle crisi di impresa, arriva poi il secondo premio per laureati quinquennali in ambito economico e giuridico con tesi sulle discipline concorsuali della crisi d'impresa, discusse tra gennaio 2012 e 30 marzo 2013. Anche qui sono esclusi i soci e i loro parenti. Due le somme in palio,  da mille e da 700 euro netti. La domanda deve giungere a mano o per raccomandata A/R entro il 10 aprile, insieme a quattro copie cartacee e una digitale della tesi, abstract, certificato di laurea e cv. Una commissione composta da magistrati e docenti universitari decreterà i due vincitori, che verranno premiati entro fine anno - con spese di viaggio (ma non di soggiorno) a carico dell'Oci. Infine, da Milano l'Aica - Associazione italiana per l'informatica e il calcolo automatico e la fondazione Rotary International assegnano  tre premi da tremila euro lordi l'uno per tesi di laurea e dottorato in ambito di Computer Ethics, ovvero di implicazioni etiche e sociali dell'ICT in settori come la formazione, l'economia, la ricerca, la salute, l'informazione. La discussione degli elaborati deve essere compresa tra maggio 2012 e il prossimo 31 marzo. La domanda va compilata entro il 20 aprile via web allegando, tutto in digitale e in formato pdf o jpg, certificato di laurea, abstract, lettera di presentazione del relatore ed elenco di eventuali pubblicazioni sull'argomento della tesi. La premiazione? A fine giugno. Annalisa Di Palo [foto: Ian Khan, Dan - FreeDigitalPhotos.net]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Riscatto della laurea: conviene ancora?- Tutti geni i neolaureati italiani? Nuovi dati Almalaurea- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato»

Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani

Un  corso di formazione, un'offerta di impiego o di uno stage di qualità entro quattro mesi dalla perdita del lavoro o dal termine degli studi: è la proposta 'anti-neet' lanciata dall'Europa lo scorso dicembre. La Commissione europea ha infatti varato un Pacchetto Giovani, che contiene tra i vari provvedimenti la Youth Guarantee, una 'Garanzia Giovani' per assicurare un percorso di inserimento lavorativo a chi ha meno di 25 anni, collegata a uno stanziamento di fondi per la programmazione 2014-2020. Ciò che si chiede nello specifico è l'impegno di ogni Stato membro a farsi carico di questi obiettivi a favore dei giovani per scongiurare il rischio disoccupazione ed esclusione sociale. A occuparsene dovranno essere istituzioni locali e in particolare i servizi all'impiego.La misura costerebbe circa 21 miliardi di euro, cifra ben inferiore a quella che si spenderebbe per i sussidi di disoccupazione, che – nel segmento che riguarda i giovani - secondo Eurostat pesa sui bilanci pubblici per un totale di 150 miliardi euro l'anno considerati sussidi, mancato gettito fiscale e mancati guadagni. Perché i neet, quei 2,1 milioni di italiani (e 14 milioni di europei) tra i 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano, non rappresentano solo una fallimento per la società, ma hanno anche un peso economico notevole: 32 miliardi se si guarda solo all'Italia. Puntare sul loro recupero non è dunque una semplice azione di welfare, ma una politica per lo sviluppo. Un investimento a tutti gli effetti che fa risparmiare miliardi alla collettività. La forza della Youth Guarantee consiste inoltre nella capacità «di intervenire in modo immediato contro la disoccupazione, prima che l'esclusione sociale entri a far parte della vita del giovane» ragiona Massimiliano Mascherini di Eurofound. Attraverso percorsi personalizzati, cuciti addosso a ciascun candidato in base alle sue peculiarità, si «evita la disoccupazione di lungo termine, che è quella che fa più male». La Cgil Giovani ha accolto il monito dell'Europa presentando la sua nuova campagna 'Garantiamo Noi' (qui la petizione online), che chiede l'applicazione dello Youth Guarantee anche in Italia (estendendola però agli under 29 visti i tempi di istruzione più lunghi), sull'esempio di altri Stati che già la applicano da anni  - in Svezia esiste dal 1984 peraltro con ottimi risultati - o che stanno per sottoscriverla, come annunciato dalla Francia. «Abbiamo ribaltato le parole ('Garantiamo noi', ndr) perché pensiamo che possano essere le giovani generazioni a garantire la ripresa del Paese. Siamo noi a voler garantire un Paese all'altezza delle nostre possibilità» ha sottolineato Ilaria Lani, sindacalista della Cgil, alla conferenza per il lancio dell'iniziativa a Roma a fine gennaio.  La Youth Guarantee in Italia, dove la disoccupazione giovanile è al 37%, andrebbe però declinata in base alle caratteristiche di un Paese piuttosto lontano dagli standard di tutela europei: da noi a differenza che all'estero non sono previsti ammortizzatori per chi non ha mai lavorato, per chi ha una bassa anzianità contributiva o contratti atipici, neanche nel caso dell'Aspi introdotta dalla riforma Fornero. E non ci sono contributi figurativi per coprire i periodi di lunga disoccupazione. I neet poi - a differenza di altripassei come per esempio la Svezia, dove sono «rappresentati soprattutto da chi ha alle spalle abbandoni scolastici» come racconta Susanna Holzer del sindacato svedese TCO - in Italia hanno una composizione più variegata: ci sono molti giovani qualificati (il 20% ha una laurea) e giovani donne, soprattutto del Sud. Nel Paese scandinavo invece su 5 milioni di lavoratori ben il 70% è laureato. Il problema della disoccupazione non riguarda quindi i laureati, e ai centri per l'impiego si rivolge soprattutto chi ha lacune dal punto di vista formativo. Qui da noi, dicono i rappresentanti della Cgil in un comunicato, si vive in 'Ereditalia' e l'ascensore sociale è bloccato. «I laureati italiani si portano appresso la condizione di partenza per tutta la vita» denuncia Michele Raitano della Sapienza. «Il salario del figlio di un manager sarà più alto non solo in entrata ma sempre. Chi ha origini migliori qui può fare studi migliori, ed è sbagliato. I giovani devono poter essere choosy per avere prospettive di carriera, e non essere costretti a scegliere il primo lavoro che capita, altrimenti perpetuiamo l'immobilità sociale». La crisi infatti non è uguale per tutti, ma colpisce di più che è in condizioni disagiate. «L'accesso al lavoro è determinante per la carriera futura: avere una famiglia benestante alle spalle non solo offre un bagaglio di relazioni e conoscenze, ma consente al giovane di attendere il lavoro migliore, senza dover accettare il primo impiego che arriva. Il periodo di transizione tra lo studio e il lavoro lascia un forte imprinting: i giovani che devono fare i conti con prolungati periodi di precarietà, disoccupazione e impiego scarsamente qualificato, sono poi meno pagati, meno produttivi e più esposti durante tutta la vita lavorativa» scrivono nel comunicato. È qui allora che deve intervenire lo Stato attraversi servizi per l'impiego che siano una volta per tutte davvero funzionanti. In Italia solo il 3,4% dei giovani trova lavoro attraverso i centri per l'impiego, mentre il 30,7% lo fa grazie ad amici, parenti e conoscenti. Potenziare i centri per l'impiego, per cui in Italia si spende lo 0,029% del Pil («siamo agli ultimi posti in Europa» commenta Ilaria Lani, responsabile delle Politiche giovanili della Cgil e del progetto dei Giovani non + disposti a tutto) significa «assegnare competenze specifiche alle Province, garantire standard uniformi di servizi assicurati su tutto il territorio nazionale, figure professionali specifiche, servizi di incrocio domanda e offerta di lavoro, superare l'attuale incomunicabilità tra le istituzioni preposte alle politiche attive e alle politiche passive di impiego».I tirocini poi, oltre ad avere una certificazione di qualità e a non «essere occasione di sfruttamento», devono garantire una «congrua indennità» per tutta la loro durata. Anche l'apprendistato va garantito: ci deve essere reale formazione, certificazione delle competenze, possibilità di inserimento lavorativo. Al pari della formazione professionale: «i corsi di formazione devono avere l'obiettivo di rafforzare e diffondere competenze coerenti con i fabbisogni del territorio». E ancora la Cgil fa sua la raccomandazione della Youth Guarantee nel voler «favorire le assunzioni impegnando fondi strutturali che assicurano sconti fiscali per i contratti a tempo indeterminato». Senza dimenticare  l'autoimpiego e il sostegno alla progettualità, insieme al miglioramento dell'accesso alle professioni (qui fa la sua comparsa anche l'equo compenso giornalistico). Tra il centro per l'impiego e il candidato «va stilato un vero e proprio contratto che formalizzi il rapporto» aggiunge Ilaria Lani, che dia la certezza dell'efficacia del progetto costruito in base alle esigenze di ognuno. Come trovare le risorse? Secondo la sindacalista un'idea è la patrimoniale, «non perché noi della Cgil siamo fissati con questo ma perché siamo il Paese con il più alto tasso di beni immobiliari nelle mani di poche famiglie. L'elemento solidaristico è fondamentale per non trasmettere le disuguaglianze». Tanto dovrebbe bastare alla costituzione di un fondo «per l'attuazione della Garanzia Giovani» con un capitale di base di almeno 1 miliardo di euro.È lo Stato a doversi fare carico della condizione dei giovani «perché ne è responsabile» conclude Susanna Camusso, intervenuta all'incontro di presentazione dell'iniziativa. «Le politiche attive per l'accesso al lavoro vanno rimesse in mano al pubblico. E va ripensato tutto il sistema, anche quello antecedente ai centri per l'impiego, ovvero la formazione». Chi è all'origine del fallimento del sistema, che ha provocato disoccupazione da record e tassi insostenibili di emarginazione sociale (i neet appunto), sono i governi europei. Adesso, dopo la creazione di una carta di intenti europea, la soluzione del problema spetta a loro.  Ilaria Mariotti  Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Liberiamoci dalla precarietà: Camusso all'incontro con i giovani tra contestazioni e proposte- Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato - Nuova risoluzione Ue, regolamento europeo sugli stage più vicino - Luci e ombre del contratto di apprendistato - una buona occasione, ma preclusa (o quasi) ai laureati E anche: - Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio»       

A Milano si chiude lo StartupWeekend: 185 partecipanti e 13 progetti sviluppati in 54 ore

L’obiettivo era toccare il primato delle 150 iscrizioni. Alla fine, per la decima edizione italiana di StartupWeekend, al Talent Garden (TAG) di Milano sono arrivati in 185, da tutta Italia e anche dall’estero (Svezia, Danimarca, Romania). «Abbiamo avuto una percentuale elevata di partecipanti stranieri, in tutto una decina, e di ragazze, più di venti. Il bilancio è positivo», spiega Emil Abirascid, fondatore del network Startupbusiness e co-fondatore di TAG, che hanno organizzato l’evento (di cui la Repubblica degli stagisti è stata media partner insieme a Indigeni Digitali, Che Futuro!, StartupItalia e IED) in collaborazione con Frontiers of Interaction. Le 54 ore da startupper sono iniziate venerdì 1 febbraio con la presentazione delle idee d’impresa, poi messe al voto. Dai circa 60 pitch iniziali, sono state selezionate così 13 progetti, intorno a cui si sono aggregati altrettanti team. L’intera giornata di sabato e la mattinata di domenica sono state occupate dal lavoro – in certi casi continuo: alcuni team non hanno dormito – e dal confronto con i coach, che hanno dato suggerimenti e consigli. Alle 15 di domenica, poi, la presentazione delle idee davanti alla giuria, composta da imprenditori ed esperti, e alle 18 il responso, che ha valorizzato la partecipazione femminile, con due dei tre progetti vincitori creati da ragazze. Al primo posto, per «l’originalità dell’idea e il fit con l’esperienza culinaria italiana», Bon Appetour, una piattaforma web «che permette ai turisti di poter fare esperienze autentiche trovando famiglie locali insieme alle quali poter cucinare e mangiare, invece di andare al ristorante», racconta Rinita Vanjre, 21 anni, indiana, che dopo gli studi a Singapore si è trasferita in Svezia per lavorare alla società di ingegneria meccanica Diamorph ed è venuta a Milano per partecipare allo StartupWeekend insieme a Inez Wihardjo, co-founder di Bon Appetour. L’idea, come succede quasi sempre, è nata dall’esperienza personale: «Ho viaggiato molto, ma mangiare cibo tradizionale è sempre difficile, o molto costoso. Il fatto di cucinare insieme, invece, oltre che economico, diventa anche uno strumento di integrazione». Ora l’obiettivo è creare un network internazionale: «Nel team c’erano persone che vivono in Svezia, Italia, Romania. Inoltre, io conosco bene la realtà asiatica. Pensiamo di avviare da subito progetti paralleli in diversi Paesi».Al secondo posto, Donee Donee, un sistema online che aiuta l’utente a scegliere e acquistare il regalo giusto in rete, premiato per «la rispondenza a un bisogno diffuso e la chiarezza dell’opportunità di monetizzazione». Il sito, spiega l’ideatore Marco Fantozzi, 37 anni, di professione video designer, «ricorda gli eventi e analizza i gusti e le preferenze degli amici, dando anche suggerimenti sul regalo da acquistare. La lampadina mi si è accesa pensando alla mia esperienza personale: spesso mi sono dimenticato di compleanni e anniversari, e una semplice applicazione sarebbe bastata a salvarmi dalle figuracce». La situazione attuale fa ben sperare: «A Natale 2012, in Italia sono stati acquistati 5 milioni di regali on line. Ci sono dei siti che fanno cose simili, ma nessuno ricorda le date e dà consigli».Medaglia di bronzo, per «la qualità del prototipo sviluppato e l’attenzione al design della user experience», a CookEat, un servizio che permette di selezionare, acquistare e ricevere a domicilio tutto ciò che serve per preparare una cena: ricette, ingredienti di prima qualità, vino. «E’ pensato per chi non ha tempo di fare la spesa, ma non vuole risparmiarsi il piacere di cucinare», spiega la founder Sara Bonomi, 24 anni, che dopo la triennale in Bocconi ha fatto un master in Marketing a Barcellona e un’esperienza di lavoro a San Francisco, nell’acceleratore d’impresa Rockstart. «L’idea è nata vedendo che ci sono molti siti di e-commerce e molti altri di ricette, ma sempre separati. Puntiamo sul dare alle persone il piacere di cimentarsi con la cucina, risparmiando loro però l’acquisto degli ingredienti o la ricerca dei piatti». Premio speciale, per «il potenziale di disruption dei mercati», a Meeko, una piattaforma che fa incontrare la domanda e l’offerta di tutor per l’erogazione di ripetizioni direttamente online, consentendo poi di esprimere giudizi sulle lezioni. I presupposti per una startup simile, ci sono tutti: «Ogni famiglia spende all’anno, secondo il Codacons, dai 600 agli 800 euro per le ripetizioni e a disposizione delle scuole ci sono l’87% in meno di fondi pubblici per il recupero pomeridiano. Sul web non esiste niente di simile», spiega Riccardo Avanzi, 26 anni, collaboratore di ricerca all’università di Trento sull’interazione uomo-macchina. Le altre startup si concentravano sul settore sanitario (Askinghealth, Mercurio), eventi e acquisti (Should be do, Check bonus), trasporti (Taxi Rider), gestione di dati (Gtouch, Adubox), università (UGrade, GoFlatMate). Al di là dei vincitori, fa notare Abirascid, «la cosa importante è vivere la learning experience di formare un team e dar vita a un’impresa in poco più di due giorni. Non tutte le idee presentate erano originali, ma è interessante vedere come la cultura legata alla creazione di nuove imprese stia attecchendo anche in Italia: c’è una consapevolezza crescente dei diversi elementi critici da considerare quando si progetta una startup». In molti casi, la tecnologia non è fine a se stessa: «E’ significativo che accanto alla creazione del business, si tenga conto sempre più spesso anche della ricaduta sociale dell’attività», conclude Abirascid. Gli startupper sono d’accordo. Alla domanda su che cosa fosse l’innovazione, in tanti ieri non hanno avuto dubbi. La risposta di Vitor Storch le riassume tutte: «Innovare è creare un valore per la società». Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento leggi anche: - A Milano arriva la seconda edizione di StartupWeekend- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano

Zara: per fare il commesso serve lo stage. E così l'azienda risparmia

Uno stage per diventare commessa: sembra un paradosso e invece è una realtà per il colosso dell'abbigliamento Zara. Sul forum della Repubblica degli Stagisti tempo fa era arrivata la segnalazione di Darietta, che scriveva di aver ricevuto, proprio da Zara «una proposta di stage per trecento euro al mese per otto ore lavorative giornaliere. Per accrescere la professionalità come commessa, una vergogna!». Da allora nulla è cambiato: basta fare un giro sul portale di recruiting di Inditex (gruppo che comprende Zara, Pull&Bear, Stradivarius e Massimo Dutti) per constatare che le offerte di stage per addetti vendita sono pubblicate in bella vista (ed è curioso che ce ne siano solo per l'Italia e nessun altro Paese europeo). Eccone una: a Sassari si cerca uno stagista addetto alle vendite full time e con  diploma o laurea conseguiti da non più di dodici mesi (assicurato però un rimborso spese più buoni pasto). Ma possibile che serva un titolo accademico, e un periodo di formazione aggiuntiva, per imparare a vendere o fare da assistente in negozio? Peraltro in negozi come Zara dove i commessi non si occupano di seguire i clienti, che nella maggior parte dei casi si arrangiano da soli, ma di tenere l'ordine e smistare i capi? La Repubblica degli Stagisti ha provato a contattare l'ufficio stampa di Inditex per chiedere spiegazioni, ricevendo picche. «Siamo un gruppo troppo grande per poter fornire risposte in tempi brevi» affermano. E anche se la Repubblica degli Stagisti ha avuto pazienza, e ha aspettato molte settimane, nemmeno così le risposte sono arrivate. E pure chi dovrebbe difendere la categoria cade dalle nuvole: «Non è mai emerso nulla da delegati regionali sul problema degli stagisti dentro i negozi di Zara» giura Sabina Bigazzi, funzionaria nazionale di Filcams. Dissociandosi però in modo netto: «Per me uno stagista in negozio non ci dovrebbe essere mai, è solo manodopera a costo zero o sottopagata. Tuttavia io posso intervenire sull'abuso, se si è nei parametri di legge ho le mani legate, posso contestarli solo sul piano sindacale e politico». E infine assicura: «Voglio verificare. Forse è un problema rimasto in ultima fila tra quelli che abbiamo affrontato». Beatrice Cimini, funzionario Filcams del Lazio, è certa invece che quello degli stage in negozio sia un fatto appurato e sempre più comune. A Roma per esempio, dove sono otto i negozi del marchio, gli stagisti sono circa dieci, hanno un rimborso di 300 euro mensili per 40 ore lavorative, e usufruiscono di 22 buoni pasto legati alle presenze. Quanto alla durata, in genere si tratta di tre mesi, rinnovabili, ma il dato si ricava solo dalle segnalazioni ricevute, spiega la Cimini (che proprio di Zara si occupa): l'azienda infatti non specifica mai nell'annuncio quanto durerà. Quanto all'uso dello stage «è legale e costa di meno. Gli stagisti/commessi vengono pagati poco, e la società risparmia» chiarisce. L'unico svantaggio è che «il personale è meno disposto a svolgere a un costo minore le stesse mansioni di chi è assunto e per questo si fa più fatica a reperirlo». Un uso a dir poco distorto dello stage che non fa onore a questa azienda. Recita l'articolo 18 della legge 196 del 1997 che il tirocinio è creato «al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro». È chiaro che la legge si rivolge a professioni di alto profilo, per cui è necessario un tempo di apprendimento. Ma purtroppo molti "soggetti ospitanti" puntano invece solo al risparmio. Eppure il gruppo di cui fa parte Zara assicura ai dipendenti un trattamento di tutto rispetto. Paolo P., commesso di un negozio del centro di Roma, descrive alla Repubblica degli Stagisti cosa viene riservato a chi entra in azienda con regolare contratto di lavoro. «Si fa prima un contratto determinato, di uno o tre mesi a seconda se si sceglie il full o il part time». Dopodiché «al terzo rinnovo, se il neoassunto piace al responsabile, scatta il contratto a tempo indeterminato», provvisto di tutte le ormai rarissime tutele del caso (maternità, ferie pagate etc.). Gli stipendi sono discreti: 600/700 euro netti per un part time di 18 ore, salendo  fino a 1200 euro netti per un tempo pieno di 40 ore settimanali. E poi le possibilità di carriera ci sono, spiega il commesso: «Se vali puoi, attraverso un percorso piramidale, diventare viceresponsabile junior di un negozio, essere promosso responsabile prodotto e arrivare pure agli uffici come responsabile nazionale». Facendo un rapido calcolo, solo su Roma, utilizzando dieci stagisti a 300 euro al mese al posto di lavoratori regolarmente assunti, Zara risparmia ben 9mila euro al mese, che spalmati su tre mesi di stage fanno 27mila euro, e addirittura 54mila su sei mesi. Un vantaggio non da poco.Del resto Zara non è l'unica catena a fare uso degli stage in negozio. È apparso di recente sul portale Jobsoul un annucio della multinazionale Kiabi che cerca per 400 euro mensili e un full time di cinque giorni settimanali - weekend inclusi - «studenti giovani e motivati che hanno voglia di imparare e fare una prima esperienza nel mondo della grande distribuzione». Qui lo stagista non starà certo con le mani in mano, specificano: dovrà imparare nozioni come «etichettaggio, sistemazione e impiantazione del prodotto». Ma questo solo nella prima fase. Nella seconda, a cui – spiegano - arriva solo chi ha «compreso, praticato ed interiorizzato le basi del mestiere di addetto vendita», il candidato dovrà gestire in autonomia un perimetro del negozio e in particolare imparare cose come la «tenuta del perimetro e la regola delle tre P (Pieno, Prezzo, Pulito)» o «l'aggressività del prezzo». E il bello viene ora: la condizione per candidarsi è essere studente o neolaureato in Lettere e Filosofia. Altro che gli sbocchi nell'insegnamento o nel giornalismo: ora a chi viene dalla formazione umanistica tocca andare a vendere. L'azienda, contattata dalla Repubblica degli Stagisti, si rifiuta di commentare: dunque non resta che tornare all'annuncio, in cui si legge che lo stage serve a «scoprire la base del mestiere di responsabile di reparto. È una prima esperienza che permette di capire l’importanza della relazione con i clienti e del merchandising». Ma soprattutto che lo stagista deve «contribuire a sviluppare il fatturato del proprio perimetro». E per fortuna che dovrebbe essere formazione.  Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Professioni del commercio tra le più richieste. Un'opzione sbarcalunario per chi è poco choosy- Dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno gli studenti dell'Orientale di Napoli denunciano: nella newsletter di ateneo offerte di stage come commessi- Stagisti sfruttati, i casi finiti in tribunale- Tanti stage impropri, nessuna segnalazione agli ispettori. Perché? Due testimonianze E anche:- Vademecum per gli stagisti: ecco i campanelli d'allarme degli stage impropri - se suonano, bisogna tirare fuori la voce      

A Milano arriva la seconda edizione di StartupWeekend

Startupper per un giorno, anzi, per tre. Dal 1° al 3 febbraio, allo spazio di co-working Talent Garden (TAG) di Milano, si terrà la decima edizione italiana di StartupWeekend, un fine settimana lungo durante il quale imprenditori e soprattutto aspiranti tali potranno scoprire se le proprie idee di business funzionano, provando a impostarne la realizzazione con un team. È la seconda volta che la più grande competizione internazionale per imprese innovative, un format nato negli Stati Uniti ed esportato in tutto il mondo, dalla Mongolia al Sudafrica, da Londra al Brasile, fa tappa nel capoluogo lombardo. «L’evento comincia il venerdì sera, quando i partecipanti espongono il “pitch”, l’idea di impresa, cercando di appassionare i presenti e invogliarli a far parte della propria squadra. La sera stessa vengono votate tutte le idee presentate e quelle più apprezzate diventano oggetto dello sviluppo già nelle ore successive. «In media, ne vengono presentate circa 50 o 60 e ne vengono selezionate 10-15», spiega Donatella Cambosu del network Startupbusiness, che organizza l’evento (di cui la Repubblica degli stagisti è media partner insieme a Indigeni Digitali, Che Futuro!, StartupItalia e IED) in collaborazione con TAG e a Frontiers of Interaction. Subito dopo si formano i team che, racconta Davide Dattoli, co-fondatore di Talent Garden e referente italiano di StartupWeekend, «per avere successo dovranno essere il più possibile variegati: insieme a designer e developer, c’è bisogno di un esperto di marketing e uno di business administration». Il sabato e la domenica mattina sono dedicati allo studio della strategia e allo sviluppo concreto del prodotto. I team si occupano di programmazione di software e App, studiano la grafica, elaborano i primi elementi del business plan, pensano alla strategia di marketing. Se c’è bisogno, possono confrontarsi con i “coach”, esperti  digitali che danno suggerimenti e consigli. Il momento della verità arriva la domenica pomeriggio, quando i progetti vengono presentati e votati da una giura di imprenditori ed investitori, rappresentanti di incubatori e di fondi di Venture capital. In platea siedono potenziali  business angel e operatori del settore: «Siamo stati contattati da diverse grandi aziende interessate a progetti innovativi digitali: alla presentazione finale ci saranno anche rappresentanti di gruppi internazionali, da Samsung a Unicredit», continua Dattoli (nella foto insieme ai co-fondatori di TAG Marcello Merlo ed Emil Abirascid). Di solito vengono selezionati tre progetti, ma non ci sono premi in denaro. Il primo vince tre mesi di permanenza gratis a TAG, gli altri crediti on line per accedere a diversi strumenti digitali (per esempio Amazon web services) utili per gli startupper. «La cosa importante» precisa Donatella Cambosu «è l’opportunità di sviluppare un’idea di business e vedere se può funzionare. Se è vero che per molti partecipanti lo StartupWeekend rappresenta un’esperienza formativa e non l’inizio di un’impresa, ci sono stati anche casi di idee presentate durante uno degli eventi passati e poi diventate start up di successo». All’edizione milanese del 2011, per esempio, era stato presentato Save the Mom, un’App che si propone di aiutare le mamme impegnate nella gestione della vita familiare, coinvolgendo papà, figli, nonni, zii e tate. In poco più di quattro mesi, il progetto è diventato realtà: il lancio è avvenuto l’8 marzo scorso, insieme all’annuncio di un accordo con il mensile femminile Myself, che ha inserito l’organizer familiare sul proprio sito. InToino è una start up arrivata seconda allo Startup Weekend torinese del giugno scorso. Ha creato un’App che permette a tutti di progettare schede Arduino e sensori compatibili, senza dover per forza conoscere i codici di programmazione. È stata selezionata tra le 16 idee più interessanti da Le Web, la conferenza sul digitale che si è tenuta a dicembre a Parigi. All’evento romano del 2010 ha invece fatto il suo esordio Qurami, un’App per saltare le code negli uffici pubblici, all’ambulatorio, o al museo, che consente di prenotare il posto in fila tramite smartphone, verificare l'attesa in tempo reale e ricevere una notifica all'avvicinarsi del proprio turno. Da ottobre 2012, il servizio funziona nelle segreterie di quattro università romane (La Sapienza, Roma Tre, Luiss e Tor Vergata) ed è comparso anche nei primi uffici degli enti pubblici, come la Provincia di Roma e i Comuni di Firenze e Trieste.Partecipare costa 75 euro a persona, ma c’è uno sconto del 25% per gli studenti. L’obiettivo degli organizzatori, racconta Dattoli, è rendere l’edizione milanese al TAG la più partecipata di sempre: «Le precedenti edizioni italiane, da Brescia a Catania, hanno avuto molto successo: in tutti gli eventi c’erano almeno un centinaio di ragazzi. Questa volta puntiamo a raggiungere almeno i 150 iscritti, e siamo già vicinissimi. Milano è la capitale italiana del digitale e il 1° febbraio al TAG arriveranno aspiranti startupper da tutta Italia».   Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento leggi anche: - Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano  

Procedura sospesa e nuovo budget incerto: in Sardegna è caos tirocini

Il primo dei 1.400 tirocini formativi con voucher promossi dalla Regione Sardegna viene assegnato martedì 15 gennaio alle ore 10:14. L’ultimo, alle 12:11 dello stesso giorno. In mezzo, il caos. Due ore scarse in cui il sito, a cui stanno cercando di collegarsi circa 12.000 persone, va in tilt. Molti aspiranti stagisti non riescono ad accedere al portale e intasano le linee telefoniche dell’Agenzia per il lavoro della Sardegna chiedendo spiegazioni. L’ente che gestisce il bando dei Tirocini formativi e di orientamento (TFO) risponde on line denunciando sul sito un «attacco di hacker», ma nonostante questo non blocca la procedura telematica per aggiudicarsi i 6 mesi di tirocinio, con un’indennità di 500 euro lordi al mese. La sera stessa, il presidente della Regione Ugo Cappellacci annuncia su Facebook: «Considerato che l’avvio dei nuovi voucher formativi per cause non dipendenti dalla volontà dell’amministrazione non si è potuto svolgere in maniera tale da garantire in concreto a tutti gli aspiranti la possibilità di accedere e partecipare, la Giunta annullerà la procedura e la ripeterà con tutte le cautele e le garanzie che il caso richiede. Inoltre, considerato l’elevato numero di domande pervenute, aumenteremo le risorse finanziarie al fine di poter soddisfare un cerchia ancora più ampia di richiedenti». Una dichiarazione che ha l’effetto di aprire un vaso di Pandora: molti di coloro che non sono riusciti a portare a termine la procedura per aggiudicarsi il tirocinio ringraziano Cappellacci, ma cresce la protesta dei 1.400 fortunati. E così, a mente fredda, il governatore ci ripensa: «Stiamo facendo le verifiche tecniche sulla gestione del sito per capire se, al di là dei tentativi non riusciti di intrusione da parte di hacker, quei voucher possano essere regolarmente assegnati», dichiara il 16 gennaio. L’ipotesi che prende corpo negli ultimi giorni prevede di considerare validi i 1.400 TFO aggiudicati il 15 gennaio e fare un secondo bando con una dotazione economica che sia almeno uguale, ossia 5 milioni di euro. Il direttore dell’Agenzia Stefano Tunis ha già messo on line la lista dei beneficiari, ma l’assessore al Lavoro della Regione Antonello Liori vorrebbe l’annullamento e la ripetizione della procedura per tutti i partecipanti. Per ben due settimane, la Repubblica degli Stagisti ha cercato di intervistare il governatore sardo, che però si è negato. Dall’ufficio stampa della Regione spiegano che «si sta pensando di fare un secondo bando, ma la decisione verrà presa in una delle prossime riunioni della giunta. Considerando i vincoli del patto di stabilità e che siamo in esercizio provvisorio di bilancio, si sta cercando di recuperare 5 milioni di euro, che potrebbero raddoppiare». Sul presunto attacco da parte degli hacker, che in molti considerano poco probabile – si sarebbe trattato, piuttosto, di rallentamenti dovuti a un’infrastruttura informatica incapace di supportare oltre 10.000 accessi contemporaneamente – Tunis ha presentato un esposto. Le irregolarità, però, non finiscono qui. La procedura prevedeva l’invio telematico all’Agenzia del progetto formativo, condiviso da azienda e tirocinante. Una volta che il soggetto ospitante ha compilato la propria parte, abbinava il progetto al tirocinante prescelto, che aggiungeva i propri dati. Margherita C.  commentando sulla pagina Facebook del presidente la promessa di annullamento del bando, racconta di alcune anomalie del sistema: «Alcuni hanno avuto la possibilità di abbinare sin da ieri i tirocinanti, altri prima delle 10:00, altri hanno abbinato il tirocinante di cui non era caricato il cv... Che garanzie abbiamo che il sistema non abbia fatto figli e figliastri?» e chiarisce: «Sono un consulente del lavoro ed ho certezza che un'azienda a cui seguo la contabilità e la gestione del personale aveva abbinati dalla sera prima i progetti con i tirocinanti... e ieri durante la mattinata ha potuto abbinare un altro tirocinante di cui non era riuscita, per il blocco nei caricamenti, a caricare il cv! Purtroppo il sistema informatico creato non é molto affidabile. Io ho partecipato più volte alla distribuzione online di risorse limitate anche su base nazionale... mai mi è successo di non riuscire a caricare una pagina in ben due ore che sono stata collegata sul mio pc!». Gli aspiranti stagisti avevano l'obbligo di registrarsi al sito e inserire il proprio curriculum, in base al quale, presumibilmente, doveva avvenire la scelta da parte delle aziende. Tra imprese e tirocinanti potevano quindi esserci stati dei contatti anche prima, ma l'abbinamento del progetto formativo allo stagista da parte dell'azienda sarebbe dovuta avvenire, in tutti i casi, solo dalle 10 del 15 gennaio.Al di là della procedura inaffidabile, lenta e macchinosa, continua a far discutere anche il fatto che la maggior parte degli annunci riguardasse mansioni basse, per le quali non c’è bisogno di un periodo formativo di sei mesi. «Spero che Lei si voglia sincerare anche della correttezza delle proposte dei soggetti ospitanti: parlo di quei soggetti, soprattutto privati, che cercano tirocinanti per imparare a lavare i piatti, servire ai tavoli, per cui non mi sembra necessario un tirocinio di sei mesi. O sbaglio? Perchè non mi sembra il caso di sprecare risorse con persone che vogliono avere manodopera a spese dei contribuenti» scrive Francesca M., 36 anni, una laurea in Lettere e una in Tecniche della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, commentando le dichiarazioni del governatore.Altro punto debole di questi bandi, denunciato dal Comitato di indagine sulle politiche attive del lavoro in Sardegna è che «162 nomi compaiono in entrambe le liste dei beneficiari (dei bandi 2012 e 2013, ndr)»: «L’11,5% dei voucher andrà a persone che già l'anno scorso avevano beneficiato dei fondi regionali». Il regolamento non pone limiti a riguardo, ma secondo i ragazzi del Comitato una clausola che impedisse di ottenere un tirocinio per due anni di seguito sarebbe stata necessaria: «Anche questa volta la Regione ha dimostrato di non curarsi della condizione in cui molti giovani versano, si è scelto infatti di escludere chi non ha avuto, precedentemente, la possibilità di formarsi, riconfermando invece alcuni candidati che avevano già beneficiato del bando regionale in passato».   Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Torna il caso Tfo in Sardegna: stage per operai e commesse di bella presenza pagati dalla Regione- La Regione Sardegna promuove stage-vergogna: 10 milioni di euro per tirocini di 6 mesi come inservienti, operai, camerieri. E perfino braccianti agricoli- Tirocini per operai, inservienti e camerieri in Sardegna: il consigliere regionale Marco Meloni prepara un'interrogazione per l'assessore- Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso: forse dopo vorrà aprire una stazione di servizio sua»        

Tirocini extracurriculari, linee guida approvate: le Regioni legiferino entro luglio

Le nuove linee guida sui tirocini da oggi sono una realtà. L’intesa tra stato e Regioni è stata trovata, e il documento è stato sottoscritto questo pomeriggio, proprio pochi minuti fa. Prima di entrare nel merito, però, bisogna ribadire subito due cose. Innanzitutto che queste linee guida non riguardano che una parte di tutti gli stage attivati ogni anno in Italia, e cioè quelli definiti "extracurriculari" – fatti al di fuori dei percorsi formativi. Si tratta più o meno della metà degli stage, 250mila su un totale di mezzo milione. Le tutele e prescrizioni introdotte da questo documento, dunque, non riguarderanno chi fa stage mentre è iscritto a scuole, università, master e corsi di formazione. Inoltre non rientrano «tra le materie oggetto delle linee guida» anche altri quattro tipi di tirocinio: «i periodi di pratica professionale, nonchè i tirocini previsti per l’accesso alle professioni ordinistiche; i tirocini transnazionali, ad esempio quelli realizzati nell’ambito dei programmi comunitari per l’istruzione e per la formazione, quali il Lifelong Learning Program; i tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso; i tirocini estivi». Almeno, però, gli enti pubblici non saranno esonerati dal rispettare queste prescrizioni se ospiteranno tirocinanti extracurriculari: «Le presenti linee guida contengono criteri applicabili anche per i casi in cui il soggetto ospitante sia una pubblica amministrazione». La seconda premessa. Le linee guida non hanno efficacia immediata, non sono formalizzate in un atto normativo, e non hanno pertanto forza di legge. Per diventare operative avranno bisogno che ciascuna delle venti regioni italiane emetta una propria legge regionale, che ricalchi (si spera fedelmente) i principi concordati. Quando allora si potrà davvero dire che le tutele introdotte dalle linee guida saranno davvero implementate? Nel documento le Regioni si impegnano a farlo entro 6 mesi, dunque entro la fine di luglio. Sarà davvero così? Nessuno può saperlo, bisognerà attendere e monitorare con attenzione il lavoro dei vari consigli regionali su questo tema.Fatto questo preambolo, ecco i contenuti delle linee guida. Innanzitutto il compenso garantito per gli stagisti, la famosa «congrua indennità» minima già anticipata dalla riforma Fornero. La cifra su cui il governo e le Regioni si sono accordati è davvero molto bassa, solo 300 euro al mese, e per giunta lordi (la Repubblica degli Stagisti ha approfondito qui il problema generato dal lordo-netto in alcuni casi). Ma meglio di niente: nulla vieta in effetti alle Regioni di fissare un minimo più alto, magari commisurato al costo della vita sul proprio territorio. L'intesa sul testo infatti, è stata accompagnata da una dichiarazione in cui le Regioni si impegnano a prevedere un rimborso minimo di 400 Euro nelle proprie leggi e normative. L’assessore al Lavoro della Regione Toscana Gianfranco Simoncini, coordinatore della commissione Istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni, ha ricordato sulla sua pagina Facebook che «La Toscana nella sua legge ha già stabilito 500 euro». Quei 500 euro che in effetti, specialmente per la Lombardia e le altre regioni del centro-nord, sembrano una cifra più congrua (e non a caso è esattamente quella che la Repubblica degli Stagisti fin dal 2009 prevede nella sua Carta dei diritti dello stagista).Nelle linee guida vi è anche un altro aspetto interessante: il divieto di attivare stage per mansioni a bassa specializzazione, quelle che spesso vengono definite «ripetitive o meramente esecutive», o per risparmiare sul costo del lavoro impiegando stagisti per attività stagionali. Il passaggio del documento che esplicita questo divieto è il seguente: «Al fine di riqualificare l’istituto e di limitarne gli abusi, si concorda sui seguenti principi: a. il tirocinio non può essere utilizzato per tipologie di attività lavorative per le quali non sia necessario un periodo formativo; b. i tirocinanti non possono sostituire i lavoratori con contratto a termine nei periodi di picco delle attività e non possono essere utilizzati per sostituire il personale del soggetto ospitante nei periodi di malattia, maternità o ferie nè per ricoprire ruoli necessari all’organizzazione dello stesso». Bando dunque alle stagiste commesse, agli stagisti cassieri al supermercato e a tutto il sottobosco di stage a basso contenuto formativo utilizzati talvolta addirittura platealmente – come nel recente caso del programma TFO della Regione Sardegna – al posto dei contratti di apprendistato? Anche qui bisognerà attendere e vedere come le singole Regioni recepiranno questo principio. Purtroppo si sa che c’è sempre qualcuno che cerca di stoppare o annacquare questo tipo di risoluzioni sostenendo la tesi che «qualsiasi attività lavorativa ha bisogno di un periodo formativo»: la speranza è che venga messo a tacere, e che prevalga il buonsenso.Nelle linee guida si trovano poi indicazioni sulla durata massima – 6 mesi per neodiplomati e neolaureati, 12 mesi per disoccupati e inoccupati, 24 mesi per disabili – e sulla proporzione tra stagisti e dipendenti, che dovrà essere calcolata conteggiando solo quelli assunti a tempo indeterminato. Viene introdotto il divieto di realizzare «più di un tirocinio con il medesimo tirocinante» e quello di ospitare stagisti per aziende che abbiano «effettuato licenziamenti negli 12 mesi precedenti l’attivazione del tirocinio» o che abbiano in corso procedure di cassa integrazione: ma attenzione, qui il divieto vale solamente «per attività equivalenti a quelle del tirocinio» e «nella medesima unità operativa». Le linee guida mettono anche in guardia dal cercare di fare i furbi, cambiando semplicemente nome (forse i lettori più affezionati ricorderanno il caso dei superstage della Regione Calabria, ribattezzati "programma Voucher" nel - vano - tentativo di sfuggire alle critiche) agli stage nel tentativo di sfuggire alle prescrizioni: «Le presenti linee guida rappresentano standard minimi di riferimento anche per quanto riguarda gli interventi e le misure aventi medesimi obiettivi e struttura dei tirocini, anche se diversamente denominate». Chiamate i vostri tirocini come volete, insomma, ma dovrete comunque adeguarvi.Le linee guida approvate oggi sono certamente un passo nella giusta direzione. Sono però estremamente deboli, e necessitano di ulteriori passaggi normativi che probabilmente non tutte le Regioni saranno in grado di (o non avranno interesse a) produrre nei tempi previsti. L’attenzione della Repubblica degli Stagisti sull’iter di questi provvedimenti regionali sarà dunque altissima. E resta comunque poi il problema di tutti gli altri stagisti, quelli che restano fuori dal cappello di tutele di queste linee guida. Perchè agli stagisti curriculari non sono stati garantiti gli stessi diritti? Le Regioni in questo caso si tirano indietro, dicendo che la loro competenza è solo su quelli extracurriculari e che per i curriculari è lo Stato a dover legiferare. Bene, allora è tempo di chiedere allo Stato una bella legge anche sui tirocini curriculari. Per evitare che – secondo l’amaro italico detto che fatta la legge si trova l’inganno – tutti coloro che vorranno continuare ad abusare degli stagisti e a sfruttarli finiscano semplicemente per andare a pescare gli studenti anzichè i neolaureati e i disoccupati.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Linee guida sugli stage, 400 euro al mese di rimborso «obbligatorio»: ma solo in teoria- Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Tutto sulle nuove regole degli stage in Lombardia- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in LombardiaE anche:- Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso»- Provincia di Padova, la giunta detta le linee guida: stop agli stage gratuiti e niente stagisti nelle imprese non virtuose- Padova, le linee guida sui tirocini di qualità ci sono ma non vengono applicate- I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»

Tirocini estivi alla Banca Mondiale, 200 posti per Washington

C’è tempo fino al 31 gennaio per candidarsi a uno dei tirocini offerti dalla Banca mondiale (World bank), l'istituzione specializzata dell'Onu che si occupa di lotta alla povertà e di aiuti e finanziamenti per gli Stati in difficoltà. La sede centrale della World bank è a Washington. Gli stage sono rivolti a studenti che abbiano conseguito almeno la laurea triennale e che siano iscritti a un master, a un corso di laurea magistrale o specialistica o a un dottorato. In particolare i tirocini sono rivolti ai candidati impegnati nei seguenti ambiti di studio: economia, finanza, sviluppo umano (sanità pubblica, istruzione, nutrizione, popolazione), scienze sociali (antropologia, sociologia), agricoltura, ambiente e sviluppo del settore privato. L'internship programme mira sia al miglioramento delle competenze acquisite durante gli studi sia a favorire un'esperienza lavorativa in ambito internazionale. Le mansioni possono essere molto varie perché dipendono dal profilo del candidato e dalle necessità del momento. Vanno dalla ricerca e pianificazione di progetti all'organizzazione di eventi, alla collaborazione con i ricercatori nella raccolta e compilazione di dati. Tutti i tirocini, che durano dalle quattro alle dodici settimane, si svolgono a Washington, ma durante l'anno vengono talvolta aperte delle posizioni nelle sedi della Banca mondiale di Parigi, Bruxelles, Berlino, Marsiglia, Londra, Roma e Ginevra, che sono pubblicizzate qui. I tirocini il cui bando scade il 31 gennaio, programmati per il periodo estivo giugno-settembre, sono pagati sulla base del monte ore di lavoro e, in alcuni casi, è prevista anche un’indennità per le spese di viaggio. Il compenso, comunque, è variabile a seconda dell'esperienza, del tipo di lavoro richiesto e dell'ufficio nel quale si è impiegati. I vincitori comunque devono provvedere autonomamente al vitto, così come alla ricerca e al pagamento dell’alloggio. Requisito indispensabile per candidarsi è l’ottima conoscenza dell’inglese e sono considerati titoli preferenziali la conoscenza di un’altra lingua tra francese, spagnolo, russo, arabo, portoghese e cinese. Priorità viene data anche ai candidati in possesso di buone competenze informatiche e di esperienze di lavoro pregresse. Si richiede anche capacità di lavorare in gruppo e motivazione basata su un forte interesse per le politiche di sviluppo.La Banca mondiale riceve circa 5mila candidature per i tirocini estivi e altre 2-3mila candidature per i tirocini invernali, questi ultimi con scadenza del bando fissata al 31 ottobre. Sono circa 150-200 i candidati selezionati ogni anno, a seconda della richiesta dei dirigenti della banca e della disponibilità economica. Dato l’elevato numero di candidature, la Banca non comunica a tutti i candidati l’esito della selezione, ma contatta solo quelli ritenuti idonei. Chi è interessato a un tirocinio alla Banca mondiale può candidarsi online, presentando la domanda a questo link. Oltre ai tirocini la World bank, nel corso dell'anno, offre un'altra occasione unica rivolta solo ai cittadini italiani under 30 che abbiano conseguito almeno una laurea triennale: il Jpo, Junior professional officers, un programma di lavoro di due anni, talvolta estendibili a tre, finanziato dal ministero degli Esteri italiano, che dà la possibilità di essere pienamente integrati nel team di lavoro della sede di Washington. Il numero di posti disponibili è negoziato ogni anno dalla Banca mondiale e dal governo italiano, ma  dal 2009 a oggi è drasticamente diminuito rispetto al passato e il ministero ha inviato solo un paio di candidati all'anno. Ci si può candidare ogni anno entro il 31 ottobre inviando la documentazione a Undesa, il dipartimento dell'Onu per gli affari economici e sociali, che pubblica il bando sul suo sito. I colloqui si tengono tra maggio e luglio, mentre la partenza è prevista tra ottobre e dicembre. Il programma Jpo non coinvolge solo la Banca mondiale, ma anche altre istituzioni specializzate dell'Onu. Antonio Siragusa  Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Stage UE, oltre 800 occasioni da più di mille euro al mese- Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa