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Disoccupazione giovanile, ecco la storia dei 168 milioni per gli stage stanziati da Letta ma bloccati da un anno

I Neet sono un'emergenza nazionale concentrata soprattutto al Sud: per contrastare il fenomeno, su iniziativa del precedente governo, era stata predisposta l'attivazione di un fondo per l'attivazione di tirocini con uno stanziamento non indifferente 168 milioni di euro. Ma a distanza di più di un anno quei soldi non sono mai arrivati: sono rimasti bloccati in una delle numerose pieghe della burocrazia italiana. Lasciando in sospeso una delle tantissime riforme mai rese operative per mancanza dei rispettivi decreti attuativi. Questa, in breve, la storia. Quella di stanziare un ingente fondo che permettesse di attivare tirocini da offrire come opportunità ai Neet del Mezzogiorno era stata un'idea dell'allora ministro del Lavoro Enrico Giovannini. A giugno del 2013 viene emanato il decreto legge 76, destinato ai «primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in  particolare giovanile», come si legge nell'intestazione della norma. In quel momento, come adesso, è allarme nelle istituzioni per i numeri su disoccupazione e giovani fuori da ogni contesto lavorativo o di studio, i Neet appunto: secondo l'Istat nel terzo trimestre del 2013 sono 2 milioni e 350mila i 15-29enni classificabili come tali, mentre i non occupati tra i 15 e i 24 anni sono al 42%. Di lì il varo del decreto legge, le misure a favore dell'occupazione (tra cui quella sugli incentivi alle imprese per l'assunzione degli under 30) e i fondi per l'attivazione di nuovi stage inseriti tra le misure «contro la povertà nel Mezzogiorno». All'articolo 3, punto c, si afferma che verranno stanziate borse di tirocinio formativo che comporteranno «la percezione di una indennità di partecipazione, conformemente a  quanto previsto dalle normative statali e regionali, nel limite di 56  milioni di euro per l'anno 2013, 56 milioni di euro per l'anno 2014 e 56 milioni di euro per l'anno 2015». A un anno di distanza la Repubblica degli Stagisti ha deciso di andare a monitorare la situazione, per capire se effettivamente quelle borse stiano smuovendo il ristagnante mercato del lavoro del Sud. Ma parlando con i responsabili di Italia Lavoro, che dell'erogazione delle borse avrebbero dovuto occuparsi, la clamorosa scoperta è che quei fondi sono in pratica scomparsi: «Non ci sono i decreti attuativi, tutto è fermo». Così come lo sarebbero altri quasi 500 decreti partoriti nell'arco degli esecutivi Monti-Letta. Con buona pace degli annunci inneggianti al cambiamento di volta in volta nelle parole dei vari premier al governo. Una sorta di paralisi che non tutti si sentono di commentare: è il caso dei presidenti delle commissioni Lavoro di Senato e Camera, rispettivamente Maurizio Sacconi, del Nuovo centro destra, e Cesare Damiano, del Pd. È a loro che la Repubblica degli Stagisti ha chiesto per giorni un commento, che però non è mai arrivato né dall'uno né dall'altro. Chi si è invece esposto è Walter Rizzetto del Movimento 5 Stelle, vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera. «Credo che il decreto sia destinato all'oblio. Non nutro speranza sui termini della sua conversione, neppure come scelta politica» tuona alla Repubblica degli Stagisti. Rizzetto si dice scettico sul quadro generale del provvedimento firmato da Giovannini: «Non è con gli incentivi alle imprese che si crea lavoro» sottolinea, denunciando come si sia ancora molto lontani dall'obiettivo delle 200mila assunzioni. E rincara la dose anche sull'aspetto politico della vicenda: «Cosa si può pensare di uno Stato civile che – per mancanza di un decreto attuativo – non riesce a sbloccare 168 milioni già stanziati?». Il vicepresidente pentastellato non è convinto neppure della formula stage come misura di contrasto alla disoccupazione giovanile: «Spesso si tratta di giovani già molto preparati, a cui va offerto un lavoro vero: non servono altre scappatoie». Sulla stessa Garanzia Giovani, che definisce «un discreto inizio» rispetto al tema disoccupazione giovanile, Rizzetto rivela scenari inquietanti e per certi versi simili a quelli del decreto Giovannini: «Oltre al problema della pubblicità del programma, per cui molti giovani potenzialmente interessati dal programma, forse addirittura la metà, non ne sanno nulla, esiste un'altra drammatica realtà: il progetto non riesce a essere operativo in alcune regioni da me contattate perché, mi hanno detto, non riescono a interfacciarsi con il ministero». Moltissime sono in queste condizioni, «circa il 60%» precisa, «anche se la situazione pare si stia risolvendo».  Anche il direttore generale del ministero del Lavoro Salvatore Pirrone non si è sottratto alle domande della Repubblica degli Stagisti, fornendo però una risposta molto diversa da Italia Lavoro e del vicepresidente della Commissione lavoro della Camera. «L'attivazione dei 168 milioni stanziati dall'articolo 3 del dl 76 non richiede l'emanazione di un decreto ministeriale, ma semplicemente una procedura amministrativa» dice alla Repubblica degli Stagisti. Semplice 'procedura amministrativa' dunque e non decreto attuativo, a suo dire. Ma la sostanza non cambia, perché nei fatti quel provvedimento da 11 mesi è chiuso in un cassetto. «Data la natura dei fondi e la chiara complementarietà con la strategia per l'attuazione della Garanzia Giovani» aggiunge Pirrone «abbiamo atteso di definire il quadro di regole che presiedono al funzionamento di quella strategia». Ma che senso ha avuto, allora, emanare un decreto di fatto sovrapponibile al progetto Garanzia Giovani? «Credo che il dl 76 abbia semplicemente cercato di anticiparlo predisponendo strumenti e risorse per contrastare la disoccupazione giovanile» ipotizza il direttore generale: «In quest'ottica è da leggere anche l'incentivo per l'occupazione giovanile previsto dall'articolo 1 del dl». Tanto che gli stessi fondi inseriti nel programma, studiati sulla base del Pon (programma operativo nazionale), chiarisce ancora Pirrone, sono stati calcolati «avendo riguardo all'esistenza delle risorse della Garanzia Giovani», ovvero il miliardo e mezzo di dotazione. «Per questo motivo» conclude «contiamo di sbloccare nelle prossime settimane quelle risorse, che verranno utilizzate nell'ambito della Garanzia Giovani». Ecco spiegato dunque, forse, perché da qualche giorno il premier Matteo Renzi quando parla in pubblico di Garanzia Giovani dice che il fondo a disposizione è di 1 miliardo e 700 milioni di euro, non 1 miliardo e 500 milioni come precedentemente annunciato dai ministri competenti e come segnalato nelle slide del governo. Verranno dunque recuperati anche i 168 milioni del decreto Giovannini, rimasti a prendere la polvere per oltre un anno? A questo punto c'è da sperare di sì: meglio tardi che mai.Ilaria Mariotti

Giornalisti imprenditori, la nuova frontiera della professione ai tempi della crisi

Raccontare le nuove frontiere del giornalismo: raccontarle oggi, con la crisi, coi giornali che chiudono e i contratti articolo 1 che paiono un miraggio e i pezzi pagati 4 euro ai collaboratori esterni. Raccontare come il giornalismo può assumere la forma della libera professione. Ieri al Circolo della Stampa il Forum permanente sull'informazione di Assisi, di cui faccio parte, ha organizzato un incontro per presentare alcuni modelli imprenditoriali che sono riusciti a emergere negli ultimi anni nel settore della comunicazione - e per raccontare il mondo che ruota intorno a tutti quei giornalisti che non hanno un datore di lavoro alla vecchia maniera, con un contratto di lavoro subordinato e lo stipendio alla fine del mese, ma anziché vivere solo di collaborazioni "standard" si sono inventati qualcosa di speciale.Io ho raccontato la mia esperienza, la nascita della società Ventidue e delle sue testate giornalistiche, concentrandomi sul modello di business della Repubblica degli Stagisti. Un sistema innovativo e unico nel suo genere: una testata giornalistica che da cinque anni basa i suoi introiti non solo sui banner pubblicitari (i cui proventi sarebbero assolutamente insufficienti a garantire una sostenibilità finanziaria del progetto), ma sopratutto sul coinvolgimento attivo di una serie di aziende. Che a fronte di un impegno a comportarsi in maniera "etica" con stagisti e giovani dipendenti e del pagamento di una quota di adesione annuale, hanno uno spazio e alcuni servizi a disposizione sul sito. Un sistema virtuoso, che certamente ha sofferto la crisi - sopratutto nel biennio 2012/2013 - e la conseguente diminuzione delle aziende disponibili a investire in politiche di employer branding e di responsabilità sociale di impresa. Ma che è sempre pronto a intercettare tutto il buono che c'è nell'imprenditoria sana italiana e riversarlo in una attività giornalistica dedicata proprio al tema dell'occupazione giovanile. L'evento di ieri è stata l'occasione per scoprire molti altri modelli eccentrici di giornalismo, lontani dai soliti schemi. Per esempio Maria Chiara Voci ha raccontato di Spazi Inclusi, piccola società torinese nata da «un gruppo di giornalisti che avevano molto lavoro, tanto da non poterlo fare da soli, e che si sono voluti organizzare per evitare che qualcuno venisse travolto dal lavoro e altri stessero senza far niente». Una realtà nata intorno al marchio: «Alcuni di noi avevano già collaborazioni; avevamo inizialmente creato uno studio professionale ma non riusciva a rappresentarci tutti». Così quando è arrivata la possibilità della "srl a un euro" Spazi Inclusi si è trasformata in ssrl: «Non è certamente un percorso finito, tutti i giorni abbiamo problemi e dobbiamo imparare a fare gli imprenditori oltre che i giornalisti, e il service non riesce a sostenersi attraverso la sola fornitura di prodotti giornalistici». Dunque Spazi Inclusi ha da tempo aperto la sua attività anche al fronte aziendale: «Oltre a fornire il pezzo al Sole 24 Ore, ci capitare di produrre anche testi e video destinati al mercato privato». La società conta oggi 10 soci, di cui la metà "lavoratori", intorno a cui gravitano una quindicina di collaboratori. «Adesso per alcuni di noi il service è la maggior fonte di guadagno. Abbiamo un giro d'affari di circa 80mila euro l'anno, chi fra noi prende di più guadagna al mese sui 900-1000 euro: il resto bisogna andare a cercarselo altrove». Anche perché la società ha i suoi costi fissi insopprimibili: «Certo, non abbiamo dovuto versare i 10mila euro di capitale che ci volevano prima, ma comunque una società costa: 1500 euro all'anno per esempio di commercialista, 500 euro di deposito di bilancio». La prossima sfida, «includere dei soci con professionalità diverse dalla nostra», come per esempio dei consulenti di impresa: «Ne abbiamo incontrati alcuni che ci hanno proposto una collaborazione per noi molto interessante. Ci siamo accorti che per fare impresa bisogna avere delle competenze specifiche, mentre noi sappiamo fare bene solo i giornalisti».Il modello cui dichiaratamente guardano i torinesi di Spazi Inclusi è Fps Media, dove FpS sta per "Fuori per servizio", agenzia giornalistica nata nel settembre del 2009. Un gruppo di 10 soci, quasi tutti provenienti dall'ultimo biennio della scuola di giornalismo Ifg di Milano in via Filzi. A raccontarla ieri al Circolo della stampa c'era una delle socie, Natascia Gargano: «Ancor prima di finire la scuola ci eravamo resi conto che non ci sarebbero stati giornali ad assumerci. Eravamo tutti under 30, con qualche stage alle spalle in redazioni varie: l'idea era quella di provare a stare sul mercato con le nostre forze, e che in gruppo saremmo stati più forti che da soli». Forma societaria: la cooperativa, per i costi più contenuti: «Non avevamo soldi da investire, a parte i 600 euro versati da ciascuno di noi e serviti per avviare la struttura. Avevamo però da offrire il nostro lavoro». Oggi si definiscono «un network nazionale» perché oltre alla sede a Milano hanno collaboratori sparsi sul territorio, tra i quali per esempio, in Piemonte, gli stessi giornalisti di Spazi Inclusi: «Questo ci permette di prendere lavori in tutta Italia e anche all'estero, gestiamo anche un premio giornalistico cileno». I dieci soci giornalisti sono contenti e fieri del loro lavoro: «Siamo riusciti a sopravvivere perché siamo diventati giornalisti imprenditori. All'inizio prendevano tutto, anche il lavoretto sottopagato, poi quando ci siamo strutturati abbiamo potuto scegliere e dire anche qualche no, mettere qualche paletto. Abbiamo per esempio scelto di non lavorare per partiti politici: non che ci sia qualcosa di male, ma noi abbiamo preferito non farlo». E si sono dotati di un codice etico: «Anche noi come la Repubblica degli Stagisti pensiamo che il lavoro debba essere pagato dignitosamente, puntualmente e adeguatamente: sia il nostro sia quello dei nostri collaboratori. Siamo una cooperativa a tutti gli effetti, le nostre decisioni sono prese collegialmente, ognuno di noi poi ha una precisa responsabilità rispetto a una squadra di lavoro». I dieci soci si sono "autoassunti" come cococo: «un contratto subordinato sarebbe stato troppo costoso. Abbiamo degli stipendi che vanno dai 1200 ai 1500 euro netti mensili; il nostro obiettivo naturalmente é migliorare la nostra condizione contrattuale e i nostri stipendi». Ma tutto deve essere fatto a tempo debito, senza correre: «Per lungo tempo le entrate sono state risicate. Però la nostra curva é stata sempre ascendente, anche nei momenti peggiori, come nel 2011-2012. Abbiamo chiuso il bilancio del 2013 a 400mila euro, e per il 2014 stimiamo che arriveremo quasi al mezzo milione». Risultato, Fps è diventato «una calamita per professionisti che fanno cose diverse da noi, come video reporter o fotografi». Attraverso queste nuove collaborazioni possono «lavorare meglio, offrendo ai nostri committenti, dalla televisione all'azienda, un pacchetto completo: creare un sito, curare l'attività sui social, abbiamo addirittura creato un telegiornale dal nulla». In platea, il giornalista e sindacalista di lungo corso Edmondo Rho è molto colpito: «Passare da 0 a 400mila euro di fatturato in 5 anni, da giornalista economico lo giudico un ottimo risultato. E anche stipendi medi di 1200-1500 euro netti sono molto al di sopra della media di settore».Poi c'è una storia diversa, quella del progetto multimediale Italiani di Frontiera raccontata sopra le righe dal suo ideatore, Roberto Bonzio: «Dopo 30 anni di disonorata carriera giornalistica - cinque al Gazzettino di Venezia, quindici sanguinosi al giorno e dieci a Reuters - nel 2011 ho deciso di licenziarmi. La decisione l'ho presa dopo aver passato sei mesi con tutta la famiglia in Silicon Valley, a conoscere e raccontare le storie straordinarie di chi venendo dall'Italia ha creato impresa dall'altra parte del mondo». Bonzio cita Renzo Piano - «si va sulla frontiera per capire meglio il posto da cui si è partiti» - e si scaglia contro le «macerie culturali che la mia generazione di giornalisti lascia ai giovani, come la convinzione che non ci sia modo di uscire dalla crisi, o la triste abitudine di gioire della sconfitta altrui, che io ho ribattezzato sindrome del palio di Siena». Italiani di Frontiera è basato sull'innovazione, sul web: «Internet mi ha dato un strumento fondamentale, perché dopo soli tre mesi che ero in Silicon Valley tutti vedevano quello che stavo facendo: il progetto si è costruito una reputazione in tempo reale». Tornato in Italia, e in redazione, è partito un «percorso di autocoscienza su me stesso e su come si fa giornalismo». Così è arrivata la scelta di abbandonare il contratto sicuro e il giornalismo tradizionale: «Nel 2011 ho scommesso sul fatto che su questa cosa avrei campato, e oggi sono contento di averlo fatto. Non bisogna avere paura della novità, bisogna condividere, senza calcolare in ogni momento il proprio guadagno. Non c'è nessun modo come raccontare le storie delle persone per far volare le idee. Sono uno spacciatore di ottimismo: la materia prima di cui c'è più sempre bisogno». Italiani di Frontiera si differenzia rispetto agli altri progetti presentati nella mattinata di ieri anche perché non è dai contenuti giornalistici che proviene il profitto: «Come dire, "la prima dose è gratis": il guadagno non viene da ciò che scrivo, bensì da chi mi invita a realizzare eventi. Quest'anno ne ho già fatti una trentina, e suscitano sempre un incredibile entusiasmo».Un altro aspetto scandagliato nel corso della mattinata è stato l'utilizzo del crowdfunding in ottica giornalistica. A focalizzare questo tema Emanuela Zuccalà: «Anch'io sono una folle, dopo anni da freelance e dopo essere finalmente arrivata a un'assunzione, nel 2011 ho deciso di licenziarmi: non sono pentita della decisione, ma sconsiglio di farla… perché è un bagno di sangue!». Spiega Zuccalà che fino anche solo a un paio d'anni fa il crowdfunding, cioè la raccolta di finanziamenti per un determinato progetto affidata alla folla («crowd») attraverso piccole o grandi donazioni singole («funding»), era «cosa poco nota». E poco frequente era in particolare l'applicazione di questa particolare modalità al giornalismo. «Adesso invece ci sono esperienze molto interessanti. Per esempio è appena partita la raccolta di fondi per il progetto “Io sto con la sposa”, che si prefigge di raccogliere 200mila euro. In due giorni sono già a 12mila: noi per raccoglierne 13mila un anno fa ci mettemmo due mesi!». Una attenzione molto maggiore dunque per questo tipo di iniziative, che ha avuto un caso eclatante con l'ultima edizione del Festival del giornalismo di Perugia: «Sembrava che l'edizione 2014 non si dovesse fare, poi attraverso il crowdfunding gli organizzatori hanno raccolto oltre 100mila euro». Ma le donazioni dei privati possono essere la modalità del giornalismo del futuro? «No. Quantomeno non una via quotidiana, abituale: ha senso solo su documentari, inchieste, reportage fotografici». Giustamente infatti Zuccalà si chiede: «Perché mai i lettori, oltre al prezzo del giornale che acquistano, dovrebbero finanziare una inchiesta?». E cita una esperienza interessante ma controversa del quotidiano “Il giornale”: «Si chiama «Gli occhi della guerra», i giornalisti - collaboratori storici del giornale, firme conosciute ma non dipendenti della testata - aprono sottoscrizioni per farsi finanziare reportage in zone lontane. Questo apre molti interrogativi: non dovrebbe essere l'editore a finanziare questo tipo di lavoro giornalistico? Perché mai dovrebbe essere il lettore a pagare?». A Zuccalà insomma non piace questo sistema: «Bisogna chiedersi se è etico, perché in effetti assomiglia a una specie di ricatto: il messaggio sembra "siccome siamo in crisi, se volete leggere le notizie di Esteri sulle guerre dovete pagare di più"». E comunque «il crowdfunding si può fare una tantum, non “in serie”, altrimenti si perde in credibilità. E non è facile: bisogna già avere una folta rete di contatti, è un lavoro totalizzante». Insomma, una modalità valida anche in campo giornalistico, ma solo «per eventi spot».Ultimo aspetto, il coworking: cioè l'abitudine - sempre più diffusa tra i liberi professionisti, e anche tra i giornalisti freelance - di condividere uno spazio lavorativo per abbattere le spese e creare sinergie. Antonio Armano ha fatto il quadro della situazione: «A volte i freelance sono come agli arresti domiciliari: lavorare da casa presenta molti aspetti critici. Qui a Milano la modalità del coworking sta prendendo piede: ci sono già cinquecento postazioni di cui 24 riconosciute dal Comune. Di solito si tratta di uno spazio con scrivanie, una cucina per poter pranzare e di solito anche una sala riunioni». L'assessorato al Lavoro del Comune di Milano l'anno scorso ha messo a disposizione 300mila euro, di cui 100mila della Camera di commercio, attraverso un bando che é «agli sgoccioli ma ancora aperto», rivolto a liberi professionisti o a startupper. «Sono state ricevute 147 domande, il fondo che riguarda le imprese dispone ancora di qualche fondo perché sono arrivate meno richieste, mentre da parte di liberi professionisti ne sono arrivate 132». Requisiti molto ampi: «Il Comune ha cercato di non mettere troppi paletti, e questo è encomiabile, perché il tentativo è quello di intercettare una realtà per sua stessa natura molto fluida». Per esempio, per accedere al bando bisognerebbe avere una partita Iva, «ma in realtà basta almeno avere l'obiettivo di aprirne una». Vantaggi? «Il coworker riceve fino a 1500 euro all'anno per l'affitto. Il che copre mediamente la metà dei costi, dato che una postazione costa circa 200 euro al mese». Due gli esempi portati da Armano durante il dibattito: «C'è innanzitutto l'esperienza di Avanzi in via Ampere, in zona Città studi: un centinaio di postazioni che costano circa 2700 euro l'anno in una ex fabbrica di televisori. Il gruppo più numeroso è quello degli architetti / designer ma al secondo posto, con il 26%, ci sono i coworkers che si occupano di comunicazione». Il che non vuol dire solo giornalismo ma anche molte altre cose, come la pubblicità: «Per esempio in Avanzi c'è Babel, una piccola società di pr specializzata nell'editoria di libri che ha anche curato per Rcs la promozione delle "Cinquanta sfumature di grigio"». L'altro coworking space milanese citato è quello di via Meda: «Qui ci sono una decina di postazioni. Meda36 parte come società, poi decide di fare il coworking, non per occupare sedie vuote ma per attrarre nuove competenze e metterle in collaborazione e rete». L'invito insomma è quello di candidarsi, se interessati: «Ci sono ancora fondi per questo bando: i giovani, le società piccole, le startup possono ancora fare richiesta».Tra i tanti altri interventi che sono seguiti - da Massimo Zennaro, a capo del sindacato dei giornalisti veneti a Fabio Soffientini, responsabile del settore finanza e del neonato Centro studi dell'Inpgi, fino a Giovanni Matteoli della Casagit - quello che mi ha colpito di più è certamente quello del presidente Fnsi Giovanni Rossi. Perché dopo aver ricordato che vent'anni fa «a Bologna, alla presenza di tutti gli organismi di categoria, facemmo un convegno che aveva come titolo “Giornalista, imprenditore di se stesso”: dunque il tema è presente e discusso da tempo nel sindacato, anche se la verità é che l'attenzione non è stata sempre a livello necessario», Rossi ha dato un aggiornamento sulla collaborazione tra Fnsi e governo Renzi. «Abbiamo avviato una interlocuzione col governo, i nostri referenti sono il ministro del Lavoro Poletti e il sottosegretario con delega all'editoria Lotti. Ci sono 110 milioni di euro, di cui 50 per il 2014, previsti per interventi che dovrebbero servire a creare nuova occupazione dipendente in campo giornalistico». Rossi ha spiegato che c'è una novità rispetto al governo Letta: «Il sottosegretario ha cominciato a pensare a destinare una quota di questo fondo per sostenere le startup attive nel mondo del giornalismo web: i tempi però sono molto stretti per permettere una nostra interlocuzione, perché entro il 6 giugno dovrebbe uscire il decreto coi criteri». La novità nasce «dalla considerazione che il piattaforma tecnologica ha problema dal punto di vista degli introiti pubblicitari, dunque almeno in fase di avvio c'è bisogno di un sostegno». Al termine del suo intervento, ho chiesto pubblicamente a Rossi di far presente al sottosegretario Lotti che l'errore peggiore, se davvero questo decreto dovesse prevedere dei fondi per il sostegno alle testate online, sarebbe quello di limitare tali aiuti alle «startup», cioè a realtà giornalistiche ancora inesistenti o nate da poco, escludendo invece tutte quelle che da anni - come la Repubblica degli Stagisti e Articolo 36 - si fanno in quattro per offrire al pubblico una informazione seria e di qualità, riuscendo contemporaneamente a pagare dignitosamente chi quella informazione la produce con professionalità ed esperienza. Il presidente Fnsi ha preso nota e promesso che lo farà presente a Lotti. Speriamo.Eleonora Voltolina

Corte dei conti Ue, Echa e Comitato delle regioni: bandi per stage con rimborso di oltre 1000 euro al mese

Non per tutti i tirocini in ambito europeo le scadenze sono serrate. Sono diverse le istituzioni che, al contrario, decidono di lasciare aperte per tutto l'anno le candidature, per poi chiamare stagisti al bisogno. Un caso è quello della Corte dei Conti Ue, organo di controllo delle finanze europee con sede a Lussemburgo. Qui si può fare domanda sempre, anche se – si specifica sul sito - «per motivi di budget il numero di tirocini è molto ridotto». Poche decine si intende, visto che anche l'organico non è dei più nutriti: solo 28 giudici, uno per ogni stato membro, nominati dal Consiglio europeo per sei anni. Ad essere invece particolarmente sostanzioso è il rimborso spese, di circa 1200 euro – lordi – mensili, un compenso che per molti giovani italiani è di questi tempi un miraggio. Al solito la tassazione sarà poi applicata secondo la normativa del Paese di origine dello stagista. Ma attenzione: se si vuole ricevere l'emolumento sul modulo per fare domanda va barrata la casella 'tirocinio rimborsato', visto che alcuni traineeship non prevedono borsa. Le regole per partecipare alla corsa sono ridotte all'osso. Tra i requisiti richiesti ai ragazzi, si legge sull'homepage dedicata ai tirocini, la nazionalità di uno degli Stati membri dell'Ue, un diploma universitario o almeno quattro semestri di studio universitario in un settore di interesse per la Corte (quindi giurisprudenza, economia e scienze politiche), la conoscenza di almeno un paio di lingue ufficiali della Ue, di cui una in modo approfondito. Deve infine trattarsi di una prima esperienza alla Corte. Per candidarsi va compilata la domanda – una sintesi del proprio curriculum – in inglese o francese, e poi caricata sul sito. Seguirà una mail di conferma. Solo in caso di accettazione sarà richiesto l'invio di ulteriori allegati. Per chi parte la durata massima dello stage è di cinque mesi non rinnovabili. Per quanto riguarda i criteri di selezione, per gli organizzatori vale la regola del bilanciamento geografico, ovvero dare lo stesso spazio agli stagisti di tutti i Paesi membri. Una seconda chance per chi è in cerca di tirocini in Europa è all'Echa, autorità di regolamentazione della UE che «assiste le società affinché si conformino alla legislazione, e che promuove l'uso sicuro delle sostanze chimiche, fornisce informazioni e si occupa delle sostanze preoccupanti» fanno sapere sul sito. In questo caso ci si sposta a Helsinki in Finlandia, e per fare domanda non ci sono limiti di tempo. La durata degli stage varia dai tre ai sei mesi, non prorogabili, mentre le borse sono ancora più cospicue di quelle della Corte: 1300 euro lordi mensili, maggiorati del 50% per i disabili, più il rimborso delle spese di viaggio di andata e ritorno (se la distanza supera i 150 chilometri). Su questo aspetto il regolamento chiarisce però che in caso «i tirocinanti continuino a percepire una retribuzione dal proprio datore di lavoro o qualsiasi altra borsa o indennità avranno diritto alla borsa solo se l'importo percepito è inferiore a quello indicato qui sopra». In tale circostanza il rimborso si riduce alla differenza tra i due redditi. Per chi lavora inoltre esiste l'obbligo di «fornire una dichiarazione firmata dal datore di lavoro in cui figurino la retribuzione, le spese e le indennità». Gli stagisti non beneficiano tuttavia di assicurazione sanitaria, e dovranno stipularne una prima dell'inizio. Le posizioni aperte ogni anno sono poche, mai più di 20, e i requisiti abbastanza stringenti: oltre alla nazionalità Ue o appartenente allo Spazio economico europeo (con un margine riservato ai cittadini di Paesi terzi) e al fatto di essere alla prima volta nell'agenzia (non è consentito aver prestato servizio come collaboratori esterni), bisogna essere neolaureati in «settori attinenti alla legislazione vigente per le sostanze chimiche o in altri campi pertinenti all'ambito amministrativo delle istituzioni dell'Ue» è scritto sul sito, quindi chimica, tossicologia, biologia, scienze e tecnologie ambientali, oppure settori amministrativi come diritto, comunicazioni, finanza, risorse umane e tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni. Possono presentarsi anche dipendenti pubblici o privati che lavorino negli stessi ambiti. Infine occorre saper comunicare in inglese, avere una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali dell'Unione e una conoscenza soddisfacente di un'altra lingua ufficiale. Le opportunità aperte per settembre sono qui, con deadline alla metà di giugno (pur non escludendosi candidature spontanee). Inviata la domanda, si può essere contattati per un colloquio via telefono o di persona. Agli ammessi arriverà una lettera con il contratto di tirocinio e le informazioni sulla partenza. Infine, gli stage al Comitato delle regioni Ue, l'assemblea delle rappresentanze territoriali della Ue. Cosa farà un tirocinante in questo organo di Bruxelles? A seconda del settore per cui si opta si tratterà di mansioni di stampo più «amministrativo o politico», dicono sul sito. Due le sessioni annuali, una primaverile (dal 16 febbraio al 15 luglio), una autunnale (dal 16 settembre al 15 febbraio), entrambe di cinque mesi. Anche per il CoR le posizioni sono limitate, ma il compenso mensile piuttosto generoso: si percepisce il 25% di un funzionario di livello AD 5, dunque circa 900 euro lordi mensili, aumentati di 100 euro per chi è sposato o ha figli, più maggiorazioni per disabili e rimborso delle spese di viaggio. I requisiti si ripetono: nazionalità europea, diploma universitario e buona conoscenza di una lingua ufficiale, più quella soddisfacente di inglese o francese. È escluso chi abbia avuto esperienze di collaborazioni retribuite con entità europee per più di due mesi. L'application, in inglese, francese o tedesco, si spedisce online. Le selezioni, sulla «base del merito e di criteri geografici» terminano circa tre mesi prima della partenza. Quindi, per chi si propone ora, le prime notizie arriveranno a metà estate. Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Uno stage all'estero nelle istituzioni UE? Ecco oltre 700 opportunità- Novanta stage ben pagati nelle agenzie europee: ecco i bandi in scadenza a giugno- Stage ben pagati in Europa, i bandi dell'Agenzia del farmaco e della Corte di giustizia attirano i giovani italiani

A Terni nuovo bando "Work Experience" per finanziare 90 stage: e spunta l'obbligo di assunzione

Le prime due edizioni hanno visto trasformarsi in assunzioni 142 dei 238 tirocini avviati. Sulla scorta di questo buon risultato, la provincia di Terni apre un nuovo bando “Work Experience”: novanta stage semestrali rivolti a disoccupati e inoccupati con un rimborso di 800 euro mensili. E l'obbligo, per l'azienda ospitante, di offrire un contratto al termine del progetto. Ma come è possibile "obbligare" all'assunzione? «Non c'è nessun appiglio legislativo particolare», spiega alla Repubblica degli Stagisti Fabio Narciso [nella foto], responsabile della programmazione del settore Politiche del lavoro e formazione della provincia di Terni: «Semplicemente ci siamo inventati questa formula: se non si conferma il tirocinante, non si può più presentare domanda nei bandi successivi». Il progetto è finanziato attraverso il Fondo sociale europeo e quindi l'esclusione si estende per tutta la durata della programmazione decisa a Bruxelles. In altre parole, dato che attualmente il piano copre il periodo dal 2014 al 2020, le imprese che dovessero inserire uno stagista tramite “Work Experience” e poi non lo confermassero rimarrebbero escluse dalla partecipazione al bando per i prossimi cinque anni.Un meccanismo «molto semplice, ma che ci ha portato ad avere un risultato occupazionale eccezionale»: quasi il 60% dei tirocinanti si è visto offrire un contratto - ovviamente non sempre a tempo indeterminato - al termine dello stage. L'obbligo di assunzione «di fatto porta a selezionare solo quelle aziende che vedono il tirocinio come uno strumento per l'inserimento e la formazione di forza lavoro». E non come un modo per ottenere una risorsa a costi vantaggiosi, chiudendo i rapporti alla fine del tirocinio. Il risultato è che il primo bando del 2010 ha visto 82 assunzioni su 133 partecipanti. Il secondo, pubblicato due anni più tardi, ha portato a 60 contratti firmati su 105 stage attivati. Risultati che hanno permesso al progetto “Work Experience” di essere inserito nella banca dati delle buone prassi di Italia Lavoro. Per quanto riguarda il 2013 «i tirocini si sono conclusi a fine marzo, ma noi lasciamo alle aziende 60 giorni di tempo perché venga sottoscritto il contratto». Dunque per conoscere i risultati di questa ultima tornata bisognerà attendere ancora qualche settimana.Tempi più stretti invece, invece fino al 30 maggio, per presentare domanda per il bando 2014. Possono partecipare persone di età compresa tra i 18 ed i 64 anni, disoccupate o inoccupate, che risiedano o siano domiciliate in provincia di Terni e che siano iscritte ai centri per l'impiego. E questo è un elemento critico: perché non concentrare l'attenzione sui giovani? «Il progetto è nato come borsa di studio per i giovani. Quest'anno il consiglio provinciale, valutando che la disoccupazione over 50 è pesante, ha inserito una priorità per queste persone». Che quindi avranno un punteggio in graduatoria maggiore di chi è appena uscito dalla scuola. Ma le domande di chi è prossimo alla pensione, assicura Narciso, «sono residuali». Altro elemento critico, la scelta di lasciare il finanziamento delle borse totalmente in carico alla provincia, senza chiedere una compartecipazione a chi ospita il tirocinante. «Non l'abbiamo chiesto perché già abbiamo inserito l'obbligo di assunzione. Chiedere anche di cofinanziare ci sembrava obiettivamente troppo». Come detto, la sanzione per le imprese che non assumono lo stagista è l'esclusione dai successivi bandi Work Experience. Perché non estendere questa misura a tutti i progetti della provincia? «Non possiamo ingessare le misure: in dodici anni che faccio questo mestiere ho imparato che bisogna dosare», spiega il responsabile della programmazione del settore Lavoro della provincia di Terni. Che mette i risultati in termini di posti di lavoro generati a sostenere la validità delle scelte compiute. «Ci sono delle aziende che hanno individuato WE come un canale per la ricerca di personale, tanto che il 60% partecipa a più di un'edizione». Ovviamente, dopo aver inserito in azienda i precedenti stagisti. «Non abbiamo un dato preciso», aggiunge Narciso, «ma stimiamo che il 50% delle assunzioni di laureati in provincia di Terni avvenga attraverso il bando Work Experience». Il tirocinio dura sei mesi, non può essere prorogato e prevede un impegno massimo di 8 ore giornaliere. Possono chiedere di ospitare un progetto le aziende che abbiano una sede operativa nel territorio provinciale purché nei 12 mesi precedenti non abbiano interrotto un rapporto di lavoro con personale che abbia lo stesso profilo richiesto per la “Work Experience”. Sono escluse anche quelle che abbiano partecipato a una delle tre precedenti edizioni del bando senza formalizzare l'assunzione al termine del progetto.Per quanto riguarda l'obbligo di assunzione, è possibile sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato. Possibili anche il tempo determinato e la collaborazione, purché la durata sia almeno di 24 mesi e la retribuzione lorda non scenda al di sotto degli 8mila euro annuali. Le imprese che abbiano tra i 6 e i 19 dipendenti possono chiedere di ospitare due stagisti, che diventano tre se il personale supera le 20 unità. In questi casi sarà necessario offrire un contratto ad almeno due dei tirocinanti coinvolti, pena l'esclusione dalla partecipazione ai bandi fino al 2020.Il sistema prevede che una volta raccolte le candidature degli aspiranti stagisti, i curricula vengano inviati alle aziende, che ne selezionano alcuni per un colloquio conoscitivo. «Per lo svolgimento di queste interviste noi mettiamo a disposizione una sede fisica ed un'equipe di mediatori e psicologi del lavoro» aggiunge Narciso. Alle aziende partecipanti vengono inoltre segnalati altri bandi promossi dall'Unione Europea e se qualcuna decide di provare a candidarsi c'è un aiuto da parte della Provincia per la procedura di presentazione della domanda. È anche grazie a questi ulteriori servizi che “Work Experience” è stata inserita da Italia Lavoro nel libro delle buone prassi dei servizi per l'impiego.Riccardo Saporiti

Movin'Up, 80mila euro per giovani artisti che vogliono farsi conoscere all'estero

Taglia il traguardo della sedicesima edizione Movin'Up, iniziativa finalizzata alla promozione all’estero dell’attività di giovani artisti italiani. Il programma porta la firma di ministero dei Beni Culturali e Gai (l'associazione per il circuito dei Giovani artisti italiani) e punta a sostenere giovani creativi di età compresa tra i 18 e i 35 anni - nati quindi tra il primo gennaio 1979 e il primo gennaio 1996 - di nazionalità italiana o residenti da almeno un anno in Italia. Obiettivo di base dell’iniziativa è fornire un supporto economico ad artisti invitati a festival, mostre e altri eventi da enti pubblici e privati, istituzioni culturali o che abbiano in progetto produzioni o coproduzioni da realizzare all’estero nel periodo compreso tra il primo luglio e il 31 dicembre 2014. Tanti gli ambiti di interesse: dalle arti visive alla musica, dal design alla scrittura.C’è tempo fino al 23 maggio 2014 per provare a ottenere il contributo, che permette di coprire parzialmente o totalmente i costi sostenuti durante il soggiorno: viaggio, permanenza ed eventuali spese legate alla propria produzione artistica, ad esempio l’acquisto di materiali. Per candidarsi l’artista deve presentare una lettera di invito con firma autenticata dell’ente straniero e un preventivo di spesa relativo al proprio progetto. Il contributo viene erogato però al vincitore solo a conclusione dell’esperienza all’estero, successivamente alla presentazione di una dettagliata rendicontazione delle spese sostenute.Per l’edizione 2014 i fondi, stanziati in parte dal ministero dei Beni Culturali e in parte dalla Gai, ammontano a circa 80mila euro - suddivisi per le due sessioni previste. Ogni edizione è infatti articolata in due tempi e il bando per la seconda viene di solito pubblicato nell’autunno dello stesso anno. La cifra è sostanzialmente identica a quella stanziata per l’edizione precedente. Dalla Gai spiegano che il numero di progetti finanziabili non è stabilito in fase di bando ma viene fissato solo dopo la valutazione delle proposte: l’importo attribuibile a ciascun progetto non è standard, ma può variare in base alle caratteristiche della singola idea creativa e può coprire anche solo in parte le spese. Nell’edizione 2013 sono stati finanziati complessivamente 42 progetti su 249 candidature, assegnando a ciascun singolo progetto un contributo variabile tra i 330 e i 5mila euro.La valutazione delle proposte e lo stanziamento dei fondi sono effettuati da una giuria nazionale di esperti di differenti settori artistici costituita ad hoc, che svolge la selezione sulla base dei criteri elencati nel bando: caratteristiche del progetto, per le quali viene attribuito un punteggio da 1 a 10 (qualità, innovazione, solidità degli obiettivi), qualificazione dell’ente invitante o ospitante; curriculum artistico del candidato; eventuale coinvolgimento di altri artisti nel progetto. «In occasione di ciascuna sessione di selezione viene convocata una commissione nazionale di esperti appositamente costituita, il cui giudizio è inappellabile, che vaglia le domande individuando gli aventi diritto, stila una graduatoria e sulla base del budget complessivamente disponibile in ogni sessione individua l'entità del contributo economico da assegnare a ciascun vincitore. I nominativi dei giurati insieme la budget totale che verrà distribuito vengono pubblicati sul sito internet del concorso successivamente a ciascuna scadenza di candidatura», spiega alla Repubblica degli Stagisti Patrizia Rossello, responsabile relazioni esterne Gai.La domanda di partecipazione può essere inviata esclusivamente online tramite il sito Giovaniartisti.it, attraverso la creazione di un account e la compilazione dell’application form, alla quale vanno allegati una serie di documenti necessari ai fini della candidatura. Vale a dire: lettera d’invito dell’ente straniero in lingua inglese, cv del candidato, presentazione breve del progetto e descrizione dettagliata libera, presentazione dell’istituzione estera invitante, copia di un documento di identità e infine preventivo particolareggiato delle spese previste. Creato nel 1999 e dal 2003 gestito in collaborazione del ministero dei Beni Culturali, a oggi il programma ha permesso di sostenere 612 su 1845 progetti presentati, per un totale di oltre 1100 artisti. Per molti dei vincitori Movin'Up  è stato un trampolino di lancio per esperienze successive, come la partecipazione ad eventi internazionali di prestigio del proprio settore di interesse. Il designer Gian Piero Giovannini, per esempio, si è aggiudicato il premio speciale Movin'Up partecipando all'edizione 2013 del DMY, International Design Festival di Berlino.Chiara Del Priore Foto IRENE PITTATOREHow to move your artwork from museum to public space: una ricerca internazionale e un libro d'artista. Un progetto di Irene Pittatore a cura di Nicoletta Daldanise RICCARDO BANFINo standing just dancing, copertina del libro 

Stage, volontariato, diritti umani: il no profit che non paga

Tanti sogni, un solo obiettivo: mettersi a servizio degli altri e impegnarsi per tutelare i diritti umani. Il percorso? Una laurea, un master, diversi corsi di lingua, uno stage. E poi? Un lavoro per potersi mantenere durante l’ennesimo stage o volontariato non retribuito. Questo è il destino di tanti giovani italiani alla ricerca di un’organizzazione non governativa, di un’associazione, di un ente disposto ad accoglierli. Un amaro risveglio per tanti giovani laureati che ogni giorno finiscono per accettare stage privi di compenso in associazioni e organismi con fini di solidarietà sociale e sviluppo, nella speranza di vedersi riconosciuto un giorno il diritto ad essere pagati. Come funziona il no profit in Italia? E quale peso ha nel sistema produttivo nazionale? Il No profit in ItaliaIl no profit è disciplinato dal decreto legislativo 4 dicembre 1997 n. 460. L’articolo 10 afferma che «sono organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato». Si tratta di una definizione ampia che comprende anche le organizzazioni di volontariato iscritte nell’apposito registro regionale e le organizzazioni non governative (Ong) riconosciute idonee dal ministero degli Esteri e le cooperative sociali. Nello specifico queste ultime, per essere riconosciute dal Ministero e per operare nel campo della cooperazione, devono soddisfare determinati criteri elencati dalla legge 49/187. E’ bene ricordare inoltre che le Ong operano principalmente a livello internazionale in Paesi in via si sviluppo a differenza delle associazioni che invece concentrano la loro azione a livello nazionale.Il peso del No profit nell’economia nazionaleSecondo l’ultimo Censimento dell’industria e dei servizi, pubblicato dall’Istat nel 2011, le istituzioni no profit e gli enti senza scopo di lucro e con natura privatistica sono più di 300mila. All’interno di tali organizzazioni i lavoratori temporanei ed esterni corrispondono rispettivamente a 5mila e 270mila, a fronte di 680mila lavoratori dipendenti e di quasi 5 milioni di volontari impiegati in settori diversi. Il rapporto Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale: economia e lavoro 2014, curato da Unioncamere-Si.Camera, ha evidenziato inoltre come il peso occupazionale delle istituzioni no profit nel sistema produttivo nazionale sia aumentato rispetto al 2001, anno del secondo censimento. Secondo quest’ultimo, infatti, «i lavoratori esterni rappresentano oltre un terzo del totale nazionale comprensivo della sfera privata e pubblica oltre a quella no profit». Negli ultimi dieci anni l’inclusione sociale e i servizi hanno impiegato figure professionali diverse e gli addetti sono così passati da 488mila a più di 680mila unità.La crescita del no profit ha incrementato il suo peso del settore nell’economia nazionale arrivando a rappresentare il 6,4% dell’economia nazionale, con 65mila unità attive in più rispetto al 2011. Ma bisogna anche considerare che negli ultimi dieci anni sono aumentate le istituzioni che impiegano lavoratori esterni - 36mila nel 2011 contro 17mila nel 2001 con un incremento del numero di collaboratori del 169,4% - e che al contempo si è registrato un moderato aumento delle istituzioni con addetti con una crescita del personale dipendente pari al 39,4%. Un risultato che trova una spiegazione nella precarietà dei progetti gestiti su base annuale a seconda dei finanziamenti e coordinati da figure professionali spesso inquadrate con contratti a progetto o altre forme di collaborazione. Nonostante la crisi abbia avuto un notevole impatto sul funzionamento di tali enti, considerato che i loro fondi sono costituiti da donazioni private e finanziamenti pubblici, il settore continua a richiamare figure professionali di alto livello alle quali, peraltro, nella maggior parte dei casi non vengono riconosciuti una retribuzione equa e un corretto inquadramento contrattuale.Stage negli enti no profit: il miraggio del rimborso speseIn un mondo globalizzato, il settore no profit risulta essere dunque in crescita. I servizi forniti spesso fungono da compensatore rispetto alle lacune del welfare, e stando al Rapporto Almalaurea pubblicato nel 2013 impiegano attualmente il 7% dei laureati. Nessun rapporto censisce però quanti stagisti vengano ospitati all’interno di organizzazioni no profit. La Repubblica degli Stagisti già nel 2012 aveva posto all'ordine del giorno questo problema, stimando per parte sua che nelle oltre 200 mila associazioni esistenti gli stagisti fossero più di 60mila. I dati si riferivano al Censimento generale dell’industria e servizi realizzato dall’Istat nel 2001. Considerato che oggi gli enti no profit sono più di 300mila il numero degli stagisti potrebbe aggirarsi sui 90mila all’anno.I giovani laureati, attratti dai principi e dai valori propugnati da tali associazioni, si affacciano nel settore allo scopo di promuovere la cultura, attività sportive, ricreative, di sostegno agli anziani e alle famiglie e nel settore della sanità, spesso in grande buona fede e non completamente consapevoli che la gavetta sarà, nella maggior parte dei casi, caratterizzata da stage non retribuiti e lunghi periodi di volontariato full time. Peraltro in realtà l’art. 2 della legge 266/91 afferma che per volontariato «deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà».Gli annunci: stage gratuiti in associazioniEppure basta accedere alla sezione lavora con noi per rendersi conto che per potersi occupare di diritti umani bisognerà rinunciare ai propri. Ecco due esempi, assolutamente casuali, per descrivere la situazione che accomuna decine di migliaia di soggetti che fanno parte della galassia del no profit. Un'associazione che tutela i diritti dei bambini offre tantissimi stage, tutti «full time» e tutti rigorosamente «gratuiti» (anche definiti, in maniera impropria, «non retribuiti»). Spesso negli annunci viene specificato che sarà data precedenza a chi ha una determinata laurea, oppure esperienze pregresse nello stesso campo, oppure una conoscenza approfondita di una certa lingua. Insomma, skills che si richiedono solitamente a chi si candida per un lavoro - non per un'esperienza di formazione on the job. Peraltro negli annunci dell'Aibi come di moltissime altre associazioni spesso viene specificato che un periodo di volontariato svolto in precedenza può aiutare il candidato a essere selezionato. Ecco allora che si mette in moto un meccanismo malato, per cui donare il proprio tempo per motivi solidaristici si trasforma nell’unica possibilità di poter poi sperare di entrare - ovviamente attraverso uno stage - in una determinata realtà non profit. Un altro esempio: MArteLive, l'associazione culturale no-profit Procult, ha pubblicato nelle scorse settimane un annuncio su molti siti specializzati, tra cui Bakeca.it, annunciando di cercare «urgentemente» un/a stagista under 35 da inserire nel progetto MarteCard. Come «urgentemente»? Il carattere di urgenza è completamente incompatibile con la finalità dello stage, che è quella di realizzare un percorso formativo esclusivamente a vantaggio del tirocinante. Se qualcuno ha bisogno «urgente» di un collaboratore dovrebbe aprire una posizione di lavoro, non di stage. Invece qui gli annunci segnalano che «lo stage è di 3/6 mesi e non è retribuito» aggiungendo a mò di contentino che «per chi fosse interessato esiste l'opportunità di acquisire crediti formativi e l'attestato di Stage per il progetto biennale MArteLive 2014 e di diventare collaboratori di riferimento per MarteLive». Dopo aver prestato per mesi servizio gratuitamente, però. Lo stage prima della laurea All’interno delle università la situazione non cambia. A spiegarlo è Paolo De Stefani, ricercatore e professore aggregato di diritto internazionale presso la facoltà di scienze politiche dell'u\niversità di Padova: «Per gli studenti non ci sono borse in generale e quindi nemmeno per il sostegno ai tirocini, in materia di diritti umani o altro. Gli stage universitari sono quasi per definizione non retribuiti, anche se sarebbe buona prassi prevedere qualche forma di rimborso. Il settore dei diritti umani non fa eccezione». Secondo il docente, ma sembra più un auspicio che una constatazione, «Chi opera in questo settore tende a essere più attento a fenomeni di "sfruttamento" che possono coinvolgere lo stagiaire o altri collaboratori delle strutture ospitanti». Ma la situazione anziché migliorare sta peggiorando: «Negli ultimi anni la disponibilità di enti pubblici o privati a corrispondere rimborsi o pocket money è diminuita, così come si è ristretta la possibilità di accedere a stage dopo aver conseguito la laurea. Bisognerebbe utilizzare meglio l'opportunità di abbinare lo stage universitario con programmi che prevedono delle borse. Per esempio, far riconoscere come stage il servizio civile nazionale o regionale, abbinare stage universitario e esperienze a programmi di mobilità internazionale: il servizio volontario europeo, una sperimentazione è stata avviata in questi anni a Padova, o il programma Gioventù in azione - dal 2014 confluito nel programma Erasmus+. Gli studenti - e le università, naturalmente - dovrebbero meglio organizzarsi per cercare opportunità di finanziamento presso istituti, fondazioni, sia italiane sia straniere. Ciò non esenta le università dal cercare di attuare accordi ad hoc con fondazioni bancarie o aziende dedicate a finanziare, tra l'altro, le internship presso organismi privati o pubblici attivi sui diritti umani o materia connesse» conclude De Stefani. Il tabù italianoA fronte della frequentissima negazione di un compenso, si può dire insomma che i giovani che aspirano a una carriera nel no profit abbiano accettato lo status quo, prendendo per buona la risposta standard che le associazioni utilizzano per giustificare gli stage gratuiti e i compensi molto bassi ai collaboratori: «abbiamo pochi soldi, non si può pretendere di essere pagati, altrimenti si toglierebbero soldi alle opere di bene». Ma è davvero così? Quanti sono i fondi che effettivamente ricevono tali associazioni? É possibile che nemmeno le Ong riconosciute dal ministero degli Esteri e spesso destinatarie di fondi pubblici non siano in grado di pagare i loro stagisti? Parlare di questo in Italia è tabù.  L’anno scorso infatti la pubblicazione del libro-denuncia L’industria della carità di Valentina Furlanetto ha sollevato un polverone. Senza voler screditare il lavoro del mondo della solidarietà molto attivo e fruttuoso in Italia, è difficile non ammettere che il no profit sia molto meno controllato del profit - anche considerando che le Odv e le Ong con proventi inferiori a 51mila Euro non hanno l’obbligo di presentazione dei loro bilanci. La Furlanetto in un’intervista al quotidiano La Repubblica aveva richiamato l’attenzione sulla relazione della Corte dei Conti del 2012, ricordando gli ottantaquattro progetti analizzati dalla Corte dal 2008 al 2010, da cui è emerso che spesso i fondi non sono arrivati a destinazione, i rendiconti sono spariti e i progetti sono rimasti fermi.Nebbia fitta dunque per i giovani italiani che desiderano lavorare nel settore, in attesa di una normativa chiara ed efficiente capace di distinguere tra volontariato e stage, tra diritto al rimborso spese e utilizzazione dei fondi per scopi solidaristici. Questo non succede solo in Italia - dove peraltro nel corso del 2013 sono entrate in vigore in quasi tutte le Regioni italiane nuove normative in materia di stage che almeno per quelli "extracurriculari" prevedono l'obbligo di corrispondere un compenso mensile (tra i 300 e i 600 euro a seconda della Regione), obbligo cui devono assoggettarsi anche gli enti no profit -  bensì anche all’estero. Nel prossimo articolo la Repubblica degli Stagisti andrà a indagare la situazione nelle le sedi del no profit per antonomasia: Bruxelles, Ginevra e New York. Alessia BottonePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Lavoro e volontariato, dove sta il confine?- La lista dei tirchi: la "black list" degli organismi internazionali che non pagano gli stagisti- Mae-Crui, la vergogna degli stage gratuiti presso il ministero degli Esteri: ministro Frattini, davvero non riesce a trovare 3 milioni e mezzo di euro per i rimborsi spese?  

Campania, spariti i soldi destinati alle borse di studio: l'Unione degli universitari fa ricorso alla Corte dei conti

Più di 13 milioni di euro destinati agli enti per il diritto allo studio della regione Campania che non sono mai stati utilizzati per la loro finalità - cioè appunto erogare borse di studio - lasciando a secco tra i 12 e i 13mila studenti: da queste cifre è partita la battaglia dell’Unione degli universitari per sapere che fine avessero fatto quei soldi e obbligare la Regione a darli ai legittimi destinatari. «Abbiamo chiesto più volte spiegazioni» racconta alla Repubblica degli Stagisti Gianluca Scuccimarra, (nella foto) coordinatore nazionale dell’Udu «ma dalla Regione hanno sempre tentato di negare, salvo nelle ultime dichiarazioni dell’assessore regionale che ha detto esplicitamente che questi soldi mancavano ma stavano arrivando. Ad oggi però non se ne ha ancora notizia e in ogni caso sarebbero dovuti arrivare un anno e mezzo fa». In effetti la regione Campania, attraverso un comunicato dell’assessore all’istruzione Caterina Miraglia, ha precisato che la parziale «erogazione delle borse di studio per l’anno accademico 2012/2013, è derivata dalla modifica dell’importo della tassa così come disposta con il decreto legislativo 68/2012 che ha innalzato l’importo da 62 a 140 euro. L’assegnazione delle risorse» continua il comunicato «è stata invece effettuata moltiplicando la popolazione studentesca dell’anno accademico 2011-12 per il precedente importo di 62 euro, così come iscritto in bilancio». Il motivo sarebbe dovuto al fatto che non è stato possibile effettuare una variazione di bilancio ma, sempre nella nota del 12 marzo, si precisa che si stanno concludendo le operazioni di verifica per permettere l’assegnazione alle Adisu delle somme dovute e l’immediata erogazione. Nel frattempo, però, l’Udu Campania ha depositato a inizio aprile un esposto alla Corte dei conti per chiedere spiegazioni e capire per cosa quei soldi, vincolati alle borse di studio, siano stati invece utilizzati. «Non è un ricorso amministrativo ma una denuncia su cui si svilupperanno delle indagini» precisa Scuccimarra «quindi prima di un mese è difficile che esca fuori qualcosa». La Repubblica degli Stagisti ha contattato Michele Bonetti, legale dell’Udu, per avere qualche informazione in più sui tempi: il legale ha confermato che bisognerà aspettare cinque-sei mesi prima di avere una decisione della Corte. Considerando già i due anni di attesa trascorsi, però, non si tratta di un'attesa così lunga e l’Unione studenti universitari dalla sua ha il buon risultato ottenuto in Piemonte, altra regione in cui i fondi destinati per il diritto allo studio – in questo caso per l’anno accademico 2011/12 - erano stati impropriamente usati per altro. Anche in quel caso l’Udu aveva fatto ricorso al Tar per capire che fine avessero fatto i due milioni di euro. E alla fine ha vinto. «C’è voluto un anno per avere una sentenza del Tar, più un altro anno circa perché la Regione cominciasse a erogare le borse di studio. A partire dal 16 marzo 2014, però, sono state distribuite le borse ai destinatari», conferma con soddisfazione Scuccimarra, aggiungendo che per fortuna le uniche regioni ad aver «fatto questo gioco» sono solo Piemonte e Campania - quantomeno per quanto risulta all’Udu al momento attuale. La scoperta dei soldi mancanti in Campania è stata fatta analizzando bene i dati «del ministero dell’istruzione che ogni anno pubblica i finanziamenti che le regioni mettono sul diritto allo studio» spiega ancora il coordinatore nazionale Udu. «Leggendoli, anche grazie alla presenza di alcuni ragazzi nei consigli di amministrazione degli enti per il diritto allo studio, ci siamo accorti che mancavano dei soldi dai fondi che di solito dovrebbero incamerare le università sulle tasse regionali. È facile calcolare l’ammontare complessivo perché ogni studente, tranne i borsisti, le paga. Così, facendo il calcolo tra quello che doveva essere l’ammontare e quanto invece è stato erogato in borse di studio ci siamo accorti di questo ammanco». Un taglio alle borse di studio che era ancora più difficile da giustificare visto che proprio il decreto legislativo 68, di cui parla l’assessore Miraglia nel suo comunicato, imponeva «di aumentare del 125% la tassa regionale per il diritto allo studio che però deve essere dedicata direttamente per l’erogazione delle borse: ci sono già sentenze del Tar a confermarlo», ricorda Scuccimarra.La decisione del tribunale amministrativo è quindi molto attesa: secondo dati ministeriali, infatti, la copertura delle borse di studio nell’anno accademico 2012/13 è stata del 27% per gli studenti campani idonei, ma «se le borse fossero state erogate con i fondi ad esse destinati, saremmo arrivati a una copertura di oltre il 70%». Cifre importanti, soprattutto in tempi di crisi in cui sostenere tutte le spese connesse all'iscrizione di un corso di laurea, è diventato sempre più difficile per molte famiglie italiane. Ed è proprio su questo fronte che si indirizzano le richieste dell’Unione degli universitari al nuovo governo Renzi: «Chiediamo di cominciare a rimpinguare il fondo per il diritto allo studio. Mancano in totale 150 milioni di euro per poter coprire tutte le borse. È un investimento minimo rispetto a quelli che sono i bilanci del ministero dell’istruzione. E con quei 150 milioni noi riusciremmo a dare una borsa di studio a tutti coloro che ne hanno diritto».  Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Prestiti d’onore, bassissimi anche nel 2013 i finanziamenti agli studenti- Dottorato, in Campania si fa in azienda- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'ossoE anche:- Studiare costa, ma in Italia i prestiti d'onore ancora non decollano- Talento x investimento = risultati: la formula anticrisi per i giovani

Stage ben pagati in Europa, i bandi dell'Agenzia del farmaco e della Corte di giustizia attirano i giovani italiani

L'Ema, agenzia europea del farmaco, si conferma una delle organizzazioni più ambite e allettanti in fatto di tirocini: sono circa quaranta le posizioni aperte per la nuova tornata, per cui si può fare domanda entro il 14 giugno prossimo. Per gli stagisti è previsto un rimborso spese forfettario pari a 1350 sterline mensili (circa 1630 euro, netti perché già scontata della tassazione nazionale). A cui va aggiunto il pagamento delle spese di viaggio di andata e ritorno a Londra, dove l'Ema ha sede, più «altri costi» di varia entità non specificati sul sito, ma da attribuire alle esigenze di spostamento. Va detto che la capitale del Regno Unito ha un costo della vita più alto di molte città italiane, quindi l'indennità – benché sostanziosa – è da rapportare ad esempio a un costo del trasporto mensile che può arrivare a 100 euro, o a quello di una stanza in affitto, intorno ai 600 euro. Per partecipare funziona così: si invia la domanda – online e in inglese – indicando il proprio background formativo e le  motivazioni della candidatura. Ai candidati è richiesta una laurea, anche triennale, in materie di stampo scientifico come farmacia, chimica, medicina (pur non escludendo altri indirizzi: «sono benvenuti gli applicants con titoli in ambito giuridico e interesse per l'ambito della regolamentazione in questioni farmaceutiche» si legge sul sito, «recentemente abbiamo accettato anche laureati in risorse umane, comunicazione o letteratura»). Altri requisiti sono la cittadinanza di un Paese Ue e la conoscenza fluente dell'inglese e di un'altra lingua ufficiale d'Europa. Spedita la candidatura, dall'agenzia arriva il primo contatto telefonico tra luglio e settembre: ma non tutti ricevono notizie, perché la chiamata arriva solo a chi è stato ritenuto idoneo. A questi viene richiesta la «disponibilità a collaborare e le aspettative verso la futura selezione». Effettuata la scrematura finale, si spediscono le lettere per i contratti, entro fine estate. Le partenze sono fissate per l'autunno, in ottobre, mentre la durata del tirocinio può variare dai sei ai nove mesi. L'orario di lavoro è standard, dalle 9.30 alle 17.30, ma si può adottare il cosiddetto sistema del flexitime, «un regime» è spiegato nelle faq, «per migliorare il bilanciamento tra le esigenze di vita e di lavoro». Vale a dire: se si accumulano ore extra, le stesse potranno essere scontate la settimana o il mese successivo. Senza intaccare però l'orario centrale, dalle 9.30 alle 12 e dalle 14.30 alle 16. Aggiudicarsi un tirocini Ema non è facile: «Solo l'anno scorso abbiamo ricevuto 2.400 candidature, in aumento rispetto agli anni passati» fa notare Brigit Breen: «c'è stato un eccezionale aumento di ammessi, per un totale di 58, quando di solito sono 40-42». Già nel 2012 aveva parlato con la Repubblica degli Stagisti di un picco di richieste: 1800 domande rappresentavano allora un incremento del 30%. E gli italiani, ancora una volta, non restano indietro nella corsa: «Le percentuali di partecipazione delle varie nazionalità cambiano di volta in volta, ma l'anno scorso gli italiani che si sono fatti avanti sono stati 1048», poco meno della metà del totale. Chissà se per gli italiani selezionati, si sia aperta poi qualche possibilità lavorativa: solo un auspicio ovviamente, perché il regolamento di questi stage ribadisce che «ai tirocinanti non è garantita nessuna via preferenziale, a loro è aperta la possibilità di partecipare alle selezioni per i posti vacanti come a qualsiasi altro candidato». Le chance europee della primavera 2014 non finiscono qui. Un altro ente importante che apre le porte agli stagisti è la Corte di Giustizia di Lussemburgo, che  dal «1952 ha il compito di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati» come recita la presentazione sul web. Per chi voglia provare a cimentarsi come tirocinante presso l'organo incaricato di interpretare il diritto dell'Unione c'è tempo fino al 30 aprile. Per questa tornata - la prima delle due previste per il 2014 - il periodo di tirocinio sarà da ottobre a febbraio. Anche qui il rimborso è notevole: «1100 euro mensili già tassati» fa sapere alla Repubblica degli Stagisti Estella Cigna dall'ufficio stampa della Corte. Possono tentare tutti laureati in giusrisprudenza o scienze politiche («a indirizzo prevalentemente giuridico», chiarisce il sito) con una buona conoscenza del francese. Per capire quali tipi di mansioni si sarà chiamati a svolgere basta dire che i tirocini si svolgono presso la direzione della ricerca e documentazione, il servizio stampa e informazione, la direzione generale della traduzione e la direzione dell'interpretazione. Le domande in questo caso vanno inviate alla vecchia maniera: per posta, allegando il curriculum e le copie dei diplomi, all'unità risorse umane della Corte di giustizia dell'Unione europea. Non è specificata online la procedura di selezione, né se i non selezionati saranno comunque informati dell'esito. Quel che è certo è che il numero di stagisti accolto annualmente non è elevato: «L'anno scorso sono stati 52, su un totale di circa 450-750 candidature che arrivano mediamente nel corso dell'anno» sottolineano dall'ufficio stampa, per «un'età media di circa 27 anni». Gli italiani? Ovviamente in cima alla lista dei candidati: nel 2013 «sono stati il 40% del totale, con 428 domande». Ilaria Mariotti

Garanzia giovani e Finmeccanica: meno proclami e più trasparenza, perfavore

Un'azienda - enorme e “para pubblica” - che dichiara di voler fare la sua parte per rilanciare l'occupazione giovanile in Italia, ritirando fuori però un progetto vecchio di un anno, per il quale le candidature si sono chiuse sei mesi fa. Il ministero del Lavoro che annuncia ufficialmente un protocollo di intesa con questa realtà aziendale, dimenticando però di dare i numeri precisi delle posizioni di stage e di lavoro aggiuntive che essa aprirà. Due fattori che hanno destato l'attenzione della Repubblica degli Stagisti, che ha deciso di approfondire la questione. Protocollo di intesa. Qualche giorno fa sul sito del Ministero del lavoro è apparsa una news sulla Youth Guarantee, ancora oggi presente in homepage. La news è intitolata «Garanzia Giovani: al via azioni per promuovere l'occupazione giovanile»: cliccandoci sopra, si scopre che si tratta di un protocollo di intesa tra i Ministeri del lavoro e dell'Istruzione, Confindustria e Finmeccanica con l'obiettivo di mettere in atto «un insieme di azioni per promuovere l'occupazione giovanile nell'ambito del Piano nazionale per la "Garanzia per i giovani", attraverso un coinvolgimento attivo del mondo imprenditoriale». Finmeccanica è un colosso industriale che opera nel settore dell'alta tecnologia; ha 67mila dipendenti in tutto il mondo, di cui la maggior parte impiegati nel settore dell'Elettronica per la difesa e la sicurezza con le società Drs Technologies e Selex ES - che insieme occupano oltre 25mila persone - e nella AgustaWestland che con i suoi 13mila dipendenti produce elicotteri.Emerge dal comunicato stampa, dunque, che il ministero del Lavoro ha contattato Finmeccanica chiedendo un contributo concreto per far partire la Garanzia Giovani. Che in effetti ha estremo bisogno del contributo del tessuto imprenditoriale italiano: perché se le aziende non aprono le porte ai giovani, ahinoi, ci sarà poco da garantire. Il protocollo, si legge, mira a «promuovere programmi di responsabilità sociale d'impresa orientati all'attivazione, alla formazione e all'occupazione delle giovani generazioni, a partire dall'esperienza concreta del progetto "1000 giovani per Finmeccanica"». Iniziativa già conclusa. Attenzione però: "1000 giovani per Finmeccanica" non è una iniziativa nuova, come si potrebbe pensare, un progetto ad hoc basato sulla Garanzia giovani e in procinto di essere avviato. Al contrario, è una campagna di recruiting già conclusa - il periodo utile per inviare le candidature era dal luglio all'ottobre 2013 - finalizzata «alla selezione e all’inserimento, entro il 2014, di circa 1.500 giovani under 30 in possesso di diploma o laurea in discipline tecnico-scientifiche, per svolgere attività a contenuto tecnologico e industriale nelle diverse società Finmeccanica presenti in Italia». E qui una prima domanda nasce spontanea: le posizioni aperte sono 1000 o 1.500? La differenza è notevole, e non si capisce quale dei due numeri sia quello corretto. In ogni caso la campagna ha permesso al gruppo di raccogliere oltre 56mila domande: «un vero e proprio esercito di giovani ha risposto con entusiasmo alla ‘chiamata per l’occupazione’ di Finmeccanica» si legge sul sito dedicato. «Oggetto del reclutamento sono le figure professionali maggiormente ricercate dalle società del Gruppo», qualche esempio: progettista hardware e software per l'area Ingegneria e progettazione; addetto al montaggio e operatore macchine utensili per l'area Produzione e gestione supply chain; sales manager per l'area Sviluppo business e vendite; fino al classico project manager per l'area Gestione progetti.Nessun nuovo posto in relazione alla Youth Guarantee. L'iniziativa "1000 giovani per Finmeccanica" è dunque già bella che avviata, ed è sicuramente ammirevole in quanto apre nuove opportunità per molti giovani. Ma di fatto non creerà nuove posizioni nell'ambito della Youth Guarantee italiana: «Finmeccanica ha avviato la selezione e il recruiting delle 1500 figure ricercate; diverse società del Gruppo stanno infatti progressivamente attingendo dal bacino delle candidature pervenute per i nuovi inserimenti». È bene tenerlo a mente, perché altrimenti qualcuno potrebbe pensare che questa iniziativa sia il frutto di un accordo con il ministero del Lavoro, insomma qualcosa di direttamente conseguente dall'avvio della Garanzia Giovani in Italia. Invece no, anche se a ben guardare le parti interessate cercano di spingere un po' verso questa interpretazione: «Con il progetto “1000 giovani” Finmeccanica, tra i primi in Italia, si è fatta testimone e interprete delle raccomandazioni dell’Unione Europea in tema di giovani e occupazione, la Youth Guarantee. L’iniziativa è stata infatti concepita non solo come campagna di reclutamento rivolta a candidati con profili tecnici under 30, ma anche come azione sistemica di orientamento dei giovani al lavoro e alla formazione». Obiettivo: «attivare un circolo virtuoso che, partendo da una grande realtà internazionale, ma dal cuore italiano, si diffondesse e fungesse da stimolo, anche grazie a partnership istituzionali, alle altre realtà industriali del nostro Paese, prime tra tutte quelle facenti parte della filiera produttiva» si legge sul sito di Finmeccanica. Comunque, in concreto, cosa prevede il protocollo di intesa? La prima voce si intitola «Azioni in materia di tirocini» e recita: «Il Gruppo Finmeccanica si impegna a realizzarne un numero significativo nelle proprie realtà operative; a favorire l'attivazione dell'offerta di tirocini in tutta la filiera e le società contigue al Gruppo». Ma che vuol dire «numero significativo»? Questo è un punto importantissimo da focalizzare. «Significativo» è un aggettivo che di per sé non definisce niente, non ha alcun valore se non basato su una piattaforma comparativa. Tirocini in Finmeccanica, poca trasparenza. Si sa che Finmeccanica già da anni ha l'abitudine di realizzare tirocini all'interno delle sue società. Quanti, però, non è dato saperlo. Il che è grave sopratutto perché impedisce di valutare appieno l'aggettivo «significativo». Se per esempio Finmeccanica già attivasse in media 500 stage all'anno nelle sue varie società, e anche nel 2014 ne attivasse 500-550, tale numero non sarebbe affatto «significativo»: perché vorrebbe dire da parte sua aver semplicemente ripetuto, o solo in minima parte ampliato, la consueta policy in materia di stage. Inoltre, quali saranno le condizioni offerte agli stagisti? Finmeccanica ovviamente prevede l'erogazione di un rimborso spese forfettario a favore dei propri tirocinanti: ma di quale ammontare? Su alcuni siti - ammesso che siano affidabili - si legge che l'emolumento solitamente offerto dalle aziende del gruppo varia da 500 a oltre 1000 euro al mese, ma nel protocollo siglato con il ministero del Lavoro di questo aspetto non vi è traccia.Tirocini solo per neolaureati? E con quali possibilità di assunzione? Un'altra questione importantissima: questi stage di quale tipologia saranno? Si tratterà di tirocini di formazione e orientamento, riservati a chi ha concluso gli studi da meno di 12 mesi, oppure di tirocini di inserimento (modalità ben più coerente con le finalità della Garanzia Giovani) aperti a tutti gli inoccupati e disoccupati che hanno sorpassato la linea dei 12 mesi dal diploma o dalla laurea? E infine, qual è la propensione di Finmeccanica all'assunzione? Questo dato si potrebbe facilmente agganciare alla percentuale media di assunzione post stage basata sui dati degli anni precedenti. In particolare, basterebbe che Finmeccanica dicesse quanti stagisti ha accolto nel 2012 e nel 2013 e a quanti di essi ha proposto un contratto di lavoro al termine dello stage. Semplici dati che testimonierebbero la trasparenza dell'operazione: dati che però al momento mancano, e che - cosa ben più grave - il ministero del Lavoro si è ben guardato dal chiedere a Finmeccanica di rendere noti. Così come si è ben guardato dal richiedere un impegno sul l'assunzione di una certa percentuale di stagisti: limitandosi a promettere che «il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e Confindustria» - attenzione a questo passaggio, Finmeccanica è scomparsa - «si impegnano a condividere ogni iniziativa per promuovere il tirocinio quale strumento per l'avvicinamento e l'inserimento dei giovani al mondo del lavoro, in coerenza con quanto dettato dalla Commissione Europea con la Comunicazione sui tirocini di qualità».Quanti apprendisti verranno assunti, non è dato sapere. Lo stesso discorso dei tirocini vale per l'apprendistato: il protocollo promette che «il Gruppo Finmeccanica e Confindustria si impegnano a promuovere il ricorso all'apprendistato nell'ottica della valorizzazione del capitale umano e dello sviluppo di talenti che possono contribuire a far crescere le imprese». Ma cosa vuol dire questa frase in soldoni? Il numero degli apprendisti che le società del gruppo Finmeccanica hanno assunto nel 2013, o nel 2012, è ignoto; così come non si sa quanti l'azienda si sia impegnata ad assumerne nel 2014.Mail a 54mila giovani per promuovere la Youth Guarantee. Dulcis in fundo, per «non disperdere il patrimonio di professionalità e competenze dei giovani non selezionati nel suddetto programma o in analoghe iniziative future» il gruppo Finmeccanica si impegna «a segnalare a tali giovani l'opportunità di inserire il proprio curriculum vitae all'interno del portale nazionale "Cliclavoro" al fine di ampliare le loro possibilità di occupazione e di inserimento in percorsi di istruzione e formazione-lavoro, anche in relazione al Programma Garanzia per i Giovani». Cioè a mandare a tutti i 54mila non selezionati una mail invitandoli a iscriversi (sempre che l'età lo permetta, essendo la Garanzia Giovani limitata per ora agli under 25) al sito apposito per richiedere la fruizione della Garanzia.I giovani chiedono trasparenza e opportunità. Questo primo protocollo di intesa con una delle più rilevanti realtà industriali del nostro Paese non parte dunque benissimo: all'insegna dell'opacità, senza un impegno su numeri precisi e azioni precise, mettendo nero su bianco solo vaghe promesse. Caro ministero, care aziende: queste operazioni poco trasparenti rischiano di produrre l'effetto opposto rispetto a quello che voi sperate. I ventenni italiani dalla Garanzia Giovani si aspettano prima di tutto, come abbiamo detto ormai fin troppe volte qui sulla Repubblica degli Stagisti, opportunità di lavoro, non blande forme di formazione o orientamento. E per quanto riguarda lo stage, esso può essere considerato una opportunità solo se si svolge a buone condizioni formative ed economiche, e se prevede una concreta possibilità di tramutarsi in un posto di lavoro. Tutto il resto, spiace dirlo, è parlarsi addosso.Eleonora VoltolinaLa precisazione di Finmeccanica [inviata alla redazione della Repubblica degli Stagisti giovedì 10 aprile 2014]  «Le selezioni del progetto “1000 giovani per Finmeccanica”, titolo evocativo di un’importante campagna di recruiting di respiro nazionale, continuano per tutto il 2014: Finmeccanica sta infatti ricercando altri 1000 ragazzi da inserire nelle proprie Società Operative, oltre ai 500 già assunti a fine 2013, essenzialmente attraverso gli istituti del tirocinio (prevalentemente di inserimento) e dell’apprendistato professionalizzante. Gli inserimenti proseguiranno anche oltre il 2014, raggiungendo quota 2mila nel 2015.Il progetto è stato concepito non solo come iniziativa di reclutamento interno al Gruppo, ma anche come azione sistemica di orientamento dei giovani al lavoro e alla formazione, con la finalità di consolidarne le competenze e aumentarne le future opportunità di occupazione.Coerentemente con questo intento, il Protocollo d’Intesa stipulato a Bari il 28 Marzo 2014 da Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Confindustria e Finmeccanica, rappresenta un Accordo Quadro e si riferisce al più ampio impegno da parte del Gruppo di mettere “a fattor comune” del sistema industriale italiano esperienze, metodologie e database delle oltre 56mila candidature raccolte nell’ambito della campagna di recruiting, senza oneri né per i beneficiari, né per i sottoscrittori. Verrà data sistematica evidenza sui siti delle Istituzioni territoriali coinvolte delle azioni intraprese nell’ambito del Protocollo.Ad oggi sono già stati avviati 3 progetti pilota in Piemonte, Lombardia e Puglia per dare una concreta opportunità di lavoro ai circa 20mila giovani che, pur corrispondendo ai profili tecnico-professionali richiesti, non verranno direttamente o indirettamente inseriti nel Gruppo Finmeccanica».Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Garanzia giovani, parte o non parte? E come verranno spesi i soldi?- Pessima decisione europea sui tirocini, lo Youth Forum: a rischio la qualità degli stage della Garanzia GiovaniE anche:- Garanzia giovani, come funzionerà? Lo spiega chi ha scritto il piano italiano

Stage in Banca d'Italia: oltre venti posti, rimborso record di mille euro al mese

Gli uffici della Banca d'Italia aprono le porte agli stagisti, con più di 20 posti disponibili in dodici città. Da Torino a Palermo, da Milano a Bari, passando per Roma, Venezia, Bologna, Genova, Firenze, Ancona, L’Aquila e Napoli. In tutti i casi i neolaureati under 29 in materie economiche, statistiche o legali potranno presentare domanda presso il proprio ateneo.Ad eccezione del bando aperto a Roma per stage presso gli uffici dell'Arbitro bancario finanziario (Abf), con diverse condizioni di accesso e svolgimento (descritte poco più avanti in questo articolo), tutti gli altri tirocini si svolgeranno nelle unità di Analisi e ricerca economica territoriale e saranno attivati entro l'autunno di quest'anno. Durata prevista tre mesi prorogabili di altri tre, con una indennità che più che "congrua" appare eccezionale: mille euro lordi mensili. Essendo questi stage gestiti direttamente dalle sedi regionali, il numero di posti varia di volta in volta. Nei bandi già chiusi i posti disponibili erano uno, nel caso di Palermo e Bologna, o due nel caso di Bari. Rispetto a quelli in corso, a Venezia tra i neolaureati che faranno richiesta entro il 24 aprile ne saranno scelti due; a Torino sarà selezionato un solo stagista tra quelli che si candideranno fino al 5 maggio.  Più alto il numero dei posti offerti nella Capitale, dove le candidature sono aperte fino all'11 aprile: 13 in tutto, destinati però solo a neolaureati in Giurisprudenza. Gli stage saranno infatti negli uffici dell'Abf, l'organo che risolve le controversie tra i clienti e le banche e gli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari. Trattandosi di un concorso regionale, potranno fare richiesta di ammissione, rivolgendosi all'ufficio stage della propria università, i neolaureati in Giurisprudenza dei cinque atenei convenzionati (La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Luiss Guido Carli e Lumsa). Questi 13 stage avranno una durata di sei mesi non rinnovabili e prevedono un impegno medio giornaliero di almeno sei ore, tutti i giorni feriali.  Come si legge nella scheda informativa pubblicata sui siti dei cinque atenei coinvolti, saranno avviati «orientativamente entro il mese di giugno 2014» e prevedono un rimborso di mille euro lordi mensili. Soldi sufficienti per mantenersi a Roma, dove il costo medio di una stanza va dai 300 ai 500 euro, considerando anche che nei giorni di frequenza i tirocinanti potranno usufruire gratuitamente del servizio di mensa previsto per il personale.Quali sono i requisiti per partecipare? C'è prima di tutto un limite di età: gli aspiranti stagisti non dovranno avere ancora compiuto 29 anni alla data di scadenza del bando. Dovranno aver conseguito una laurea specialistica o magistrale in Giurisprudenza tra il 30 giugno 2013 e la data di presentazione della domanda presso uno degli atenei romani convenzionati, con un voto non inferiore a 105. La procedura di selezione avviene in due fasi: l'ateneo fa una scrematura iniziale, mentre la scelta finale dei candidati spetta alla Banca d'Italia. Gli uffici universitari verificheranno il possesso dei requisiti e cureranno una prima selezione, esaminando la votazione di laurea e, a parità, la media dei voti degli esami. In caso di ulteriore parità, sarà data la precedenza ai candidati più giovani. Gli aspiranti stagisti sosterranno poi un colloquio con una commissione interna alla Banca d'Italia. Quest'ultima definirà la graduatoria finale degli idonei basandosi sulla prova orale e prendendo in considerazione anche le esperienze integrative maturate dai candidati e le motivazioni a frequentare gli stage. I 13 prescelti saranno coinvolti nelle diverse attività dell'Abf. Per esempio, come si legge ancora nella scheda informativa, «verifica preliminare della regolarità dei ricorsi e istruttoria delle controversie; analisi della normativa, della giurisprudenza e della dottrina sulla materia; elaborazione di documenti di sintesi delle decisioni dei collegi; classificazione e catalogazione informatica dei ricorsi e delle decisioni; collaborazione al progetto di classificazione e definizione delle massime delle decisioni dei collegi dell’Abf». I 13 tirocini si svolgeranno tutti a Roma, in due diverse sedi: dieci nella segreteria tecnica dell’Abf presso la filiale laziale della Banca d'Italia, e tre alla divisione Coordinamento Abf del servizio Tutela dei clienti e antiriciclaggio dell'Istituto. Gli stage nelle unità di Analisi e ricerca economica territoriale sparse sul territorio, invece, avranno una durata di tre mesi prorogabile di altri tre. I candidati, anche in questo caso under 29, dovranno aver conseguito una laurea specialistica o magistrale con un punteggio di almeno 105/110, in Scienze economico-aziendali, Scienze dell’economia; Finanza, Statistica economica, finanziaria ed attuariale, Scienze statistiche, Scienze statistiche attuariali e finanziarie, Statistica demografica e sociale, Metodi per l’analisi valutativa dei sistemi complessi, Scienze della politica. Dovranno anche aver sostenuto almeno un esame di Statistica e uno di Econometria. Anche in questi casi è previsto un rimborso spese di mille euro lordi, con possibilità di accedere gratuitamente alla mensa. L'impegno richiesto è anche qui di almeno sei ore al giorno, dal lunedì al venerdì. L'accesso ai due bandi attualmente aperti, a Torino e Venezia, è riservato ai neolaureati negli atenei convenzionati: università di Torino e del Piemonte Orientale nel primo caso; l'università Ca’ Foscari di Venezia e quelle di Padova e Verona nel secondo. Per Milano, Genova, Firenze, Ancona, L’Aquila e Napoli i bandi non sono invece ancora usciti. La Banca d’Italia ospita presso le proprie strutture tirocini formativi e di orientamento per neolaureati dal 2011, attivando una trentina di stage all'anno in collaborazione con 16 università equamente distribuite in tutta la penisola. Le prime esperienze, riservate a laureati in Giurisprudenza, si sono tenute proprio in ambito Abf - sia nelle segreterie tecniche, sia nella struttura dell’amministrazione centrale di coordinamento. Dall'anno successivo, sono stati attivati anche tirocini per laureati in discipline economico-statistiche nelle unità di Analisi e ricerca economica territoriale di alcune filiali. Nel dicembre 2013 l’organizzazione dei tirocini formativi è stata decentrata alle sedi regionali, che curano anche i contatti con le università. I tirocini sono un'ottima occasione di esperienza lavorativa, ma non possono trasformarsi in rapporti di lavoro, perché la Banca d'Italia seleziona i propri dipendenti solo tramite concorsi pubblici: ed è importante sapere che non danno diritto ad alcun punteggio aggiuntivo per la partecipazione ai concorsi indetti dall’Istituto.Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento, leggi anche gli articoli:- Stage alla Nato con 800 euro di rimborso: ecco come candidarsi ai 40 posti disponibili- Tirocini all'Europarlamento con 1200 euro di rimborso, aperte le candidature per 200 posti- 20mila opportunità di stage e lavoro, Nestlé lancia un progetto europeo per l'occupazione