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Voto impossibile per studenti Erasmus, la rabbia dei 25mila da Facebook a Palazzo Chigi

È partito da una pagina Facebook, lanciata lo scorso 11 gennaio, il dibattito sulla (im)possibilità di votare all'estero per chi si trova temporaneamente lontano dalla sua residenza, per esempio perchè sta facendo un Erasmus. Un problema sempre esistito, ma che da qualche settimana a questa parte ha attirato l’attenzione di media, istituzioni e politica, tanto da far scendere in campo la Crui, molti partiti politici e il presidente del consiglio Mario Monti. In vista delle prossime elezioni politiche, i 25mila studenti che attualmente si trovano all’estero per un progetto Erasmus denunciano l’impossibilità di esercitare il diritto al voto. La distanza dalla propria città di residenza è tale da non permettere di tornare a casa durante il weekend per andare alle urne e attualmente non sono previste agevolazioni sui trasporti che possano facilitare gli spostamenti. Il secondo “intoppo” è di tipo legislativo. Alcune disposizioni in vigore prevedono la possibilità di votare dall’estero per corrispondenza, ma a determinate condizioni. Innanzitutto è necessario essere iscritti, alla data del 31 dicembre 2012, all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. Per farlo, però, è indispensabile essere residenti all’estero da un periodo di tempo superiore ai 12 mesi. Condizione impossibile per gli studenti Erasmus: gli scambi all’estero durano al massimo un anno.Una seconda possibilità per esercitare il voto fuori dall’Italia è prevista dal decreto legge n.223 del 18 dicembre 2012, che sancisce il diritto di votare per corrispondenza per «appartenenti alle Forze Armate e alle Forze di Polizia, temporaneamente residenti all’estero per motivi di servizio o di missioni internazionali; dipendenti di amministrazioni dello Stato, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata di permanenza prevista sia superiore a tre mesi e inferiore a 12 mesi; professori e ricercatori universitari, in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non superiore a dodici mesi, che, alla data di entrata in vigore del decreto del presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovino all’estero da almeno tre mesi». È evidente che gli Erasmus non rientrano in queste categorie.Da qui una petizione online, rivolta al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. Provocatoria l’immagine che accompagna la petizione, un rotolo di carta igienica con su scritto: «Ecco quanto vale il mio voto». L’appello, che a oggi ha quasi 12mila sostenitori, rivendica il diritto al voto e chiede al ministero di impegnarsi per garantirlo anche agli Erasmus. Nei giorni scorsi il ministro si è limitato però a ribadire che la normativa attuale non prevede nessuna possibilità per chi studia all’estero, chiudendo così la porta a qualsiasi soluzione. La voce degli studenti non resta però isolata. Venerdì scorso dal proprio sito la Crui si è schierata a fianco degli Erasmus, chiedendo al ministro degli Esteri Giulio Terziun incontro per discutere del problema. Ministro che, proprio ieri ha aperto alla possibilità di un accordo che preveda per gli studenti che si trovano all’estero il voto per corrispondenza, già contemplato in altri stati europei. Alle dichiarazioni della Conferenza dei rettori si affiancano quelle (numerosissime) provenienti dal mondo della politica. Partiti ed esponenti delle istituzioni ingaggiano una vera e propria lotta a suon di tweet e comunicati, abbracciando la causa degli Erasmus. Una delle voci più autorevoli in campo è stata quella del presidente del Consiglio Mario Monti che attraverso una nota diffusa domenica 20 gennaio sul sito di Palazzo Chigi chiede ai titolari di Viminale e Farnesina di fare il possibile per gli italiani all’estero per motivi di studio. Monti, schierandosi in prima persona, ha di fatto «gelato» la risposta sbrigativa data i giorni precedenti da Anna Maria Cancellieri. Nella giornata di domenica, anche il Partito Democratico torna sul problema tramite un comunicato di Marco Meloni, responsabile Università e ricerca, Laura Garavini, componente della commissione Politiche europee e candidata alle prossime elezioni nella circoscrizione Europa, e Maria Chiara Carrozza, candidata capolista alla Camera in Toscana. Meloni spiega alla Repubblica degli Stagisti il problema: «La questione principale è la presenza di un rete consolare in grande difficoltà dopo anni di tagli: gestire la temporanea iscrizione di militari e ricercatori è relativamente semplice perché si tratta di poche persone. Gestire, ad esempio, l’iscrizione degli Erasmus all’Aire comporterebbe, invece, una mole di lavoro molto più importante». Questa è, invece, la soluzione lanciata dal suo partito: «La nostra proposta è di inserire gli studenti Erasmus o overseas, nonché stagisti e giovani lavoratori precari, ufficialmente registrati in un’università estera o con un regolare contratto di stage o lavoro, nell’elenco dei cittadini temporaneamente all’estero ammessi al voto. Ora si valuta la possibilità di offrire uno sconto sul 70% dei voli: oltre che essere costosa questa proposta è difficilmente implementabile per gli studenti che stanno effettuando scambi in altri continenti». Anche se sarebbe comunque meglio di niente. Come ha affermato la commissaria Ue all'Istruzione Androulla Vassiliou, «gli studenti all'estero non dovrebbero essere svantaggiati e dovrebbero essere trattati come i militari in missione e gli insegnanti che lavorano all'estero».  Ma se gli studenti Erasmus sono sul piede di guerra, le cose per chi studia fuori sede in Italia non vanno meglio. Più di un anno fa la Repubblica degli Stagisti aveva parlato delle difficoltà di voto per gli studenti che frequentano università al di fuori della propria regione di residenza, sollevate grazie a una petizione lanciata su un blog da un gruppo di studenti siciliani trapiantati a Torino per motivi di studio. Sulla scia del dibattito sollevato per gli Erasmus, i giovani di «Io voto fuori sede» decidono ora di tornare più che mai a farsi sentire attraverso un comunicato che ribadisce come al momento neppure per i fuori sede, in numero nettamente superiore – sono circa 800mila – rispetto agli Erasmus, nulla è stato concluso. La battaglia continua anche su Twitter, dove è stato lanciato l’hashtag #iovotofuorisede. Negli ultimi anni sono arrivate in Parlamento diverse proposte di legge, fino all’ultima, il ddl del senatore dell’Idv Francesco Pardi, presentato a ottobre 2012, che propone anche in Italia l’adozione del modello danese, prevedendo il voto presso la città dove si studia o lavora. Nel caso del nostro Paese l’idea è la registrazione presso la prefettura della città e la possibilità di esprimere in quella sede la propria preferenza, un mese prima del voto. Le schede elettorali sarebbero poi spedite alla circoscrizione di pertinenza e scrutinate insieme alle altre i giorni successivi alle elezioni. La discussione di questa proposta, iniziata in Commissione Affari costituzionali, si è purtroppo arenata concludendosi in un nulla di fatto.Oggi, insomma, quasi un milione tra studenti Erasmus e fuori sede rischiano ancora una volta di vedere negato il proprio diritto al voto. Dopo tante parole e nessun provvedimento, si attende ora il Consiglio dei Ministri, convocato per oggi pomeriggio. All’ordine del giorno il tema del voto a distanza. Che si tratti di esprimere la propria preferenza per corrispondenza o beneficiare di agevolazioni economiche per raggiungere più facilmente il seggio, poco conta. L’importante è che almeno uno dei quelli che ora sembrano solo meri slogan elettorali si trasformi quantomeno in un’azione concreta per consentire di esercitare un diritto di tutti.Chiara Del Priore    Per approfondire questo argomento leggi anche: - Stefano La Barbera: «Con delle semplici mail ci siamo fatti sentire in Parlamento. E in risposta abbiamo ottenuto quattro proposte di legge»- E se il voto di un ventenne contasse triplo?-Per avere più giovani in politica: «Ragazzi, alle elezioni votate i vostri coetanei»

L'equo compenso è legge, ora ci vuole la Commissione: sarà 14 euro il compenso minimo per i giornalisti?

Alla fine la legge sull’equo compenso giornalistico è stata firmata dal presidente Napolitano lo scorso 31 dicembre, dando un buon motivo a tanti giornalisti precari e freelance di festeggiare l’arrivo del nuovo anno con un po’ di fiducia. Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2013, la legge n. 233 ha quindi fatto un altro passo avanti per diventare applicabile. Dal 18 gennaio è operativa ed entro trenta giorni, come previsto dall’art. 2, dovrà essere istituita la Commissione, che durerà in carica tre anni, chiamata a definire entro due mesi l’equo compenso giornalistico per «gli iscritti all’albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato». 
Un primo traguardo è stato quindi raggiunto, ma c’è ancora molta strada da fare.Il prossimo passo, infatti, è la formazione della commissione che dovrà essere composta da un rappresentante per il ministero del lavoro e per il ministero dello sviluppo economico, da uno per le organizzazioni sindacali dei giornalisti più rappresentative, da uno delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro dei committenti più rappresentativi e da un rappresentante dell’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani.  Vera novità della legge è l’istituzione di un elenco di quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed emittenti radiotelevisive, anche telematici, che garantiscano il rispetto dell’equo compenso, dandone adeguata pubblicità. Proprio la mancata iscrizione in questo elenco per più di sei mesi comporterà la decadenza del contributo pubblico in favore dell’editoria. La scelta dei membri della commissione si rivela determinante per avere un risultato all’altezza ed evitare di perdere altro tempo utile per i precari e freelance. L’Ordine dei giornalisti ha già trasmesso al competente sottosegretario della Presidenza del Consiglio, Paolo Peluffo, il nome del presidente Enzo Iacopino come rappresentante in seno alla commissione, notizia che il presidente ha subito condiviso sulla sua pagina facebook. L’obiettivo è recuperare anni di ritardo per arrivare a rispondere a una semplice domanda: a quanto ammonta un equo compenso per un giornalista? Nel 2011 a Firenze, durante il primo convegno di precari e freelance da tutta Italia per approvare la Carta di Firenze, il segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, aveva fatto un accenno alla cifra di 14 euro, in parte ripresa dall'allora presidente Roberto Natale che in un’intervista alla Repubblica degli Stagisti aveva ricordato lo slogan adottato nelle campagne di questi anni «che un giornalista sia pagato almeno quanto una collaboratrice domestica per ciascuna ora di lavoro».
 Per quanto sia ancora presto per parlare di cifre, la Repubblica degli Stagisti ha provato a capire qual è la cifra “equa” parlando con Nicola Chiarini, co-fondatore di Re:fusi coordinamento giornalisti freelance precari atipici del Veneto e membro della commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi e con Valeria Calicchio, di Errori di Stampa coordinamento giornalisti precari di Roma. Entrambi concordi sul fatto che ci sono troppi fattori da prendere in considerazione nello stabilire l’equo compenso, Calicchio e Chiarini non si sbilanciano. «Come coordinamento abbiamo deciso che fino a quando la commissione non si riunisce non si può dire qual è la quota perché non si può andare al ribasso» dice la prima: «Una volta che la commissione si sarà riunita cercheremo di fare pressione per presentare il nostro dossier sulle retribuzioni e sulle tariffe vergogna, Per mille euro un mese non basta, e organizzeremo una campagna anche con i freelance». Di variabili complesse per stabilire la cifra parla anche Nicola Chiarini: «Quella della commissione sarà una proposta molto articolata perché oltre alle declinazioni classiche della carta stampata o dell’emittenza televisiva ci sono tutte le complessità legate al web e anche lì bisognerà decidere con che metro andare a misurare la cosa». E aggiunge che se dalla Commissione saranno chiamati a dare un contributo non si tireranno indietro. Di numeri al momento non vuol parlare nemmeno Giovanni Rossi (nella foto), segretario generale aggiunto e presidente della commissione lavoro autonomo della Fnsi, che ricorda come la priorità al momento per il sindacato sia quella di ricomporre il gruppo dirigente dopo le dimissioni del presidente, Roberto Natale, candidato alle elezioni politiche per Sinistra ecologia e libertà. La soluzione potrebbe parzialmente arrivare da alcune riunioni che si svolgeranno nel corso della settimana e soltanto dopo aver ridefinito il board, possibilmente entro gennaio, sarà possibile indicare chi rappresenterà la federazione in questa commissione. «Immagino che come ha fatto l’Ordine verrà delegato qualcuno di primo piano» anticipa Rossi alla Repubblica degli Stagisti. «Posso ipotizzare che sceglieremo o il segretario generale stesso o qualcuno attorno a questo ruolo. Ma non abbiamo ancora discusso di nomi: credo che li avremo per fine mese e che sarà proprio il periodo in cui ci verrà chiesto di indicarlo».
Il percorso è ancora lungo insomma: la legge deve diventare operativa e solo a quel punto il sottosegretario potrà procedere alla nomina e all’insediamento della commissione. Poi, spiega Rossi, bisognerà stabilire anche i criteri con cui questa commissione giungerà a definire l'ammontare del compenso “equo”. «Gli editori finora hanno sempre sostenuto che il riferimento è il codice civile. Peccato che esso non dica nulla sul trattamento economico e prevede che le parti si mettano d’accordo in piena autonomia». Insomma l'intenzione degli editori sembrerebbe essere quella di giocare d'astuzia e provare a fermare la definizione di una retribuzione minima per il lavoro giornalistico sostenendo che nel codice civile è previsto che committente e professionista si mettano d'accordo tra loro, senza bisogno di tabelle o tariffari. «Ma la legge sull'equo compenso, invece, dice che ci deve essere un riferimento» ribadisce Rossi: «Potremmo prendere le tabelle contrattuali contenute nel contratto Fnsi-Fieg, ad esempio per l’articolo 2 o per l’articolo 12, ma solo come riferimento: metteremo questo materiale a disposizione della commissione come base per iniziare a lavorare». La discussione sarà quindi molto complicata e bisognerà ovviamente anche tener conto delle caratteristiche delle aziende: «Per questo fino ad ora nessuno si è sbilanciato e io stesso faccio fatica a immaginarmi una cifra adeguata per tutti. Certamente prenderemo come base anche i tariffari che a suo tempo l'Ordine emetteva, anche se la legge che ha istituito l’ordine dei giornalisti, a differenza di quelle per gli altri ordini professionali, non ha previsto che ci fosse un tariffario per il lavoro autonomo. L’ordine ha emesso dei tariffari, pur non vincolanti, fino a quando l’autorità per la garanzia della concorrenza e del mercato glielo ha inibito sostenendo che essi rappresentassero una turbativa di mercato». Ma insomma, i 14 euro ad articolo di cui parlava Siddi a Firenze nel 2011 rappresentano orientativamente la cifra che potrebbe essere indicata come equo compenso? «Il ragionamento che faceva Siddi in quella sede era più o meno questo: attestiamoci su delle cifre non “traumatiche”, che non abbiano l’effetto di spingere gli editori a disdire le collaborazioni. Ed è certamente un aspetto da tenere presente. Se poi saranno davvero 14 euro, o di più o di meno, questo francamente oggi non so dirlo». 
La grande conquista, fa notare Rossi, è che oggi c’è una legge che impone di trovare una risposta a questa domanda perciò bisognerà cercare di evitare che la commissione s’impantani e non riesca a produrre entro i 60 giorni previsti un tariffario. L’obiettivo per il presidente della commissione lavoro autonomo è «riuscire a stabilire delle cifre che abbiano un punto medio di dignità. Se invece venissero codificati per legge trattamenti economici non accettabili, sarebbe un boomerang gigantesco rispetto alla battaglia che abbiamo condotto». Decidere quindi in tempi rapidi a quanto ammonti l’equo compenso per evitare che perda la sua forza: sulla carta è previsto che gli editori che non si adeguino entro sei mesi dall’uscita del tariffario perdano i contributi pubblici, ma il problema, nota Rossi, è che negli anni le sovvenzioni sono diventate sempre di meno e se un futuro governo dovesse ridurle al minimo anche la sanzione perderebbe la sua forza. Al momento, quindi, da sindacato e coordinamenti nessuna cifra certa, solo molta prudenza e l’invito a chi sarà presente in commissione a confrontarsi con i soggetti su cui poi la norma dovrà essere applicata. Vale a dire i collettivi dei precari. Senza dimenticare che la conquista di questa legge, pur importantissima, non rappresenta la soluzione del problema perché, chiude Rossi, «per il lavoro nero e precario la soluzione sarebbero programmi di assunzione e di strutturazione dei colleghi che già lavorano come se fossero dipendenti». Non resta dunque che attendere la fine di gennaio per i prossimi sviluppi, con le nomine dei componenti della commissione.    Marianna Lepore Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Natale, presidente Fnsi: «La legge sull'equo compenso è un pungolo per gli editori» - Equo compenso per i giornalisti, sfuma l'approvazione della legge ma i freelance non demordono - Enzo Carra: «Dal 2013 equo compenso per i giornalisti freelance» e anche:- Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità- Lo scandalo dei giornalisti pagati cinquanta centesimi a pezzo. Il presidente degli editori a Firenze: «La Fieg non dà sanzioni. E poi cos'è un pezzo?»

Torna il caso Tfo in Sardegna: stage per operai e commesse di bella presenza pagati dalla Regione

La Regione Sardegna ci ricasca: ritornano i tirocini formativi di orientamento, i famosi «Tfo con voucher» pagati dalla Regione, che già a dicembre 2011 la Repubblica degli Stagisti  aveva denunciato per diverse preoccupanti anomalie. Sei mesi di formazione (ma più che altro di lavoro) in aziende, uffici, negozi, enti pubblici, pagati interamente dalla Regione con una indennità di 500 euro lordi mensili. Nella maggior parte dei casi, però, per mansioni di basso e bassissimo profilo, che richiederebbero in realtà una fase di formazione molto rapida e potrebbero essere più correttamente formalizzati attraverso contratti di apprendistato. La prima domanda che viene da farsi riguarda dunque l’efficacia dello strumento dei Tfo, che l’anno scorso avevano riguardato circa 3.200 persone - mentre quest’anno, con un budget dimezzato (5 milioni al posto di 9,6) coinvolgeranno circa 1.500 partecipanti. «Dai questionari che abbiamo sottoposto ad aziende e tirocinanti, risulta che alla fine dei sei mesi il 20,8% degli stagisti ha ricevuto una proposta di regolare contratto dall’azienda dove aveva effettuato il tirocinio e il 3,4% da un’impresa conosciuta comunque grazie ad esso. Il 2,5% non ha accettato l’offerta» dice alla Repubblica degli Stagisti Enrico Garau, responsabile Sardegnatirocini.it, portale di riferimento per il bando. Ma i sindacati non sono affatto convinti di questi dati: «Per capire se i TFO hanno funzionato» ribatte Oriana Putzolu, segretaria confederale della Cisl sarda «bisognerebbe sapere quali tipologie contrattuali sono state applicate. Quanti ragazzi sono stati effettivamente stabilizzati con un contratto a tempo indeterminato?».Le figure più richieste sono, come l’anno scorso, baristi, camerieri, commessi, e persino braccianti agricoli e addetti alle pulizie. Una caffetteria, per esempio, cerca un «aiuto banconiere» (n° 3444) per «allestire e/o sistemare il banco frigo o le vetrine; avviare i macchinari (lavastoviglie, macchina da caffè); prendere le ordinazioni; preparare e pulire il bancone; accogliere i clienti; vendere al pubblico i prodotti; esporre cibi», mentre un negozio offre un tirocinio formativo a un «commesso/a per spostamenti, consegne, montaggio bombole gas» (n° 3606). Un hotel residence cerca un addetto alla reception (n°3381) che durante il tirocinio dovrà acquisire «competenze relative al lavoro di front e back office di una struttura ricettiva, di gestione delle prenotazioni, di accoglienza e assistenza del cliente in un'ottica di customer satisfaction». Una cooperativa sociale offre uno stage (n°3592) a «due tirocinanti da inserire nel settore delle pulizie, manutenzioni e custodia di edifici sia pubblici che privati». Alcune inserzioni, rivolgendosi ad aspiranti stagisti di un solo genere, risultano addirittura illegali: se la Regione ha da pochi giorni rimosso quello per una «banconiera di bella presenza», ne spunta un altro simile (n° 3636) di una società di assicurazioni in cerca di una «ragioniera archivista», che abbia tra i propri requisiti anche la «bella presenza». Diverse aziende cercano «tirocinanti con esperienza»: una vera e propria contraddizione in termini. Un centro medico desideroso di «aumentare la visibilità ed incrementare nuovi fruitori e target», per esempio, offre uno stage (n°3431) e precisa che «è necessario che la figura ricercata abbia una marcata esperienza nel settore del marketing strategico, nella comunicazione di massa». Una società immobiliare (n° 3328) cerca un tirocinante che, tra le altre cose, «supporterà tutor e colleghi nella riorganizzazione degli spazi all'interno degli appartamenti, lo studio del loro arredamento ed eventuali modifiche strutturali, supporterà nella promozione dell'offerta su internet e supporterà il tutor nelle relazioni con le agenzie immobiliari», e chiarisce che per i candidati è «necessaria precedente esperienza nel settore dell'immobiliare-arredamento».Spesso, da preziosa opportunità di formazione professionale, gli stage pagati con soldi pubblici si trasformano in un’occasione ghiotta per le imprese, che così possono usufruire di manodopera a costo zero. E i Tfo sardi non fanno eccezione.  Mauro I., ragazzo sardo laureato in Odontotecnica che ha partecipato a uno degli oltre 3.200 tirocini formativi nel 2012, a febbraio scorso scriveva sulla pagina Facebook del gruppo della Repubblica degli Stagisti: «Nella mia azienda dicono che hanno preso i tirocinanti per far sì che gli operai possano tranquillamente andare in ferie. È uno schifo». Una situazione in cui secondo la Putzolu «non si formano né si qualificano i ragazzi». L’Agenzia per il lavoro regionale, che gestisce il bando, sul sito Sardegnatirocini.it mette le mani avanti spiegando che «non è responsabile dei contenuti pubblicati nei singoli annunci». La Vetrina D/O, aggiunge Garau, «è uno spazio libero in cui tutti possono inserire delle offerte. Noi non riusciamo a controllarle tutte e non so se poi sia veramente un bene togliere quelle che risultano irregolari». Ma «un monitoraggio da parte dell’Agenzia» continua Putzolu «sarebbe necessario, per capire come si spendono i soldi e che efficacia hanno misure come questa». L’assessore al Lavoro della Regione Antonello Liori, dal canto suo, sul rischio sfruttamento dei tirocinanti si difende: «I controlli non spettano a noi. Con i Tfo ci occupiamo di far incontrare domanda e offerta. È vero, c’era un annuncio per una barista di 25 anni e pure di bella presenza: lo abbiamo eliminato. In giro c’è gente scriteriata e delinquente, ma a parte abusi di questo genere, che per noi è facile censurare, non riusciamo a prevedere cosa si può inventare la fantasia delle persone». Il problema vero, dice Marinora Di Biase, segretaria confederale della Cgil regionale, «è che lo strumento dei Tfo viene piegato alle esigenze delle aziende, diventando un canale di lavoro a costo zero». Sfruttamento mascherato da tirocinio, che la Regione promuove senza preoccuparsi delle irregolarità: «I controlli  spettano all’Ispettorato del lavoro e ai sindacati. E poi molte volte le imprese sono pressate dai ragazzi stessi che dicono “Prendimi, tanto non paghi nulla”», continua l’assessore, che arriva a chiedere un aiuto alla Repubblica degli Stagisti: «Se ci fossero da parte vostra dei suggerimenti per evitare questi abusi, noi li accoglieremmo volentieri».Altro aspetto anomalo dei bandi Tfo riguarda i requisiti di età dei destinatari. L'edizione del 2011 era aperta esclusivamente a persone «maggiori di 26 anni» e «di 30 anni se laureati».Un elemento che aveva spinto il consigliere Pd Marco Meloni e alcuni colleghi a presentare, il 29 dicembre 2011, un’interrogazione all’assessore al Lavoro. Il quale oggi dice: «Non ricordo se ho risposto, ma penso di sì». Eppure il consigliere Meloni assicura: «A me non ha mai scritto nessuno». Nel bando 2012 si cambia: possono partecipare tutti i disoccupati o inoccupati residenti in Sardegna che abbiano «compiuto il diciottesimo anno di età». Dunque non solo neodiplomati e neolaureati, ma anche trentenni, quarantenni e addirittura over 50 che hanno perso il lavoro. Con il risultato che i Tfo diventano di fatto ammortizzatori sociali. «Potrebbe anche essere che qualcuno faccia tirocini in attesa di trovare un nuovo impiego», minimizza Liori. Ma la sindacalista Di Biase non lascia passare la frase dell'assessore: «Abbiamo molti disoccupati ultracinquantenni ed è vero, per loro il tirocinio può essere un’opportunità. Purtroppo è una delle poche strade che si può percorrere, perché non c’è, da parte della Regione, una seria politica del lavoro attiva».Veronica UlivieriPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Regione Sardegna promuove stage-vergogna: 10 milioni di euro per tirocini di 6 mesi come inservienti, operai, camerieri. E perfino braccianti agricoli- Tirocini per operai, inservienti e camerieri in Sardegna: il consigliere regionale Marco Meloni prepara un'interrogazione per l'assessore- Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso: forse dopo vorrà aprire una stazione di servizio sua»

Stage UE, oltre 800 occasioni da più di mille euro al mese

La Commissione europea apre le porte ai giovani. C'è tempo fino al 31 gennaio – le candidature sono aperte dall'inizio del mese – per proporsi come stagiaire alla prossima tornata di tirocini. Le posizioni offerte sono circa seicentocinquanta, e il rimborso spese decisamente alto rispetto alla media, - soprattutto italiana: circa 1070 euro al mese (un quarto del salario base di un dipendente appartenente alla categoria AD 5/1) oltre all'assicurazione sanitaria. Importo che è poi maggiorato fino al 50% per i disabili. A ciò si aggiungono le spese di viaggio per chi abita a più di 50 chilometri dalla sede (che però sono corrisposte alla fine del tirocinio, o entro i primi due mesi per chi è associato a una sede diversa da Bruxelles). La durata dello stage, che richiede un impegno full time, è di cinque mesi (si parte a inizio ottobre e si finisce a fine febbraio con due giorni di "ferie" al mese concessi), mentre la destinazione è nella maggior parte dei casi la capitale belga, ma potrebbe capitare anche di essere assegnati alle sedi di Lussemburgo, alle delegazioni, oppure alle rappresentanze (ci sono sedi sparse in tutte le principali città europee).  Due le tipologie di stage per cui candidarsi: i tirocini amministrativi o per traduttori. Nel primo caso si può essere assegnati all'ufficio legislativo, risorse umane o politico e «il lavoro coincide di norma con quello dei funzionari amministrativi all’inizio della carriera alla Commissione; si tratta cioè di raccogliere informazioni e documentazione, organizzare gruppi di lavoro, elaborare relazioni e rispondere a richieste di informazioni etc» come spiegato sul sito; nel secondo caso invece i trainees «vengono assegnati a un’unità di traduzione costituita da traduttori della stessa madrelingua, svolgono le medesime attività dei loro colleghi titolari, ossia traducono verso la propria lingua da almeno altre due lingue comunitarie». Quanto ai requisiti di ammissione, oltre alla cittadinanza europea, per gli stage amministrativi occorre un diploma di laurea minimo triennale (non necessariamente conseguita negli ultimi 12 mesi), una buona conoscenza dell'inglese, francese o tedesco e di una seconda lingua europea. Per i traduttori è invece necessario essere madrelingua di una delle lingue Ue e saper tradurre in altre due lingue, di cui la principale sia inglese, tedesco o francese. Resta escluso chi abbia già effettuato un'esperienza di stage di almeno sei settimane presso un'istituzione europea. Per candidarsi bisogna registrarsi al sito e compilare l'application form, che va poi stampato, firmato e inviato per posta insieme ai documenti (di identità, diploma di laurea e di eventuali lingue) entro il 31 gennaio (fa fede il timbro postale). I candidati saranno selezionati tra marzo e maggio in base a percorso accademico, conoscenza delle lingue e altre skill generali tra cui esperienze lavorative rilevanti in base al percorso scelto. Nella graduatoria semifinale (il cosiddetto blue book, un database per i dipendenti della Commissione europea chiamati a scegliere i candidati) entrano i 2600 candidati con il punteggio più alto. Di questi alcuni potranno essere contattati per un'intervista telefonica ai fini della selezione ma la chiamata non necessariamente equivale all'ammissione al tirocinio. A tutti però, ammessi o meno, verrà comunicato l'esito finale via email. Gli stage alla Commissione europea hanno avuto un particolare successo in Italia: negli ultimi 50 anni il paese di origine con il maggior numero di partecipanti è stato proprio il nostro (quasi 4500). E non è un caso perché gli italiani spiccano nella graduatoria delle richieste: solo nel 2012 sono stati quasi 4mila, più di tutti gli altri - nello stesso periodo i francesi sono stati circa 1200  e i tedeschi 900 - su un totale di 18mila application. I selezionati finali italiani sono stati poi 190. E ancora, secondo altri dati pubblicati sul sito, negli ultimi dieci anni le tirocinanti hanno battuto i colleghi maschi con un rapporto di 70 a 30. E il profilo di uno stagiaire-tipo (dati 2009) è quello di un 26enne che sa parlare oltre quattro lingue e possiede in media due titoli di studio di grado superiore (tipo laurea e master).Quelli alla Commissione europea possono considerarsi tirocini di prestigio, occasioni d'oro anche se non garantiscono un'occupazione futura ma sì un importante arricchimento per il curriculum vitae. A dimostrarlo ci sono alcune partecipazioni eccellenti del passato tra cui si annoverano personalità pubbliche come il principe Felipe di Spagna, l'americano 50enne Michael Froman, oggi assistente aggiunto di Barack Obama (un ristretto numero di posti è riservato infatti anche a cittadini extraeuropei), o ancora il re Mohammed VI del Marocco e lo stesso premier uscente Mario Monti (il programma di tirocini alla Commissione europea è infatti estremamante longevo: il primo bando risale al 1960).  Sempre in questi giorni aprono anche le iscrizioni per i tirocini presso un'altra istituzione europea, l'Europarlamento. Fino alla mezzanotte del 15 febbraio si può fare domanda per la terza tranche di tirocini pagati per traduttori che avranno inizio il 1° luglio (a parte ci sono poi i tirocini curriculari o extracurriculari, senza rimborso spese e quindi da cui guardarsi bene, sia per traduttori che generali). La durata dello borsa è di tre mesi, prorogabili per altri tre, e l'importo è pari a circa 1200 euro mensili più spese di viaggio (alle stesse condizioni della Commissione europea). Per candidarsi serve avere la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea o di un paese candidato all'adesione, una laurea almeno triennale, la perfetta conoscenza di una delle lingue ufficiali dell'Unione europea o della lingua ufficiale di un paese candidato e un'approfondita conoscenza di altre due lingue Ue. Resta escluso chi abbia avuto precedenti esperienze di stage in istituzioni europee. La candidatura si effettua online compilando l'application form (in inglese, tedesco o francese) in un'unica tappa e senza possibilità di modifiche. È consigliabile dunque scaricare il modulo fac simile per prepararsi alla candidatura. Alle persone preselezionate verrà poi chiesto di inviare per posta alcuni documenti (identità, laurea e simili) dopo il 15 marzo, mentre i selezionati, la cui sede di destinazione sarà Lussemburgo, riceveranno una comunicazione via email verso metà maggio, come specificato nelle faq sul web. Ai non ammessi resta comunque la possibilità di fare nuovi tentativi. Da precisare però che non sempre ai candidati finalisti è garantito uno stage, che avviene solo in caso di presenza di posizioni vacanti. Per questo viene compilata una lista di attesa - attiva per un anno - di candidati eleggibili, che saranno contattati in caso di necessità. In pratica l'ufficio tirocini chiama a raccolta gli stagisti, ma poi un singolo ufficio del Parlamento europeo può sì ritenere ideneo un candidato - inserendolo dunque tra i finalisti - ma non avendo bisogno di personale in quel momento, si riserva di chiamarlo per un momento successivo (e comunque entro un anno dalla sua application). Anche qui sono molte le candidature che arrivano ogni anno (e diversi sono anche i programmi di tirocinio durante l'anno): come spiegato sul sito, nel 2009 sono state 4mila per i soli translation traineeship, ma gli ammessi sono stati 2015, di cui 209 con borsa e 6 senza (questi ultimi, trappola in cui evitare di cadere). In genere, si specifica, viene accettato il 5% delle candidature. In entrambi i casi, sia per i tirocini alla Commissione che per quelli al Parlamento europeo, si tratta di ottime chance, di quelle che potrebbero fare la differenza sul curriculum. Il rimborso spese permette di mantenersi in maniera dignitosa anche se si è all'estero e le mansioni assegnate rispondono - almeno sulla carta - a reali criteri formativi. Due elementi rari, di questi tempi, per uno stage.    Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa- Stage alla Commissione europea, è boom di richieste e più di un quarto delle candidature arriva dall'Italia: forse perchè sono ben pagati?- Parlamento europeo, risoluzione contro i tirocini gratis e le aziende che sfruttano gli stagisti- Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio»    

Servizio civile, dalla legge di stabilità nessun aiuto

Solo 16milioni di euro: a tanto ammonta la cifra individuata dalla legge di stabilità approvata alla Camera a fine dicembre con voto di fiducia, dopo le modifiche apportate al Senato, e destinata a sette interventi, dal fondo nazionale per il servizio civile a quelli per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e per il finanziamento delle missioni di pace, dal fondo affitti a quello per lo sviluppo e diffusione della pratica sportiva e alle norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti. Il fondo da 315milioni inizialmente previsto alla Camera è stato praticamente azzerato e quella cifra è stata in parte distribuita tra le università, i policlinici universitari e altri enti a discapito del servizio civile, come spiega alla Repubblica degli Stagisti Sergio Marelli (nella foto a sinistra), membro del coordinamento nazionale del forum permanente Terzo Settore e direttore generale Volontari nel mondo (Focsiv). «I 16milioni restano da quello che era il cosiddetto fondo Catricalà» continua Marelli «ma la distribuzione dei fondi al servizio civile non è ancora stata deliberata e si conoscerà solo con l'insediamento del nuovo governo».Quei 16milioni di euro sono, quindi, una cifra ancora troppo generica per farci affidamento perché per sapere quale percentuale arriverà a destinazione bisogna aspettare il decreto per il presidente del Consiglio e vista la fine anticipata della legislatura, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale non fa alcuna previsione sulla data in cui si conoscerà la cifra precisa dello stanziamento. Così a fine 2012 i calcoli di spesa sono fatti contando solo i 71milioni di euro già previsti nell’ultima legge finanziaria e i 50milioni di euro recuperati da Andrea Riccardi, ministro per la cooperazione e l’integrazione. Cifra su cui si può fare affidamento solo in parte, visto che il ministro (che guida un dicastero senza portafoglio) aveva annunciato a giugno l’esistenza di quel finanziamento ma ad oggi non è stato ancora materialmente assegnato al fondo nazionale servizio civile. Tanto che le associazioni di categoria avevano fatto appello a Riccardi per un incontro urgente, che non c’è ancora stato, per capire che fine avessero fatto quei fondi. In un comunicato diffuso a metà dicembre, Enrico Maria Borrelli, presidente del forum nazionale per il servizio civile, e Primo di Blasio, presidente della Conferenza nazionale enti servizio civile (Cnesc) avevano ricordato che «il servizio civile nazionale rischia il default già a partire dal 2013». E non sono i soli a dichiararlo: Giuseppe Guerini, portavoce Alleanza delle cooperative sociali e presidente di Federsolidarietà - Confcooperative ha definito la legge di stabilità «un provvedimento tagliagambe per esperienze di welfare che avrebbero bisogno di una dotazione tripla rispetto a quella prevista». La questione della mancanza di fondi per il servizio civile è arrivata anche a Montecitorio dove i deputati del partito democratico Alessia Mosca e Guglielmo Vaccaro, letta la notizia sul sito della Repubblica degli Stagisti del bando 2012 soppresso, hanno preparato a metà dicembre un'interrogazione al ministro della cooperazione internazionale e l'integrazione in cui chiedevano di riferire al Parlamento quali azioni il ministro volesse promuovere «per garantire al Servizio Civile nazionale una copertura delle spese per le sue attività di assistenza, utilità sociale e di promozione culturale». Mario Morcone, capo di gabinetto del ministero di Riccardi, ha dato una parziale risposta durante l’intervento a metà dicembre a Firenze al convegno Avrei (ancora) un’obiezione dove ha dichiarato che quei 50milioni ci sono e che «l’attesa è solo per questioni burocratiche e non è vero che la scadenza per approvare il tutto è il 31 dicembre 2012». Con questo budget a disposizione, quindi contando anche i 50milioni di cui non si prevede la data di assegnazione, si riuscirà a garantire l’avvio di circa 18mila volontari in tutto il 2013 contro una richiesta che nel 2012 è stata di 60mila persone. Il bando, però, sarà pubblicato in estate inoltrata, come dal dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale è stato confermato alla Repubblica degli Stagisti. Le prospettive non sono quindi per niente positive per i giovani che grazie al servizio civile in questi anni sono riusciti ad avere ugualmente un reddito nella fase di passaggio tra un ciclo di formazione concluso, sia esso scuola o università, e l’entrata effettiva nel mondo del lavoro. Non solo perché i posti disponibili saranno sempre meno (passando dai 45-50mila dei bandi 2005 e 2006 a meno della metà), ma anche perché rischiano di passare almeno sei mesi prima dell’eventuale pubblicazione del prossimo bando. La spending review ha, quindi, colpito anche il volontariato che negli ultimi anni, grazie a un compenso mensile pari a 430euro e spesso superiore alle possibilità di rimborso offerte dagli stage, era stato scelto da moltissimi giovani come primo passo per la propria emancipazione. E non solo: attraverso il servizio civile le associazioni e realtà no profit erano riuscite negli ultimi anni a realizzare progetti che altrimenti, per mancanza di personale e di fondi con cui pagare, non sarebbero mai stati possibili. Licio Palazzini, vice presidente della Conferenza nazionale enti per il servizio civile (Cnesc), a Firenze a metà dicembre durante il convegno Avrei (ancora) un’obiezione! ha dichiarato che il vero punto di debolezza del servizio civile italiano è la debole consapevolezza e investimento delle istituzioni. E, infatti, ancora una volta le istituzioni hanno tagliato lì dove avrebbero dovuto cercare di investire, lasciando al prossimo governo l’onere di cercare nuovi fondi e affrontare una modifica del servizio civile richiesta a gran voce da più parti. Marianna Lepore   Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Servizio civile 2012 soppresso, arriva l'interrogazione parlamentare- Servizio civile, salta il bando 2012: tutta colpa della spending review- Leonzio Borea, direttore dell'Ufficio servizio civile nazionale: «Offriamo ai giovani un'esperienza preziosa, ma abbiamo sempre meno fondi»- Servizio civile, tempo di selezioni: al sud si sgomita, al nord posti vuoti. E anche il volontariato diventa un ammortizzatore sociale  

Indagine DataGiovani, 80mila under 30 occupati in meno rispetto al 2007

Altro che choosy: se ancora ce ne fosse bisogno, l’ultima indagine condotta dalla società di analisi DataGiovani su microdati Istat smentisce la teoria che vorrebbe i giovani di oggi troppo schizzinosi nella scelta del lavoro. Al contrario, i ragazzi under 30 al primo impiego sono più disponibili che mai. Lavorano il sabato, la domenica, la sera; accettano contratti precari senza possibilità di sbocco; ritornano alle professioni tradizionali nel campo dell’agricoltura; e sopravvivono con salari al limite del dignitoso, sicuramente inferiori rispetto alle qualifiche accademiche e al livello di studi conseguito. Il tutto per affrontare un mercato del lavoro sempre più difficile e spietato, in cui le aziende sfruttano la flessibilità non per mettere alla prova i giovani o formarli prima dell’assunzione, ma semplicemente per ridurre al minimo i costi fissi del personale.Nel primo semestre del 2012, circa 355mila giovani italiani hanno trovato il loro primo impiego. Sono 80mila in meno rispetto ai primi sei mesi del 2007, con un calo del 18,4% nell’arco di appena sei anni. Il trend negativo è diffuso in tutta Italia, ma le differenze tra Nord e Sud si fanno ancora sentire: nelle regioni settentrionali il numero di ragazzi al primo lavoro è diminuito di 21mila unità, mentre nel meridione e nelle isole ci sono 42mila giovani occupati in meno rispetto al periodo pre-crisi.Il titolo di studio ha la sua importanza. Il mercato del lavoro è ormai estremamente competitivo e le aziende selezionano i candidati con il curriculum migliore. Ci sono 55mila posti di lavoro in meno per i ragazzi con un livello di studi basso (-45,6% rispetto al 2007); altri 21mila tagli riguardano i giovani con un profilo accademico di medio livello (-9%); e “solo” 4mila occasioni di lavoro perdute per chi ha raggiunto il livello più alto nella ricerca universitaria (-4,9 per cento).Diminuisce il numero di occupati, aumenta il novero dei lavoratori precari. «È in atto un deterioramento del mercato del lavoro giovanile – commenta Michele Pasqualotto, responsabile DataGiovani – soprattutto per quanto riguarda le tipologie contrattuali offerte dalle aziende per i primi impieghi. È aumentato in maniera consistente il ricorso ai contratti a termine». Sui 355mila under 30 al primo impiego, ben 222mila sono dipendenti a tempo determinato, part-time, collaboratori e partite Iva. E non per scelta, ma per necessità, alle condizioni imposte dalle aziende. Rispetto al primo semestre del 2007, il 2012 ha visto 7mila giovani precari in più, con un aumento del 3,2 per cento. Più nello specifico, tra gennaio e giugno del 2012 ben 85mila giovani hanno iniziato il loro primo lavoro con contratti part-time. Altri 196mila hanno accettato un contratto a tempo determinato. I collaboratori sono 27mila e gli autonomi altri 40mila. Solo 92mila, il 26% circa del totale (e in calo del 37% rispetto al 2007), hanno ottenuto un primo contratto direttamente a tempo indeterminato.«Di per sé il ricorso crescente ai contratti precari non sarebbe un fattore negativo – afferma l’esperto – a patto però che la ragione sia formare o mettere alla prova i giovani prima di assumerli. Ma purtroppo sta crescendo il numero di aziende che usano i contratti precari come vera e propria strategia aziendale per contenere i costi. Si parla spesso di flexsecurity: i dati dimostrano che in Italia, ancora nel 2012, abbiamo adottato la flessibilità senza garantire la sicurezza per i giovani». E infatti in Italia un precario su tre è occupato in incarichi occasionali, discontinui, che non porteranno ad un’assunzione.Le caratteristiche dei contratti? La durata media è breve, brevissima: appena 10 mesi, che salgono a 16,5 se si considerano anche gli apprendisti (che per legge hanno contratti più lunghi). E il salario medio mensile netto è pari a circa 850 euro al mese. Togliendo un affitto per i fuori sede e il vitto, siamo al limite della sussistenza. Anche in questo caso la situazione è peggiorativa rispetto al 2007. Prima della crisi la durata media dei contratti (al netto degli apprendistati) era più alta di 4 mesi e il salario era lievemente più alto, anche considerando gli effetti dell’inflazione.Eppure la buona volontà non manca. I ragazzi sono disposti a prestare servizio anche in orari di disagio sociale: il 20% dei nuovi occupati lavora di sera, l’11% di notte, il 50% circa sacrifica il sabato libero e il 23% la domenica. Quasi il 50%, inoltre, è sovra-qualificato (a livello di studi) per l’incarico di riferimento. «Diverse fonti istituzionali, recentemente, hanno diffuso il luogo comune in base al quale sono i giovani stessi ad essere in gran parte responsabili delle proprie difficoltà sul mercato del lavoro. Ma i dati non confermano questa versione dei fatti, anzi, la smentiscono in pieno. I ragazzi sono sempre più disponibili ad adattarsi a lavori che provocano una difficoltà nei rapporti sociali», aggiunge ancora Pasqualotto.La fotografia scattata dall’indagine di DataGiovani non è certo rassicurante. Ma la riforma del lavoro attuata dal ministro Fornero che effetti avrà sullo scenario futuro per i giovani italiani? «È molto difficile giudicare l’impatto di una riforma in tempi di crisi – premette Pasqualotto – e stabilire in che misura siano le difficoltà del mercato o le novità normative a determinare l’aumento del precariato e la diminuzione dell’occupazione giovanile. Inoltre, bisogna vedere in che modo la riforma verrà gestita e modificata dal governo che verrà». Detto questo, secondo il responsabile di DataGiovani c’è sicuramente un aspetto negativo nel testo elaborato dal ministro Fornero: «mi riferisco all’aumento dei tempi di pausa obbligatoria prima del rinnovo dei contratti a termine. Questo provvedimento rischia di tenere troppo a lungo i giovani fuori dal mercato del lavoro. Ma ci sono anche aspetti positivi, come l’introduzione della retribuzione obbligatoria per gli stage e la volontà di spingere molto sul contratto di apprendistato, dimostrata dal governo anche in occasione degli incontri di settembre e ottobre tra il ministro del lavoro italiano e quello tedesco per importare le buone pratiche tedesche in Italia».Guardare all’Europa, conclude Pasqualotto, potrebbe aiutare l’Italia a invertire il preoccupante deterioramento delle condizioni di lavoro per i giovani: «A nostro avviso sarà fondamentale prendere spunto dai Paesi più avanzati come l’Austria e la Germania per avvicinare i giovani al mondo del lavoro già durante la scuola, cosicché la formazione si svolga per il 50% in aula e per il 50% in azienda, e poi ancora integrare meglio università e imprese con stage e tirocini seri. Ma bisognerebbe anche riformare il sistema di centri per l’impiego in modo che siano davvero utili: l’Italia è al penultimo posto in Europa, dopo la Turchia, per l’utilizzo di questi canali come modalità di accesso al mondo del lavoro».   di Andrea Curiat   Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:-Proud to be choosy-Altro che choosy: un'indagine su giovani e lavoro smentisce il ministro Fornero;   e anche:- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato»;- In Italia un giovane su tre è senza lavoro. Ma è davvero così?;- Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»

Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa

Da Rimini a Sassari, passando per l'Emilia-Romagna. Si avvicinano le scadenze per oltre un centinaio di stage finanziati grazie al progetto Leonardo, che offriranno la possibilità di un'esperienza formativa all'estero. C'é tempo fino alla mezzanotte del 6 gennaio per uno dei 16 tirocini del bando Moving Generation, progetti di formazione semestrale che offrono una borsa da 3mila euro. Possono partecipare gli studenti di una delle sedi distaccate dell'Alma Mater di Bologna, ovvero Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, e coloro che, domiciliati in queste tre provincie, abbiano conseguito un titolo di studio universitario, non importa se triennale o magistrale. Unica condizione, quella di aver discusso la tesi dopo il 1 marzo del 2012. Oltre, ovviamente, quella di conoscere la lingua del Paese nel quale si potrebbe svolgere una parte del percorso formativo.Dopo i primi due mesi trascorsi in una delle imprese che ospiteranno gli stage, infatti, i tirocinanti saranno coinvolti in un'esperienza trimestrale all'estero, prima di tornare in Italia per completare il percorso. I singoli progetti prenderanno il via a febbraio e le partenze si concentreranno durante il mese di aprile del 2013. Ai selezionati sarà garantita una borsa di studio che prevede, oltre al rimborso spese, anche un'assicurazione RCT e una contro gli infortuni. I tirocini saranno ospitati all'interno di 11 aziende della provincia di Forlì-Cesena e di 5 imprese del riminese. I settori coinvolti sono i più diversi e richiedono vari titoli di studio: da giurisprudenza ad economia, da scienze politiche a lingue, fino ad ingegneria gestionale. Le candidature si ricevono on-line, compilando il modulo a disposizione sul portale dedicato al progetto. Il percorso di selezione prevede un colloquio individuale che si svolgerà a Forlì il prossimo 14 gennaio. Quindi un incontro con le aziende ospitanti. Nato tre anni fa nell'ambito del progetto Leonardo, oggi Moving Generation è sostenuto esclusivamente dalle risorse degli organizzatori: Banca di Forlì, Multifor, Camera di Commercio, Ordine degli Avvocati e Provincia di Rimini. Al termine del tirocinio non c'è alcun obbligo di assunzione, né ci sono incentivi in questo senso. Ma nelle passate edizioni, alla fine dell'esperienza semestrale, il 68 per cento degli stagisti si è visto offrire un contratto di lavoro.È stato invece prorogato al 15 gennaio il termine per iscriversi a Sassari 20 20 20, progetto lanciato dalla provincia che offre 45 borse di mobilità della durata di 13 settimane a neo-laureati in materie tecnico-scientifiche, giuridiche, economiche e della comunicazione residenti in uno dei 66 comuni del sassarese. I tirocini si svolgeranno in Belgio, Spagna, Malta e Cipro e prevedono l'erogazione di una borsa compresa tra i 2.300 ed i 2.800 euro a seconda della destinazione. I contributi, garantiti dal progetto Leonardo, verranno erogati attraverso l'Isfol in due trance: l'80% del dovuto entro 30 giorni dall'avvio dello stage, il restante entro 45 giorni dalla sua conclusione. I selezionati verranno coinvolti in un corso di preparazione pedagogico-culturale della durata di 20 ore che si svolgerà prima della partenza. Le domande dovranno essere presentata direttamente all'ufficio protocollo della provincia oppure spedite via posta. Anche se la modulistica è disponibile sul sito, non è prevista la candidatura on-line.Scadono invece il 7 gennaio i termini per partecipare alle selezioni per la seconda edizione del bando U.S.A. Urban Sustainable Architecture, progetto che offre 75 borse, per un valore che oscilla tra i 3.800 ed i 5.400 euro, per percorsi formativi della durata di 24 settimane che si svolgeranno tra giugno 2013 ed il febbraio 2014. Requisito fondamentale è la laurea in architettura: la metà dei posti saranno riservati a donne e a persone provenienti dalle regioni del Sud Italia. Promossi da Inarch Servizi srl, questi tirocini sono riservati a giovani che ancora non abbiano compiuto 35 anni e che, alla data di scadenza del bando, siano regolarmente iscritti all'Istituto nazionale di architettura per l'anno 2013. Anche in questo caso la documentazione deve essere inviata per posta e non è possibile una trasmissione on line della domanda. Una commissione nominata da Inarc individuerà i candidati idonei per un colloquio individuale. I selezionati saranno quindi sottoposti alla valutazione degli enti che ospiteranno i tirocini, che si svolgeranno in Spagna, Francia, Belgio, Lituania, Slovenia, Germania, Gran Bretagna e Portogallo.Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? Leggi anche:- Ancora lontana in Emilia la legge regionale sugli stage, la Cgil: «Entro febbraio? Ma se non esiste nemmeno una prima bozza!»- «I tirocini di inserimento non esistono, una circolare non è fonte di diritto»: così la Regione Emilia Romagna blocca gli stage per laureati e diplomati da più di 12 mesi- La legge 4/2005 della Regione Emilia Romagna su occupazione e stageE anche:- Linee guida sugli stage, 400 euro al mese di rimborso «obbligatorio»: ma solo in teoria- Stage all'estero con rimborsi fino a 3mila euro: torna il Master dei Talenti- Doppio Master dei Talenti a Pechino e Hong Kong: «Un progetto basato sulla meritocrazia»

Lavoro, una scelta consapevole con gli sportelli d'orientamento

Scegliere cosa fare da grandi: è un problema che non riguarda solo i laureati alle prese con la ricerca di un lavoro, ma anche i diplomati dei licei e degli istituti tecnici che troppo spesso sono lasciati soli nel difficile passaggio verso l’età adulta. E che rischiano di scegliere a caso, senza avere una reale cognizione della formazione necessaria per cominciare a svolgere una determinata professione, degli sbocchi occupazionali e sopratutto delle prospettive di guadagno. Per questo motivo stanno nascendo centri dedicati ad accogliere e istruire i giovani e le loro famiglie sulle possibili scelte da fare per evitare la dispersione scolastica e l’abbandono. Uno degli ultimi sportelli di orientamento alla formazione è nato a Torino, presso il Centro Informagiovani di via delle Orfane 20: è Laborientarsi, un servizio gratuito per i ragazzi dai 16 ai 22 anni e per le loro famiglie, aperto tutti i martedì e i mercoledì dalle ore 15 alle 18. Qui lavorano (in coordinamento con gli altri sportelli) un referente di progetto che coordina il gruppo di lavoro, dieci orientatori per l'accoglienza e l'orientamento individuale e di gruppo (con esperienza quinquennale nel settore), dieci tutor coinvolti anche per la ricerca delle aziende e dieci formatori coinvolti nelle attività seminariali.  Già a maggio erano nati altri due sportelli nel capoluogo piemontese grazie alla collaborazione tra il Comune  e la Provincia di Torino con l’obiettivo di prevenire e contrastare la dispersione scolastica e di aiutare i giovani a fare scelte consapevoli negli studi e nel passaggio al mondo del lavoro. Da allora sono stati accolti quasi cinquecento giovani nella fascia d'età 16-22 e quasi duecento hanno potuto conoscere le aziende con visite e prove pratiche di mestiere. Puntare quindi su preparazione e formazione è la strategia adottata per arginare il crescente numero di giovani che non lavorano, non studiano e non investono nella formazione professionale. Sono circa 80mila i giovani disoccupati nella sola provincia di Torino e circa 20mila sono quelli che non cercano lavoro e non intendono seguire un corso di studi o formazione. Secondo i dati dei centri per l’impiego, il cinquanta per cento degli iscritti al collocamento non ha proseguito gli studi dopo la terza media o li ha abbandonati senza finire le superiori. Così in attuazione del Piano provinciale pluriennale 2010/2013, a maggio 2012 grazie alle risorse finanziarie del Fondo sociale europeo 2007/2013 sono stati aperti i primi due sportelli orientamento denominati Laborientarsi che vedono il coinvolgimento di istituzioni scolastiche e formative, della regione Piemonte, dei comuni, degli atenei e dei soggetti attuatori. Gli sportelli sono aperti dal lunedì al sabato e forniscono un aiuto nella scelta dei progetti professionali e formativi, attraverso consulenze individuali, seminari e incontri con professionisti e mondo delle imprese, esperienze concrete di conoscenza dei mestieri e delle professioni, specifiche attività laboratoriali di simulazione di mestieri. Un modo non solo per conoscere qualcosa in più sugli sbocchi professionali del lavoro che si è scelto, ma anche per verificare le competenze necessarie per svolgerlo.L’indecisione è, infatti, uno dei fattori predominanti che caratterizza questi giovanissimi. Secondo il rapporto sul Profilo dei diplomati 2012 presentato al ministero dell’istruzione il 30 novembre da AlmaDiploma e AlmaLaurea, su quasi 40mila diplomati delle scuole prese in esame ben il 42% cambierebbe l’indirizzo di studio e/o la scuola frequentata, il più delle volte scelta in seguito alle influenze dell’ambiente familiare. Di questi, uno su quattro sceglierebbe un altro percorso per compiere studi che preparino meglio al mondo del lavoro. Il dato più importante è quello sugli incerti, i ragazzi che non sanno bene che strada prendere dopo il diploma e per cui le iniziative di orientamento possono giocare un ruolo fondamentale: sono il 16% del totale, sono più diffusi nei percorsi tecnici (25%) rispetto ai licei (7%), provengono da contesti socioculturali più svantaggiati e nel lavoro che cercheranno sono meno interessati alla coerenza con gli studi intrapresi. Ed è proprio sugli indecisi che bisognerebbe puntare con dei corsi e incontri specifici, come fa Laborientarsi a Torino, per evitare di far perdere tempo prezioso ai giovani, anticipando l’orientamento prima della fine della scuola superiore. Non si tratta solo di situazioni episodiche come i saloni dell’orientamento presenti in più regioni. Ma di veri e propri centri dove poter raccogliere tutte le informazioni necessarie per capire prima quali sono le proprie capacità e dopo come sfruttarle in ambito lavorativo. Perché nonostante la crisi, secondo gli ultimi dati Excelsior Unioncamere nel 2012 ci sono 65mila posti di lavoro che restano scoperti, il 16,1% delle assunzioni non stagionali previste dalle imprese. Difficoltà che non riguardano solo il reperimento di laureati (quasi 12mila profili introvabili), ma anche di diplomati: ben 27mila.I centri di orientamento acquisiscono un ruolo quindi sempre più centrale. E, infatti, iniziano a nascere su tutto il territorio. A Cagliari c’è lo sportello Informa e Orienta, per aiutare i giovani a scegliere le scuole medie secondarie e le offerte di lavoro. È un servizio nato dall’iniziativa di un gruppo di giovani su finanziamenti concessi al Comune di Cagliari dalla Regione autonoma della Sardegna nell’ambito della legge regionale 13/2003. Una scelta per favorire l’associazionismo tra i giovani, che in questo modo oltre alle classiche informazioni possono ascoltare anche opinioni ed esperienze dei coetanei. In Toscana c’è un sistema diverso: la Regione con i finanziamenti del Fondo sociale europeo ha creato il progetto Tuo dedicato agli studenti del quarto e quinto anno delle superiori e comprende questionari per conoscere il percorso orientativo più coerente alle proprie inclinazioni personali, giornate di colloqui orientativi e anche una full immersion di cinque giorni negli atenei toscani per entrare direttamente in contatto con la vita universitaria. A Bologna c'è il servizio Informagiovani del Comune che offre consulenza ai giovani tra i 14 e i 35 anni, è aperto tutti i giorni e rientra nel progetto Informazione multitasking cofinanziato dalla regione Emilia Romagna e realizzato in collaborazione con l'associazione SocialLab. Oltre al normale tutoraggio e alle consulenze individuali organizza incontri a cadenza settimanale sulle tematiche legate all'accesso al lavoro, dalla creazione delle imprese all'associazionismo, e da novembre ha attivo anche uno sportello di ascolto psicologico per i giovani che hanno difficoltà nell'area lavorativa. A Salerno c’è lo sportello Passwork, nato nel 2002 e gestito dall'Arci anche se da due anni è integrato nel servizio Informagiovani, rivolto alla fascia di età tra i 16 e i 29 anni con l'obiettivo di aiutare i giovani a trovare un lavoro valorizzando le potenzialità individuali. Si offrono colloqui personali con operatori specializzati, assistenza per la compilazione del curriculum e per i colloqui di lavoro, informazioni sui finanziamenti disponibili, orientamento agli studi e alla formazione, ma anche disponibilità della sala internet e corsi di informatica gratuiti. Da nord a sud, quindi, si inizia a puntare anche sull’orientamento dei ragazzi nella fascia di età tra la fine delle superiori e i primi anni della maggiore età. Con la convinzione che per avere dei lavoratori produttivi in futuro sia necessario proprio partire dagli ultimi anni di istruzione superiore e focalizzare sulle capacità individuali di ogni giovane. Riuscendo, magari, a colmare quei 27mila posti di lavoro disponibili per diplomati che quest’anno non sono riusciti a trovare risposta, nonostante la crisi economica, perché nessuno era adeguato alle figure richieste. Ripartire quindi dall’istruzione potrebbe essere il punto di svolta per risolvere il problema occupazionale e riportare in pareggio il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.Marianna Lepore   Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, un problema sottovalutato- Censis: in Italia i laureati lavorano meno dei diplomati. E i giovani non credono più nel «pezzo di carta»- Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud

Linee guida sugli stage, 400 euro al mese di rimborso «obbligatorio»: ma solo in teoria

Oltre alla sentenza della Corte costituzionale della settimana scorsa, che afferma che lo Stato non può legiferare sullo stage e che le decisioni su questa materia possono essere prese esclusivamente dalle Regioni, c'è un'altra importante notizia dell'ultim'ora che riguarda i tirocini formativi. E cioè che le linee guida promesse dal ministro Fornero stanno prendendo forma. Ma nessuno si faccia illusioni sulla forza (poca) e l'efficacia immediata (inesistente) di queste linee guida: anche a causa del recentissimo pronunciamento della Corte, esse non saranno che un accordo tra Stato e Regioni, non prenderanno la forma di un vero e proprio atto normativo, e non saranno subito operative. Non diventeranno cioè una legge vera e propria, ma avranno bisogno che tutte le regioni elaborino e approvino ciascuna la propria legge regionale, con tempi e modalità che al momento è impossibile prevedere.Dunque anche la disposizione più cara a tutti i giovani italiani - e alla Repubblica degli Stagisti - e cioè l'introduzione dell'obbligo di corrispondere un compenso minimo agli stagisti resterà sulla carta ancora per lungo tempo. E anche se la sottoscrizione delle linee guida da parte delle Regioni e del governo dovrebbe avvenire a gennaio, poi i principi espressi nelle linee guida resteranno teorici fintanto che ciascuna regione non li tradurrà in una propria legge regionale. E chissà quanto tempo ci vorrà. Dunque è assai prematuro dire «addio allo stage gratis in azienda» e parlare, al presente o al futuro prossimo, di «compenso minimo a 400 euro»: perché per ora si tratta praticamente solo di buoni propositi. Che per giunta non abbracciano tutti gli stage, bensì solo quelli extracurriculari. Restano dunque fuori dal "cappello di garanzie" delle linee guida tutti stage curriculari attivati ogni anno da scuole, università e corsi di formazione. Questa enorme fetta di tirocini, che si può calcolare rappresenti quasi la metà degli stage attivati ogni anno in Italia (quindi all'incirca 200mila sui 500mila totali), dunque non verrà toccata dagli effetti delle linee guida. Rendendo il provvedimento ancor più tenue e anodino: di fatto dunque, è bene ripetere chiaramente che la lunga gestazione e poi il parto della "regola" che sancirebbe l'obbligo di pagare 400 euro al mese agli stagisti non varrà per tutti coloro che faranno questo tipo di esperienze formative mentre frequentano università, master, scuole o corsi di formazione.In ogni caso, la Repubblica degli Stagisti è in grado di anticipare i contenuti delle linee guida, che Regioni e governo stanno concordando tra di loro, senza la collaborazione di associazioni sindacali, parti datoriali nè di rappresentanti dei giovani, e che la Commissione Lavoro della Conferenza delle regioni ha esaminato l'altroieri, mercoledì 19, dando un ok sostanziale al testo e prendendo l'impegno a discuterlo e approvarlo nella prima seduta di conferenza Stato regioni che ci sarà a gennaio.Un documento abbastanza lungo, con una prima parte fitta di riferimenti al quadro di riferimento legislativo attuale europeo, che entra poi nel merito riprendendo le tre definizioni "inaugurate" dalla circolare del ministero del Lavoro del settembre 2011 - poi riprese dalla legge regionale toscana e altrove: tirocini formativi e di orientamento, tirocini di inserimento e reinserimento, tirocini destinati categorie deboli. Si parla sempre e solo di stage extracurriculari: «Non rientrano come oggetto delle presenti linee guida i tirocini curriculari nè i periodi di pratica professionale nonché i tirocini previsti per l'accesso alle professioni ordinistiche». «Queste due competenze sono infatti proprie dello Stato» ribadisce Gianfranco Simoncini [nella foto], assessore al Lavoro della Regione Toscana e responsabile Lavoro all'interno della conferenza Stato-Regioni, alla Repubblica degli Stagisti.Per ciascuna delle tre categorie viene definita una durata massima, che ricalca la legge regionale Toscana: 6 mesi per quelli formativi, 12 mesi per quelli di inserimento lavorativo, 24 mesi per quelli dedicati a soggetti svantaggiati. Ma come, di nuovo stage di 12 mesi proprio per quella categoria di stagisti "attempati", che hanno da tempo terminato la propria formazione e che cercano lavoro? «Sì, perché spesso questi stage sono connessi all'acquisizione di competenze che la persona disoccupata non ha e di cui ha bisogno proprio per ricollocarsi. Un percorso di riqualificazione professionale può aver bisogno di tempi più lunghi» spiega Simoncini.Nulla di nuovo nelle linee guida rispetto ai soggetti promotori (che potranno essere individuati dalle Regioni e dalle Province), alla necessità di stipulare una convenzione scritta e un progetto formativo, esplicitando i diritti e i doveri delle parti coinvolte, tra cui l'obbligo del soggetto ospitante di mettere a disposizione dello stagista un tutor che lo affianchi.Tra i punti significativi, quello che prescrive che ciascun soggetto ospitante non possa realizzare più di un tirocinio con il medesimo stagista e quello che - pur molto blandamente - vieta gli stage per mansioni di basso profilo («I tirocinanti non possono essere utilizzati per attività non coerenti con gli obiettivi formativi del tirocinio»). E quanti stagisti potrà prendere al massimo un soggetto ospitante? Le linee guida demandano esplicitamente questa decisione alle leggi regionali, suggerendo che per le realtà «fino a 5 dipendenti» venga posto il limite massimo di un tirocinante alla volta, che per quelle con «tra 6 e 20 dipendenti» il limite sia due, e così via. Ancora una volta non viene affrontato il problema sulla univoca interpretazione di quel «fino a», stabilendo quindi se possano o non possano ospitare stagisti le aziende senza dipendenti. Le linee guida parlano di «dipendenti», quindi di lavoratori assunti con contratto di tipo subordinato: ma tanto se le Regioni decideranno di stabilire paletti diversi (come ha fatto pochi mesi fa la Lombardia, prevedendo che nella proporzione stagisti/dipendenti venissero conteggiati anche i cocopro e i cococo), nessuno potrà dire nulla perché «le linee guida danno indicazioni, non fanno legge», come ammette Simoncini.Poi la bozza arriva finalmente ad affrontare il tema del compenso obbligatorio in favore degli stagisti, che viene definito «indennità di partecipazione» e quantificato in non meno di 400 euro lordi, aggiungendo che «c'è facoltà da parte delle amministrazioni centrali e delle regioni di prevedere misure agevolative per sostenere i tirocini». Ma il rimborso sarà garantito solo per stage superiori a un certa durata, come in Francia dove il compenso è dovuto solo per quelli lunghi almeno due mesi? «La posizione delle Regioni è che non ci può essere gratuità» assicura Simoncini: «Anche per tirocini di un solo mese».C'è poi un riferimento al monitoraggio che finalmente il ministero del Lavoro avvierà sull'utilizzo dello strumento dello stage, rielaborando i dati delle comunicazioni obbligatorie di avvio degli stage: i due soggetti indicati per la realizzazione di questo report nazionale sull'attuazione dei tirocini sono l'Isfol e Italia Lavoro.Quello che le linee guida non contengono, invece, è una definizione chiara e univoca del termine «tirocinio» nè una differenziazione tra «curriculare» ed «extracurriculare» in grado di uniformare le interpretazioni - spesso discordanti - date a questi termini da università a università. Non contengono  un limite anagrafico per l'attivazione degli stage, che quindi potranno essere usati anche per cercare di ricollocare quaranta-cinquantenni in mobilità. Non contengono riferimenti alle sanzioni verranno applicate a chi trasgredirà: «Non le abbiamo inserite perchè ci sono già nella legge Fornero, con multe da mille a 6mila euro» spiega Simoncini, ma in realtà le sanzioni amministrative previste dalla riforma del mercato del lavoro riguardano solo i casi di «mancata corresponsione dell'indennità», e non tutte le altre - numerosissime, come da anni testimonia questo sito - fattispecie di abuso dello strumento dello stage. Ma in conclusione la domanda è una: come si farà a far rispettare questi principi, se verranno espressi attraverso delle semplici linee guida e non attraverso un atto normativo avente forza di legge? E cosa succederà se qualche regione ritarderà - di poco o magari anche di tanto - l'emanazione di una sua legge in materia? Gli stagisti di quella regione resteranno a bocca asciutta?di Eleonora VoltolinaPer saperne di più, leggi anche:- La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia»- Stage negli enti pubblici, il ministro Patroni Griffi: «Per il momento niente rimborso»E anche:- Anche gli stage finiscono nella manovra del Governo: da oggi solo per neodiplomati e neolaureati, e per un massimo di sei mesi- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti- Normativa sui tirocini, le novità da Liguria, Veneto e provincia di Trento- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese

La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia» 

Una sentenza della Corte costituzionale boccia il famoso articolo 11 del decreto legge 138/2011 sugli stage. Quello che aveva escluso i diplomati e laureati da oltre 12 mesi dalla possibilità di fare stage, e che aveva ridotto a un massimo di 6 mesi la durata di tutti gli stage extracurriculari. Lo fa rispondendo a vari ricorsi presentati mesi fa dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Sardegna, rigettando la difesa della presidenza del Consiglio dei ministri che  aveva affermato che la norma contestata aveva lo scopo di «fornire una disciplina uniforme dei tirocini formativi e di orientamento non curriculari, con l’obiettivo di contenere gli abusi nell’utilizzo di tale strumento e consentire la  formazione e l’orientamento dei giovani a stretto contatto con il mondo del lavoro» e che di conseguenza rientrava «nella materia di competenza esclusiva statale relativa alla "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali"». L'intento dell'articolo 11, insomma, era semplicemente quello di garantire su tutto il territorio italiano «livelli essenziali di tutela nella promozione e nella realizzazione dei tirocini formativi e di orientamento».Niente da fare: la Corte ritiene che ci sia stata un'invasione di campo. Nella sua sentenza ricorda di essersi già pronunciata nel 2005, affermando che «la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale "riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi" e che «la giurisprudenza successiva ha avuto modo di precisare, peraltro, che i due titoli di competenza non sempre appaiono "allo stato puro"» (viene citata la sentenza 176/2010 sull’apprendistato) «ed ha chiarito che il nucleo «di tale competenza, che in linea di principio non può venire sottratto al legislatore regionale […] – al di fuori del sistema scolastico secondario superiore, universitario e post-universitario – cade sull’addestramento teorico e pratico offerto o prescritto obbligatoriamente […] al lavoratore o comunque a chi aspiri al lavoro». Insomma non si deve fare confusione tra competenza legislativa regionale di carattere residuale e competenza concorrente in materia di istruzione, e neanche con quella in materia di professioni, pur «nel quadro della esclusiva potestà statale di dettare le norme generali sull’istruzione».Dopo tutto questo ragionamento, la Corte costituzionale conclude che lo Stato - all'epoca era in carica il governo Berlusconi e il ministro del lavoro era Maurizio Sacconi - ha sbagliato a emanare una legge in materia di stage: «Alla luce del menzionato, costante orientamento di questa Corte, appare evidente che il censurato articolo 11 si pone in contrasto con l’articolo 117, quarto comma, Cost., poiché va ad invadere un territorio di competenza normativa residuale delle Regioni». Questo perché «interviene a stabilire i requisiti che devono essere posseduti dai soggetti che promuovono i tirocini formativi e di orientamento» e poi «dispone che [...] i tirocini formativi e di orientamento non curricolari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere rivolti solo ad una determinata platea di beneficiari». E in questo modo «la legge statale – pur rinviando, nella citata prima parte del comma 1, ai requisiti "preventivamente determinati dalle normative regionali" – interviene comunque in via diretta» in una materia in cui non può avere voce in capitolo.La Corte rigetta l'interpretazione secondo cui lo Stato avrebbe facoltà di legiferare anche in materie di cosiddetta "competenza regionale", applicando l'articolo 117, secondo comma, lettera m della Costituzione. Spiega infatti che il diritto di stabilire «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» non può «essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione […], mediante la determinazione dei relativi standard strutturali e qualitativi, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa». Alla Corte appare «evidente», invece, «che nel caso in esame si è fuori da simile previsione, e ciò a prescindere da ogni valutazione in merito alle finalità perseguite con l’intervento normativo statale». Insomma la Corte costituzionale non ritiene che garantire standard minimi di qualità e tutela a tutti gli stagisti sul territorio italiano sia prioritario. E dunque dichiara l'articolo 11 del decreto legge 138/2011, poi convertito in legge 148/2011, «costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione». La decisione di questa sentenza risale all'11 dicembre ed è stata depositata in Cancelleria il 19: l'ultimo passaggio che rimane è quello della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Di fatto, in questo modo i giudici della Corte costituzionale aprono una porta molto pericolosa: quella che porta alla leopardizzazione delle condizioni e sopratutto dei diritti degli stagisti italiani. E le linee guida nazionali promesse dalla Fornero? Arriveranno a gennaio. Ma sembra proprio che non potranno avere la forza di vincolare le Regioni a un determinato comportamento: e questa sentenza limita ancor di più il loro raggio d'azione.   Eleonora Voltolina   Per saperne di più:- Tirocini, il costituzionalista: «Lo Stato potrebbe fare una legge quadro»- Manovra, la riforma della normativa sugli stage getta gli enti promotori nel caos: e scatta l'anarchia interpretativa- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti- Anche gli stage finiscono nella manovra del Governo: da oggi solo per neodiplomati e neolaureati, e per un massimo di sei mesi- Normativa sui tirocini, clamoroso retrofront del ministero del Lavoro: in una circolare tutti i dettagli che riducono il raggio d'azione dei nuovi paletti