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Stage alla Nato con 800 euro di rimborso: ecco come candidarsi ai 40 posti disponibili

«La Nato ha bisogno delle tue competenze» è l'annuncio che campeggia sulla pagina dedicata ai tirocini dell'organizzazione politico-militare che riunisce 28 nazioni ai due lati dell'Atlantico. Si è aperta da poco la dodicesima edizione del programma, e per candidarsi ci sarà tempo fino al 14 aprile. La candidatura si concretizzerà però solo l'anno successivo: per chi fa domanda oggi, la partenza per Bruxelles - sede dell'alleanza - è fissata infatti per il 2015. Due le possibili date di inizio: marzo oppure settembre. La durata dello stage è «teoricamente» – come scritto sul sito – semestrale, dando adito quindi alla possibilità di un'estensione. Il rimborso spese è di 800 euro mensili lordi. La tassazione dipende dal paese di origine del tirocinante, mentre per l'assicurazione sanitaria bisogna provvedere da soli. Anche il viaggio di andata e ritorno per la sede di destinazione è rimborsato, fino a un massimo di 1200 euro. Rispetto al costo medio della vita della capitale d'Europa, il margine per sbarcare il lunario è limitato: se si considera l'affitto medio di una stanza pari a 400 euro (come specifica la brochure illustrativa del programma), più spese per cibo (200 euro), bollette (sui 100 euro) e trasporto, secondo il calcolo degli organizzatori si arriva appena a fine mese. Ma per un'esperienza prestigiosa, fatta per di più in giovanissima età, il gioco può valere la candela. E a dimostrazione che la policy non sia quella del reclutamento massivo di interns, il fatto che ci sono pochi posti disponibili e quindi un'alta competizione: sono solo 40 per ogni edizione, suddivisi sulle due tranche annuali. Il numero può sforare, però «senza mai eccedere il 10% dell'organico A-Grade» chiarisce la guida. Ma quali sono i requisiti per accedere alla selezione? Un'età superiore ai 21 anni (quindi non è necessaria la laurea, ma è sufficiente essere iscritti al terzo anno di un corso accademico), essere cittadini di uno stato membro della Nato e possedere una conoscenza fluente di almeno il francese o l'inglese. Se si è laureati invece, il termine per partecipare è dopo massimo dodici mesi dal conseguimento del titolo. Non è richiesto un indirizzo particolare di studi, e sono ammesse invece candidature dai settori più svariati: scienze politiche, economia, risorse umane, ingegneria, lettere o giornalismo che sia non fa differenza. L'importante è saper realizzare «indagini e analisi indipendenti», si legge sul sito. Anche perché le mansioni non sono catalogabili in un unico tipo, dipendendo sostanzialmente dalle esigenze del momento e dai dipartimenti scelti al momento della domanda (di questi è disponibile un'ampia panoramica realizzata proprio a misura di stagista). I tipici compiti del tirocinante saranno quindi, come scritto nelle faq, «l'assistenza nella preparazione di documenti ufficiali, la presenza e il riassunto di meeting, ricerche e analisi, supporto nell'organizzazione amministrativa». L'application form va presentata online, corredata di curriculum e lettera motivazionale di 500 parole. A tutti i finalisti che entreranno nella shortlist (in cui convergono tutte le domande eccetto quelle scartate per mancanza di requisiti di ammissione) viene notificato l'esito della selezione entro settembre 2014. Il mese successivo saranno informati invece riguardo la graduatoria definitiva. Ai selezionati è richiesto anche un documento peculiare, il cosiddetto security clearance, una sorta di autorizzazione emanata dalle autorità per la sicurezza nazionali e sottoscritta dalla Nato. Il merito è il criterio alla base della scrematura dei curriculum, come evidenziato nel resoconto del 2013 che Terje Hagen, responsabile del programma di tirocini, ha inviato agli addetti alle risorse umane delle delegazioni nazionali e che la Repubblica degli Stagisti ha potuto visionare. Nel documento viene anche sottolineato che «il livello e la qualità delle candidature è in forte crescita». Ma anche il «gender balance» è fondamentale, per cui si cerca sempre di distribuire i posti di stage tra i candidati a seconda delle nazionalità. Gli italiani si confermano in testa alla corsa per una posizione anche alla Nato: «Su 4500 candidature e circa 70 ammessi, nella scorsa edizione 1778 erano di italiani», spiega alla Repubblica degli Stagisti Yesim Yenersoy, assistente al programma di internship, «il 39% del totale». L'anno prima erano stati il 36%. La differenza con gli altri Paesi è abissale: più vicini a noi solo i rumeni, i francesi e gli statunitensi, «ma con percentuali che vanno dal 7 al 4%», aggiunge Yenersoy. I greci e gli spagnoli, teoricamente ancor più disoccupati dei nostri giovani nelle statistiche, sono al 3 e 2% rispettivamente. Un primato che sottolinea lo slancio dei ragazzi italiani verso le esperienze all'estero, ma da cui si deduce anche – visto che gli italiani spiccano nelle graduatorie di ogni programma internazionale di stage – l'insofferenza verso un sistema di inclusione al lavoro che scoraggia ancora prima di entrarci. La buona notizia è che lo stage alla Nato non è solo un'opportunità di formarsi in un contesto internazionale di grido, perché non è escluso che si possa entrare a far parte dello staff dopo il tirocinio «nella misura in cui le condizioni e il ruolo affidato allo stagista siano stati pienamente rispettati». Concluso il traineeship non si diventa insomma solo «ambasciatori della Nato nel mondo», come Hagen riferisce ai suoi omologhi nella lettera ufficiale. Ma si potrebbe aprire uno spiraglio per un'assunzione. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Nato, cercasi 40 stagisti: 800 euro al mese di compenso, bando aperto fino al 19 aprileE anche:- In Italia? Difficile aver voglia di tornarci, dopo aver lavorato all'estero- «Non voglio fuggire all'estero, ma realizzarmi professionalmente qui in Italia»

Garanzia Giovani, la partenza slitta a maggio. Ma il progetto è nuovo, o vecchio di 15 anni?

«La Garanzia per i Giovani è già parte della legislazione nazionale dal 2002 con il decreto legislativo 297», entrato in vigore ufficialmente dal 2003: è quanto si legge nel piano di attuazione della Youth Guarantee, formulato a gennaio dall'ex ministro Giovannini e adottato dall'attuale governo. Una vecchia norma, sempre rimasta solo sulla carta, che in effetti riproduce molto da vicino i contenuti del programma odierno, parlando di servizi di orientamento e di reinserimento al lavoro entro sei mesi (adesso ridotti a quattro) dall'inizio dello stato di disoccupazione. Che il sistema «esistesse già senza che nessuno lo sapesse» lo ha confermato anche Emmanuele Massagli, presidente dell'Adapt, alla recente presentazione romana di un libro sul programma europeo che a partire da maggio prossimo dovrebbe - quantomeno nelle intenzioni - salvare dalla disoccupazione e dalla caduta nel circolo dei Neet circa 1,3 milioni di giovani italiani tra i 15 e i 24 anni, più un altro milione tra i 25 e i 29 (dati Istat 2013). È dunque negli anni a cavallo tra la fine del vecchio e l'inizio del nuovo millennio, quando la disoccupazione giovanile era già grave (al 26% tra i 15-24enni) ma non aveva ancora raggiunto il 40% di oggi, che il ministero del Lavoro aveva infatti predisposto un primo piano per contrastare il fenomeno: una sorta di versione rudimentale di Garanzia Giovani. Finché non sono arrivati i finanziamenti europei quel piano è però rimasto appunto lettera morta. Quando poi finalmente, ad aprile dell'anno scorso, è scattata una raccomandazione della Ue che chiedeva con forza agli Stati membri di mobilitarsi e presentare un piano di Garanzia Giovani, stanziando per ciascuno fondi più o meno consistenti (in Italia, tra fondi e cofinanziamenti, si arriva alla ragguardevole cifra di 1,5 miliardi di euro), il ministero retto in quel momento da Enrico Giovannini ha deciso di riesumare lo scheletro del vecchio progetto, benché fosse stato redatto addirittura in epoca pre-euro. L'attuale ministro Giuliano Poletti - a causa dell'avvicendamento al vertice del ministero, il programma è slittato di due mesi: doveva partire a marzo, ora partirà se non ci saranno ulteriori stop a metà maggio - non fa che confermare. «L'impostazione generale resta invariata, l'unica novità è la possibilità per le regioni di estendere il programma anche agli under 29», spiega alla Repubblica degli Stagisti Anna Ascani, deputata 26enne del Pd, molto attiva sul tema della Garanzia. Anche se per ora si tratta solo di un'eventualità, di cui non sono state «chiarite le modalità». Insomma una dichiarazione di intenti. Mentre gli altri Paesi si sono sforzati di elaborare progetti che giustificassero tra l'altro l'impiego delle risorse destinate, da noi invece non c'è stata grande innovazione - nonostante il fenomeno che si vorrebbe arginare, e cioè la disoccupazione e l'inattività diffusissime tra i ragazzi, siano a dir poco lievitate in questi quasi tre lustri, insieme a tutto un contesto socio-economico profondamente mutato.  Per mettere in moto la macchina della prima Garanzia Giovani, già quindici anni fa era stato concepito come indispensabile a priori un grande database nazionale che riunisse tutti i dati disponibili su occupati, disoccupati e posti di lavoro. Nel 1997, sotto il dicastero presieduto dal ministro Tiziano Treu, durante l'allora governo Prodi, era stato istituito il Sil (così era chiamato il Sistema informativo del lavoro), che, si legge in un documento del 2000, era pensato come un «insieme di strutture organizzative, risorse hardware, software e di rete disponibili presso lo Stato, le Regioni, le Province e gli enti locali per la rilevazione, elaborazione, diffusione dei dati  in materia di collocamento e di politiche attive del lavoro». Quello a cui si puntava era creare un sistema che consentisse un  «monitoraggio continuo» della platea di chi era in attesa di un impiego, «al fine di prevenire l'esclusione sociale»; creare un archivio che avesse valore «statistico»; favorire «l'incontro tra domanda e offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale», erogare «servizi mirati di accompagnamento al lavoro». Proprio ciò che si propone di fare la versione rivista e corretta dello schema attuale, come certifica l'accordo tra Stato e Regioni approvato lo scorso 20 febbraio, a proposito della piattaforma tecnologica di supporto alla Garanzia Giovani. Il primo capitolo del documento si occupa infatti del portale che dovrebbe essere il cuore pulsante del progetto: non solo perchè è lì che i potenziali beneficiari potranno iscriversi e quindi si darà inizio «alla presa in carica del soggetto», come si legge nell'accordo, ma anche perché sarà grazie a questo mezzo che le informazioni fondamentali a consentire l'agognato incontro tra domanda e offerta potranno circolare e essere conosciute a livello nazionale. La piattaforma, scrivono i firmatari del patto Stato-Regioni, dovrà «mettere a disposizione la mappa georeferenziata dei servizi che partecipano alla Garanzia Giovani, rilevare e censire le opportunità lavorative, anche al fine di creare una banca dati, integrare tutti i sistemi esistenti – tra cui anche i Sil regionali e provinciali – per tracciare gli utenti, i servizi offerti e gli esiti del programma individualizzato». Tutte funzioni che dovrebbe svolgere il già esistente Clicklavoro, affiancato da un nuovo sito, annunciato ma ancora non funzionante (www.garanziagiovani.gov.it). I dati inseriti «saranno alla base di ogni intervento di matching proposto e accettato» si legge ancora nel testo varato. Perché è ovvio che senza sapere dove sono i disoccupati e i posti di lavoro vacanti non si va molto lontani. Eppure solo a partire da febbraio del 2014 si è dato il via una volta per tutte al processo di coordinamento informativo delle regioni voluto dal Sil e oggi riproposto, in fase sperimentale almeno. Dai primi del mese, assicura il documento, le schede anagrafico-professionali ('Sap') regionali saranno inviate a livello provinciale, mentre sarà il «nodo di coordinamento nazionale» a far sì che non si creino doppioni e a garantire l'uniformità del sistema. Un cervellone informatico dovrebbe insomma permettere ai giovani in cerca di occupazione di sapere se esiste un'offerta di lavoro che si confa al proprio percorso in una regione diversa dalla propria. È il massimo che si sia riusciti a fare dopo anni dal compiersi della rivoluzione digitale: mettere in raccordo tutte i dati, compito che avrebbe dovuto essere – ma evidentemente non è stato – centrale per i cpi, vero fallimento del mercato del lavoro nazionale. Di modifiche dettate dall'urgenza del momento, e dai cambiamenti avvenuti in tutto questo tempo, neanche l'ombra.  C'è da dire che oltre a non aver inventato niente di nuovo sul piano tecnologico (la piattaforma approvata oggi che uniforma i dati a livello nazionale sembra infatti in buona sostanza la copia del Sil), l'innovazione non c'è stata neppure sul piano dei contenuti. La presa in carico del giovane sotto i 25 anni, per sviluppare con lui un piano di ricerca o di un'occupazione o di un percorso di studio, è un'idea che non solo era presente nella legislazione del 2002, ma che è stata importata dai Paesi nordici, in particolare Svezia e Finlandia, dove il sistema Youth Guarantee opera dagli anni Ottanta, vantando ottimi risultati. Che l'Italia, al pari della Commissione europea (che per il lancio del progetto ha a sua volta attinto a piene mani da quei modelli), abbia fatto proprie best practice internazionali non è certo un motivo di demerito. La perplessità è invece questa: è ammissibile che nel 2014 l'unica iniziativa di chi ha messo in piedi il progetto Garanzia Giovani sia stata quella di rispolverare – sia come disegno del supporto tecnologico che come funzionamento di insieme – un sistema vecchio, forse superato, anziché idearne uno innovativo e coerente con il momento economico-occupazionale attuale?  Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Garanzia giovani già a marzo, ma come funzionerà? Lo spiega chi ha scritto il piano italiano - Youth Guarantee ai blocchi di partenza. Giovannini: «Operativi da marzo 2014» - Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro - Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani    

Euraxess, bussola europea per lavorare nella ricerca in Italia e all'estero

Obiettivo: mostrare a studenti e giovani ricercatori le opportunità professionali presenti in Europa e nel mondo nel settore della ricerca e aiutarli a trovare il modo migliore per sfruttarle. Come? Tramite una campagna itinerante in alcuni campus di 22 paesi europei, per un totale di 29 città. Il roadshow Research in Motion, partito lo scorso 3 marzo e con data finale 30 aprile, porta la firma di Euraxess, iniziativa che rientra nella strategia Ser (Spazio europeo della ricerca), finalizzata a favorire la mobilità internazionale dei ricercatori e la cooperazione scientifica tra l’Europa e il resto del mondo.La campagna itinerante farà tappa con il proprio autobus in Italia i prossimi 7 e 8 aprile, rispettivamente a Trieste, presso l’AREA Science Park, e all’università statale di Milano. Bruxelles (partenza e conclusione del roadshow), Londra, Copenaghen, Vienna e Lubiana alcune delle città coinvolte. Research in Motion punta a offrire indicazioni a studenti e ricercatori sulle occasioni di lavoro attualmente presenti in Europa e non solo, attraverso workshop, distribuzione di materiale informativo e indirizzamento ai canali più utili per la ricerca di un’occupazione sia in ambito accademico che presso realtà non universitarie. Ancora presto per valutare il feedback della campagna, ma gli obiettivi sono ambiziosi: raggiungere circa 100mila tra studenti e ricercatori, anche grazie al tam tam della visibilità attraverso i social network.La Repubblica degli Stagisti ha approfondito i contenuti delle giornate italiane: a Milano è stato organizzato un seminario incentrato sulle opportunità di finanziamento e sui servizi a supporto della mobilità internazionale dei ricercatori e sullo stato dell'arte relativo all'adozione in Italia e in Europa della Carta europea dei ricercatori e del Codice di condotta per la loro assunzione. Due documenti elaborati da Euraxess e approvati da oltre 500 enti e organizzazioni di 37 paesi. A Trieste invece sono state predisposte per l'occasione due iniziative di diversa natura. Da un lato la possibilità per studenti e ricercatori di farsi scattare una foto per il proprio cv e partecipare a una lotteria con in palio un percorso formativo di orientamento alla carriera offerto dalla Commissione Europea. Dall'altro un workshop tematico dedicato al tema del networking per i ricercatori: «il workshop punta a offrire consigli utili su come presentarsi a possibili finaziatori e datori di lavoro e gestire una rete di contatti. Il networking è fondamentale per chi fa ricerca. Grazie ai frequenti spostamenti i ricercatori vengono a contatto con altrettanti ricercatori, finanziatori e professori, tutti contatti importanti per la propria carriera», spiega Ilaria Pierdomenico, dell'ufficio coordinamento e internazionalizzazione degli enti di ricerca regionali e del servizio di formazione e gestione progetti dell'AREA Science Park. Il roadshow è legato a una serie di altri strumenti di azione targati Euraxess, che hanno come «fiore all’occhiello» il sito Euraxess Jobs, punto di incontro tra università e imprese e giovani alla ricerca di lavoro, attualmente un potente strumento di incentivazione all’occupazione. Oggi più di 7700 tra aziende e atenei sono registrati sul sito e sono oltre 43mila solo i ricercatori autenticati. Euraxess Jobs può vantare numeri di tutto rispetto: nel 2013 sono stati complessivamente 40mila gli annunci di lavoro pubblicati sul sito, in crescita rispetto agli anni precedenti (36500 nel 2012 e circa 31mila nel 2011), per un totale di 945mila visitatori unici, in confronto ai 630mila registrati nel 2012 e di quasi 9,6 milioni di pagine visitate. Sul sito circolano costantemente nuove vacancies, filtrabili per paese, ambito di interesse e livello di esperienza ed è possibile registrarsi e caricare il proprio cv. Euraxess Jobs si appoggia a un network di portali nazionali, con informazioni più dettagliate relative a programmi di mobilità e occasioni professionali che interessano più specificatamente il proprio paese di provenienza. Negli anni il portale ha anche portato avanti collaborazioni con alcune piattaforme nazionali specializzate nello scambio tra domanda e offerta di lavoro.Oltre al sito Euraxess punta anche su altri strumenti di supporto per chi è alla ricerca di un’occupazione. Euraxess Services  è una rete europea di più di 260 centri di 40 paesi europei che forniscono assistenza per ricerca di alloggio, cure mediche, visti e permessi di lavoro. Negli ultimi cinque anni  più di un milione di ricercatori ha usufruito dei servizi Euraxess. Euraxess Rights persegue la tutela giuridica dei ricercatori di tutta Europa, per garantire equità di trattamento e trasparenza nelle modalità di selezione e reclutamento attraverso il rispetto della Carta europea dei ricercatori e del Codice di condotta per l’assunzione del ricercatore.Euraxess Links è infine il punto di raccordo a livello professionale con alcuni paesi del mondo, tra cui Brasile, Cina, Giappone e America meridionale, una finestra aperta sulle opportunità che arrivano da oltre Europa. Ora attraverso Research in Motion Euraxess si concentra su una forma di promozione «porta a porta» che mira ad affiancare agli strumenti già esistenti un’informazione personalizzata sulle esigenze del singolo giovane studente o ricercatore. Un’iniziativa che si rivela utile soprattutto a chi intende cercare strade alternative alla ricerca nel mondo universitario o vuole allargare le proprie prospettive ad ambiti extra europei, ma ha bisogno di conoscere meglio le alternative presenti e di essere indirizzato verso la soluzione migliore.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Erasmus for Young Entrepreneurs, l'Europa aiuta i giovani imprenditori- Erasmus +, al via il super programma targato UE- Trovare lavoro in Europa, per i giovani c'è Eures

Laureati italiani, dati pessimi. La ministra Giannini: «Lo studio torni strumento di riscatto»

In Italia ci sono troppi laureati, per questo non trovano lavoro. Un'idea che si sono fatti in tanti, secondo cui ci sarebbe un tale affollamento di titolati sul mercato da rendere irraggiungibili gli impieghi qualificati. L'ultimo studio (ce ne sono altri, come quelli firmati da Almalaurea) a sconfessare questa teoria è il Rapporto 2013 sullo stato dell'università e della ricerca condotto dall'Anvur (agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), un ente dipendente dal Miur. I laureati sono sì aumentati negli ultimi anni, dice il report, passando tra il 1993 e il 2002 dal 5,5% al 12,7% della popolazione in età da lavoro (quindi i 15-64enni). Se si restringe il campo ai giovani tra i 24 e i 34 anni la quota sale poi dal 7,1% di un tempo al 22,3% di oggi. Ma si tratta ancora di una quantità minima rispetto a una media europea di giovani in possesso di una laurea pari invece al 35%: nel vecchio continente ci superano tutti, fatta eccezione per la Turchia. Ha una laurea circa la metà dei giovani fino a 34 anni in Cipro, Lussemburgo, Irlanda, Norvegia, Regno Unito. Poco sotto, con cifre che si aggirano attorno al 40%, si posizionano i giovani laureati di Francia, Spagna, Polonia e Svizzera. Solo la Germania, tra i big, è indietro con un più misero 29%. Una situazione che si ripete guardando al gruppo costituito dalla popolazione fino ai 64 anni: qui la media Ue è al 25%. «Nonostante la crescita del numero di laureati, la distanza con l'Europa non si colma perché i diplomi aumentano anche all'estero e non solo da noi» ragiona il direttore Anvur Roberto Torrini, parlando alla presentazione del rapporto. Ma i problemi del sistema universitario italiano non si fermano qui. Molti dei nodi sono stati «solo attenuati dalla riforma del 3+2 senza mai essere risolti» spiega Torrini. Per esempio le difficoltà a laurearsi, riscontrate da quel 40% di studenti che una volta iscritti alla triennale non riescono però a uscirne con il famoso pezzo di carta in mano, interrompendo il cammino prima di arrivare alla tesi. C'è poi un 15% che dopo appena un anno di università cambia indirizzo di studi, evidenziando «inefficienza dell'orientamento formativo, deficit di preparazione degli studenti, debolezza nel tutoraggio», riporta lo studio. Oltre all'alto livello di abbandoni, altri numeri preoccupanti riguardano la durata dell'iter accademico, che la riforma avrebbe dovuto accorciare. E invece tuttora ci vuole una media superiore a cinque anni per concludere la triennale, tanto che il 42% degli immatricolati risulta fuori corso. Dato da aggiungere poi all'inesorabile calo degli iscritti, ridotti di un quinto rispetto al 2003. «Non è solo un fatto di crisi, ma culturale: bisogna riportare in auge il concetto che solo lo studio assiduo può essere strumento di riscatto per l'individuo e per la società» rilancia la neoministra all'Istruzione, Stefania Giannini, alla conferenza di presentazione. Anche perché laurearsi, come testimoniato da altri studi, conviene: «La crisi è stata patita di più dai diplomati (disoccupati nel 10% dei casi contro il 6,8% dei laureati) e anche in termini salariali, nel lungo periodo, il titolo ripaga», sottolinea Torrini. Il rapporto si sofferma anche sui motivi del deficit italiano in termini di istruzione. «Una delle differenze tra l'Italia e i principali Paesi occidentali è dovuta all'assenza nel nostro Paese di corsi di carattere professionalizzante che nella media europea rappresentano circa un quarto dei giovani in possesso di un titolo universitario», si legge nello studio. Da noi cioè è tutto molto – forse troppo - basato su nozioni teoriche, tanto che, prosegue il report, «i laureati italiani sono tutti titolari di un diploma di laurea Isced 5a (standard Unesco di classificazione dei titoli di studio, ndr), ovvero ad alto contenuto teorico, tipico dell'istruzione universitaria tradizionale». Anche se poi, andando a scavare, si scopre che pure circoscrivendo questo settore, tra i grandi dell'Europa l'Italia si colloca sempre come fanalino di coda, eccetto la Germania, «dove è molto forte la presenza di istruzione di tipo professionale» rileva la ricerca. La Giannini si dice però convinta che benché sia innegabile che «l'istruzione professionale andrebbe valorizzata», in Italia – culla di beni culturali senza pari nel mondo - «è lo studio delle materia umanistiche a dover essere potenziato». «È anche la filosofia, nonostante i pregiudizi, a fornire potenzialità di lavoro concrete», assicura, ricordando come ad esempio da noi finora ci siano «soltanto due istituti tecnici su una classificazione di 58 a essere dedicati ai beni culturali». La rottura rispetto ai ministri omologhi del passato, quelli che puntavano tutto sul manifatturiero e su un'istruzione collegata alla praticità del mondo del lavoro non potrebbe essere più netta. E non solo su questo aspetto. «Dal 2009 a oggi il finanziamento complessivo del Miur al sistema universitario si è ridotto di circa 1 miliardo», riferisce il rapporto, pari a una contrazione del 20% che si è riflessa su tagli del personale e blocco di progressione degli stipendi. Fattore a cui Giannini promette di porre rimedio, lanciando un messaggio al premier Renzi: «Ok all'investimento nell'edilizia scolastica, ma bisogna guardare anche dentro gli edifici, e riportare qualità alla formazione e al ruolo degli insegnanti. Occorre rispettare la centralità dell'istruzione, o questo per me diventerà un problema politico serio» avverte. A partire dal diritto allo studio, fortemente sminuito negli anni: le coperture delle borse di studio - informa il rapporto - sono passate dall'86% al 69% dal 2010 al 2012. «Non esiste che lo Stato non sia in grado di erogare le borse di studio agli idonei», dice Giannini, promettendo battaglia in materia. La ministra sembra anche sposare in pieno la questione dei finanziamenti alla ricerca, altro tema centrale nello studio dell'Anvur: «La spesa italiana in ricerca e sviluppo è tra le più basse delle grandi economie industriali, le risorse pubbliche investite sono circa lo 0,52% del Pil, lo 0,18% in meno della media Ocse, che però equivale a ben 30 miliardi», si legge. «Dobbiamo cominciare a convincere gli imprenditori che investire in education e ricerca non significa spendere ma appunto investire» afferma, sottintendendo che i fondi non devono arrivare solo dal pubblico, ma anche dal privato. Anche perché i ricercatori italiani se lo meritano, attestandosi tra i più produttivi al mondo. Nella letteratura scientifica mondiale «la quota italiana si attesta al 4,4% per le aree scientifiche e all'1,9% per le aree umanistiche e sociali» scrivono dall'Anvur, precisando che «l'impatto della produzione scientifica italiana è superiore a quello medio europeo e mondiale sia nelle aree bibliometriche che non». Voltare pagina e chiudere con un passato di soli tagli all'istruzione e alla ricerca è quindi il messaggio implicito del rapporto, per ricompensare «l'eccellenza della nostra ricerca» ribadisce Torrini. E per rimettere l'istruzione di nuovo al centro delle politiche del Paese. Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Laureati italiani, più veloci e qualificati di prima: ma le speranze di lavoro sono poche - Almalaurea, crollano occupazione e stipendi dei laureati. E chi fa uno stage ha solo il 6% in più di opportunità di lavoro - Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni - I laureati italiani fotografati da Almalaurea: sempre più disoccupati e meno retribuiti

Tirocini all'Europarlamento con 1200 euro di rimborso, aperte le candidature per 200 posti

Tempo di candidature per aspiranti stagisti in ambito internazionale. Pochi giorni fa, il 15 marzo si sono aperte le selezioni per la nuova tornata di tirocini al Parlamento europeo, con le consuete opzioni, generale o giornalismo. Si potrà fare domanda fino al 15 maggio a mezzanotte, mentre le partenze dei percorsi formativi sono fissate per il primo ottobre, con una durata di cinque mese (fino a fine febbraio 2015 dunque). I cinque mesi di tirocinio non sono prorogabili, si avverte sul sito. Ed è un peccato perché – a guardare la borsa di studio – la tentazione di restare verrebbe: l'Europarlamento riconosce un rimborso di 1.213 euro mensili, la cui tassazione dipende poi dai paesi di origine dei tirocinanti. La cifra viene aumentata del 50% per i disabili, ed è tarata sul costo della vita della sede di destinazione. «Se questa dovesse essere al di fuori del Belgio o del Lussemburgo» precisano le faq, «l'entità della borsa si adatterà al maggiore o minore costo della vita». Considerando che il prezzo medio di una stanza in affitto è simile in queste città alle tariffe di Roma e Milano per esempio (dai 300 ai 600 euro, si legge nelle faq), il margine per mantenersi è piuttosto ampio. Per il primo mese è anche possibile chiedere un anticipo fino al 90%, e anche per i viaggi di andata e ritorno sono previste coperture - sempre che la distanza tra il proprio domicilio e la sede dello stage superi i 50 chilometri. Infine il rimborso per le spese di missione: ce ne possono essere anche un paio al mese secondo il regolamento per seguire i lavori parlamentari in altri sedi, come a Strasburgo. Qui l'emolumento si aggira attorno ai 270 euro per due giorni. Quali sono le condizioni per partecipare? Oltre a un diploma universitario, è richiesta la cittadinanza di uno stato membro, una «profonda conoscenza» di una delle lingue ufficiali Ue, e il prerequisito di non aver svolto nessun incarico retribuito presso le istituzioni europee per più di quattro settimane consecutive. Solo per chi si candida come giornalista ci sono ulteriori paletti: come spiegato sul sito è necessaria «una competenza professionale comprovata da pubblicazioni, o dall'iscrizione all'ordine dei giornalisti di uno stato membro dell'Unione europea, o da una formazione giornalistica riconosciuta negli stati membri dell'Unione europea o negli stati candidati all'adesione». Non è quindi ammesso alla selezione chi sia alle prime armi anche perché ai finalisti saranno assegnate mansioni tipiche del mestiere, «come l'editing», si legge ancora tra le faq.  Per partecipare va dunque compilato e inviato online l'application form. In questo passaggio c'è da fare attenzione perché dopo trenta minuti scade la sessione e «tutti i dati inseriti andranno perduti». Conviene quindi consultare prima le faq e sapere che tipo di informazioni e documentazione andrà fornito. Per esempio, una lettera motivazionale da redigere in una delle tre lingue indicate, quindi inglese, francese o tedesco, oppure in una delle lingue ufficiali della Ue (pertanto anche l'italiano). Spedita la domanda, si apre la selezione. «L'ufficio di collegamento esamina la ricevibilità delle candidature», stabilisce il regolamento, e anche «le qualifiche e le attitudini dei candidati» valutandole a seconda «delle esigenze specifiche di servizio connesse alle attività prestate e delle capacità di accoglienza». Che tradotto significa che l'Europarlamento si riserva di contattare un numero di candidati che dipende di anno in anno dalle esigenze di lavoro contingenti. L'elenco definitivo dei selezionati viene stilato entro un mese dall'inizio del tirocinio, in questo caso a settembre. A ognuno verrà poi notificato l'esito della graduatoria. Non esiste dunque un numero esatto di stagisti accolti annualmente. «Per il primo turno di tirocini del 2014, quindi quelli che hanno inizio il 1 marzo e finiscono il 31 luglio, il numero di candidature per gli Schuman è stato di 5715. A livello annuale la cifra chiaramente raddoppia», riferiscono alla Repubblica degli Stagisti dal dipartimento comunicazione della sede milanese del Parlamento Ue. I giovani italiani sono sempre tra i più attivi in questo tipo di opportunità – e non c'è da biasimarli vista la situazione lavorativa del paese: «Di queste domande, 2.194 erano provenienti da italiani», ancora in aumento rispetto al 2013, quando già era stato registrato un vero e proprio boom. Questo mentre però il numero complessivo delle candidature scende (nel 2013 erano poco più di 6mila): una dato eloquente. I prescelti sono all'incirca due centinaia per ogni tornata, ed è l'opzione generale a essere la più quotata: «1823 richieste contro 371 dell'opzione giornalismo» fa sapere l'addetto alla comunicazione, «con un'età media che oscilla intorno ai 25 anni». Casi di assunzione post stage purtroppo però non ce ne sono. «L'unica procedura di assunzione presso il Parlamento europeo, così come per le altre istituzioni comunitarie» chiosano dall'ufficio comunicazione, «avviene con sistema centralizzato tramite concorsi gestiti dall'Epso», l'ufficio per la selezione del personale delle comunità europee.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Tirocini Schuman al Parlamento europeo: 150 opportunità da 1200 euro al mese aperte anche ai giornalisti- Il sogno di un lavoro nella comunicazione: una ex stagista Schuman a caccia della buona occasione- Tirocini Schuman, un lettore vince e ringrazia la Repubblica degli Stagisti: «Ho saputo del bando grazie alla vostra Newsletter»

Legge elettorale, il voto fuori sede appeso a un filo

Sono giorni cruciali per quasi un milione di cittadini italiani fuori sede per motivi di studio o di lavoro. Nell’ambito della discussione sulla legge elettorale, rinviata a lunedì, alla Camera sta per essere preso in esame un emendamento che, se approvato, potrebbe permettere agli elettori che vivono lontano da casa di esercitare il voto «a distanza». Il provvedimento - numero 2.0336 - presentato dal deputato di Scelta Civica Pierpaolo Vargiu e cofirmato da dieci deputati del Partito Democratico, prevede l’adozione anche per l’Italia del modello dell’advanced voting, ossia il voto anticipato, come accade già in Danimarca. Gli elettori italiani all’estero potrebbero esprimere la propria preferenza prima dell’election day presso le prefetture di domicilio se si trovano nel nostro paese o presso le ambasciate se all’estero. Voti che sarebbero successivamente scrutinati insieme a tutti gli altri.L’emendamento, appoggiato dal comitato Io voto fuori sede che dal 2008 sostiene la causa della riforma del voto per chi è lontano dalla sua residenza, ha incassato anche l’appoggio del Movimento Cinque Stelle e di Sel. Le scorse settimane però la corsa alla tanto auspicata approvazione del provvedimento è stata frenata da due ostacoli non di poco conto. Le prima tegola arriva dal Partito Democratico: se in più di un’occasione numerosi deputati Pd si sono dichiarati favorevoli al provvedimento, ora invece sembra regnare l’incertezza. Anche se, a dire il vero, all'interno del Pd c'è chi si è battuto e continua a battersi per i cittadini in mobilità, come il deputato Marco Meloni, già firmatario di una proposta di legge sul tema. Il voto rischia però di essere subordinato alla posizione del gruppo parlamentare, vincolato agli accordi tra partito e Forza Italia sull’Italicum, rischiando di non andare a buon fine. Ed è proprio al presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e a Silvio Berlusconi che Stefano La Barbera (foto a sinistra), presidente di Io voto fuori sede, si è rivolto con una lettera aperta pubblicata sul sito del comitato, chiedendo ai due leader di lasciare carta bianca sul voto ai deputati dei propri partiti, invitandoli a riflettere sui vantaggi di un provvedimento che «non sposta di una virgola il contenuto degli accordi ma restituisce semplicemente il diritto di voto a un milione di cittadini». Tra questi, tantissimi studenti Erasmus e universitari e lavoratori fuori sede, i giovani a cui il nuovo premier si è spesso rivolto, promettendo sostegno e cambiamento. E che ora rischiano di vedere compromesso un diritto fondamentale come quello al voto per la bocciatura di un provvedimento causata proprio dagli accordi sulla legge elettorale sostenuta da Renzi.All’appello del comitato Io voto fuori sede non è però mai stata data risposta. E purtroppo i segnali negativi non finiscono qui. Nei giorni scorsi il deputato Pd e sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, in occasione della presentazione dell’emendamento, ha espresso parere negativo, evidenziando il rischio di un maggiore esborso economico per «attrezzare» prefetture e ambasciate rispetto ai costi attualmente sostenuti per le agevolazioni sulle spese ferroviarie, marittime e aeree per lo spostamento dei cittadini nella propria sede elettorale. Affermazione a detta di Stefano La Barbera non veritiera: «solo per i rimborsi elettorali di viaggio si parla di quasi 27 milioni di euro spesi a legislatura,a fronte di una soluzione che potrebbe costarne circa un milione».Al momento la «storia infinita» della riforma delle modalità di voto per i fuori sede continua a confermarsi un percorso tutt’altro che facile. Partita nel 2008 grazie a una petizione online che ha raccolto più di 13mila firme, la questione è poi sfociata in una serie di proposte di legge, che si sono però sempre concluse in un nulla di fatto. A gennaio dello scorso anno, la protesta in rete dei 25mila studenti Erasmus impossibilitati a recarsi a casa in vista delle elezioni politiche ha riportato alla ribalta il problema, che però dopo pochi mesi è stato di nuovo messo nel dimenticatoio. Ora la discussione sulla legge elettorale potrebbe essere l’occasione buona per mettere la parola «fine» a una questione che rischia di mettere per l’ennesima volta in discussione un diritto che dovrebbe essere scontato e soprattutto garantito a tutti senza difficoltà.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Voto impossibile per studenti Erasmus, la rabbia dei 25mila da Facebook a Palazzo Chigi- Stefano La Barbera: «Con delle semplici mail ci siamo fatti sentire in Parlamento. E in risposta abbiamo ottenuto quattro proposte di legge»  - Io voto fuori sede, quando la partecipazione politica passa per la rete

Pessima decisione europea sui tirocini, lo Youth Forum: a rischio la qualità degli stage della Garanzia Giovani

Largo agli stage di bassa qualità, senza remunerazione, dunque potenzialmente discriminanti perché riservati solo a chi ha famiglie che possono permettersi di mantenere i figli. Questo è lo scenario fortemente negativo tracciato ieri dallo Youth Forum, organismo che rappresenta le associazioni giovanili di tutta Europa e che a Bruxelles vigila sulle politiche e su tutte le tematiche che riguardano i giovani. Il motivo della preoccupazione è l'ultimo atto del percorso di un documento che a livello europeo avrebbe dovuto delineare precisi paletti e regole di qualità per garantire a tutti i giovani dei 28 Paesi Ue l'accesso a stage di qualità.  Un percorso nato dal basso, dalla società civile, con l'elaborazione della European Quality Charter on Internships and Apprenticeships (la Carta europea per la qualità dei tirocini e dei praticantati), documento alla cui stesura anche la Repubblica degli Stagisti contribuì attivamente, e che venne presentato alla fine del 2011 a Parigi all'Ocse: «La faccenda non era assolutamente all'ordine del giorno delle istituzioni: in questi anni siamo riusciti a metterla nell'agenda sia del parlamento, sia della Commissione, sia del consiglio» ricorda Giuseppe Porcaro, segretario generale del Forum e da anni impegnato nella battaglia per la qualità degli stage e dei contratti di lavoro offerti ai giovani.«La nostra Charter venne ripresa dal Parlamento in vari rapporti, poi la Commissione riprese l'idea, e così siamo arrivati a dicembre del 2013 ad avere un documento della Commissione, il Framework». Un documento che «già per noi non era il top», ammette Porcaro, ma che alla luce di ciò che è successo ieri finisce per sembrare già ottimo. Il Framework non ha avuto però un immediato valore operativo: c'era infatti bisogno di un ulteriore passaggio per il Coreper, per una approvazione finale del testo da inviare agli stati membri – il testo che a quel punto avrebbe rappresentato la posizione ufficiale dell'Unione europea sul tema degli stage, la prevenzione degli abusi, la garanzia di formazione di qualità e di condizioni dignitose, anche dal punto di vista economico, per gli stagisti. Il Coreper è il comitato dei rappresentanti permanenti, composto da rappresentanti degli Stati membri aventi il rango di ambasciatori degli Stati membri presso l’Unione europea, ed è responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio dell’Ue.«Un primo problema è che già la posizione della Commissione era molto ambigua, sopratutto sulla parte della remunerazione degli stagisti. Noi dunque all'epoca avevamo criticato il Framework, ma cautamente, perché comunque quel testo riprendeva alcuni dei concetti della nostra Charter. Era già un passo avanti: se fosse stato approvato dal Coreper sarebbe stata una vittoria. Perché la questione principale è che le politiche del lavoro, e dunque anche la tematica dello stage, non sono competenze europee ma nazionali: dunque eravamo fin dal principio consapevoli dei limiti di questa battaglia, delle resistenze che avremmo trovato». Lo Youth Forum insomma ha agito realisticamente, sostenendo il documento della Commissione anche se non perfettamente allineato alle posizioni espresse nella sua Charter, ritenendolo comunque utile per regolamentare a livello europeo gli stage. Per questo il passaggio di ieri era fondamentale: «Per poter avere una presa di posizione forte sugli stati membri», sintetizza Porcaro, c'era bisogno che il Coreper approvasse un testo forte». Invece no. «Quello che è accaduto è esattamente il contrario di quello che volevamo».Ieri quindi è andato in scena l'epilogo molto deludente – anche se forse non completamente inaspettato – per lo Youth Forum e in generale per i giovani europei. Il Coreper ha emesso un documento che il Forum in una nota ha definito senza mezzi termini «fiacco», dicendosi «dispiaciuto» per l'occasione mancata. Il testo sugli stage, insomma, è una versione annacquata del testo della Commissione europea, che a sua volta era una versione annacquata della Charter. In tutti questi passaggi sono andati persi i punti fondamentali che avrebbero garantito una vera tutela della qualità degli stage, a cominciare dal principio che gli stagisti, sopratutto quelli che in Italia definiremmo "extracurriculari", abbiano diritto a ricevere un congruo compenso per la loro prestazione di "formazione on the job". «Ci sono vari aspetti che noi come Youth Forum abbiamo evidenziato come problematici» conferma Porcaro alla Repubblica degli Stagisti: «Uno dei punti cruciali è che il testo del Coreper esclude, o quantomeno non rende vincolante, la raccomandazione riguardante gli stage di qualità per tutti quelli che sono finanziati da programmi dell'Unione europea con il fondo sociale. Il problema è che dunque viene esclusa tutta l'area della Garanzia giovani». Un aspetto contrario alla logica e al semplice buonsenso – che vorrebbe che tutti gli stage, a maggior ragione quelli finanziati con soldi pubblici, debbano essere strutturati secondo i (pochi) criteri di qualità del documento del Coreper. «Già il documento non ha valore costringente, è semplicemente una raccomandazione agli Stati membri. Ciascuno Stato può decidere di seguirne o no i dettami; non c'è nessun tipo di sanzione sugli Stati che non rispettano questa raccomandazione, perché giustamente è solo una raccomandazione». Il timore dello Youth Forum è legato alla stretta attualità, e cioè all'implementazione in tutti gli stati europei del progetto di Garanzia giovani, per il quale l'Ue ha stanziato un finanziamento non indifferente: «Abbiamo paura che alcuni Paesi facciano una Youth Guarantee di bassa qualità: se sono stati esclusi da questa raccomandazione quegli stage che sono finanziati da fondi europei, mi viene da pensare che per la Youth Guarantee si voglia fare un discorso al ribasso. Il rischio, se non c'è nemmeno una raccomandazione forte a livello europeo, è che se non esiste una legislazione nazionale che già tutela gli stagisti nei singoli Paesi, gli stage promossi all'interno della Youth Guarantee possano risultare di poco utili». Il fulcro del problema, comunque la si giri, è la (non) competenza europea in materia di lavoro: «Il nodo fondamentale, quello su cui ci siamo scontrati fin dall'inizio con le rappresentanze degli imprenditori a livello europee, è proprio la paura che attraverso la discussione sugli stage si andasse a scardinare la competenza a livello nazionale della materia dei lavoro e dei contratti» conferma Porcaro: «Non si tratta solo della discussione sulla remunerazione dello stage, la partita è più ampia ed è riferita alla competenza dell'Unione su questa materia. Una questione che invece bisogna discutere, perché si tratta di un fattore fondamentale. Altrimenti parliamo sempre di più di mercato del lavoro flessibile, europeo, mobile, però le regole del mercato del lavoro restano nazionali, e questo è un problema che incide in generale su qualsiasi tentativo di rilanciare l'Europa che non può fatto a pezzi, settorialmente: c'è bisogno di una politica industriale, di una politica finanziaria e fiscale, e c'è anche bisogno di una politica sul lavoro».Il documento approvato ieri segna una brutta battuta d'arresto per i difensori dei diritti degli stagisti a livello europeo. «Possiamo dire che quella rappresentata dal testo del Coreper è la posizione definitiva rispetto al policy framework della Commissione. Per il momento dunque siamo arenati su questa posizione. A questo punto bisogna capire che strategia adottare come società civile rispetto a questo tema. Ma ci sono le elezioni europee alle porte: bisognerà vedere se con la prossima legislatura, con il nuovo Parlamento e la nuova Commissione, ci sarà una volontà politica diversa». Comunque lo Youth Forum, promette Porcaro, non si fermerà: «Sarebbe un peccato doversi rassegnare ora, semplicemente perché il Consiglio ha preso questa decisione: la lotta deve continuare».

Al via Erasmus+, partono i finanziamenti dell'Agenzia Giovani

Erasmus+ entra ufficialmente nel vivo. Da gennaio di quest'anno – e per il settennio 2014-2020 – è infatti operativo il programma che rappresenta l'evoluzione del vecchio Erasmus universitario, e che ingloberà in un unico grande calderone tutti i progetti europei di interscambio, come Leonardo e Comenius tanto per citare i più noti. L'Europa ha già stanziato i fondi, che ammontano a 14,7 miliardi (in aumento del 40% rispetto al passato), di cui 1,8 destinati all'Italia. Di questi, 95 milioni andranno all'Agenzia Nazionale per i Giovani (Ang), l'ente incaricato di attuare il programma per il nostro Paese, anche se solo per il capitolo Youth. Erasmus+ si compone infatti di quattro settori: istruzione, formazione, giovani e sport. La restante parte - escluso lo sport, di cui si occupa la Commissione Ue - è assegnata all'ambito istruzione e formazione, la cui gestione è demandata in Italia all'Isfol e all'Indire. Per raccontare quali siano in concreto le opportunità per i giovani l'Ang ha appena concluso una due giorni di seminario a Roma, dedicata proprio a informare tutte le associazioni giovanili interessate a ricevere un finanziamento europeo finalizzato a mettere in piedi iniziative di mobilità giovanile inerenti la sezione Gioventù, quindi per ragazzi sotto i 30 anni. «Due terzi dei finanziamenti serviranno a erogare borse di mobilità a più di 4 milioni di persone per consentire loro di studiare, ricevere una formazione, lavorare o fare attività di volontariato all’estero nel periodo 2014-2020 (rispetto ai 2,7 milioni nel periodo 2007-2013)» si legge nel sito di Erasmusplus. È dunque la mobilità in Europa il fulcro dell'iniziativa della Commissione europea - infatti la sezione Gioventù beneficerà solo del 10% dei fondi. Ma per l'Ang si tratta comunque di un salto decisivo: le assegnazioni per il periodo 2007-2013 erano pari a circa la metà, ovvero 56,7 milioni di euro. A farsi avanti nel 2014 – sul piatto per quest'anno ci sono 12 milioni – possono essere associazioni culturali, ong, enti pubblici, gruppi di giovani (almeno quattro, anche non associati, con un'idea per uno scambio europeo) o youth workers, ovvero chi si occupa del reinserimento giovanile sul piano della formazione. Non sono ammesse invece proposte individuali. Per la cosiddetta Key Action 1, vale a dire le iniziative pensate per la mobilità degli individui, le scadenze sono tre: 17 marzo, 30 aprile, primo ottobre. Si possono presentare progetti riguardanti sia i giovani (attraverso scambi o servizi di volontariato), sia gli youth workers, con l'obiettivo di potenziarne la formazione e la messa in rete. Nel primo caso saranno coinvolte persone sotto i 30 anni per interscambi con soggetti di Paesi membri della durata anche annuale (nel caso del volontariato), che promuovano tra le altre cose il confronto, la conoscenza di diverse realtà culturali e l'apprendimento non formale, cioè al di fuori dei circuiti istituzionali della scuola o dell'università. I rimborsi a favore dei partecipanti a uno di questi percorso di mobilità sono di massimo 40 euro giornalieri, mentre i volontari potranno percepire fino a 600 euro annuali. Per gli youth workers invece non esiste limite di età, e i programmi potranno attenere a esperienze come seminari o corsi formativi. Ciascuna giornata qui verrà rimborsata con cifre che si aggirano intorno ai 60 euro. A questa tranche di progetti, che è la principale delle tre, andrà il 66% dei finanziamenti; un 29% sarà invece destinato alla Key Action 2. Per questa - i cui termini di presentazione sono il 30 aprile e il primo ottobre - il tema di riferimento è la cooperazione per l'innovazione e lo scambio di buone prassi. Come spiega l'Ang nelle schede informative, per il filone secondario i progetti dovranno mirare a sviluppare «pratiche innovative nel settore gioventù» o promuovere la «validazione di competenze formali e non formali». In sintesi dovranno preoccuparsi di creare «partenariati strategici». Le stesse deadline sono poi previste per l'Azione 3, ovvero quella delle «politiche per riformare», a cui è indirizzato solo un fondo residuale pari al 5% del totale. I progetti qui dovranno avere a che fare con «consultazioni tra decision makers delle politiche della gioventù» si legge ancora nella documentazione definita dall'Ang, o ad esempio con meeting di preparazione alla conferenza della gioventù che si terrà durante il semestre europeo di presidenza italiana. Vedersi approvare e finanziare un progetto comporta una serie di step burocratici non semplicissimi, che l'Ang ha illustrato alla folta rappresentanza delle organizzazioni accorsa a Roma per il seminario (i partecipanti erano più di 300). In sintesi il percorso prevede – dopo lo studio della guida pubblicata dalla Ue a gennaio, un manuale di 270 pagine non proprio scorrevolissime ma che costituisce la Bibbia di Erasmus+ – la registrazione al portale dei partecipanti (URF, ovvero Unique Registration Facility), consentita solo dopo l'autenticazione in Ecas (ovvero lo European Commission's user Authentication Service). L'iscrizione comporta l'obbligo di allegare tutti i documenti che certificano la legalità delle organizzazioni – atti costitutivi, statuti etc.  – e il rilascio di un codice. Solo a questo punto si può elaborare l'E-form, e quindi presentare il progetto e inviarlo all'ente attuatore, nel caso italiano l'Ang. Finalizzata questa fase, entro quattro mesi si conoscerà l'esito della valutazione del progetto. Se convalidato, una prima parte del finanziamento verrà emesso dall'ente attuatore entro 30 giorni. In buona sostanza quindi, per partecipare come candidati a un bando bisognerà attendere almeno la fine dell'estate 2014.  «Erasmus+ darà gambe e sostanza alle idee» dei gruppi che si faranno avanti, ha dichiarato in un comunicato il direttore generale dell’Ang, Giacomo D’Arrigo: «Maggiore sarà la loro possibilità di accedere al programma, maggiore sarà la possibilità di crescita per il Paese». Perché dietro uno stanziamento raddoppiato rispetto al settennio precedente, le intenzioni di Bruxelles sono chiare – anche alla luce delle altre politiche giovanili messe in campo di recente, in primis la Youth Guarantee: combattere con fermezza l'emergenza della disoccupazione giovanile. Viste le circostanze del momento storico, per l'Italia sprecare questa opportunità (e questi soldi) sarebbe davvero imperdonabile. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Più Erasmus, «Erasmus +»: tutte le novità per formarsi all'estero- 25 anni di Erasmus: una scelta vincente, anche per l'occupabilità- D'Arrigo, nuovo dg dell'Agenzia giovani: «Migliori condizioni di partenza e più opportunità, ecco i miei obiettivi»- Erasmus Placement: per gli studenti universitari tirocini da 600 euro al mese in tutta Europa. Ecco come funzionano i bandi

Università telematiche, è scontro aperto con il ministero dell'Istruzione

  Iscritti e laureati in calo; troppi docenti precari; scarsa attenzione alle attività di ricerca. Il quadro che emerge dalla relazione conclusiva sulle università telematiche redatta dalla Commissione di studio nominata dal Miur non è affatto roseo per gli atenei online. E la replica non si è fatta attendere, dando vita a un botta e risposta sfociato nel mese di gennaio nella richiesta di dimissioni del ministro Carrozza - ormai uscente - da parte di una delle università interessate. La Repubblica degli Stagisti ha letteralmente "inseguito" per settimane i vertici del Miur per avere chiarimenti, ricevendone però solo posticipazioni, scuse e promesse di colloqui con i funzionari competenti e di interviste mai mantenute. E l'inseguimento si è purtroppo concluso con un nulla di fatto.La cronostoria. Lo scorso giugno a viale Trastevere sono partite le attività di un gruppo di lavoro formato da docenti ed esperti, con il compito di fare il punto sulla qualità delle università telematiche. Indagine riassunta in un documento di 17 pagine pubblicato sul sito del ministero a fine ottobre. La relazione parte da un excursus normativo, che va dal 2003, anno di istituzione degli atenei online, a oggi per poi focalizzarsi su alcuni punti, da cui emergono quasi subito quelle che il documento definisce «un numero notevole di criticità». La prima riguarda il calo del numero di iscritti e laureati nelle undici università telematiche nell’anno accademico 2013/2013 rispetto al precedente: i primi sarebbero passati da circa 39mila a poco meno di 36mila, mentre il numero degli studenti arrivati alla laurea sarebbe sceso dai poco più di 3200 del 2011/2012 ai 1219 dell’anno accademico successivo. Un valore diminuito quasi di un terzo. Insomma, gli atenei telematici sembrano aver perso l’appeal degli anni passati. E la relazione del ministero non risparmia colpi. A partire dall’ «assenza di vincoli previsti per il reclutamento di docenti e ricercatori universitari, in particolare in merito all’assunzione per chiamata diretta», secondo cui non tutto il personale degli atenei telematici passerebbe per regolare concorso. In alcune università telematiche, poi, si registrerebbe un «eccessivo ricorso a personale a tempo determinato, con un forte squilibrio tra il numero di ricercatori e il numero di professori».Non soltanto: secondo la commissione, gli atenei online non rispetterebbero le normali procedure concorsuali per il reclutamento del personale docente, ma farebbero anche eccessivo ricorso a professori e ricercatori precari. A supporto di queste affermazioni non sono, però, riportate cifre, ma semplicemente elencati i nomi di alcuni atenei che rientrerebbero in queste casistiche, tra cui Unicusano, San Raffaele, Uninettuno e Mercatorum. Anche le stesse attività di insegnamento e di ricerca sono finite sotto la lente di ingrandimento del Miur. La commissione afferma che tuttora, malgrado la regolamentazione normativa, non esistono «criteri determinati e chiari per la valutazione dell’attività formativa, con particolare riferimento agli sbocchi professionali» e manca una «regolamentazione rigida in merito all’attivazione dei corsi di laurea». Con riferimento allo scorso anno, ad esempio, l’Anvur, agenzia nazionale impegnata nella valutazione del sistema universitario e delle ricerca, ha dato parere negativo all’accreditamento di alcuni nuovi corsi di laurea presso atenei telematici. Parere rovesciato in parte da alcune sentenze della giustizia amministrativa, che hanno permesso comunque l’istituzione dei corsi di laurea. Ma non finisce qui: secondo la relazione, alcuni atenei telematici non farebbero neppure tanto per migliorare la qualità della propria offerta, dedicando poco spazio ad attività di ricerca. Un simile quadro non poteva lasciare indifferenti le dirette interessate, che hanno affilato le armi e sono partite al contrattacco. Fino ad arrivare allo scorso 7 gennaio, quando l’Unicusano, ateneo online con sede a Roma, ha diffuso un comunicato chiedendo le dimissioni dell'ex ministro Carrozza, definendo «fazioso e pregiudizievole» il suo approccio alle università telematiche. Una risposta all’affermazione che la titolare di viale Trastevere aveva rilasciato all’emittente televisiva La7, dicendo che tutti i docenti devono rispondere a un preciso status giuridico, che deve essere valido anche per gli insegnanti delle telematiche. Una frase congegnata malamente, che lasciava intendere che ci fosse una sorta di disparità tra professori e ricercatori degli atenei «a distanza» rispetto a quelli tradizionali.La Repubblica degli Stagisti ha intervistato il rettore dell’Unicusano Fabio Fortuna (foto), professore ordinario di economia aziendale, per cercare di avere un quadro più chiaro della situazione. Il rettore ha risposto colpo su colpo ai punti «critici» emersi dalla relazione della commissione di viale Trastevere, a suo avviso «stilata con approssimazione e generalizzazione, senza riferimenti specifici e differenziati per le singole università». La «controffensiva» parte dalle cifre: «non è vero che gli iscritti al mio ateneo sono in calo, il numero complessivo è di 12.223 (la relazione parla di 9753 iscritti nell’anno accademico 2012/2013, in diminuzione rispetto ai 10223 dell’anno precedente). Pittoresca, poi, l’ipotesi, riportata in una tabella, abbia avuto solo un laureato nell’ultimo anno accademico: in realtà sono stati oltre mille», afferma il rettore. Altro punto «caldo» le modalità di reclutamento di docenti e ricercatori e la predominanza di personale a tempo determinato: «i nostri docenti sono reclutati attraverso concorsi pubblici, esattamente come avviene per tutti i docenti e i ricercatori che fanno parte del sistema universitario. Attualmente la nostra università dispone di un personale di 54 tra professori ordinari, associati, straordinari a tempo determinato e ricercatori a tempo determinato e indeterminato. Di questi 33 sono professori e ricercatori a tempo indeterminato, mentre i restanti 21 sono a tempo determinato. Effetto della legge Gelmini, che dal 2010 non permette di emanare bandi a tempo indeterminato per i ricercatori e 17 dei 19 ricercatori a tempo determinato del nostro ateneo sono diventati tali tramite bandi successivi a quell’anno». Secondo Fortuna, inoltre, la stessa attività di ricerca non sembra passare in secondo piano nella propria università, a differenza di quanto riscontrato nella relazione: «l’Unicusano ha evidenziato risultati veramente incoraggianti nella VQR (Valutazione della qualità della ricerca, ndr), collocandosi intorno al sessantesimo posto e lasciandosi alle spalle atenei statali che esistono da decenni. L’ateneo si sta, inoltre, dotando di risorse tecnologicamente avanzate per lo svolgimento di attività scientifiche, soprattutto in ambito ingegneristico».Restano dunque molti punti in sospeso: ad esempio, quali sono i dati corretti e come sono stati calcolati nella relazione del Miur le cifre relative alle singole università? E se la legge equipara di fatto atenei telematici e università tradizionali, da dove nascono tutte le disparità riscontrate sul reclutamento dei docenti e sulla verifica della qualità dell’offerta formativa? La Repubblica degli Stagisti ha chiesto per quasi due mesi al ministero e allo staff della Carrozza maggiori delucidazioni sia su questi punti sia sul tema dimissioni, provando anche a interpellare i responsabili del dipartimento Miur interessato ai temi università e ricerca. Richieste che, nonostante continui solleciti, sono state più volte rifiutate o posticipate. Ora la palla passerà al prossimo ministro dell'Istruzione, che tra le gatte da pelare si troverà dunque anche l'affaire università telematiche.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Le università telematiche compiono dieci anni: capolinea o nuova partenza?- Laureati italiani, più veloci e qualificati: ma le speranza di lavoro sono poche- Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni  

Fondo monetario e Centro Europeo di Lingue, ultimi giorni per candidarsi ai bandi di stage

Ancora pochissimi giorni per candidarsi a uno dei tirocini più esclusivi attualmente sul mercato: quelli al Fondo Monetario Internazionale di Washington, l'ente che si occupa di «garantire la stabilità del sistema monetario internazionale» e «la salute dell'economia mondiale», si legge sul sito. Le selezioni dei circa 50 trainees ammessi ogni anno scadono il 23 febbraio, mentre le partenze per il tirocinio sono a giugno (in genere, è specificato sul sito, le date sono il 23 giugno e il 7 luglio, ma si tratta di riferimenti puramente indicativi da riconfermare di volta in volta). La durata varia dalle dieci alle tredici settimane, quindi da un minimo di due mesi e mezzo a un massimo di poco più di tre. Tra gli aspetti che più spiccano del programma, c'è senz'altro quello finanziario: il rimborso è pari a circa 3600 dollari al mese (sulle faq del sito definito infatti un «competitive salary»), l'equivalente di 2600 euro al mese, più una parziale assicurazione medica. Molto di più di uno stipendio medio italiano. E una cifra talmente elevata che l'ufficio stampa del Fmi preferisce non confermare alla Repubblica degli Stagisti trincerandosi dietro ragioni di privacy (mostrando così, però, una politica di scarsa trasparenza), ma che risulta anche da altre fonti ufficiali come il sito del Dipartimento per le Politiche sociali delle Nazioni Unite. A parte vengono riconosciuti anche i rimborsi per i viaggi di andata e ritorno verso Washington. Per l'alloggio bisogna invece organizzarsi in modo autonomo, anche se l'ente garantisce un aiuto nella ricerca di una sistemazione. Per potersi candidare i requisiti sono doppi. Da un lato i tirocini vengono offerti a studenti di dottorato (Phd) in Macroeconomia o materie affini al primo o secondo anno, quindi ancora 'studenti' a tutti gli effetti, con età inferiore ai 32 anni all'inizio del tirocinio, una eccellente padronanza dell'inglese e altrettanto buone competenze informatiche. Dall'altra invece ci sono chance anche per semplici laureandi alla specialistica, non più grandi dei 28 anni, anche qui con una conoscenza ottima della lingua e dell'informatica. Un filone parallelo è quello per la ricerca di un intern nel settore Legal, che deve essere laureato in Giurisprudenza e con meno di 28 anni. Di cosa si occupano gli stagisti del Fondo Monetario Internazionale? «I progetti assegnati loro cambiano di anno in anno» è precisato nella presentazione del programma, ma a titolo di esempio si possono citare gli argomenti trattati nel 2013: le risposte dei mercati alle politiche messe in campo per risolvere la crisi finanziaria globale, l'integrazione finanziaria e la ciclicità dei flussi di capitale, gli effetti delle liberalizzazioni del conto capitale nei paesi a basso reddito e via dicendo. Una volta spedita l'application form, si riceve alcuna notifica di ricezione, ma solo i candidati finalisti verranno contattati per una successiva valutazione. Gli aspiranti stagisti sono comunque avvisati: «le selezioni sono altamente competitive». Per il futuro degli stagisti all'Fmi, le prospettive possono anche essere rosee. Non nel senso che l'assunzione sia certa, ma nell'ottica del cosiddetto 'Economist Program', un progetto per reclutare talenti under 33, e rispetto a cui l'internship rappresenta un lasciapassare.  Di tutt'altro tenore invece, per chi fosse in cerca di tirocini rimborsati all'estero di stampo linguistico-letterario, quelli al Centro Europeo di Lingue Moderne (Ecml) - con sede nella cittadina storica di Graz, in Austria - un distaccamento del Consiglio Europeo che si occupa di promuovere le politiche europee per l'educazione linguistica. Si tratta di un ente minore, con uno staff di soli otto membri fissi, da cui si desume che non siano molti i tirocinanti ammessi a ogni sessione. Il programma si svolge due volte l'anno ed è semestrale. Per chi si candida alle selezioni attuali, la cui scadenza è il 28 febbraio, la partenza è prevista per luglio (e la fine a dicembre). L'application si fa online, e non sono accettati curriculum in formato europeo. I rimborsi non sono molto elevati ma comunque accettabili: 720 euro al mese, da cui viene detratta l'assicurazione (pari a circa 20 euro mensili), senza però coperture delle spese di andata e ritorno. Per quanto riguarda l'alloggio, esiste però una via preferenziale. Il centro ha infatti una convenzione con alcune residenze studentesche dove – è scritto sul sito – risiede la maggior parte dei tirocinanti. I requisiti per partecipare non sono fissi, ma cambiano a seconda di uno dei dipartimento di destinazione, come spiegato qui: amministrazione, sito web, logistica e documentazione. Tuttavia per tutti e quattro i casi è necessaria la conoscenza dell'inglese e del francese (il tedesco è solo un di più, anche se è la lingua parlata nella città sede della struttura), essere studenti universitari o laureati, e in generale skill quali competenze informatiche, flessibilità e accuratezza. La settimana lavorativa è full time (per la precisione di 38 ore e 45 minuti), con dodici giorni di vacanza spalmati sui sei mesi. Curioso poi che tra gli ex stagisti che raccontano la loro esperienza la maggior parte provenga da Paesi dell'est. Questo perché il centro aderisce al Council of Europe parcial agreement, una convenzione tra trentadue Stati membri di cui fanno parte tra gli altri Paesi come Francia, Germania, Austria, Spagna, Irlanda Danimarca, Bosnia, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Romania, Lituania, Slovenia, Montenegro e altri. L'Italia però è esclusa. Il che non vuol dire che non ci si possa candidare, ma semplicemente che la priorità «è data agli originari di questi altri Stati», chiariscono le informazioni fornite sul sito. Quanto al processo di selezioni, solo i tirocinanti prescelti riceveranno una lettera di accettazione da parte dell'Ecml, in cui saranno indicate le condizioni dello stage che spetta al candidato sottoscrivere. Oltre al potenziamento delle conoscenze linguistiche e all'esperienza in un ambiente multiculturale, non c'è però da aspettarsi una futura carriera all'interno del centro. O almeno così si direbbe dai racconti degli ex pubblicati sul sito: tutti entusiastici, ma nessuno di questi parla di un inserimento post stage. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Stage da tremila dollari al mese al Fondo monetario internazionale: candidature aperte fino al 15 gennaio- Stage al Fondo monetario internazionale, le voci degli «ex»: Elva Bova, la mia esperienza dall'economia dell'Africa a quella dei Paesi arabi- Stage, ti voglio in tutte le lingue dell'Ue: 60 tirocini da 1200 euro per traduttori al Parlamento europeo. Candidature fino al 15 novembre- Decine di stage nelle agenzie "minori" della Ue: compensi da più di mille euro all'Era, Efsa ed Ecdc