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Tutti i premi di laurea in scadenza, oltre 25mila euro in palio

Hanno spesso il sapore delle ultime fatiche, ma le tesi di laurea, stappato lo spumante ed esaurite le congratulazioni, finiscono per lo più chiuse in un cassetto... Passata la festa, gabbato lo santo. Una possibilità per ridare nuova vita agli elaborati più rappresentativi della carriera universitaria arriva da molti bandi ad hoc, che premiano eccellenza e sperimentazione. Questi quelli in scadenza nelle prossime settimane.Fino al 30 novembre è possibile partecipare al premio "Ivo Taddei", promosso da Anasf - Associazione promotori finanziari in memoria del proprio consigliere nazionale. L'avviso è rivolto a tutti i laureati di primo livello (in corso) che hanno approfondito il tema dell'intermediazione finanziaria e che oggi siano iscritti al biennio specialistico (nel bando le classi di laurea ammesse, tutte dell'area economico-finanziaria). La candidatura deve contenere - tutto in formato digitale: modulo di partecipazione, certificazione di laurea dell'università o autoprodotta, abstract, copia della tesi, prova dell'avvenuta iscrizione al corso magistrale e fotocopia del documento di identità. Il tutto va allegato ad una mail a formazione [chiocciola] anasf.it oppure messo su cd o dvd e spedito all'associazione, a Milano (in quest'ultimo caso attenzione perché il 30 novembre capita di domenica). La commissione individuerà l'elaborato migliore entro giugno 2015, premiando l'autore o l'autrice con 3mila euro lordi, corrisposti in un'unica soluzione entro la fine dell'anno.Sono invece 2.500 gli euro complessivi messi a disposizione, in tutt'altro ambito di studi, da un gruppo di enti pubblici e privati di Macerata. Protagoniste sono le tesi di laurea magistrale o di dottorato che tra l'accademico 2011/12 e 20013/2014 hanno discusso di Resistenza, formazione della Repubblica, organizzazione sindacale e politica nel secondo dopoguerra.  Il premio è infatti dedicato alla memoria del ex partigiano, politico e sindacalista Primo Boarelli, scomparso due anni fa. La domanda, sia in copia cartacea all'Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea che digitale a isituto [chiocciola] storiamacerata.com, deve comprendere modulo di domanda, copia della tesi, abstract, attestato di laurea o dottorato e curriculum di studi. C'è tempo fino al 30 novembre (fa fede il timbro postale e vale la raccomandazione precedente). La vincita, salvo imprevisti, sarà formalizzata ad aprile 2015.Chi poi ha recentemente discusso una tesi su sviluppo e riforma delle istituzioni democratiche o in tema di cittadinanza attiva, può partecipare al bando "Vittorio Bachelet" della Fondazione istituto Aci, dedicato al presidente dell'Azione cattolica italiana ucciso dalle Brigate rosse nel 1980. Fino al 12 dicembre l'ente mette in palio due somme da 1500 euro lordi ciascuna per chi ha concluso una laurea magistrale - in Giurisprudenza, Sociologia, Storia, Scienze politiche e materie affini - tra settembre 2013 e questo novembre. Per provare a vincere bisogna inviare all'istituto Bachelet, a Roma, una raccomandata a/r contenente: modulo di domanda, copia cartacea e digitale della tesi, autocertificazione di laurea, copia del documento di identità, curriculum vitae e di studi, e un paio di consensi firmati. Il prossimo febbraio si terrà a Roma il convegno annuale dell'istituto, e in quell'occasione i due (o più, in caso di pari merito) vincitori otterrano pubblicamente il riconoscimento.È dedicato alle nanoscienze invece il premio Nest promosso dalla Normale di Pisa e riservato ai ricercatori che al 14 dicembre, data di scadenza dell'avviso, non abbiano compiuto 35 anni. Necessario anche aver pubblicato su una rivista scientifica internazionale, non prima di gennaio 2013 e in qualità di autori unici o principali, almeno uno studio sulla nanoscienza sperimentale, interamente condotto in Italia. In palio c'è un premio da 5mila euro lordi, offerti dall'azienda Rivoira, gruppo Praxair, che produce e distribuisce gas industriali. Mille euro verranno utilizzati per le spese di gestione del premio, quindi la vincita lorda effettiva è di 4mila euro, a cui si somma però la copertura delle spese di partecipazione alla conferenza internazionale NanotechItaly, in cui a fine 2015 avverrà la premiazione. La domanda si compila velocemente online riempiendo il form e allegando la tesi.Tutto al femminile il bando "Neda Agha Soltan", che il Comune di Pordenone e l'associazione Neda Day dedicano alla memoria della studentessa iraniana di 24 anni uccisa a Teheran nel 2009, durante le proteste che seguirono le elezioni presidenziali. Possono partecipare le neolaureate magistrali di area umanistica che nell'anno accademico 2012/2013 hanno discusso una tesi sulla condizione della donna nella società, particolarmente in quella odierna, ricevendo una votazione di almeno 100/110. Due gli importi in palio, di 2mila e mille euro netti, per prima e seconda classificata. La candidatura è composta da: modulo di domanda, testo ed abstract del lavoro digitali in formato pdf, più copia di certificato di laurea, documento di identità e codice fiscale. Il tutto deve pervenire al Comune di Pordenone entro le ore 12 del 19 dicembre tramite raccomandata a/r, pec o a mano.Scade infine l’ultimissimo giorno dell’anno Technology for Human Beings, il concorso bandito dall’azienda milanese Prysmian Group e dalla Human Foundation per le tesi triennali e magistrali in Ingegneria e Fisica incentrate su un aspetto delle tecnologie per lo sviluppo sostenibile: soluzioni per l’efficienza energetica, ad esempio, sviluppo di materiali riciclabili, o cablaggio di zone rurali o in via di sviluppo. Gli elaborati ammessi sono quelli discussi tra novembre 2013 e dicembre 2014 – anche in inglese - a firma di studenti con non più di 28 anni. Sei i premi a disposizione: tre per le tesi magistrali (di 4mila, 3200 e 2.500 euro rispettivamente per primo, secondo e terzo classificato) e tre per quelle triennali (2mila, 1800 e 1500 euro). Le candidature vanno consegnate a mano, per raccomandata a/r o per pec entro le ore 12 del 31 dicembre complete di copia digitale della tesi (solo a chi supererà la prima fase di selezione verrà richiesta una copia cartacea), un articolo di presentazione di 2 pagine, un breve abstract, certificato di laurea, cv e fotocopia del documento. I nomi dei vincitori? Già a fine gennaio 2015: un buon modo di iniziare l’anno nuovo.Annalisa Di Palo 

Garanzia giovani, al via i bandi di servizio civile

Il servizio civile approda ufficialmente dentro Garanzia giovani. Sono appena stati pubblicati i bandi regionali per partecipare ai progetti di tipo socio-assistenziale - e non solo - messi a punto dagli enti accreditati. Destinatari sono solo 5463 giovani, un po' meno rispetto al numero ipotizzato: dovevano infatti «essere 7300» secondo Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum nazionale per il servizio civile. Niente a che vedere però con il bando di servizio civile nazionale, «quello ordinario, per cui sono previste circa 27mila partenze e che dovrebbe in teoria uscire nella primavera dell'anno prossimo» spiega Borrelli alla Repubblica degli Stagisti. Per ora si tratta di quasi 5.500 percorsi che rientrano a tutti gli effetti all'interno di Garanzia Giovani, veicolati attraverso i nullaosta dell'ufficio nazionale e sostenuti con i fondi erogati alle singole Regioni dal programma europeo contro la disoccupazione – o più in generale inattività – che colpisce larga parte dei ragazzi nella Ue.I progetti avranno dunque tutte le caratteristiche tipiche del servizio civile, tra cui i canonici 433 euro di rimborso mensile garantiti dalla prestazione del servizio. E, nella maggior parte dei casi, saranno attinenti alle funzioni più tipiche della partecipazione civile: l'assistenza è la prima aerea di interesse (ne fa parte il 48% dei progetti), mentre compare in percentuali molto piccole (4%) il settore protezione civile. Seguono comparti più insoliti per il servizio civile come l'educazione e la promozione culturale (31%), il patrimonio artistico e culturale (10%), l'ambiente (5%). Secondo la descrizione sul sito nazionale il servizio civile include infatti qualunque attività non solo di «difesa della patria» ma che possa qualificarsi come «impegno per il bene di tutti e di ciascuno e quindi come valore di coesione sociale». Dieci le Regioni coinvolte nei bandi in via di pubblicazione. Meglio di tutti ha fatto la Campania, con 298 progetti approvati per 2mila volontari. Al secondo posto la Sicilia (215 progetti per 1185 giovani) e al terzo la Puglia (122 progetti per 554 giovani), quasi a pari merito con il Lazio (120 iniziative rivolte a 504 ragazzi). A seguire il Piemonte (90), l'Umbria (76), la Basilicata e l'Abruzzo (con 50 e 49 progetti), e il Friuli Venezia Giulia (14). All'appello mancherebbe il Molise, i cui progetti sono in fase di esame. Al termine, sottolinea il comunicato che dà notizia dei bandi, «verrà emanato un ulteriore bando destinato ad attivare oltre trecento posti di volontario in servizio civile nazionale, fino al raggiungimento di 5.790 posti». Quanto ai fondi, la parte impiegata per i progetti di servizio civile regionale è di «29,5 milioni di euro, pari al 74,17% del totale», come dichiarato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Tre quarti del totale dunque: in questo il primato spetta alla Campania, che «ha impiegato 15 milioni», sottolinea Borrelli. Un numero che però va riferito non alla dotazione complessiva di Garanzia giovani da 1,5 miliardi di euro stanziata per la quasi totalità dalle Ue (con un contributo dall'Italia), bensì alla quota destinata al solo servizio civile pari a circa 40 milioni. «La percentuale restante sarà utilizzata anch’essa in tempi rapidi» ha specificato Poletti: «il dipartimento è impegnato per consentirlo già nei primi mesi del 2015».Possono partecipare, dopo essersi registrati a Garanzia Giovani, tutti i cittadini italiani tra i 18 e i 28 anni (inclusi gli stranieri residenti, come stabilito dalle recenti sentenze in materia). Ai selezionati andrà anche il riconoscimento delle competenze: «È stato avviato il sistema per la loro certificazione» ha assicurato il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba «per permettere ai giovani di potersi spendere nel mondo del lavoro». L'esperienza «comporterà un accrescimento motivazionale e valoriale del giovane, che è l’obiettivo di tutto il programma» ha aggiunto.Ilaria Mariotti 

Garanzia Giovani, già 800 risposte al monitoraggio: ma c'è bisogno di più partner e di passaparola!

Come sta andando la Garanzia Giovani? Da tre settimane è attivo il monitoraggio promosso dalla Repubblica degli Stagisti insieme all'associazione Adapt: un questionario online, veloce e anonimo, che permette a tutti i giovani di dare un giudizio sulla GG, raccontando la propria personale esperienza. Un monitoraggio ovviamente "informale", ma che sta permettendo di raccogliere informazioni preziosissime sui tempi di attesa, sulle risposte che i ragazzi ricevono dai servizi all'impiego, e in generale sul "sentiment" generato da questa iniziativa che nelle intenzioni dovrebbe migliorare l'occupazione e l'occupabilità dei giovani italiani senza impiego, ma che rischia seriamente di trasformarsi in un boomerang se le proposte di attività "garantite" non cominceranno ad arrivare in tempi brevi e in quantità proporzionate alla domanda.Al monitoraggio RdS-Adapt hanno già partecipato ad oggi oltre 800 giovani, di cui circa 600 si sono già iscritti a Garanzia Giovani e dunque sono stati già in grado di raccontare nei dettagli i primi step che stanno effettuando per arrivare all'agognata «presa in carico» con la «proposta di politica attiva». Chi sono questi giovani? E' troppo presto per dirlo. Per ora il lavoro più importante è quello di promuovere l'esistenza del monitoraggio, intercettare gli under 30 e proporre loro di venire a raccontare attraverso questo questionario la propria esperienza. Per questo la Repubblica degli Stagisti e l'Adapt hanno lanciato da subito un appello a tutti coloro che sono interessati all'esito della Garanzia Giovani e più in generale al grande tema dell'occupazione giovanile, affinché ciascuno possa aiutare, attraverso i suoi canali e le sue reti, a arrivare al maggior numero possibile di giovani.Università, associazioni giovanili, sindacati, uffici Informagiovani, testate online e siti web… Tutti possono diventare preziosissimi partner per "passare parola" e spingere avanti il monitoraggio, permettendo di raccogliere una molteplicità di voci. Alcune realtà hanno già scelto di dare il loro sostegno attivo. Ne riportiamo i loghi qui sotto: si tratta per ora di tre organizzazioni sindacali territoriali - la Cisl Lombardia, la Cgil Marche e la Cgil Toscana; dell'ufficio Informagiovani del Comune di Venezia; delle associazioni Amesci (Associazione MEditerranea per la promozione e lo sviluppo del Servizio CIvile), Ugei (Unione Giovani Ebrei d'Italia), Rena (Rete per l'Eccellenza NAzionale) e Giovani Italiani Bruxelles. «La battaglia per l'implementazione ed il monitoraggio dei risultati del progetto Garanzia Giovani, così come altre iniziative per la promozione della "buona" occupazione per la nostra generazione, siamo convinti non possano che vedere il mondo dell'associazionismo giovanile italiano unito, compatto e battagliero» dice il presidente Ugei Simone Disegni: «a tutela di tutti quei coetanei che non intendono arrendersi all'imperativo dell'emigrazione ed aspirano invece in piena legittimità a costruire i propri progetti, di vita e professionali, in questo Paese».E infatti con un'altra associazione che ha risposto all'appello c'è anche un progetto di collaborazione concreta sul proseguio del monitoraggio: l'Amesci collaborerà infatti nelle prossime settimane con la Repubblica degli Stagisti e l'Adapt alla messa a punto di un set di domande che verranno poste a chi racconterà, attraverso il questionario, di aver iniziato un percorso di servizio civile all'interno della GG. «Il servizio civile non è solo un’esperienza di impegno e partecipazione, ma uno strumento per l’occupabilità dei giovani perché permette di maturare le cosiddette ‘soft skills’, quelle competenze trasversali divenute sempre più rilevanti per rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro, che è difficile acquisire durante i percorsi di formazione tradizionali» puntualizza il presidente Amesci Enrico Maria Borrelli: «È per questo motivo che l’Europa ha previsto il servizio civile tra le misure del piano volto al contrasto della disoccupazione dei ragazzi tra i 15 e 29 anni non impegnati in percorsi di istruzione o formazione. La specificità dello strumento richiede una particolare attenzione nei percorsi di selezione del servizio civile: per offrire davvero una ‘garanzia’ ai giovani è necessario che venga impegnato in un progetto che lo appassioni e formi allo stesso tempo».Anche da parte dei sindacati c'è comprensibilmente grande attenzione verso la Garanzia Giovani: «Un importante strumento di modernizzazione del mercato del lavoro che deve dare soprattutto opportunità concrete e servizi ai giovani, a partire da chi è più in difficoltà, per aumentarne l'occupabilità» dice Roberto Benaglia, segretario regionale della Cisl Lombardia: «È uno strumento nuovo per il nostro paese, pertanto va curata l'attuazione, non con l'obiettivo di spendere le risorse ma di creare una rete di servizi al lavoro stabili sia per i Neet che per chi termina un percorso di istruzione. Per Cisl Lombardia una azione di monitoraggio puntuale delle buone pratiche così come delle problematicità è quindi indispensabile, al fine di intervenire su Ministero e Regioni e correggere l'efficacia dello strumento».«Contribuiamo a diffondere l'indagine perché siamo da tempo impegnati a promuovere, sia al nostro interno che nel confronto con Regione Toscana, un processo di valutazione del Progetto Garanzia Giovani su cui manteniamo un giudizio critico» gli fa eco Daniele Quiriconi, responsabile mercato del lavoro della segreteria regionale Cgil Toscana: «La nostra regione è quella che prima delle altre ha iniziato il lavoro di profilazione degli iscritti al portale e i colloqui di orientamento da parte dei centri per l'impiego,  ma ad oggi non risultano particolari manifestazioni d'interesse ai fini delle assunzioni. La quasi totalità delle risorse destinate ai tirocini e al servizio civile è la dimostrazione che non ci si attendono vere e proprie opportunità di lavoro».Perplessità simili vengono espresse anche da Daniela Barbaresi, che all'interno della segreteria regionale della Cgil Marche riveste il ruolo di responsabile delle Politiche del lavoro, e da Carlo Cotichelli suo "omologo" per le Politiche giovanili: «Garanzia Giovani nella sua impostazione originaria rappresentava una reale occasione di potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego e di riattivazione dei Neet» dicono «ma l’eccessivo carico di aspettative ha contribuito a creare, per il momento, un'ulteriore illusione per i giovani coinvolti. I tempi eccessivamente lunghi per l’attuazione del programma - ad esempio le prime misure nelle Marche sono entrate in vigore a settembre - e la pressante attenzione sulle modalità di gestione, a svantaggio di una riflessione concreta sulle risposte concrete a favore dei giovani, hanno contribuito a  sviluppare una misura di gran lunga al di sotto delle aspettative incapace di dare risposte concrete ai bisogni dei giovani». E proprio «per contrastare le numerose segnalazioni negative» giunte nelle ultime settimane alla Cgil delle Marche, «ad esempio imprese che accolgono tirocinanti con Garanzia Giovani anziché assumere personale», Barbaresi e Cotichelli hanno deciso di sostenere il monitoraggio promosso da RdS e Adapt: «Riteniamo fondamentale promuovere ogni opera di monitoraggio e valutazione che possa  dar voce ai ragazzi coinvolti».A livello universitario invece c'è stato per ora solo il sostegno delle università di Catania e di Padova e poi di Soul, il sistema che federa la maggior parte delle università del Lazio promuovendo l'incontro domanda/offerta di stage  e di lavoro. «Ciascuna università ha una mailing list molto nutrita di ex studenti laureati negli anni passati e che adesso, in una situazione di inoccupazione o disoccupazione, con grande probabilità si stanno rivolgendo a Garanzia Giovani. Gli uffici stage e placement di questi atenei ci potrebbero aiutare a intercettarli: per questo speriamo che qualcuno accolga il nostro appello e diventi nostro partner in questa iniziativa» spiega Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti: «L'appello è davvero rivolto a tutte le realtà che abbiano una rete, anche piccola, di giovani che potenzialmente potrebbero essere toccati da Garanzia Giovani. Senza dimenticare che chiunque ci può aiutare anche con gesti piccolissimi, come condividere su Facebook o su Twitter il link al questionario».«Ogni giovane partecipante inoltre può fare la sua parte» aggiunge Francesco Seghezzi, responsabile comunicazione e relazioni esterne dell'Adapt: «Basta condividere sui social network la notizia di aver partecipato al monitoraggio, postando il link al questionario: su Twitter già tanti lo stanno facendo, utilizzando il nostro hashtag #lavostragaranzia».La speranza insomma è  che la rosa dei partner si ingrandisca e che ai primi 800 si aggiungano nelle prossime settimane tanti altri partecipanti: in questo modo il monitoraggio della Garanzia Giovani risulterà davvero incisivo e potrà portare al ministero del Lavoro e alle Regioni un quadro completo di come sta andando questa iniziativa dal punto di vista dei suoi protagonisti: gli utenti.I partner:- Informagiovani Comune di Venezia- Ugei- Amesci- Rena- Giovani Bruxelles- Soul- Cisl Lombardia- Cgil Marche- Cgil Toscana

JPO Programme, 15 posti di lavoro alle Nazioni Unite: candidature fino al 12 novembre

È noto come JPO Programme, anche se la denominazione completa è un po' più lunga: The italian associate experts and junior professional officers programme. Si tratta di un programma di cooperazione multilaterale promosso dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del nostro ministero degli Esteri con il dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite. Ogni anno il JPO consente a laureati italiani di età non superiore a 30 anni (33 per i laureati in medicina) di effettuare un’esperienza professionale di due anni presso organizzazioni internazionali di settore. C’è tempo fino al prossimo 12 novembre per inoltrare la propria candidatura e provare a essere uno dei partecipanti di quest’edizione. Non c’è ancora un numero fisso di candidati ammessi, ma mediamente negli ultimi anni ci si è  attestati sui 15-20, un dato in discesa rispetto a cinque-dieci anni fa, quando i posti disponibili sono arrivati anche a 45.  Un cambiamento figlio anche della crisi, come spiega alla Repubblica degli Stagisti Gherardo Casini, direttore dell'ufficio di Roma del dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite. Il JPO non è un programma di stage ma un vero e proprio lavoro: i partecipanti stipulano un contratto a tempo determinato con inquadramento corrispondente al P2 step 1 del sistema professionale delle Nazioni Unite (per i livelli dal P1 al P3 gli stipendi annuali si aggirando mediamente tra i 37mila e gli 80mila dollari. Ipotizzando un salario annuale medio di 50mila dollari per il livello P2, lo stipendio mensile si aggirerebbe mediamente intorno ai 3mila euro). Le cifre variano comunque di città in città a seconda del costo della vita: «New York e Ginevra sono le città in assoluto più care e quindi con stipendi più alti. Nella città americana la retribuzione si aggira mediamente sui 4mila dollari mensili», afferma Casini. Analizzando i requisiti in maniera più approfondita, possono candidarsi cittadini italiani nati dopo il primo gennaio 1984 (1981 per laureati in medicina) in possesso di laurea specialistica, magistrale o a ciclo unico e con una conoscenza eccellente delle lingue italiana e inglese. Possono essere richieste precedenti esperienze professionali o precise specializzazioni a seconda però delle esigenze specifiche dell’ente ospitante. Le candidature devono essere inviate esclusivamente online entro la data indicata attraverso il portale delle Nazioni Unite. Non è più possibile spedire la modulistica per posta, come avveniva fino all'anno scorso. La documentazione comprende application form compilato e firmato, copia del certificato di laurea e lettera motivazionale in inglese. Fondamentale è che l’allegato non pesi complessivamente più di 2,5 mb.La valutazione delle candidature avverrà in due step: in una prima fase sarà il Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite (Un\Desa) a effettuare una scrematura delle domande, tenendo conto di titoli, conoscenze linguistiche ed eventuali esperienze lavorative precedenti. I candidati preselezionati saranno poi convocati a Roma tra giugno e luglio del prossimo anno per un colloquio di selezione finali con i rappresentanti delle varie organizzazioni internazionali. Chi avrà superato il colloquio sarà avvisato via email dall’ufficio Un\Desa. Prima della partenza i candidati selezionati dovranno poi effettuare un corso preparatorio intensivo di due settimane a Torino.Negli anni precedenti sono pervenute in media 3mila candidature. Per la scorsa edizione circa un terzo di esse sono arrivate da laureati del settore scienze politiche e relazioni internazionali, ma non sono mancate candidature da parte di dottori in giurisprudenza ed economia. «Le posizioni disponibili presso le organizzazioni internazionali riguardano numerosi ambiti, per cui non è escluso che vengano richieste figure professionali in possesso di altri titoli di laurea rispetto a quelli più gettonati, ad esempio medicina o agraria», chiarisce Casini. Cosa succede dopo? Statistiche alla mano, oltre il 70% dei partecipanti alle passate edizioni ha trovato lavoro nel mondo della cooperazione internazionale, dall'Onu fino alle ong: dei 37 partecipanti del 2006, ad esempio, il 78% lavora oggi nel settore, nel 2005 la percentuale è stata invece del 74%. Il diretto dell'ufficio di Roma commenta così dati: «Nonostante le posizioni disponibili nell'ambito del programma tendano a diminuire e, successivamente, sia sempre più difficile trovare un posto a tempo indeterminato anche nelle organizzazioni internazionali, il fatto che buona parte degli ex partecipanti sia attualmente occupato nel proprio settore di interesse è un dato sicuramente positivo, che testimonia come il JPO sia un'esperienza di tutto rispetto per l'ingresso nel mondo del lavoro».   Chiara Del Priore

Parasubordinati e partite Iva, l'Inps fotografa i nuovi poveri

Che quella sull'articolo 18 sia una battaglia politica slegata dai problemi reali del paese lo dimostrano i dati su collaboratori e professionisti italiani appena pubblicati dall'Inps. Per loro «un altro anno orribile: aumenta la disoccupazione, stagna il reddito» recita il report curato per l'occasione dall'Associazione 20 maggio e presentato l'altroieri. Uno studio secondo cui un parasubordinato ha portato a casa una media di 10mila euro lordi nel 2013, qualche decina di euro in più rispetto all'anno precedente (9950 nel 2012). Questo se si considera il guadagno dei collaboratori esterni delle aziende, declinati in tutte le possibili sfaccettature: collaboratori di giornali, venditori porta a porta, dottori di ricerca e così via, inquadrati ad esempio con contratti a progetto, cococo, assegnisti. In realtà nel calderone dei parasubordinati finiscono anche amministratori e sindaci di società, che percepiscono mediamente 30mila euro annuali. Con loro si sale a una media di 19.500 euro, ma si tratta di valori «falsati», precisa Patrizio De Nicola, docente della Sapienza responsabile dell'indagine. Le storture sono anche altre, «esempio tangibile di come viene poco considerato e maltrattato il lavoro intellettuale in Italia, salvo poi organizzare convegni per lamentarsi della fuga dei cervelli». C'è innanzitutto lo scarto salariale uomo donna, sempre duro a morire: le quarantenni sono quelle con il gap maggiore, con meno 11mila euro rispetto ai colleghi uomini, le cui buste paga si aggirano sui 25mila euro annuali. Tra due trentenni le distanze si accorciano: a lei vanno 10mila, a lui 15, e via a salire con l'età. Uno dei paradossi è poi quello dei medici specializzandi, la cui borsa mensile nelle scuole di formazione professionale ammonta a 18mila euro, cifra più alta di quello che presumibilmente andranno a guadagnare una volta inseriti nel mercato del lavoro, quando «verranno loro offerti contratti di collaborazione molto più svantaggiosi in quanto assolutamente deregolati» osserva De Nicola. Sul fronte dei compensi, «il libero mercato non funziona». E lo testimoniano le statistiche regionali, dove le forti differenze confermano «l'esistenza di marcate discriminazioni dovute all'assenza di una regolazione collettiva»: prime, con 24mila annuali di media, si attestano Lombardia e  Veneto. Seguono Emilia e Piemonte, con 22mila. Il Lazio è una delle regioni con le percentuali più basse, con 15mila euro di reddito (l'ultima è la Calabria, con 9mila). Quasi diecimila euro in meno rispetto alle «ricche» regioni del Nord per il Lazio che è anche seconda classificata per numero di subordinati, qui in 167mila contro i 277mila della Lombardia, su un totale di circa 1,2 milioni.L'altro aspetto cruciale è il crollo delle collaborazioni a progetto, scese di 166mila rispetto al 2012 (-11,7%), «effetto della riforma FoRnero, che ha imposto l'introduzione di minimi tabellari anche per i dipendenti». Con l'obiettivo di renderli meno vantaggiosi rispetto al lavoro dipendente. Sarebbe bastato, insistono nel report, «un periodo anche di breve gradualità nell'applicazione della riforma, dando modo alla contrattazione collettiva di affrontare questo tema». Il calo qui ha riguardato soprattutto gli under 29, ridotti del 43% rispetto al 2007. Altro mito da sfatare è che la precarietà lavorativa sia un fenomeno giovanile: del milione e duecentomila che compongono questo gruppo di contratti atipici, 607mila hanno tra i 30 e i 49 anni, il 48% del totale, mentre il 33% ha superato i 50 anni. Segnale chiaro di come il lavoro instabile sia ormai prerogativa di adulti e famiglie. Per questo le donne – superati i trent'anni – abbandonano e scelgono l'accudimento dei figli: «sono prevalentemente nella fascia under 39 e scompaiono dopo, complici le minori protezioni sociali e contrattuali» è sottolineato nel report. C'è poi il capitolo professionisti, ovvero l'esercito di partite Iva. Vere o finte che siano, negli anni di crisi, dal 2007 al 2012, sono aumentate le registrazioni, crescendo da 220 a 290mila, un salto tutto concentrato peraltro sopra i 70 anni (+75%). L'osservazione degli analisti è che potrebbe trattarsi di una conseguenza «dell'aumento degli oneri sul lavoro a progetto e la maggiore convenienza per i datori di lavoro di impiegare professionisti autonomi». Ma non è da escludere neanche l'effetto delle nuove aliquote del regime dei minimi, con Irpef agevolatissimo al 5% per i redditi sotto il tetto dei 30mila, vera spinta – per molti – ad aprirsi una posizione Iva. Per questo gruppo il reddito medio è un po' un'incognita. Secondo l'Inps si sarebbe ridotto del 23% rispetto al 2012, scendendo da 18 a 15mila. Potrebbe darsi tuttavia che  «l'evidenza sia inficiata dalla provvisorietà dei dati» dell'istituto pensionistico (le dichiarazioni arrivano infatti a più riprese). Secondo l'Associazione venti maggio, sarebbe invece più generoso, attestandosi intorno ai 18mila euro, in lieve aumento sul passato. Fatto sta che neppure a questo stadio si compenserebbero gli aumenti delle aliquote contributive: quella Inps è un salasso del 27% sul reddito. Risultato: a parità di salario, per esempio mille euro, a un dipendente restano 900 euro, a un professionista 500. Ma tartassare professionisti e collaboratori è ormai prassi e spiragli di miglioramento non ce ne sono: «Non illudiamoci, si può fare poco o niente, gli spazi di manovra sono limitati» ha dichiarato Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera alla presentazione dell'indagine. Per questa fetta di lavoratori, che da soli producono 24 miliardi di Pil e versano contributi per 7 miliardi, la pensione potrebbe restare un miraggio, così come maggiori tutele e aumenti reddituali. Quel che è certo nel frattempo è che, secondo De Nicola, il governo non sta andando nella giusta direzione. Non basta agire sul costo del lavoro: le assunzioni diventeranno più appetibili «solo aumentando gradualmente i compensi» per chi è ai margini del mercato. La strada sarà quella segnata finché il costo di un dipendente continuerà a essere più alto: 23mila il salario medio del settore privato, contro i 10mila del contratto a progetto. Quale datore di lavoro sceglierebbe il primo? Ilaria Mariotti 

Duecento stage per eurotraduttori a Bruxelles, rimborso di 1220 euro al mese

Ci sono gli Schuman, i più famosi, suddivisi tra opzione generale e giornalismo. E poi anche gli stage per traduttori. I tirocini al Parlamento europeo rivolti a chi di professione vorrebbe dedicarsi alle lingue hanno aperto le selezioni lo scorso 15 settembre e chiuderanno il prossimo 15 novembre a mezzanotte. L'importo della borsa mensile è di 1220 euro; per la tassazione le regole variano da Paese a Paese - a seconda cioè che il fisco nazionale preveda di applicare un tributo su questa tipologia di reddito. In Italia dipende ad esempio dal fatto che si percepiscano in contemporanea altre entrate (sotto i 3mila euro annuali scatta l'esenzione). È previsto anche un rimborso spese per i viaggi, sia di andata che di ritorno, sempre che la distanza sia maggiore di 50 chilometri. Anche per le missioni speciali sono riconosciuti emolumenti extra: la base del tirocinio è infatti Bruxelles, nonostante – come confermano dall'ufficio stampa – si possa essere assegnati anche a Lussemburgo («ci va circa il 10% degli stagisti»), o talvolta Strasburgo. Quel che è certo è che capita di essere inviati in missione presso altre sedi: in questo caso l'istituzione versa 180 euro di diaria per la prima giornata, e per i giorni a seguire budget minori di circa 90 euro (qui i dettagli). Il processo di selezione è aperto pressoché tutto l'anno visto che le tornate sono ben quattro. Tuttavia farsi largo tra le migliaia di domande è piuttosto faticoso considerando che ne arrivano circa 6mila l'anno (e la quota è in salita) e i posti sono meno di duecento (177 in totale nel 2012). Per chi si aggiudica il tirocinio la partenza è fissata per il primo aprile 2015. Gli stage hanno durata trimestrale ma – è specificato sul sito - «possono essere prorogati, a titolo eccezionale, per una durata massima di tre mesi».La partecipazione è consentita a tutti i titolari di un qualsiasi diploma universitario, sia triennale che specialistico (per inciso va detto che esiste questa opportunità anche per chi sta ancora studiando: si tratta di tirocini curriculari, che in tal caso l'Europarlamento rimborsa con 300 euro mensili). Non ci sono indicazioni particolari per quanto riguarda le materie di studio, perché - è evidente - per uno stage da traduttori l'essenziale sono le lingue: si accetta solo chi abbia una perfetta conoscenza di una delle lingue ufficiali dell'Unione o di quella di uno dei Paesi candidati e una conoscenza approfondita di altre due lingue ufficiali Ue. I paletti sono però anche altri: il regolamento stabilisce che è necessaria «la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea o di un paese candidato e non aver usufruito di un tirocinio o di un impiego retribuito di più di quattro settimane consecutive a carico del bilancio dell'Unione europea». La domanda va spedita online qui (ed è consigliato, suggeriscono i responsabili sul sito,  organizzarsi per tempo «dato che un gran numero di domande potrebbe sovraccaricare il sistema»). Il formulario è da compilare in inglese o in francese, le stesse lingue in cui dovrà essere redatta la lettera motivazionale (non più di 2mila caratteri).  A quel punto «l'unità Formazione e tirocini esamina la ricevibilità delle candidature, in base alle condizioni generali di ammissione» e «trasmette tutti i dati pertinenti riguardanti le singole candidature ai servizi di assegnazione della Direzione generale della traduzione, tenendo conto della lingua madre del candidato» chiarisce la normativa. Per essere selezionati contano aspetti come le «qualifiche e le attitudini dei candidati» (è obbligatorio allegare un modulo speciale sul proprio excursus accademico), ma anche «le esigenze specifiche correlate alle attività della Direzione generale della traduzione e alle rispettive capacità di accoglienza». Entra in gioco poi il criterio geografico («i servizi di assegnazione prendono in considerazione una ripartizione geografica dell'origine dei candidati quanto più equilibrata possibile») e quello di genere per garantire «l'equilibrio fra uomini e donne». I servizi di assegnazione comunicano quindi all'unità Formazione e tirocini le scelte effettuate, classificate in ordine di priorità. Completata la selezione, si informa il Comitato dell'esito finale, che verrà a sua volta comunicato ai candidati per email. Inutile quindi controllare tra i contenuti sul sito. La risposta arriva solo nella propria casella di posta elettronica, a qualche mese dall'invio della candidatura: in questo caso entro la fine del 2014. Ilaria Mariotti 

Giovani e start up, l'ostacolo più grande è la pubblica amministrazione

Pietro Gabriele è il creatore di Fonderie Digitali, laboratorio multidisciplinare tra i primi a disegnare prototipi da stampare in 3D. Federico De Simone ha fondato Makoo, un software che trasforma messaggi vocali in modelli tridimensionali per produrre gioielli. Carlo Mastroianni è invece un ingegnere alla guida di Eco4Cloud, una società di high tech che offre servizi per l'efficienza dei sistemi informatici delle imprese. Sono solo alcuni degli 'Innovation Champions' invitati al convegno organizzato qualche giorno fa dal Consiglio Nazionale delle Ricerche 'Innovating Innovation', interessato – come spiega la locandina - «a investigare sui meccanismi, metodi, buone pratiche dell'innovazione in modo trasversale, senza trascurare l'aspetto problematico, le difficoltà, i fattori frenanti». Più un covo di cervelloni che un meeting per la stampa in verità, ma utile a squarciare un velo su quel fermento imprenditoriale italiano che – nonostante le apparenze – esiste. Lo testimoniano questi cosiddetti 'Campioni dell'innovazione', ovvero «aziende, in particolare pmi, che si caratterizzano per essere in grado di innovare adottando soluzioni vincenti» spiegano i fautori dell'iniziativa. Al loro fianco ci sono gli 'Innovation Angels', organizzazioni che si occupano di finanziare gli innovatori, magari sfruttando le occasioni offerte dai bandi europei. Michele Missikof è uno di loro e fa parte del cosiddetto progetto Bivee (Business Innovation in Virtual Enterprise Environments), un progetto di ricerca europeo che sviluppa una piattaforma per gestire il processo di innovazione e di cooperazione tra piccole e medie imprese. Paolo Merialdo è invece un ingegnere di InnovAction Lab, associazione no profit nata nel 2011 che periodicamente seleziona e riunisce centinaia di giovani italiani interessati al mondo delle start up attraverso seminari e summer school. Da cui talvolta arriva anche qualche finanziamento, grazie alla partecipazione di investitori qualificati. Una due giorni, quella romana, che in sostanza contraddice la convinzione comune per cui l'imprenditoria italiana sarebbe dormiente. 'Innovating Innovation' ha dimostrato che invece nel Paese circolano idee, ci sono giovani che si rimboccano le maniche e lanciano progetti futuristici o avanguardie di vario genere. Il genio italico non sembrerebbe insomma del tutto perduto. Certo, le criticità sono tante e diversificate. E a parlarne, in occasione della convention per gli addetti ai lavori, sono stati gli 'Innovation Promoters', ovvero chi «agevola l'innovazione, con interventi di tipo normativo, finanziario, infrastrutturale». «Dobbiamo fare sistema» dice ad esempio Fulvio D'Alvia, in rappresentanza di Confindustria e RetImpresa. «Abbiamo tante eccellenze ma che non collaborano tra di loro, così si creano economie molecolari e parcellizzate». Si perde forza e le aziende finiscono per «avere difficoltà ad andare oltre l'anno di vita, o anche solo a elaborare business plan articolati». A intervenire sulla necessità di fare rete è stato anche Stephen Trueman, direttore di Sapienza Innovazione, network che «promuove il dialogo tra università, centri di ricerca, associazioni di categoria, consorzi di imprese e imprenditori,  nel supportare l'integrazione e la commercializzazione delle invenzioni e delle conoscenze scientifiche ad alto potenziale innovativo e commerciale» come spiegato sul sito. Anche perché in Italia, sottolinea Trueman, «il 90% delle imprese è di piccole o medie dimensioni e gli impiegati di questa tipologia di aziende sono l'80% del totale». «In questo modo eviteremmo di lavorare tutti sulle stesse cose, sugli stessi bandi», gli fa eco Lino Fiorentino, di Consorzio Roma Ricerche. Ma i fattori che ostacolano e rallentano l'innovazione (in gergo gli 'Innovation Blockers') sono anche altri. E ben più sostanziali, come gli investimenti («per essere nella media internazionale a noi mancano 20 miliardi» rilancia Franco Patini di Aica, associazione per l'informatica). Il decreto Sblocca Italia, denuncia Patini, è «avvilente: si parla ancora di banda larga, di grandi progetti come il Mose, ma non c'è nulla per l'innovazione digitale». Il più duro è Roberto Magnifico, direttore di Luiss Enlab, l'incubatore per start up della Luiss. Per capire fino a che punto siamo indietro, come «l'Italia sia seduta» e la stessa istruzione sia tra i settori più statici basta pensare che «al Cnr si usa ancora Windows Xp: è pazzesco». La Pubblica Amministrazione crea solo blocchi, «legifera per alzare barriere», mentre l'imprenditoria italiana è diventata «smidollata», protetta dentro gli stessi recinti di sempre. Una scossa è quello che ci vorrebbe, ed è ciò che chiedono i relatori a incontri come questi. Dove si uniscono energie e l'Italia non sembra più un Paese fermo.  Ilaria Mariotti 

Quattro borse di studio per studiare e capire il lavoro che cambia

Raccontare, pensare e studiare il lavoro che cambia. Fondazione Feltrinelli lancia l’iniziativa "Spazio Lavoro", un progetto di ricerca per capire come si evolvono nel nostro paese le dinamiche del mondo del lavoro. Quattro borse di studio del valore di 10mila euro ciascuna, finanziate dal crowdfunding, per rispondere alla necessità di creare nuovi posti di lavoro.  Fino a che punto l’Italia ha adeguato le strutture sociali, le forme di tutela e di rappresentanza? Su quali strategie puntare per fermare la crescita del tasso di disoccupazione che ha oramai superato il 12,6%?«Il lavoro sta cambiando e l’Italia non è preparata» dice Carlo Feltrinelli, presidente della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli «con questa iniziativa vogliamo aprire un dibattito per cercare nuove regole che diano non solo speranze, ma anche opportunità a chi lavora e a chi un lavoro non ce l’ha. Abbiamo cercato di coinvolgere enti pubblici e privati convinti che questo possa mettere in circolo energie positive». Il progetto vedrà la collaborazione dell’ IZA, l’istituto per gli studi sul lavoro di  Bonn e del  comune di Milano che attraverso l’assessore alle politiche per il lavoro Cristina Tajani presenta così l’iniziativa: «La collaborazione con la Fondazione Feltrinelli vedrà nel 2015  la presentazione dei risultati che permetteranno all’Amministrazione di valutare l’andamento del mercato del lavoro durante Expo e di adottare politiche innovative per favorire l’occupazione».Quattro saranno i percorsi di ricerca sviluppati da Spazio Lavoro e vedranno la collaborazione di altrettante università italiane: “Capitale Umano” curato dal professor Mauro Magatti insieme all’Università Cattolica di Milano , “Società e lavoro”, coordinato dal professor Enzo Mingione  e l’università Milano-Bicocca, “Impresa e lavoro” con il Professor Alessandro Pansa dell’università LUISS di Roma, nonché CEO di Finmeccanica fino al maggio scorso,  “Denaro” curato dal professor Giuseppe Berta con l’Università Bocconi. L’impatto delle nuove tecnologie su lavoro e occupazione, la crisi dei sindacati, le nuove forme di azienda e di impresa sostenibile saranno i temi al centro dei percorsi di studio. Un lavoro che potrà partire dall’analisi delle startup che nella giornata di lancio di “Spazio Lavoro” hanno portato la loro esperienza al fianco di quella dei docenti universitari.Le nuove frontiere hanno nomi inglesi, ma sono idee tutte italiane: WeMake, Cowo, Social Farming e Dynamo Camp nascono in settori diversi, ma tutte con la stessa filosofia: l'economia condivisa. La parola d’ordine di WeMake è “fare”, chi ha un’idea può realizzarla nei laboratori della community dove si trovano stampanti 3D, frese, macchine da cucire e altri strumenti. Cowo mette a disposizione dei professionisti tutto il necessario per l’ufficio, oltre alla possibilità di fare networking e unire competenze diverse. Scrivania, pc, wifi e sale riunioni dove spesso professionisti di diversi settori creano nuovi progetti. Si calcola che delle 161 community di Cowo in 104 città italiane portino un giro d’affari di 700mila euro l’anno. Social Farming pensa al mondo dell’agricoltura e grazie alla sua piattaforma ha creato sul web una rete di relazioni fra imprese agricole. Così si promuovono e si vendono prodotti di agricoltura sociale. Dynamo Camp Onlus, invece è la struttura di terapia ricreativa nata per creare opportunità di connessione fra il “mondo profit” e il mondo “non-profit”. La chiamano “Venture Philantopy”, cioè un’impresa che funziona grazie all’attività di 360 volontari che ogni anno assistono minori la cui vita è compromessa da gravi malattie. Quattro esempi del lavoro che è già cambiato e che adesso faranno da modello alla ricerca.Una “startup” è anche la forma di finanziamento del progetto Spazio Lavoro. L’obiettivo è quello di raggiungere i 40 mila euro, «un traguardo ambizioso» spiega ancora Feltrinelli « perché si tratta del primo caso in Italia di ricerca finanziata attraverso una piattaforma di crowdfunding». C’è tempo fino al 10 novembre per sostenere l’idea della Fondazione, che alla chiusura della raccolta fondi pubblicherà un bando che definirà le modalità di presentazione delle domande e i vincitori. «Noi crediamo molto nella raccolta fondi come strumento per riavvicinare e sensibilizzare i cittadini al tema della ricerca» fanno sapere dalla Fondazione «per questo abbiamo scelto il crowdfunding e metteremo a disposizione del progetto e delle borse di studio la capacità attrattiva della Fondazione rispetto ad investitori privati perché si completi il raggiungimento della cifra prevista». 

Jobs Act, partite Iva, articolo 18 e molto altro: il ministro Poletti "a domanda risponde"

Si possono dire molte cose dell'attuale ministro del lavoro, tranne una: che si sottragga al confronto. Il passato nella rappresentanza di un settore ad alto tasso di dibattito - quello delle cooperative - certamente aiuta: sta di fatto che Giuliano Poletti affronta tutti i pubblici con energia e non schiva le domande. Ultima prova, l'incontro organizzato ieri a Milano dal circolo 02PD, dal titolo «Il lavoro, la nostra emergenza», strutturato proprio come un botta e risposta tra il pubblico e il ministro, con batterie di domande pre-selezionate e raggruppate secondo argomenti. Niente moderatore, pochi preamboli, una raffica di domande quasi a interrogatorio. E le risposte di Poletti? Eccole qui, a ruota libera, utili per capire meglio il Poletti-pensiero.Politiche industriali, efficienza dei centri per l'impiego, utilizzo dei contratti di solidarietà«Dobbiamo lavorare perché l'Italia riesca a usare al meglio i suoi potenziali» dice subito Poletti, perché «dove diavolo sta dal punto di vista turistico, culturale, artigianale un paese che ha una base di partenza come la nostra? Noi dobbiamo fare in modo di liberarlo da vincoli, pesi e condizionamenti che impediscono oggi di far partire le imprese». Poi il ministro fa un po' di autocoscienza: «La differenza tra me e Matteo Renzi sono un po' più di venti chili e un po' più di vent'anni; e non è certo un confronto facile. Io sono cresciuto in un'altra epoca, invece adesso la logica è “non fare quello che hai fatto fino a ieri”, dunque non fare le cose nel modo che però io fino a ieri pensavo giusto. Certe mattine quando mi sveglio mi pongo la questione: poi mi rispondo che alla fine tanto giusto non doveva essere, basta guardare dove ci ha portati». Così Poletti spiega l'adesione al metodo “cambiaverso” di Renzi, anche per quanto riguarda le politiche industriali: «Questo è un paese che ha sempre ragionato sulla logica degli incentivi, “aiutiamo a fare”: invece dobbiamo rimuovere gli ostacoli. Anziché dare una vitamina a un cavallo per fargli saltare un ostacolo, non è meglio togliere l'ostacolo? Certo. Non è stato fatto prima perché chi ha la vitamina può decidere quanta darne, quando e a chi». Uscendo dalla metafora: «Le politiche industriali non possono voler dire che è il governo a decidere se è meglio che cresca la domotica piuttosto che la robotica: noi dobbiamo togliere gli ostacoli in modo che ciascun settore possa svilupparsi come meglio riesce. Poi ovviamente in certi settori c'è la spesa pubblica che ha un effetto trainante, perché è un importante acquirente di determinati beni. Dunque dobbiamo bilanciare questi due elementi, la spesa pubblica e la rimozione degli ostacoli: insomma meno incentivi, più libertà». Passando al capitolo dei servizi all'impiego: «I servizi per il lavoro nel nostro paese non sono mai stati una priorità. I centri per l'impiego non sono che l'anagrafe della disoccupazione, non aiutano in maniera equa a trovare una opportunità di lavoro: e così la distribuzione del lavoro finora è stata diseguale». Per cambiare le cose bisogna rompere qualche tabù: «Il lavoro è un mercato. Noi invece abbiamo sempre considerato che avesse un valore tale che non poteva essere toccato dal privato: invece dobbiamo entrare in una logica in cui i servizi al lavoro si comprano, si pagano, e lo Stato li controlla. Vogliamo provare a lavorare insieme, Regioni e Stato, per avere una condivisione sui principi minimi. Lo Stato deve poter attuare una tutela dei diritti minimi dei cittadini, poter intervenire quando le regioni sono inadempienti rispetto alla erogazione di un servizio. Per questo serve una struttura nazionale unica». Poletti ricorda l'attuale frammentazione non solo delle competenze ma anche delle informazioni: «L'Inps ha i dati delle pensioni e della disoccupazione, ma non sa se sei iscritto al cpi. Facciamo un sistema informatico unico nazionale, in modo che tutti sappiano quel che c'è da sapere. Il sistema non porta via niente a nessuno ma funziona da infrastruttura per tutti». Infine sui contratti di solidarietà, quelli che nel momento in cui in un'azienda si profila una riduzione di lavoro e dunque di personale anziché procedere a licenziamenti si riducono le ore di tutti i dipendenti, il ministro spende parole positive: «Pensiamo sia una buona modalità quando un'azienda ha poco lavoro, il danno che soffre il lavoratore è minore rispetto al licenziamento». E aggiunge in maniera un po' inaspettata: «Si può usare anche in caso ci sia più lavoro, per permettere a un'azienda di assumere qualcuno in più. È chiaro che però si tratta di un meccanismo volontario, dunque se un'azienda non vuole utilizzarlo, non la si può obbligare». Secondo Poletti bisogna puntare a una «buona ed equa ed equilibrata distribuzione del lavoro tra i lavoratori», anche riprendendo in mano la questione giovani - anziani: «Con l'innalzamento dell'età pensionabile noi abbiamo alzato un muro. Ora dobbiamo costruire un meccanismo per cui qualcuno di quelli più anziani vada in pensione e faccia posto a qualche giorno. Lavorare full time fino a 67 anni e poi da un giorno all'altro non lavorare più per niente a me sembra una cazzata incredibile» si lascia scappare il ministro: «Dobbiamo anche cambiare la dinamica salariale: oggi si guadagna di più a fine carriera, bisognerebbe invece avere il massimo del guadagno quando si inizia, e si ha bisogno di più soldi per andare a vivere per conto proprio, maritarsi, metter su famiglia».Partite Iva utilizzate impropriamente nelle professioni sanitarie e negli studi professionali, illicenziabilità dei dipendenti pubblici anche se inefficienti, connessione tra Jobs Act ed Expo per permettere che i posti di lavoro creati da Expo si possano stabilizzare una volta finito l'evento.Per replicare a questo blocco di domande il ministro sceglie di partire dai lavoratori pubblici: «Dovremmo andare verso una logica unitaria di rapporto di lavoro; la differenza del pubblico è fondamentalmente che si accede al posto attraverso concorso. Ma molte altre cose dovrebbero essere analoghe al settore privato. Noi abbiamo cominciato a mettere mano a questo meccanismo, con la mobilità e i tetti di stipendio. Continueremo a lavorarci». E allarga il ragionamento al macrotema del mercato del lavoro e delle tipologie contrattuali: «L'Italia ha molti vizi storici, molte cose succedono perché le si lascia accadere. Noi abbiamo raccontato che il contratto a tempo indeterminato è quello fondamentale, giusto, su cui puntare. Siamo d'accordo tutti, fatto salvo il banale particolare che negli ultimi anni su 100 contratti, solo 15 sono a tempo indeterminato. Com'è possibile che i contratti che fanno a schifo a tutti quanti valgano l'85% del totale? Noi abbiamo pensato che se vogliamo che il contratto a tempo indeterminato vinca, dobbiamo metterlo in condizione di sbaragliare gli avversari. Dunque abbiamo pensato di dotarlo di una norma chiara e con una riduzione dei costi». Una sorta di antipasto rispetto a quel che dirà dopo, rispondendo alla domanda specifica sul Jobs Act. E per quanto riguarda le partite Iva? «Tutto il problema sulle finte partite iva e i cocopro viene dal fatto che questi contratti sono meno costosi e meno tutelati. É normale che l'imprendistore scelga quelli che costano di meno e sono più flessibili». Il ministro ribadisce la promessa di «cancellare una serie di tipologie contrattuali precarie: lo faremo. Lasceremo il contratto a termine, il contratto a tempo determinato. Lasceremo ovviamente anche la partita Iva, che peraltro dal punto di vista lessicale è una definizione che mi fa incavolare» scherza «perché noi siamo riusciti a far diventare delle persone un regime fiscale». L'orientamento del governo sembra quello di definire una serie di mestieri “compatibili” con la partita Iva: «Dobbiamo stabilire delle modalità che permettano di definire i mestieri che si possono e non si possono fare in termini professionali. La segretaria o il muratore non sono mestieri che si possono fare a partita Iva. Una infermiera può lavorare a partita Iva in un ospedale? Non credo proprio. Stiamo valutando se si possa percorrere questa strada, la discussione è ancora in corso, é uno dei temi su cui stiamo ragionando». In generale il ministro afferma che la lotta alle tipologie contrttuali farlocche va combattuta sul frinte della convenienza «Bisogna ridurre l'opportunità, ridurre la differenza di costo, e quando ti becco ti legno»: perché «ci sarà una semplificazione. E quando l'avremo fatta, chi sbaglia pagherà». Le partite Iva sono anche nella legge di stabilità: «La logica della norma, lunga ben dieci pagine, è che una persona che lavora a partita iva con un reddito limitato, può avere una forfettizzazione; così diamo una mano alle partite iva nuove, più giovani, che sono anche una risposta alla disoccupazione. Abbiamo deciso di aiutarle dal punto di vista fiscale e burocratico». Oltre a quelle finte, però, Poletti dice di non voler ignorare quelle vere: «Preoccupandoci di quelle false, le altre le abbiamo un po' dimenticate». Qui dunque bosogna puntare alla «valorizzazione delle vere partite Iva» attraverso «uno di quegli atti di “pulizia” necessari che servono a semplificare e chiarire. Vogliamo pulire il mercato e dare a ognuno ciò che è ragionevole». E il discorso va allargato al «metodo che si usa in Italia per fare le leggi. Noi ci siamo inventati i contratti parasubordinati, creando poi intorno regole incorporate una nell'altra per definire cosa si può fare e cosa no all'interno di questi contratti, e allora anche i controlli diventano impossibili. Non vogliamo fregare quelli che legittimamente fanno i professionisti, ma non vogliamo permettere all'imprenditore di inquadrare come partita Iva il suo lavoratore, facendogli fare una o due fatture al mese».Jobs Act, effetti della semplificazione della licenziabilità sugli stipendi, rapporto tra decreto Poletti e Jobs Act, primi risultati del decreto poletti sull'apprendistato, associazioni sindacali«Non sono convinto che le cose che stiamo facendo indichino una significativa semplificazione della licenziabilità» esordisce Poletti in risposta a questo blocco di domande: «In più oggi il salario è fissato dai contratti di lavoro, dunque un imprenditore non può fissare il salario a seconda di come va il mercato: il contratto rappresenta un elemento di tutela. Ma se in questo Paese vogliamo avere più lavoro abbiamo bisogno che le aziende scommettano sul futuro e decidano di crescere. E l'Italia purtroppo non è particolarmente amica di chi vuole fare l'imprenditore sul serio» e qui il ministro fa l'esempio della lentezza della giustizia civile: «In Italia funziona al rovescio, chi non paga un fornitore lo guarda e gli dice “cosa fai, mi porti in tribunale?”. Questo è un elemento velenoso del sistema. La confusione che abbiamo nel versante del diritto del lavoro, del fisco, del diritto ambientale porta agli stessi nefasti risultati». La ricetta che propone Poletti è quella di mettere in pratica più velocemente e fedelmente le normative europee: «Siamo in Europa: dunque approviamo le normative europee, le applichiamo subito traducendole in maniera letterale, senza ritardi e cambiamenti come finora invece è stato». Sul tema della sovrapposizione tra lavoro a tempo determinato e tempo indeterminato, Poletti ammette: «Non siamo ancora arrivati a risolvere questo problema. Il tema si pone, lo risolveremo in sede di decreto attuativo. Noi dobbiamo sempre prevedere tutti gli effetti che a lato della norma si provocano: insomma di esodati non ne vogliamo più fare, se si può». Il ministro pensa che «tendenzialmente i due contratti possano essere incrociati. Non totalmente sommabili, ma dovremo trovare un punto di incrocio, dando la possibilità di “traslocare” nel contratto a tutele crescenti dopo qualche periodo di tempo determinato. Costruiremo un meccanismo che sia conveniente sia per il lavoratore sia per l'impresa: non so ancora quale sarà il punto di caduta dell'atto ma la logica sarà questa». Rispetto all'associazionismo, infine, si rammarica: «È un articolo della Costituzione che non è mai stato praticato, per paura che normare questa materia limitasse la libertà. Che ci sia una qualche regola che stabilisca che una organizzazione risponda di quello che fa, a me sembra giusto. ostruire quattro punti cardinali di riferimento»Jobs Act, articolo 18 e pregiudizio ideologico, reintegro, accesso al credito per i precari, confronto con politiche di Francia e altri Paesi europei«Innanzitutto noi non togliamo niente a nessuno» mette le mani avanti il ministro entrando nel vivo della discussione, «dato che chi ha il vecchio contratto se lo tiene. Nel contratto a tutele crescenti che stiamo pensando è vero che c'è un raggio di azione del reintegro effettivamente più ristretto», e questo desta scalpore perché in Italia è piuttosto radicata la convinzione «che solo attraverso il giudizio di un tribunale ci sia la giustizia». Ma il discorso va inquadrato un po' più da lontano, perché se si pensa che una volta perso il lavoro non se ne troverà facilmente un altro, è naturale percepire il diritto al reintegro come fondamentale. Ma se invece cambia l'assetto generale del mercato del lavoro? «Noi in Italia abbiamo una storia di tutele attraverso trasferimenti monetari: se c'è un problema aziendale, stai a casa e io ti dò un po' di soldi per un tot di anni. In Italia gli ammortizzatori sociali costano 24 miliardi di euro, di cui 9 pagati da aziende e lavoratori e 14 pagati dalle tasche degli italiani. Forse é ora di capire che quei 24 miliardi vanno spesi meglio. Dobbiamo uscire dalla logica di pagare la gente per rimanere inattiva, questa situazione è tossica. Noi dobbiamo spingere le persone a uscire fuori, a ricercare una nuova occupazione, rinnovare le proprie competenze. Ci sono persone che restano 8, 10, 12 anni a carico dello Stato. È giusto che ai padri venga garantito questo genere di assistenza, e ai figli no?». Il ministro cita indirettamente la Cgil, facendo riferimento a coloro che chiedono che il sistema resti il medesimo per le vecchie generazioni, e venga esteso anche alle nuove: «Non ci sono fondi per estendere questo sistema; dobbiamo invece riformarlo, secondo criteri di equità ed efficienza». Detto in parole povere, «Se sei disoccupato ti aiuto a campare ma anche a ritrovare una nuova occupazione», oppure un po' meglio: «Dobbiamo fare una operazione di ricostruzione di un meccanismo di ammortizzatori sociali che devono andare verso l'universalizzazione». Scardinando il più possibile il concetto della passività: «Se tu cittadino ricevi qualcosa dalla comunità, devi ridare qualcosa: innanzitutto la disponibilità». Disponibilità a presentarsi al centro per l'impiego, andare a colloqui, corsi di formazione, accettare nuove opportunità di lavoro. E qui il cerchio si chiude: «In un contesto come questo il tema del reintegro perde la sua virulenza, perché chi resta senza lavoro non viene più abbandonato, ha una tutela per quanto riguarda il reddito e una tutela nei termini di ricollocamento al lavoro». Il ministro cita la Germania, un Paese dove il reintegro è previsto: «Lì anche di fronte a una sentenza di reintegro sia l'azienda sia il lavoratore possono rivolgersi a un altro magistrato per far verificare che sussistano le condizioni di fiducia per poter continuare il rapporto di lavoro. Si sono dunque posti il problema della natura del rapporto di collaborazione tra un lavoratore e un datore di lavoro».Poletti passa poi al tema dell'accesso al credito: «Prima o poi bisognerà che le banche si sveglino: se l'80% dei contratti oggi è precario dovranno adeguarsi, o nuovi soggetti arriveranno a soddisfare quella domanda di credito da parte di chi non ha molte garanzie da offrire. Già sono arrivate le banche virtuali, con il conto che non costa. L'innovazione distrugge il vecchio, bisogna inventarsi il nuovo: nel caso delle banche bisognerà che ricostruiscano il sistema finanziario».Garanzia Giovani, riforma del titolo V«Francia e Italia sono i due paesi europei che hanno visto approvato il loro programma a luglio, di solito arriviamo ultimi, invece stavolta siamo stati tra i primi» esordisce Poletti parlando della Garanzia Giovani, il grande programma di matrice europea per l'occupabilità dei giovani senza lavoro che considera molto importante come segnale di attenzione alle nuove generazioni: «Fino a Garanzia Giovani dei ragazzi italiani nessuno si era occupato». E però «noi siamo partiti da una situazione molto complicata perché non abbiamo servizi per l'impiego che funzionano. Siamo partiti facendo una scommessa che ora proviamo a vincere: facciamo il progetto e contemporaneamente costruiamo la macchina per gestirlo. Perché noi la macchina» cioè la rete di servizi all'impiego funzionante su tutto il territorio nazionale «non ce l'avevamo. Ma abbiamo scommesso insieme alle regioni di far partire lo stesso l'iniziativa lo scorso maggio». La Garanzia Giovani stenta però a decollare: «Siamo a 250mila giovani iscritti. C'è chi dice che sono pochi, ma quanti stadi servirebbero per contenerli tutti? Ci accusano di non aver fatto un clicday, e meno male perché poi succedono i disastri coi server. La verità è che Garanzia Giovani oggi ha un problema naturale: abbiamo più iscrizioni nei posti dove abbiamo più disoccupati, che sono proprio i posti dove ci sono meno opportunità. A Milano ci sono più aziende disponibili a far fare uno stage piuttosto che a Catanzaro o a Enna». La sfida insomma è mettere in funzione un sistema funzionante di politiche attive per il lavoro: «Dobbiamo costruire da zero il servizio e le opportunità. Siamo convinti che se riusciamo a far andare in porto questa operazione, stiamo costruendo i nostri nuovi servizi all'impiego». Poletti non nasconde che ci siano Regioni molto indietro con l'implementazione dei servizi di Garanzia Giovani: «Ci stiamo interrogando su cosa fare con lquelle che non stanno facendo quello che dovrebbero, per garantire ai giovani di quei territori lo stesso diritto di “garanzia”». Il problema sono le competenze, che per quanto riguarda la formazione professionale e i servizi all'impiego dalla fine degli anni Novanta sono in capo alle singole Regioni: «Il problema oggi è che a normativa data il potere di intervento è limitato a casi di eclatante gravità. Fino ad ora siamo andati avanti con accordi con le Regioni, ora stiamo pensando a come mettere in atto operazioni di sostituzione. Il primo round ci dice che rischiamo di aprire un conflitto di competenze di fronte alla Corte costituzionale e se ne riparla tra cinque anni. Praticamente la metà del lavoro della Corte costituzionale» aggiunge sconsolato il ministro «è focalizzata sul dirimere contrasti tra stato e regioni». Qualcosa però in futuro potrebbe cambiare: «Sicuramente con il nuovo assetto del titolo V questo aspetto è affrontato, perché ci sono meccanismi molto più dinamici di sostituzione». Per chiudere il ministro snocciola alcuni dati numerici: «Dei 250mila giovani registrati già 60mila hanno fatto i colloqui» ammette che il problema da affrontare di petto adesso «è quello delle opportunità» e si toglie anche qualche saassolino dalla scarpa: «Abbiamo anche il problema di gestire questi progetti in maniera coerente con un impianto burocratico europeo che chiede cose spropositate».La modalità della raffica di domande sembra aver soddisfatto tutti. È quasi mezzanotte, un applauso e tutti a casa.

Stagisti laureati, per loro il compenso è un diritto: ma la Corte costituzionale fa eccezione

Oggi scade un bando di stage rivolto a quattro laureati. Non è un bando qualsiasi: lo ha aperto qualche settimana fa la Corte Costituzionale, blasonato organo previsto dalla nostra Costituzione per giudicare le «controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni», i «conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni» e, in rari casi, le «accuse promosse contro il Presidente della Repubblica». Il bando è rivolto a laureati, e ciò significa che gli stage in questione sono  di tipologia extracurriculare - salvo il caso particolare di una persona già laureata che stia svolgendo un master o un dottorato. C'è però un problema: per questi stage non è previsto un euro di rimborso spese. Esatto: sono gratuiti. In contrasto con tutte le nuove leggi che assicurano agli stagisti extracurriculari un compenso, con le soglie minime fissate da ciascuna Regione per il proprio territorio.Nel bando si legge che la Corte costituzionale «intende offrire a neo-laureati di vecchio e nuovo ordinamento la possibilità di effettuare periodi di stage denominato “Programma di stage Corte costituzionale – Università”» con l'obiettivo di «avvicinare mondo accademico e mondo del lavoro offrendo a neo-laureati la possibilità di effettuare un periodo di formazione presso la Corte costituzionale». La Corte aprirà le porte del suo Servizio Studi e del suo Massimario per stage di 6 mesi a quattro «laureati interessati all’approfondimento delle tematiche proprie del diritto costituzionale e della giustizia costituzionale» che abbiano meno di 30 anni e abbiano preso una votazione minima 105/110, sappiano le «lingue straniere nell’ambito delle principali aree europee». Gli aspiranti stagisti possono essere iscritti «ad un dottorato di ricerca, ad una scuola di specializzazione o ad un master riguardanti le tematiche sopra richiamate», oppure essere beneficiari di una borsa di studio, o «in possesso di altri titoli equivalenti comunque rilasciati dalle università».Ma attenzione: tutto questo completamente gratis. «Lo stage non può in alcun modo e a nessun effetto configurarsi come rapporto di lavoro» si legge nel bando, e fin qui tutto bene, ma poi arriva l'inaspettato: «né può dar luogo a pretese di compensi o ad aspettative di futuri rapporti lavorativi». La formula è un tantino vessatoria: «Non sono configurabili pretese del partecipante in ordine ai contenuti, alle modalità ed ai risultati dello stage», dice la Corte nel bando stoppando dunque preventivamente ogni minima possibilità di lamentela, e infine la frase forse più gretta: «o in ordine alle spese ed agli eventuali inconvenienti che esso potrebbe comportare a carico dell’interessato». Cioè in pratica: non ce ne importa un fico secco se per fare lo stage dovrete rimetterci di tasca vostra. Laureati avvisati, mezzi salvati.Sono state le università, in queste settimane, a fare la cernita delle candidature, per mandare poi una rosa ristretta alla Corte: «Una volta recepite le candidature le Università o Istituzioni procedono ad una prima preselezione – sulla base dei requisiti richiesti dal presente bando – volta alla definizione della rosa di non più di tre candidati, da parte di ciascuna Università o Istituzione, da trasmettere all’Amministrazione della Corte costituzionale» spiega il bando: «La Corte costituzionale procederà, una volta chiusi i termini per la raccolta delle candidature, alla selezione finale dei nominativi degli ammessi». Ma come è possibile che la Corte Costituzionale preveda di fare degli stage gratuiti per neolaureati? Dato che ha sede a Roma, non dovrebbe assoggettarsi alla deliberazione regionale 199/2013, che prevede che a tutti i tirocinanti extracurriculari debba essere corrisposta un'indennità minima di 400 euro lordi mensili? Anche alcune università, sorprese dalla mancanza di rimborso spese, se lo sono chiesto, decidendo di chiedere lumi; e lo stesso ha fatto la Regione Lazio.La Corte Costituzionale a tutti gli interlocutori ha risposto nella stessa maniera. La dgr 199/2013 è stata emanata in attuazione dell’accordo adottato in Conferenza Stato - Regioni il 24 gennaio 2013, sulla base della Riforma Fornero (per la precisione secondo l’articolo 1 comma 34 della legge 92/2012: la riforma Fornero, appunto). Questa legge prevede che le disposizioni in essa contenute valgano per tutte le imprese private e anche per gli enti pubblici, ma sorpresa: non per tutti. Il testo infatti fa specifico riferimento alle «pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001».E quali enti pubblici elenca il decreto legislativo 165 del 2001? Si legge nel testo: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale». La Corte costituzionale non c'è. Dunque, non è nemmeno assoggettata all'accordo Stato-Regioni sui tirocini. Dunque, nemmeno alla legge regionale del Lazio. «La Corte Costituzionale, in qualità di organo costituzionale, non rientra tra le pubbliche amministrazioni di cui al citato articolo art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, e, pertanto, non è tenuta ad applicare quest’ultima legge, né, di conseguenza, aderire all’accordo adottato dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 24 gennaio 2013». Questa la risposta fornita per iscritto a una delle università che hanno sollevato la questione: per questo «la Corte, nell’esercizio della sua autonomia, ha deciso di offrire opportunità formative ai neo laureati nei modi e termini di cui al bando, non prevedendo alcun rimborso/compenso».Ma davvero si può pensare che la Corte costituzionale non sia una amministrazione dello Stato? E peraltro, anche se così è dal punto di vista strettamente giuridico, c'è in ballo anche una questione di opportunità: nel momento in cui si chiede alle aziende private e a praticamente tutti gli enti pubblici di pagare le indennità agli stagisti extracurriculari, è accettabile che un organo pubblico così importante come si permetta di aprire tirocini gratuiti, dando il cattivo esempio?Dal bilancio 2014 della Corte Costituzionale emerge una spesa annuale di 8 milioni 724mila euro per le sole retribuzioni dei giudici, unitamente ai contributi e alle spese di viaggio; più altri 27 milioni 331mila euro circa per il personale in servizio (un totale di 330 dipendenti di cui 204 di personale di ruolo in servizio, 58 di personale "comandato", 44 militari in forza al Comando Carabinieri Corte costituzionale, 4 unità di personale del presidio dei Vigili del fuoco, più 4 persone a contratto) e oltre 20 milioni di euro per il personale in quiescenza (235 pensionati della Corte costituzionale, di cui 22 ex giudici e 9 loro superstiti più 119 ex dipendenti e 85 loro superstiti). Una borsa di studio di 400 euro lordi al mese per 6 mesi avrebbe un costo di 2.400 euro lordi: moltiplicando questa cifra per ciascuno dei quattro stagisti per i quali  è stato pubblicato il bando in questione, si evince che per la Corte Costituzionale adeguarsi alla legge regionale del Lazio sui tirocini sarebbe costato, in questo caso, solamente 9.600 euro. Davvero impossibili da trovare nelle pieghe del bilancio? La Repubblica degli Stagisti ha posto questa domanda direttamente alla Corte, contattando il suo ufficio stampa: l'auspicio è che arrivi presto una risposta, e che venga avviata una riflessione in merito per modificare la policy e prevedere, a partire dal 2015, un compenso a favore dei giovani laureati in Giurisprudenza che svolgono stage all'interno della Corte Costituzionale.Eleonora Voltolina