Categoria: Notizie

Da oggi online il monitoraggio informale di Garanzia Giovani promosso da Repubblica degli Stagisti e Adapt

Vogliamo saperne di più della Garanzia Giovani. Funziona? I giovani vengono convocati? Quali sono le proposte che ricevono? È importante capirlo, perché su questo progetto di matrice europea è stato investito un mucchio di soldi, 1 miliardo e mezzo di euro per il biennio 2014-2015: e il primo di questi due anni sta quasi finendo, senza che la Garanzia Giovani abbia finora prodotto grandissimi risultati. Anche perché è partita con un certo ritardo, all'inizio di maggio, e si può dire che solo da settembre sia entrata davvero nella fase operativa.Il ministero del Lavoro diffonde settimanalmente i dati numerici, aggiornando il numero degli iscritti Regione per Regione. Ma bisogna andare più a fondo. È necessario e urgente voce ai diretti interessati, offrendo loro la possibilità di raccontare ciascuno la sua personale esperienza con Garanzia Giovani, le sue aspettative. Com'è andata, quanto ha aspettato prima di essere convocato, come è stato accolto, quanto è durato il colloquio, quali opzioni di "presa in carico" gli sono state prospettate.Per questo la Repubblica degli Stagisti ha stretto una inedita alleanza con l'associazione Adapt, che negli ultimi mesi ha concentrato la sua attenzione sulla Garanzia Giovani per denunciare i malfunzionamenti e proporre migliorie. Insieme abbiamo elaborato e messo online da oggi un questionario, veloce e anonimo, che permette a ciascun under 30 che sia senza lavoro di venire a raccontare la sua storia con Garanzia Giovani. Alcune domande sono a risposta multipla, in altri casi lo spazio è libero per poter scrivere liberamente, per esempio per raccontare il primo colloquio.Speriamo davvero che questo strumento possa essere utilizzato da tanti giovani per far sentire la propria voce; a noi permetterà di raccogliere informazioni di prima mano sull'andamento dell'iniziativa, poter capire se sta funzionando oppure no, ed eventualmente elaborare proposte correttive da sottoporre al ministero del Lavoro e alle Regioni. Quanti più giovani sceglieranno di dedicare cinque minuti per partecipare a questo progetto compilando il questionario, quanto più funzionerà il passaparola, tanto più chiara e completa sarà la mappatura che riusciremo a far uscire attraverso questo monitoraggio "informale".L'invito per tutti è quello di compilare il modulo, e sopratutto di far circolare il link attraverso Facebook, Twitter, newsletter, siti, blog e chi più ne ha più ne metta.

Il Jobs Act punto per punto

Sette pagine. Tanto è lungo il "Jobs Act", la riforma del lavoro che il governo Renzi sta portando avanti in Parlamento. Qualche giorno fa il Senato l'ha approvato, con un voto di fiducia, proprio a ridosso dell'incontro a Milano di tutti i capi di stato e di governo sul tema dell'occupazione. Ora la discussione si sposta alla Camera. Ma cosa c'è scritto in questo Jobs Act? Innanzitutto è bene sapere che non si tratta di una legge "normale", cioè di un testo normativo che viene approvato dai due rami del Parlamento, pubblicato in Gazzetta Ufficiale e da quel momento diventa operativo. No. Il Jobs Act è una legge delega: un testo cioè in cui il Parlamento autorizza («delega», appunto) il governo a legiferare su un certo tema, fornendo ovviamente una traccia e un confine a cui il governo dovrà attenersi. Dunque si può pensare il Jobs Act come una partita in tre fasi. Le prime due sono l'approvazione al Senato (avvenuta) e quella alla Camera (in fieri), che però potrebbero necessitare di tempi supplementari perché se la Camera modificherà anche solo una parola del testo approvato dal Senato, ci sarà bisogno di un nuovo passaggio di approvazione da parte di quest'ultimo. Siamo infatti - ancora per poco, forse - una democrazia organizzata come bicameralismo perfetto, e dunque tutte le leggi devono essere approvate da entrambi i rami del Parlamento in maniera univoca. La terza fase, una volta ottenuta l'approvazione definitiva dal Parlamento, sarà giocata dal governo e in particolare dal Ministero del Lavoro: perché a quel punto la squadra di Renzi e Poletti dovrà scrivere i decreti che daranno gambe al Jobs Act - tutti entro un massimo di 6 mesi. Ma cosa prevede, in concreto, questa riforma del lavoro presentata come una rivoluzione dai suoi sostenitori e bollata come una peste bubbonica dai detrattori? Il Jobs Act è composto da un solo articolo, intitolato «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonchè in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro». Il cuore del testo si compone di 8 commi: sostanzialmente per ciascuno dei 4 macrotemi vi è un comma che dice "faremo questo" e il comma successivo che specifica "come lo faremo".Ecco come lo vedo io.Comma 1 e 2. Tra i criteri direttivi che il Parlamento fornisce al governo per elaborare il testo definitivo del Jobs Act sotto il profilo della riforma degli ammortizzatori sociali si trovano, per quanto riguarda gli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, la «previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici», la «revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà» e «delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà», oltre che la sempreverde «semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali». Per quanto riguarda il capitolo delle «strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria», il testo della legge delega prevede una «rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi» e sopratutto una «universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa», cioè i cococo e i cocopro. A fronte di queste migliorie, è prevista l'introduzione di «meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario dei trattamenti» e un generale «adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione o alle attività a beneficio di comunità locali». Insomma, i disoccupati verranno sostenuti di più, ma si dovranno anche dare da fare. Mi piace perché: si ripropone di «assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale», cioè di garantire un sussidio di disoccupazione anche alla maggior parte dei tantissimi lavoratori che finora ne sono rimasti esclusi. Il tassello che mi lascia perplessa: innanzitutto il fatto che, pur essendo nelle intenzioni una riforma degli ammortizzatori sociali in senso universalistico, in realtà non prevede un sussidio universale, a tutti-tutti coloro che restano temporaneamente senza lavoro. Continueranno cioè ad esserci persone che non avranno diritto al sussidio. Inoltre anche l'allargamento non sarà immediato: il testo della legge delega prevede infatti «prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite». Quelle ultime due paroline, «risorse definite», rischiano di voler dire che l'estensione del sussidio ai nuovi beneficiari verrà prevista con una copertura finanziaria limitata, e una volta raggiunta quella cifra, chi lo richiederà resterà fuori. Un meccanismo simile è stato già utilizzato in passato, per esempio con i sussidi "una tantum". Ipotizzando una approvazione definitiva del Jobs Act entro la fine dell'anno, e una pubblicazione dei vari decreti legislativi prima dell'estate 2015, non si potrà parlare di sussidio di disoccupazione davvero esteso fino alla fine del 2018.Comma 3 e 4. Prevede il «riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive». Il governo dovrà mettere a punto il decreto legislativo corrispondente concordandolo con la Conferenza Stato-Regioni, ma è esplicitamente previsto che «in mancanza dell’intesa» il governo possa procedere autonomamente. Anche in questo caso il Parlamento impone al governo di rispettare alcuni criteri, tra cui per esempio la «razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione, e a criteri di valutazione e di verifica dell’efficacia e dell’impatto» e soprattutto la «istituzione […], di un’Agenzia nazionale per l’occupazione, di seguito denominata “Agenzia”, partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali». Tra i punti interessanti vi è il «rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi» - finalmente un po' di accountability! - e la «valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro», che si dovrebbe concretare attraverso «accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo»: andando dunque a imparare là dove le competenze per il collocamento dei lavoratori ci sono davvero.Mi piace perché: è prevista una «valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate» e una «semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive, con l’impiego delle tecnologie informatiche […] allo scopo di rafforzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e favorire la cooperazione con i servizi privati, anche mediante la previsione di strumenti atti a favorire il conferimento al sistema nazionale per l’impiego delle informazioni relative ai posti di lavoro vacanti»: forse potrebbe essere la volta buona per un'adozione su scala nazionale del progetto delle Mappe del lavoro.Il tassello che mi lascia perplessa: essenzialmente che questa Agenzia per l'occupazione, che dovrebbe andare a coordinare le attività dei centri per l'impiego, venga prevista tassativamente «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» e anzi: «al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente». Perché il problema dell'efficacia dei servizi all'impiego, oggi drammaticamente inefficienti, sta anche nello scarso numero e nella scarsa preparazione dei dipendenti di questo comparto.  E allora come si puà pensare che le risorse umane già esistenti, e già comprovatamente inadeguate, possano garantire a chi cerca lavoro «percorsi personalizzati» come avviene per esempio nei Paesi del centro e nord Europa?Comma 5 e 6. In questa parte del Jobs Act viene esposto un auspicio assolutamente condivisibile, la «semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese». Il parlamento chiede al governo di legiferare «con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo» ed eliminando e semplificando le «norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi»: magari! Vengono predisposte anche l'«unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti» e l'«abolizione della tenuta di documenti cartacei». Mi piace perché: perché se venisse davvero realizzato sarebbe una rivoluzione: solo il pensiero che venga introdotto un sacrosanto «divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso», anziché costringere i cittadini a fare file estenuanti, ping pong tra uffici, per consegnare documenti che di fatto la pubblica amministrazione già detiene, fa commuovere. Il tassello che mi lascia perplessa: vi sono nel testo riferimenti al contrasto alle dimissioni in bianco e al lavoro sommerso, e ciò è ovviamente un bene. Specialmente per il primo tema, però, la formula non è incisivissima: il testo promette «modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro», ma non è molto chiara la seconda parte della frase, che recita «anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore». Il proposito di ispirarsi alla risoluzione del Parlamento europeo dello scorso 14 gennaio «sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa» sarebbe poi anche buono, ma come fare con un numero così ridotto di ispettori del lavoro attivi? Nel comma successivo si fa, in effetti, riferimento alla «razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva» con l'istituzione di una «Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’Inps e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale». Basterà?Comma 7. Siamo al punto più controverso: in questo comma sta infatti il cuore della riforma del lavoro, con tutto il dibattito che si è essenzialmente concentrato sull'articolo 18. Che però, curiosamente, non viene nemmeno nominato; così come non vi è alcun cenno al testo normativo del quale esso fa parte, e cioè lo Statuto dei lavoratori. Il testo prevede di «riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo». Il governo Renzi si impegna - sempre entro i soliti sei mesi - a emanare un decreto legislativo «recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro». Il testo licenziato dal Senato prevede che alcuni contratti possano essere aboliti («individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali») per sostenere il contratto a tempo indeterminato «come forma privilegiata di contratto di lavoro» e cioè rendendolo finalmente «più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti». Mentre ora è esattamente il contrario: i contratti precari sono più convenienti di quelli stabili. La modalità attraverso cui Renzi si propone di centrare l'obiettivo è il «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio». E poi anche a livello di diritto del lavoro e di contenzioso si promette una azione decisa di semplificazione, con la «abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative».Mi piace perché: si fa riferimento alla «introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro». Qui il Senato ha apportato una modifica molto importante rispetto al primo testo di Jobs Act che era stato proposto dal Governo, allargando il raggio d'azione di questo compenso orario minimo ai cococo e cocopro.Il tassello che mi lascia perplessa: l'incertezza su quanti e quali tipologie contrattuali verranno soppresse, e quell'«eventualmente anche in via sperimentale» riferito al salario minimo: perché mai in via sperimentale? Se questa misura è già in vigore in oltre due terzi degli Stati europei, ed è stata recentissimamente introdotta anche in Germania, cosa ci sarà mai da sperimentare?Comma 8. Il Jobs Act parla infine di «genitorialità», prevedendo «la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro», in particolare «nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici» (anche quelle al momento escluse). Tra i punti interessanti la «garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro» e la «incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro». C'è posto in questo comma anche per gli asili nido - si parla di «integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi» - e viene prospettata la possibilità di una revisione della legge che regola i congedi di maternità e di paternità, «per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro».Mi piace perché: è un bene che si parli di genitorialità, superando il preconcetto per il quale la conciliazione sarebbe un affare esclusivamente femminile.Il tassello che mi lascia perplessa: una eccessiva gradualità e i contorni troppo sfumati della delega: il congedo di paternità per esempio, che il governo Monti ha varato in maniera quasi offensiva prevedendo un solo giorno di congedo obbligatorio retribuito per i neopadri, verrà rivisto ed esteso oppure no? Inoltre, al posto di terminologie obsolete come il «telelavoro», avrei preferito si parlasse di «smart working» (dato che giace anche in Parlamento una proposta di legge bipartisan in tal senso).Eccolo qui, in sintesi ma non troppo, il Jobs Act di cui tutti parlano. Una misura eccezionale? Uno specchietto per le allodole? Una accozzaglia di buoni propositi che non vedrà mai la luce? Oppure un propulsore per proiettare il mercato del lavoro italiano nel futuro dei Paesi avanzati? Lo potrà dire solamente il tempo. Nel frattempo, noi qui sulla Repubblica degli Stagisti ci prendiamo come al solito con i lettori l'impegno di seguire passo dopo passo l'iter non solo della legge delega, ma anche di tutti i singoli decreti legislativi che dovranno rendere concreto e operativo il Jobs Act.Eleonora Voltolina

Servizio civile, saranno 23mila le opportunità per il 2015: imminente l'uscita del nuovo bando

C'è grande attesa per i nuovi bandi del Servizio civile nazionale. L'uscita è prevista a giorni: «entro i primi di ottobre» assicura alla Repubblica degli Stagisti Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum nazionale servizio civile. Che sul contenuto dei nuovi progetti rassicura: «Tutto come sempre riguardo la durata, di circa dodici mesi, e il rimborso, sempre di 433 euro mensili». Anche per le partenze è confermato come periodo la prossima primavera. L'altra buona notizia è che c'è posto per un numero maggiore di ragazzi rispetto agli anni scorsi: 23mila i posti messi a bando quest'anno, anche se il rialzo dei numeri non sembra andare di pari passo con l'aumento dei fondi. Dopo la soppressione del bando del 2012, gli stanziamenti erano drammaticamente scesi a quota 68 milioni (ridotti di un quarto rispetto al 2007). Nel 2013 l'allora ministro per l'Integrazione Kyenge aveva stanziato 76 milioni, da cui era scaturito il bando più scarno di sempre, con soli 15mila posti disponibili. Oggi «dal fondo nazionale sono arrivati 190 milioni» spiega Borrelli, con un aumento più che doppio sull'anno precedente. La stessa moltiplicazione non è però avvenuta per i posti disponibili. E questo nonostante le coperture, a ben vedere, siano ancora più ampie, perché da quest'anno i vari progetti di Servizio civile saranno associati anche al programma Garanzia giovani. Nello specifico, saranno «42 i milioni di euro provenienti dal miliardo e mezzo di dotazione della Youth Guarantee da destinare al Servizio civile. Fondi che consentiranno l'avvio di 7.432 iter, inclusi nel bacino complessivo dei 23mila» spiega ancora Borrelli. Per questa tipologia di bandi gli interessati dovranno tuttavia rivolgersi alle regioni di competenza, quelle demandate ad attivare i vari percorsi. Peraltro, non tutti i territori sono ancora operativi, «e per quanto riguarda i finanziamenti, ogni regione potrà decidere in merito in piena autonomia» riferisce Borrelli. Dunque, per il momento, nulla di certo. La novità è però che il lavoro di orientamento cambierà: «Se fino a oggi la presa in carico e di creazione del profilo del candidato spettava agli enti incaricati, adesso la palla passa ai centri per l'impiego». Una misura che potrebbe giustificare la necessità di una fetta più cospicua di fondi pubblici, pur non essendo variati in maniera significativa i posti disponibili né tanto meno la borsa mensile. Ma il Servizio civile nazionale potrebbe a breve cambiare pelle. Inizialmente concepito come alternativa alla leva obbligatoria, poi con la legge 64/ 2001 istituito come Servizio volontario aperto anche alle donne, e infine – nel 2006 – rivoluzionato a seguito del trasferimento delle competenze gestionali a Regioni e Province, potrebbe adesso diventare a tutti gli effetti un canale formativo in più destinato ai giovani. Quello che nelle intenzioni del premier Renzi dovrebbe essere il Servizio civile universale, rivolto a 100mila giovani ogni anno, con il coinvolgimento di enti pubblici di varia natura, ministeri inclusi. È una delle riforme contenute nel disegno di legge delega che per ora il Governo ha solamente abbozzato. La discussione è tuttavia ancora in corso in parlamento, e per il varo definitivo si dovrà attendere almeno la fine dell'anno, secondo le recenti dichiarazioni del ministero del Lavoro con delega al terzo settore, Luigi Bobba. L'altra novità riguarda la certificazione delle competenze. Come si legge sul sito del Governo, nella pagina che sintetizza il testo della delega, si «prevede che i decreti legislativi vadano nella direzione di riconoscere e valorizzare le competenze acquisite durante l’espletamento del servizio civile universale in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo». Un tentativo in sostanza di riaffermare il Servizio civile come qualcosa in più che semplice volontariato, rilanciandolo come strumento alternativo di accesso al mondo del lavoro. Un rinnovamento su cui Borrelli si dice d'accordo: «Si tratta di esperienze non solo di solidarietà, ma che trasmettono apprendimento, abilità, competenze». Infine l'aspetto del riconoscimento del Servizio civile anche a chi non possiede la nazionalità italiana. Una questione che ha di recente sollevato un caso giudiziario. Risale alla fine dello scorso anno l'accoglimento da parte del tribunale di Milano di un ricorso presentato da due giovani stranieri residenti da quattro anni in Italia. Giovani scartati, in quanto non italiani, dall'accesso al bando. La vicenda è però ancora tutta da scrivere, perché lo Stato ha nel frattempo fatto ricorso e a pronunciarsi dovrà ora essere la Cassazione. Nel frattempo però sembra chiara l'intenzione del governo che sul sito, in riferimento alla legge in via di approvazione, fa riferimento ai «giovani di età compresa tra 18 e 28 anni, anche cittadini dell’Unione europea e soggetti ad essi equiparati ovvero stranieri regolarmente soggiornanti». Anche Borrelli non ha dubbi sull'estensione del Servizio agli stranieri: «Sono da sempre favorevole, è un'occasione di integrazione». Ilaria Mariotti 

Premi di laurea, autunno di opportunità: in palio complessivamente più di 30mila euro

L’arrivo della stagione autunnale propone una serie di possibilità per chi vuole ottenere un riconoscimento in denaro per il proprio lavoro di tesi. Partiamo dalle scadenze più imminenti. Il 30 settembre 2014 è l’ultimo giorno utile per fare domanda per il premio Laura Conti, promosso dall’Ecoistituto del Veneto, sui temi dell’ecologia e dell’economia sostenibile, dalle energie rinnovabili al risparmio ambientale, dalla mobilità intelligente all’economia solidale. L’ammontare dei tre premi messi in palio è rispettivamente di 1000, 500 e 250 euro. Sono ammesse alla partecipazioni tesi di laurea di tutti i livelli discusse a partire dall’anno accademico 2005-2006.  Per partecipare è necessario inviare copia della tesi, sia formato cartaceo che digitale, e scheda di partecipazione. Tutto il materiale va spedito all’indirizzo dell’Ecoistituto del Veneto - Viale Venezia, 7 - 30171 Venezia Mestre.    Stessa deadline per il premio intitolato all’architetto  Antonio Andreucci e bandito dall’università di Firenze. Oggetto tesi di laurea discusse nell’anno accademico 2012/2013 o nella sessione estiva di quello successivo sui temi delle tecnologie dell’architettura e del design. Tre i riconoscimenti previsti, del valore di 5mila, 2mila e mille euro. Saranno dieci le tesi finaliste, le sette non premiate otterranno comunque un rimborso spese di 500 euro. Entro la data indicata dovranno essere spediti per posta al dipartimento di architettura (DIDA) dell’ateneo fiorentino (via della Mattonaia 14, 50121 Firenze) domanda di partecipazione, relazione sintetica degli obiettivi della tesi e sua copia.Più ampi i termini per il premio di laurea bandito dal G.S.E. (Gestore servizi energetici), incentrato sullo sviluppo scientifico e tecnologico delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica in Italia: la scadenza è fissata al 31 ottobre 2014. In questo caso in palio ci sono due premi di laurea del valore di tremila euro ciascuno. Possono candidarsi autori di tesi di laurea specialistica su temi attinenti il titolo del premio. Il modulo di partecipazione, con la tesi in formato elettronico e una breve presentazione del lavoro, deve essere spedito per mail all’indirizzo entro la data indicata. Il coordinamento esteri di Flp Cgil, in collaborazione con l’università La Sapienza di Roma, bandisce poi il premio Enrico Augelli. Deadline per la presentazione delle candidature sempre il 31 ottobre 2014. In palio tremila euro per tesi di laurea magistrali che affrontino tematiche relative alle economie dei paesi in via di sviluppo. Le tesi devono essere state necessariamente discusse da candidati nati dopo il primo gennaio 1984, che si siano laureati con votazione di almeno 105/110 in una delle discipline segnalate nel bando, tra cui scienze della comunicazione, relazioni internazionali, scienze per la cooperazione allo sviluppo.  Entro la data segnalata devono pervenire al coordinamento esteri FLP CGIL (piazzale della Farnesina 1, 00135 Roma) copia dell’elaborato in formato elettronico e cartaceo, cv formato europeo, fotocopia dei titoli di studio, eventuali attestati e una relazione di lunghezza massima due cartelle in cui il candidato spiega l’attività in ambito internazionale di Flp Cgil.Dario Ciapetti è stato sindaco del comune di Berlingo, nel bresciano e fino alla sua morte si è battuto sui temi del rispetto dell’ambiente e della mobilità sostenibile: a lui è intitolato il premio, del valore di 1500 euro, destinato alla migliore tesi nei settori rifiuti, gestione del territorio, mobilità e nuovi stili di vita. Possono partecipare tesi di laurea specialistica discusse in qualsiasi facoltà italiana, purché depositate entro il mese di settembre dell’anno precedente la pubblicazione del bando. Domanda di adesione (scaricabile dal sito www.comunivirtuosi.org), cv, copia della tesi di laurea e sintesi del lavoro (massimo 5 cartelle) devono essere inoltrati via mail a uno dei seguenti indirizzi: info [chiocciola] comunevirtuosi.org, segreteria.fondazione [chiocciola] cogeme.net o info [chiocciola] comune.berlingo.bs.it. Ultimo giorno utile per presentare la modulistica è l’8 novembre 2014.È arrivato alla settima edizione il premio di laurea Giulio Natta, incentrato sul tema del supporto all’anticontraffazione nel settore alimentare. Il riconoscimento del valore di tremila euro lordi è intitolato al noto ricercatore e premio Nobel per la fisica. Possono candidarsi entro il 28 novembre 2014 laureati di corsi triennali o magistrali che hanno conseguito la laurea nel periodo gennaio 2012-novembre 2013 in ingegneria, economia, informatica, biotecnologie, scienze e tecnologie agrarie con votazione di almeno 100/110. La domanda di partecipazione va scaricata dai siti www.sviluppoeconomico.gov.it o www.uibm.gov.it e deve essere accompagnata da due copie (cartacea e su cd rom) della tesi di laurea, da una breve sintesi della tesi, dal certificato di laurea con elenco degli esami sostenuti e relative votazioni e infine nota di presentazione del docente che ha seguito il lavoro. Tutta la documentazione va inviata all’indirizzo indicato sul bando. Ha deadline 15 dicembre 2014, infine, il bando del premio di laurea Mario Rava, indirizzato a tesi di laurea magistrale o di dottorato discusse in atenei italiani o esteri (purché di paesi UE) su argomenti quali credito e microcredito agrario e politiche agrarie, discusse tra il primo gennaio 2011 e il 30 novembre 2014. Il riconoscimento in palio ammonta a 5mila euro. I candidati dovranno far pervenire alla segreteria del premio (presso l’Associazione bancaria italiana, piazza del Gesù 49, 00186 Roma) entro la scadenza due copie della tesi di laurea, sintesi del lavoro, cv formato europeo (in italiano o inglese) e autorizzazione al trattamento dei dati personali. Il premio sarà assegnato entro il 31 marzo 2015 da una commissione di esperti nominati dal consiglio d’amministrazione della Fondazione Rava.Chiara Del Priore

Alliance for Youth: al patto per l'occupazione giovanile promosso da Nestlé aderiscono 12 aziende

Un grande progetto, quello lanciato nei giorni scorsi da Nestlé: l'accordo 'Alliance for YOUth', un'alleanza europea che la multinazionale stringerà con i fornitori europei e con altre case italiane per creare occupazione a favore dei giovani. Scopo del patto transnazionale è attivare fino a 100mila posti di lavoro, di cui 5mila solo in Italia, nel prossimo triennio. Traguardo ambizioso, ma le aziende aderenti sono già dodici (Accenture, Arti Grafiche Reggiane, DHL, Dimension Data, DS Smith, FM Italia, Gi Group,  Inalca, Nielsen, Praesidium, Publicis, Sit Group). La convenzione internazionale è stata ufficializzata a Roma la settimana scorsa con un evento avvenuto in simultanea ad altri incontri europei, e si inserisce nell'ambito di un più vasto programma anti-disoccupazione e anti-Neet, dal titolo Nestlé needs YOUth, lanciato già nel novembre dello scorso anno e attraverso il quale l'azienda - 5500 dipendenti e circa 2,2 miliardi di fatturato solo in Italia - si è impegnata a creare, nei prossimi tre anni, oltre 20mila opportunità di occupazione giovanile in Europa, stage inclusi. L'iniziativa si compone di quattro pilastri. Il primo prevede l'assunzione, entro il 2016, di 10mila under 30 da impiegare nei settori più disparati, dalla produzione, alla finanza, alla ricerca e sviluppo. Il secondo step ha le stesse tempistiche e destinatari, ma obiettivi diversi: qui il traguardo è aprire 10mila posizioni di stage. Il terzo filone del progetto riguarda invece l'avvio di un programma di preparazione al lavoro ('Readiness for work') «che includerà orientamento professionale, workshop dedicati alla stesura del cv e preparazione al colloquio di lavoro». Il quarto è stato, appunto, il lancio di Alliance for Youth a Roma. Per quanto riguarda l'Italia, le nuove opportunità per under 29 che Nestlé si è impegnata ad aprire in prima persona saranno mille nel triennio 2014-2016, coinvolgendo quasi tutti i 16 stabilimenti di Nestlé nel nostro Paese. Il progetto è infatti in fase di avvio da otto mesi e, fanno sapere dall'ufficio stampa, già si possono toccare con mano i primi risultati: «Sono 188 i ragazzi che hanno trovato un’opportunità di lavoro, e 205 hanno ottenuto invece una posizione di stage o di tirocinio curriculare». Una premessa importante è che Nestlé fa parte del circuito etico, garantito dalla Repubblica degli Stagisti, delle aziende che assicurano stage di qualità e nel rispetto dei parametri di legalità (dotate del cosiddetto 'Bollino Ok Stage'). Come verificato da questa testata, in Nestlé il rimborso spese mensile è di 710 euro netti, la durata dello stage è semestrale, e la media di assunti post stage è del 30% (dati 2013). Niente sfruttamento o stage abusivi dunque, ma - come testimoniato dai numeri - opportunità formative e di inserimento occupazionale a tutti gli effetti. Adesso Nestlé amplia il raggio d'azione e innalza ancora l'ambizione, mirando a "farsi emulare": a coinvolgere cioè le aziende con cui è in contatto per il suo business a imitarla, aprendo posizioni di stage e di lavoro per gli under 29 e offrendo così una opportunità a tanti giovani che non ne trovano. Questo è stato il fulcro della presentazione di Alliance for Youth: presente all'incontro anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, quasi in funzione di 'garante' alla firma del patto tra le firme italiane partecipanti. Un'occasione, per il titolare del Lavoro, anche per tornare sull'attualità della legge delega appena firmata in Commissione al Senato («Abbiamo cercato di mettere sul tavolo tutta una serie di aspetti, ammortizzatori, tutele, concilizazione, per fare un quadro complessivo di dove andremo a finire»), e per incoraggiare l'iniziativa, come in questo caso, di un privato: «Non ci si limita a un'analisi ma si decide di agire. Si parte dall'idea che ci sia un ritorno economico ma anche dei rischi condivisi» ha ricordato il ministro. Per le istituzioni il messaggio è inequivocabile: «Bisogna raccogliere questi stimoli» ammette, «veniamo da un periodo in cui la convinzione è che la politica sia incapace di prendere decisioni intellegibili per la pubblica opinione, o comunque lontane dalle sue aspettative». Dunque «lo sforzo da parte nostra di dimostrare che le cose si possono fare, che accadono, che è poi il senso di questo progetto». Un'azienda deve dare lavoro, è questa la sua missione, mentre invece si tende a concepirla «come luogo terribile, di sfruttamento, di negazione». E di nuovo, da parte di Poletti, il riferimento al governo di cui è parte, il cui compito, ha aggiunto, «è creare gli strumenti perché l'impresa sia giudicata sulla base di ciò che fa, degli obiettivi che persegue e del valore che crea». La visione verso cui andare è quella di una «società solidale, dove si passi dalle rendite alle opportunità». Il plauso per Nestlé needs YOUth è arrivato anche da Michele Tiraboschi, direttore di Adapt, tra i relatori della presentazione: «I nostri studenti hanno bisogno di chi crede in loro, il significato della loro vita si basa sull'accompagnamento ed è proprio questo che è mancato a livello europeo», ha ribadito, specificando che per l'Italia ciò significa in particolare guardare anche alla platea dei 25-26enni, i più colpiti, «quelli con alle spalle difficili percorsi di inserimento aziendale». Se a loro viene data un'opportunità, «se sentono che qualcuno li accende, loro rispondono, sanno canalizzare le energie». L'iniziativa messa in campo da Nestlé dovrebbe essere, e speriamo lo diventi, «la normalità». Ilaria Mariotti 

Stage al Comitato europeo economico e sociale: 1000 euro di rimborso, candidature fino a fine settembre

Archiviate le vacanze estive, si riapre – per chi è in cerca di opportunità internazionali – la caccia agli stage europei. Una delle offerte migliori di questo periodo arriva dal Comitato economico e sociale europeo, organo brussellese che ha lo scopo di «rafforzare la legittimazione democratica della Ue abilitando le organizzazioni della società civile degli stati membri a esprimere il proprio parere a livello europeo», come è scritto sul sito. Un organo di mediazione che collabora con le istituzioni governative europee dunque, e che organizza due tornate di tirocinio all'anno. Le domande che arrivano ogni anno sono tantissime: «5mila per sessione, 10mila dunque ogni anno» riferiscono dall'ufficio stampa alla Repubblica degli stagisti. Gli italiani che si sono fatti avanti l'anno scorso sono una percentuale abnorme di questi 10mila: da soli rappresentano oltre un quinto dei candidati. «Sono stati 2047», infatti, per la precisione un numero sempre crescente di sessione in sessione. Probabilmente a causa della crisi: «Non abbiamo dati scientifici in questo senso, ma la sensazione - anche in base a quello che dicono i ragazzi - è proprio questa» spiegano ancora. Per chi fa domanda ora (ed entro il 30 settembre), lo stage partirà – in caso di esito positivo – a febbraio, con una durata di cinque mesi (quindi fino a luglio) non prorogabili. Per la sessione autunnale, ci si candida invece da gennaio a marzo. Il rimborso spese è quello canonico per gli organi di Bruxelles: «l'emolumento sarà pari al 25% del salario base di un funzionario di livello AD/5», si legge nel regolamento, quindi circa 1070 euro mensili. Che siano netti o meno dipende dalla normativa fiscale del proprio Paese, che può tassare o meno questo genere di emolumenti. A ciò si aggiunge, come di norma in questi casi, anche il rimborso spese del viaggio di andata e ritorno per raggiungere la sede di destinazione (e «sempre che si siano completati almeno tre mesi di tirocinio» è specificato). Il massimo è però di 400 euro a tragitto, e il contributo cresce quanto maggiore è la distanza. È prevista infine la sottoscrizione obbligatoria di una assicurazione contro gli incidenti, a carico dello stagista, mentre quella sanitaria è facoltativa. Quanto alle condizioni di accesso alla selezioni, non sono delle più stringenti. Servono una laurea almeno triennale, il dominio fluente di una lingua europea, e una conoscenza «sufficiente» di una seconda lingua a scelta tra inglese o francese (i due idiomi di lavoro del Comitato). Essere cittadino Ue è un requisito, ma non escludente: sono ammessi anche giovani da Paesi extra Ue. È peraltro possibile tentare l'application form anche per chi fosse alle dipendenze di un'altra organizzazione, sia pubblica che privata. In questo caso però, chiarisce il regolamento, «il Comitato non si farà carico del rimborso», e il tirocinante continuerà a essere remunerato dal datore di lavoro originario. Non sono invece ammessi alla selezioni quelli che abbiano alle spalle esperienze – retribuite – di più di sei settimane nelle organizzazioni dell'Unione (è escluso anche chi per esempio sia stato membro dello staff di parlamentari europei). Altre richieste a latere per la domanda sono il casellario giudiziario e un certificato di sana e robusta costituzione. Per partecipare occorre spedire l'application form cliccando sul link apposito del sito. In caso di avvenuta preselezione si è informati tramite mail. A questo punto, lo step successivo è inviare copia cartacea (anche non autenticata) delle documentazione necessaria (attestato di laurea, contratti delle precedenti esperienze professionali, documento di identità). Sono invece obbligatori gli originali del casellario giudiziario (il police record) e del certificato medico. È possibile anche allegare altro materiale come il curriculum vitae o altro tipo di referenze, ma solo a supporto della propria candidatura. Sul numeri di stagisti ammessi a ogni tornata non esistono tetti definitivi (nelle scorse tornate sono stati presi in media «circa 50 stagisti all'anno», informano dagli uffici di Bruxelles). «Dipende» chiarisce il regolamento, «dalla doppia condizione della disponibilità di budget e dalle esigenze dei singoli dipartimenti che potrebbero essere interessati ad avere stagisti». La selezione del tirocinante è collegata infatti alle esigenze dichiarate dalle singole unità del Comitato e non c'è modo di interferire con questo processo. Anzi, spiegano i responsabili sul sito «che è sconsigliabile mandare mail per sponsorizzare la propria candidatura»: un sistema opposto rispetto, per esempio, a quello per gli stage alla Commissione europea, dove invece scrivere ai dirigenti e autopromuoversi può risultare la mossa decisiva per essere scelti [v. testimonianza di alcuni ex stagisti]. Dal regolamento non emergono altri dettagli sui passaggi della selezione. Un intero capitolo è però dedicato ai diritti e ai doveri dei ragazzi che la superano: niente iniziative personali «se non su autorizzazione del tutor», evitare conflitti di interesse o qualunque comportamento «in detrimento dell'immagine del Comitato», rispetto degli orari e limite massimo di assenze consentito di due giorni al mese. Per le informazioni di cui si entra in possesso è chiesto il massimo riserbo: «Non si dovrà rivelare a persone non autorizzate il contenuto di documenti o informazioni che non siano di pubblico dominio» è sancito nelle provisions regarding traineeships. Di buono c'è poi che un paragrafo è dedicato «alla partecipazione del tirocinante», segno che si tratta di un elemento tenuto in grande considerazione. Lì si chiede di «prendere parte alle attività del dipartimento secondo il livello garantito dai propri studi», ed è spiegato che ciò comporterà la visione della documentazione necessaria allo svolgimento delle proprie mansioni o l'ingresso nei meeting di interesse. Talvolta potranno capitare anche viaggi o visite di studio per gli stagisti, sempre stando alla disponibilità di budget. Ilaria Mariotti  

Dote Unica Lavoro e Garanzia Giovani, come la Lombardia aiuta chi cerca un impiego

DUL o GG. I giovani che cercano lavoro in Lombardia possono affidarsi a queste due sigle. DUL è l’acronimo con cui si identifica il  programma regionale a sostegno dell’occupazione, la “Dote Unica Lavoro”. A questo, da maggio 2014, si è affiancato Garanzia Giovani (GG), un programma europeo espressamente dedicato alla fascia di età fra i 15 e i 29 anni, promosso e finanziato dall’Unione Europea e implementato dalle singole Regioni secondo uno schema comune concordato nei mesi scorsi con il ministero del Lavoro. Si tratta di programmi paralleli, finanziati in maniera totalmente autonoma, ma entrambi rivolti ai giovani. I progetti sono piuttosto simili perché gli operatori chiamati ad erogare i servizi sono sostanzialmente gli stessi e anche la finalità è la medesima: l’inserimento nel mondo del lavoro. Quali sono le differenze principali Fra DUL e GG e che impatto hanno avuto finora sull’occupazione?Intanto i finanziamenti. Per sostenere Dote Unica Lavoro la Regione ha messo a disposizione, fra fondi europei e stanziamenti propri, 75 milioni di euro per il periodo che va dal 21 ottobre 2013 al 31 dicembre 2014 ed ha già stanziato altri 44 milioni provenienti da fondi europei per quadriennio 2014-2020.  Garanzia Giovani, invece, nel biennio 2014-2015 può contare per la Lombardia su un budget di 178 milioni in gran parte erogogati dall'Ue. Un’altra sostanziale differenza riguarda i soggetti che possono accedervi.Che cos’è Dote Unica Lavoro (DUL)Oltre alla fascia giovani possono entrare in DUL i lavoratori disoccupati, in cassa integrazione o in mobilità che hanno lavorato nel territorio lombardo. Chi è in possesso dei requisiti può scegliere a quale operatore rivolgersi fra un catalogo di centri accreditati misti fra pubblico e privato. Sono gli stessi operatori, dopo un colloquio preliminare, a stabilire un percorso personalizzato (PIP) per l’utente. Sulla base delle sue necessità ogni soggetto sarà inserito in una fascia di aiuto che determinerà il budget da assegnare. Si va dalla fascia 3, ad alta intensità di aiuto, per le categorie più difficili da collocare che riceveranno una somma in denaro – cioè la “dote” - più corposa, alla fascia 1, destinata a persone che necessitano di un aiuto “minimo” per trovare un impiego (esiste inoltre una fascia 4 per le persone che necessitano di servizi per il mantenimento della posizione di lavoro – cioè persone occupate – esclusivamente dedicata a chi lavora in Lombardia). Per iscriversi, dunque, bisogna recarsi in uno dei centri che, attraverso un tutor, supporteranno il soggetto lungo tutto il percorso: dalla fase di iscrizione al successivo piano personalizzato, fino all’attivazione del tirocinio o del contratto di lavoro. E’ prevista  anche una fase di rendicontazione finale sempre a carico dell’operatore.La dote viene assegnata alla persona che ne fa richiesta che può autonomamente decidere come spenderla e a quali servizi accedere. Ma di quali servizi stiamo parlando? Si va dall’inserimento lavorativo, cioè attività svolte dall’operatore per trovare una nuova occupazione alla persona, ai voucher finalizzati alla frequenza di attività di formazione fino ai voucher di servizio, ossia quelle attività necessarie a rimuovere gli ostacoli per una immissione o re-immissione nel mondo del lavoro di particolari categorie (trasporto e accompagnamento di soggetti disabili).I numeri della DUL. Secondo l’ultimo monitoraggio del 30 luglio, dal 31 ottobre 2013, data di avvio del programma, sono state erogate doti a poco più 34mila persone, di cui 16mila hanno iniziato un percorso lavorativo (58%). Poco più della metà (54,7%) ha ottenuto un contratto a tempo determinato, gli altri si dividono tra contratti a tempo indeterminato (18,7%) e di apprendistato (26,6%).  Per quanto riguarda la fascia under 29 i soggetti coinvolti  in DUL sono circa 14mila (41% del totale), 10mila (70%) quelli avviati al lavoro.  Di questi il 31% ha ottenuto un contratto, quello più frequente è il contratto di apprendistato (46%), seguita dal tempo determinato (41,%), mentre solo il 12% ha ottenuto un impiego a tempo indeterminato.  I tirocini attivati sono stati 1.700, pari al 12%, mentre un significativo 30% ha completato solo parzialmente il percorso, cioè senza concludere il periodo di sei mesi di contratto/periodo di formazione.Tuttavia un’analisi sul totale delle persone prese in carico non è del tutto corretta, poiché considera al medesimo modo i risultati delle persone che hanno terminato il servizio e quelli che hanno appena iniziato il percorso. Il tasso di avvio al lavoro, infatti, aumenta con il passare del tempo: maggiore è il periodo trascorso dalla presa in carico, più alta è la percentuale di soggetti che hanno avviato un tirocinio o un contratto. Per le doti attivate nel 2013 l’indicatore di avvio al lavoro supera infatti il 64%.Quanto ha inciso, dunque, il programma Dote Unica Lavoro, nella fascia fra i 15 e i 29 anni? In Lombardia su un milione e 400mila giovani, compresi nella forbice  fra i 15 e i 29 anni, (dati dell’l’ultimo rilevamento Istat) il 20% risulta disoccupato. Sono circa 280 mila fra disocccupati e giovani che non studiano e non lavorano, di questi, solo il 5% (14mila di cui sopra), si è iscritto al programma DUL.Le differenze con Garanzia Giovani. Garanzia Giovani è un progetto molto simile a DUL, ma ha finalità leggermente diverse. «DUL mira a un inserimento (o reinserimento) duraturo, almeno sei mesi» spiegano dalla segreteria dell' assessorato al Lavoro «Garanzia Giovani, invece è rivolto a coloro che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro, anche per una breve esperienza di stage o tirocinio».Dei 178 milioni di euro previsti da Garanzia Giovani per il biennio 2014-2015, circa 100 andranno all’erogazione dei servizi, i restanti saranno destinati al rimborso dei tirocini e agli incentivi all’assunzione. «I principi del programma Garanzia Giovani partito a maggio erano già stati anticipati dal progetto Dote Unica Lavoro iniziato a ottobre dello scorso anno: centralità della persona, personalizzazione dei percorsi, finalità occupazionale» spiega alla Repubblica degli Stagisti l’assessore al lavoro della regione Lombardia Valentina Aprea: «In Lombardia, quindi, non si dovranno costruire altri bandi per coinvolgere le agenzie per il lavoro: vi è già un sistema funzionante, Dote Unica Lavoro, che è unitario, aperto, efficace. La novità con Garanzia Giovani è che, oltre agli operatori accreditati al lavoro, un ruolo importante sarà assegnato a scuole e università, che potranno prendere in carico il flusso dei giovani in uscita dai percorsi formativi». Dalla Regione però non specificano con precisione quale sarà il ruolo e quali saranno le scuole  e le università, né per quali servizi riceveranno finanziamenti. In pratica per quel che riguarda la fascia giovani Dote Unica Lavoro e Garanzia Giovani sono due progetti complementari, l’uno è il contenitore dell’altro e in Lombardia chi è in possesso dei requisiti può iscriversi ad entrambi. Per accedere a Garanzia Giovani basta soddisfare il requisito dell’età, non avere attivi percorsi di studio o di formazione e non è necessario essere residenti in Lombardia.  Secondo gli ultimi dati disponibili, al 21 agosto, le adesioni in Lombardia sono state 15mila, la metà delle quali provenienti da altre regioni.  «Questo perché in molte regioni la presa in carico significa solo un primo colloquio per le procedure burocratiche, in Lombardia ciò invece significa avvio dei veri e propri servizi di orientamento, incontro domanda e offerta, avvio di tirocini o di lavoro» sottolinea Aprea  «Si conferma una percentuale di successo superiore al 70% delle prese in carico».

La mappa digitale delle università europee, un progetto utile ma ancora con molti limiti

Una mappa digitale di oltre 2.200 atenei di 29 paesi, ossia tutta l’Unione Europea più Svizzera e Norvegia. In due righe Eter (European Tertiary Education Register), piattaforma web lanciata dalla Commissione Europea con l’obiettivo di dare vita a un vero e proprio registro telematico in grado di diffondere informazioni quanto più complete possibile sulle università in esso presenti. Dietro la nascita di Eter 500mila euro di fondi del programma Lifelong Learning stanziati per il periodo 2014/2020 e il lavoro di quattro università partner: La Sapienza di Roma (dipartimento di ingegneria informatica, automatica e gestionale Antonio Ruberti), il centro per la ricerca organizzativa dell’università della Svizzera italiana, lo Joanneum Research di Graz e il Nifu (Nordic Institute for Studies in Innovation, Research and Education) di Oslo.Attualmente il sito raccoglie i dati dei 2254 atenei relativi all’anno accademico 2001/2012 per un numero complessivo di oltre 16 milioni di studenti, ma si prevede di pubblicare entro la prossima estate anche quelli dell’anno accademico successivo. Ciascun ateneo ha un ID e un codice paese, che lo identifica per le ricerche all’interno della piattaforma. L'Italia è presente complessivamente con 176 istituti di formazione superiore (tra cui anche conservatori e accademie), di cui 103 sono università, contando anche istruzione superiore non universitaria (ad esempio scuole per mediatori linguistici post diploma), università telematiche e per stranieri.Le informazioni sono fornite dalle diverse autorità nazionali di statistica, che hanno dato vita a una task force finalizzata a stabilire le tipologie di dati presenti per ciascuna università. Finora non era presente una banca dati che coprisse l'intera Europa, ma c'erano soltanto piattaforme nazionali. Al netto delle differenze tra gli ordinamenti universitari dei paesi, sono inclusi nel database gli atenei che presentano percorsi di laurea triennali, specialistici e di dottorato. Per ogni università sono prese in considerazione una serie di variabili, tra cui: nome dell’istituto e anno di fondazione; sede principale ed eventuali sedi distaccate; numero di studenti e laureati, suddivisi per tipologia di titolo, genere e nazionalità; personale, diviso in accademico e non accademico; spese e ricavi; dati sulle attività di ricerca. La piattaforma si propone di essere uno strumento utile per una serie di destinatari, come si legge sul sito della Commissione Europea: gli studenti, universitari e non, al fine di recepire informazioni utili in fase di iscrizione e nei momenti successivi; gli atenei stessi, che possono così confrontarsi con altri profili per avviare eventuali partnership, e infine autorità ed esponenti politici, che da questo momento hanno una piattaforma da cui poter estrapolare una serie di dati utili a capire il funzionamento del sistema universitario italiano ed estero e orientare così anche le proprie politiche di intervento. I dati sono pubblici, scaricabili in diversi formati e possono essere riutilizzati, purché si citi la fonte. Va detto però che le informazioni possono essere usate a scopi analitici e di ricerca ma non devono essere diffuse su supporti online. La Repubblica degli Stagisti ha parlato della piattaforma con Benedetto Lepori, docente dell'Università della Svizzera italiana, uno degli atenei che ha lavorato alla realizzazione di Eter: «Il pregio principale del sito è quello di fornire dati standardizzati sulle istituzioni di formazione superiore nei diversi paesi europei, dove è stato fatto uno sforzo serio di armonizzazione e documentazione dei dati. Questi dati sono fondamentali per confrontare la struttura degli istituti e quindi riflettere sulle implicazioni di determinate scelte di policy». Da Eter non è possibile però estrapolare dati relativi alle singole facoltà di un ateneo, ma solo sull'intera università: «Tutti i dati si riferiscono all'intera università e non sono disaggregati per facoltà. Tuttavia alcuni dati, in particolare il numero di studenti, sono divisi per settore disciplinare e possono essere in linee generali associati alle facoltà. Prevediamo di estendere questa divisione anche al personale scientifico», spiega Lepori.Un altro grande limite della piattaforma è al momento la limitata disponibilità di ampi periodi temporali: la presenza di dati riferiti unicamente al 2011 almeno fino al prossimo anno rende impossibile individuare trend e fare confronti pluriennali. La difficoltà di comparazione può essere inoltre legata a caratteristiche peculiari dei sistemi universitari dei singoli paesi, che possono non essere spiegate da informazioni estrapolate in base a parametri comuni. Inoltre anche tra i dati oggi disponibili mancano alcune informazioni rilevanti, come quelle relative ai servizi di placement:  «Al momento non ci sono cifre sul placement. L'estensione ad altri dati dipenderà dalle risorse, ma anche dalla disponibilità di dati sufficientemente comparabili a livello europeo».Dalla sua Eter ha però la possibilità offerta agli utenti di avere a propria disposizione un set ampissimo di dati, utilizzabili singolarmente o in maniera incrociata, il che senza dubbio rappresenta un unicum. Toccherà capire quanti utenti beneficeranno del database – la piattaforma è stata appena lanciata ed è impossibile stabilirlo – e soprattutto se in futuro non verranno applicati filtri o altri tipi di restrizioni che ne limiteranno la fruibilità attuale.Chiara Del Priore

Al Consiglio dell'Ue cento stage da mille euro al mese

Non solo Commissione e Parlamento europeo. Anche altre istituzioni europee di Bruxelles aprono le porte all'esercito di giovani europei in cerca di stage remunerati. Tra queste il Consiglio dell'Unione europea, ovvero l'organo presso cui «i ministri provenienti da ciascun paese dell'Ue si riuniscono per adottare leggi e coordinare le politiche», come lo definisce il sito. Sono un centinaio i posti per un tirocinio in questo «polo decisionale essenziale per l'Ue» che «negozia e adotta la nuova legislazione dell'Unione, la adatta, ove necessario, e coordina le politiche», secondo la descrizione ufficiale. Le selezioni si sono aperte il primo di giugno e chiuderanno il primo settembre. I tirocini, di cinque mesi ciascuno, sono suddivisi in due tronconi (in ognuno dei quali potrebbe finire chi si candida oggi): il primo da febbraio a giugno, il secondo da settembre a gennaio. Quanto a rimborso spese «la cifra è di circa 1000 euro mensili», fanno sapere dall'ufficio stampa, con una policy di tassazione variabile a seconda del Paese di origine. A rimpolpare la somma anche un rimborso spese per i viaggi di andata e ritorno e un riconoscimento extra per le persone disabili e per le missioni fuori città, come spesso succede per gli stage presso le istituzioni di Bruxelles. I requisiti di ammissione ripetono a loro volta lo schema previsto per altri bandi analoghi, uno su tutti quello della Commissione europea: è necessaria quindi la cittadinanza europea, il possesso di un titolo accademico almeno triennale (la preferenza verrà data a chi «si sia occupato nei propri studi di integrazione europea o abbia avuto esperienze di lavoro attinenti» chiarisce la normativa), la conoscenza approfondita di una delle lingue principali della Ue, quindi inglese o francese. Anche se la maggior parte degli aspiranti stagisti, aggiungono sul sito, «ha un background in legge, scienze politiche, relazioni internazionali» sono ben accette le candidature da altri ambiti come «traduzione, risorse umane, informatica, comunicazione». Non è consentito concorrere per un posto da stagista a chi però abbia alle spalle esperienze professionali retribuite presso la Ue «per almeno otto settimane», come scritto sul regolamento, o a chi abbia fatto parte a diverso titolo dello staff dei consiglieri membri del Consiglio. Attenzione poi, perché – come sancito all'articolo 10 della decisione consiliare sugli stage - «i responsabili si riservano la possibilità di sospendere lo stage dei soggetti le cui capacità linguistiche risultino insufficienti allo svlogimento delle mansioni richieste», o lo stesso siano le sue «prestazioni professionali». Non si bara dunque sulla preparazione, che sarà testata sul campo da chi di dovere. L'application, da redigere in inglese o francese, va spedita online (qui) sul sito Epso, quello comunemente utilizzato per la gestione delle candidature presso le sedi politiche dell'Ue. Ci si deve registrare e inserire tutte le informazioni del caso. L'esame delle domande si verificherà «tra ottobre e novembre 2014», si apprende dal portale del Consiglio, e mentre i ragazzi selezionati per il primo periodo (quello in partenza da febbraio) saranno contattati a dicembre, per gli altri ci sarà da attendere fino a gennaio. A tutti arriverà notizia del proprio esito, anche se negativo, sulla pagina personale di Epso entro l'inizio dell'anno prossimo. Essere scartati non è purtroppo una remota possibilità: «Riceviamo circa 4mila domande all'anno», assicurano dall'ufficio tirocini «ma sfortunamente i posti vacanti per gli internship non sono superiori a cento». Chi supera la selezione, «sulla base delle proprie qualifiche» si legge sul regolamento, «e nel rispetto dell'equilibrio geografico di provenienza dei ragazzi», riceverà una mail con la richiesta di spedire la documentazione cartacea che attesti i titoli dichiarati: copie di passaporti, diplomi universitari e di lingua, lettere ufficiali di referenze, da presentare pena esclusione dallo stage.  Ma di cosa si occupa uno stagista al Consiglio dell'unione europea? Di solito i trainee vengono recultati all'interno del Segratariato generale del Consiglio, dove «a seconda del loro livello di studi e di preparazione culturale saranno istruiti dal consigliere a cui sono affidati sulle attività da svolgere», spiega il regolamento. In sintesi le mansioni sembrerebbero avere a che fare con quelle di un assistente di un politico, solo che per interposta persona. «Il Segretariato generale del Consiglio ha il compito di coadiuvare il Consiglio europeo e il Consiglio dell'Ue, comprese le presidenze, il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) e gli altri comitati e gruppi del Consiglio» è quanto sintetizza il sito: in pratica si presta servizio per lo staff che a sua volta collabora con l'organo principale. Esiste però anche la possibilità di svolgere lo stage dentro il dipartimento delle traduzioni o delle risorse umane, ad arbitrio dei selezionatori. Il contesto è comunque dei più prestigiosi: è da qui che partono le discussioni per le politiche della Ue. E infatti il regolamento è perentorio: «Il tirocinante è tenuto a osservare la massima discrezione su fatti o informazioni di cui sia venuto a conoscenza durante il tirocinio, ivi compreso in occasione di eventuali contatti con rappresentanti dei media». Bocche cucite dunque, durante lo stage, per chi sarà ammesso.Ilaria Mariotti 

Neolaureati, ecco come vi vogliono - e cosa sono disposte a darvi - le grandi aziende

Parlare le lingue ed essere proattivi. Sono queste le caratteristiche che le aziende cercano di più quando selezionano giovani da inserire: è ciò che emerge dalla 15esima indagine conoscitiva "Neolaureati & stage" condotta da Gipd, Gruppo intersettoriale direttori del personale, presentata pochi giorni fa a Milano dal suo presidente Paolo Citterio.L'ottima conoscenza di una o più lingue straniere si piazza infatti al primo posto, con il 21% delle preferenze, nella classifica degli elementi positivi che giocano in favore del candidato in un processo di selezione; quasi a parimerito con la motivazione, che si attesta al 20%. In particolare, la conoscenza dell’inglese è assolutamente necessaria per la grande maggioranza - l'83% - delle aziende; in alcuni casi è poi necessaria, o quantomeno gradita, la conoscenza di un'altra lingua. E qui accanto alle classiche francese, tedesco e spagnolo, apprezzate rispettivamente dal 37, 32 e 15% delle imprese, si fanno strada anche il russo (5%) e il cinese (4%). Conoscere queste lingue particolari fornisce dunque una carta in più da giocare in fase di selezione.Per quanto riguarda la preparazione accademica, gli hr manager dichiarano con grande sincerità che nella maggior parte dei casi (43%) non hanno nessuna difficoltà di reperimento di candidati laureati in facoltà specifiche; poco meno di un quarto degli intervistati però rileva una certa difficoltà per profili di Ingegneria.Questa facoltà  infatti si conferma in cima alla lista delle preferenze per i selezionatori del personale, anche se per il primo anno Economia riesce ad affiancarsi con lo stesso punteggio. Sono queste due dunque le facoltà più richieste. In particolare gli ingegneri più ambiti in assoluto sono quelli gestionali, seguiti dai meccanici. Nella classifica di gradimento si piazzano poi i laureati delle facoltà di Giurisprudenza (6%), e di Scienze dell'economia e gestione aziendale (5,%). Fanalini di coda, come di consueto, le facoltà umanistiche, con Filosofia e Lettere entrambe sotto l'1%.A parte il titolo di studio, le lingue e la motivazione, ci sono altri dati che piacciono agli addetti Hr in fase di selezione: per esempio un 10% viene colpito positivamente quando rileva nel candidato una disponibilità alla mobilità territoriale, e a un altro 10% piace trovare nel cv qualche esperienza di lavoro durante il periodo di studi. Questi due aspetti sono ancora più importanti, secondo la rilevazione di Gidp, rispetto alla puntualità della laurea (un 8% considera comunque molto importante laurearsi nei tempi previsti), al conseguimento di un master (7%) o a un'esperienza all'estero con l'Erasmus (6%). Bisogna scendere ancora nella classifica per trovare una valorizzazione di un voto di laurea elevato (importa solo al 5% dei selezionatori) o per un'esperienza di stage curriculare (solo 3,5%!).E al di là di quel che dice il curriculum, poi sono le qualità personali e relazionali a emergere in fase di colloquio. Qui la caratteristica più apprezzata, secondo l'indagine del gruppo presieduto da Paolo Citterio, è la capacità di analisi e di risoluzione dei problemi, nettamente in cima alle preferenze, seguita dalla capacità di mettersi in azione e in gioco, dalla proattività e dalla flessibilità.Ma quando gli uffici Hr hanno qualche posizione aperta e fanno partire le selezioni, non sempre le cose vanno nel verso giusto. I giovani che si affrettano a rispondere agli annunci di lavoro e di stage inviando il proprio cv sono tanti, certo, ma spesso i recruiter rilevano forti lacune. In particolare secondo un settimo degli intervistati i candidati neolaureati dimostrano una troppo scarsa conoscenza del mondo del lavoro; il 12% torna sul tema lingue, lamentandone un livello di conoscenza troppo basso. Più di uno su dieci rileva nei giovani una mancanza di motivazioni e una scarsa capacità di adattamento e flessibilità. Indecisione nelle scelte e nei progetti, scarsa intraprendenza e scarsa abilità nella gestione comportamentale sono altre delle caratteristiche negative rilevate dalle aziende che hanno partecipato all'indagine. Con una curiosità, la cui lettura dovrebbe forse generare un po' di mestizia: le richieste economiche eccessive sono all'ultimo posto nella lista delle lamentele delle aziende. Segno che ormai, coi tempi che corrono, quasi nessuno si azzarda avanzare pretese o rivendicazioni dal punto di vista retributivo - quantomeno all'inizio.C'è poi tutta una sezione della ricerca dedicata alle modalità attraverso cui le grandi aziende inseriscono i neolaureati. Il dato principale è che, nonostante la crisi, le aziende continuano a usare lo stage e anzi lo usano sempre di più: il 43% delle imprese interpellate conferma di utilizzare questo strumento e anzi che il numero di stagisti ospitati è aumentato rispetto al passato; il 40% invece registra un numero sostanzialmente invariato. A fronte di questa grande maggioranza c'è una piccola minoranza, pari circa al 6%, che dichiara una diminuzione delle posizioni di stage rispetto al passato; poi un 8% di imprese che ha abbandonato lo stage, dopo averlo utilizzato in passato, e un piccolissimo 3% che dichiara di non attivare né aver mai attivato stage.Per quanto riguarda le finalità del tirocinio, il campione preso in esame da Gidp sembra molto orientato verso una concezione del periodo di stage come "periodo di prova allungato" per testare le capacità del candidato: quasi la metà degli Hr manager intervistati dichiara infatti che la finalità principale è la conoscenza reciproca tra l’azienda e il neolaureato prima di procedere con l’assunzione, e un ulteriore 5% esprime il medesimo concetto in maniera un po' più sfumata, indicando una conoscenza reciproca, formazione e possibile assunzione. Solo il 14,5% dichiara di farlo in maniera completamente "altruistica", per rispondere cioè alle esigenze formative curriculari dei laureandi attraverso accordi con università e iniziative collaterali. Un 32% considera invece gli stage come strumento strettamente e puramente formativo, rispondendo di attivarne solo per consentire al neolaureato di fare un’esperienza formativa, ma escludendo la possibilità di un'eventuale assunzione al termine.Una buona notizia è che, probabilmente anche grazie alle nuove normative regionali che - quantomeno per gli stage extracurriculari - hanno introdotto nei mesi scorsi l'obbligo di erogare una indennità minima, solo meno del 3% delle aziende intervistate dichiara di non prevedere alcun tipo di rimborso spese a favore dei tirocinanti. Anzi, sotto questo punto di vista l'indagine di Gidp traccia un quadro davvero roseo rispetto alla media nazionale: i tre quarti delle aziende prevedono per i propri stagisti un rimborso spese superiore a 500 euro al mese, con un 9% che dichiara addirittura indennità "standard" superiori ai 900 euro. Il 37,5% degli intervistati specifica anche che la cifra è aumentata rispetto al passato: qui probabilmente si collocano quelle imprese che fino al 2013 prevedevano emolumenti più bassi rispetto ai minimi adesso fissati delle nuove normative regionali. Al rimborso spese monetario, poi, la maggior parte delle imprese aggiunge anche la possibilità di usufruire della mensa aziendale (32% dei casi) o ancor più spesso i buoni pasto (41%). Insomma le imprese intervistate in questa rilevazione sono molto generose: ciò forse si spiega con il fatto che si tratta, per la metà del campione, di aziende multinazionali, in massima parte ubicate nelle regioni del nord ovest (il 65% ha infatti sede in  Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta) e di grandi dimensioni (quasi tre su quattro hanno oltre 250 dipendenti).Ma quante possibilità hanno i neolaureati di entrare in queste grandi e generose aziende? Secondo Gidp non poche: l'indagine rivela che molte hanno assunto, negli ultimi 12 mesi, una parte degli stagisti ospitati, addirittura "tutti" nel 9% dei casi; e che c'è anche una piccola pattuglia di aziende, circa il 14% del totale, che racconta di aver assunto direttamente, senza il passaggio intermedio del tirocinio, magari valorizzando precedenti esperienze di stage che il neoassunto aveva svolto altrove. Le funzioni aziendali dove sono più spesso inseriti i neolaureati sono commerciale, marketing e progettazione, ma anche produzione e ricerca&sviluppo. Attenzione però a non farsi troppe illusioni: c'è comunque quasi un quarto delle aziende prese in esame da Gidp che dichiara di non aver assunto nemmeno uno stagista, né di avere intenzione di farlo nei prossimi sei mesi. Eleonora Voltolina