I giovani smuovono un'Italia bloccata, Censis: primi in Europa per lavoro autonomo

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 05 Dic 2014 in Notizie

Per l'occupazione giovanile i dati restano drammatici, ma per la prima volta da anni affiora qualche elemento in controtendenza. «I fenomeni positivi riscontrati sono due» spiega alla Repubblica degli Stagisti Ester Dini, responsabile della sezione lavoro del Rapporto Censis 2014, presentato oggi alla stampa. Il primo è la riscoperta delle competenze da parte delle imprese, convinte che siano la chiave di volta per uscire dalla crisi. «I loro comportamenti sono diversificati, ma per quelle che stanno affrontando la congiuntura più aggressiva, si è aperto un fabbisogno di nuovi profili che non possono che essere ricoperti dai giovani» commenta la Dini. Agenti commerciali, esperti di export, social media editor: c'è tutto un mondo di nuove skills richieste di cui «i giovani non sono spesso neppure consapevoli». Per loro che hanno tra le mani un tesoro «che deriva dall'essere cittadini globali e digitali».

Attestano i dati che un'inclinazione in questo senso appartiene sia alle aziende che attuano attraverso una «logica difensiva» - si legge nel Rapporto - che «vivono una fase di ridimensionamento e per le quali la riorganizzazione rappresenta l’ultima chance di sopravvivenza». In questo caso si verificano interventi drastici sul fronte organizzativo, che prevedono non solo «tagli al personale (48,7%) e riduzione di orari (45,7%)» ma anche «riqualificazione e riconversione delle figure professionali esistenti (30,9%)». C'è poi un'altra fetta di imprese, circa l'8%, addirittura in espansione oppure quelle che «pur in fase di stazionarietà, stanno rivedendo la propria struttura organizzativa». È qui che l'occupazione torna a crescere: «Il 75% ha assunto nuove professionalità e ben il 53,7% ha dovuto acquisire competenze del tutto nuove che prima non aveva: ingegneri innanzitutto (sono le figure prescelte dal 50,2% delle imprese), da inserire nelle funzioni produttive, di ricerca e sviluppo, ma anche gestionali e di controllo; a seguire, tecnici (il 40,6% dei casi), commerciali (35,7%) e amministrativi (29,9%)».

Il secondo snodo è costituto dal ritorno del lavoro autonomo, per anni «calato a picco» - commenta la ricercatrice - nonostante «l'Italia ne fosse la patria». «Un'ultimissima indagine di Eurobarometro testimonia finalmente un cambio di rotta: gli italiani sono più interessati a svolgere attività in proprio, stanno ritrovando la vocazione del far da sé». Un cambiamento che interessa soprattutto i giovani che, bombardati per anni «anche dalle ossessionanti campagne mediatiche sui dati negativi della disoccupazione e sul dilagare dei Neet», hanno capito il messaggio e deciso di rimettersi in gioco. «C’è grande voglia di darsi da fare proprio tra i ragazzi, che aspirano in più casi a creare da sé un business: il 22% ha già avviato una start up o intende seriamente farlo nei prossimi anni, e il dato europeo è perfettamente in linea, mentre quello tedesco nettamente inferiore (15%)» secondo quanto emerge dal rapporto.

Un universo che, a detta del Censis, «sarebbe ancora più ampio se soltanto ci fosse un tessuto di imprese e istituzioni pronto a dare loro sostegno nell’avvio di una nuova attività: il 38%, infatti, sarebbe interessato ad avviare un proprio business, ma ritiene che sia troppo complicato, mentre in Europa tale quota scende al 22% e in Germania al 12%». Se tra i giovani sono dunque scomparsi «i giudizi di valore» sottolinea la Dini, sono stati accantonati certi schemi per cui «a un determinato tipo di istruzione deve corrispondere un tipo di lavoro: oggi può diventare miliardario un ragazzo che si inventa una app senza aver mai studiato». Ma la politica non riesce invece a assecondare le evoluzioni della società: «Deve cominciare a muoversi e smetterla di fare chiacchiere» è dunque il monito a governo e amministratori pubblici, anche perché la Youth Guarantee non basta: secondo la ricercatrice Censis «è un meccanismo totalmente bloccato che finirà per essere risolto solo dalle regioni più virtuose».

Insomma, i giovani sono la vera chiave per uscire dalla crisi e fermare il crollo della disoccupazione, che ormai non riguarda solo i paesi più arretrati d'Europa: «O disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 710mila in Italia, 713mila nel Regno 
Unito, 654mila in Francia» si legge nel Rapporto. «Ai due estremi opposti si collocano la Spagna, con 837mila disoccupati, e la Germania, con soli 332mila. In Italia la quota di giovani sul totale dei disoccupati è pari al 22,7%, in Francia è del 21,5%, ma nel Regno Unito tale quota supera un terzo: 35,8%».  Se nel 2004 era occupato il 60,5% dei giovani, nel 2012 questa percentuale è piombata al 48%: sono oltre 2,6 milioni i posti di lavoro polverizzati «e il costo della perdita ammonta a oltre 142 miliardi di euro». Il riflesso si vede «nella ricchezza familiare netta delle famiglie con capofamiglia giovane che risulta pari a 106.766 euro, -25,8% rispetto al 1991» ribadisce l'analisi. Tutto il contrario per «le famiglie con capofamiglia un baby-boomer di età compresa tra 35 e 64 anni, che hanno visto un incremento del 40,5% e quelle con capofamiglia un anziano addirittura di quasi il 118%».

Se dunque per il lavoro giovanile si fanno avanti alcune speranze, «il vero boomerang è quello del lavoro dei quaranta-cinquantenni» chiosa la Dini. Vero è che per le fasce sopra i 50 anni il lavoro è in ascesa: secondo i dati raccolti nel Rapporto c'è un «boom di occupati over 50 registrato dal 2011 a oggi, +19,1%, proprio in concomitanza del crollo osservato tra quanti hanno un’età inferiore: -11,5%». Ma se tra gli inattivi la grande maggioranza, «pari a circa 14 milioni, non cerca lavoro e si dichiara indisponibile a lavorare, ci sono anche quasi 700mila over 50 che si configurano come forze lavoro potenziali, persone cioè che sarebbero disponibili a lavorare a determinate condizioni» chiarisce sempre il Rapporto. «Anche questo è un segnale delle difficoltà contingenti attraversate da questa schiera di persone e del radicale mutamento di prospettive dal quale sono state investite. Rispetto al 2008, sono aumentati di ben il 33,3%».

Fa capolino dunque qualche segnale di movimento. Una piccola speranza in questa Italia bloccata delle sette «giare»: quei «mondi non comunicanti»
di cui ha parlato il presidente Censis Giuseppe De Rita. Mondi dove si muovono, ma senza interagire davvero tra loro, poteri sopranazionali, politica nazionale, ruoli disordinati nelle varie sedi istituzionali, minoranze vitali, «gente del quotidiano», sommerso sempre più ambiguo, e un mondo della comunicazione connotato più dal bisogno di rappresentare "l’evento" che di raccontare della realtà.

Ilaria Mariotti 

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