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Radio Popolare racconta il mondo del lavoro: dopo tre anni di “Pionieri”, in partenza a maggio un nuovo format

Esistono modi alternativi di guadagnarsi da vivere, con mestieri che non possono essere catalogati sotto nessuna voce alle professioni tradizionali. Ne ha parlato per tre stagioni, da settembre 2015 fino a giugno del 2018 la trasmissione di Radio Popolare Pionieri, andata poi incontro a uno stop «nonostante i buoni ascolti». La sospensione «era nell'aria da un po'» riferisce il conduttore, l'autore milanese Gianpiero Kesten [nella foto]. L'idea del programma era nata «perché volevamo parlare del mondo dei giovani, e si concretizzò un giorno a pranzo con il sociologo Stefano Laffi che aveva scritto un libro che si intitolava proprio “Pionieri”». L'argomento all'epoca non era così inflazionato: «siamo stati lungimiranti a aprire questa finestra perché era una realtà, quella dei lavori non tradizionali, diventata sempre più evidente. Solo che poi se ne è cominciato a parlare un po' ovunque sui media, e il rischio era perdere di originalità».Così, finito il primo ciclo da circa 300 puntante, a maggio si riapriranno i battenti sotto una veste (e un nome) nuovi: «Si parlerà ancora di lavoro, ma partendo da quei luoghi di Milano e dintorni, come per esempio le fabbriche dismesse, che hanno cambiato destinazione d'uso» anticipa Kesten, «portando con sé una trasformazione dei mestieri che si svolgevano al loro interno». Un punto di vista diverso che però sarà «un pretesto per raccontare ancora una volta il mondo del lavoro che cambia». L'appuntamento non sarà più lo stesso: a differenza di Pionieri, che occupava il palinsesto quattro giorni a settimana, il nuovo programma condotto da Kesten andrà in onda solo il sabato, alle 11.30. Di tutto questo mondo alternativo fatto di occupazioni impensate generate per lo più dalla crisi economica «le vecchie generazioni non sanno pressoché nulla, abituate come sono a dei percorsi lineari: studio una tal cosa, per poi essere assunto con tutte le garanzie del caso» riflette il conduttore. Esplorare questo universo significa quindi «mettere in contatto i giovani con altri giovani, far da altoparlante alle loro idee, senza mettersi nei panni degli esperti di qualcosa». Ma alla fine serve «anche a rassicurare per gli ascoltatori più 'maturi', i genitori o familiari di questi giovani, che scoprono così che c'è una via d'uscita per i loro ragazzi senza un'occupazione». Con Pionieri l'aggancio con il pubblico più adulto aveva funzionato. Il riscontro non emergeva tanto dai dati di ascolto, «molto aleatori e imprecisi, neppure li so» dice Kesten, quanto dalle reazioni sui social o dagli sms. E poi «dall'attenzione della stampa, e dagli eventi che Radio Popolare organizzava, in cui mi capitava di incontrare dei genitori che ascoltavano la trasmissione».Pionieri aveva anche un orario strategico, quello del 'drive time', ogni giorno dalle 17 alle 18, ottenuto proprio grazie al buon andamento del programma. Per un'ora si parlava prima della storia di qualche ascoltatore 'pioniere', per poi passare alla seconda fase in cui si discuteva con un collega della radio esperto di filosofia. Solo nell'ultimo periodo «avevamo inserito un consulente che rispondesse alle domande degli ascoltatori». Un filo diretto con gli ascoltatori quindi, senza filtri. Da cui è uscito di tutto: «Dalla storia di chi ha scoperto di avere un cane cacciatore di tartufi e ha fatto della vendita di questi prodotti un business, a chi ha aperto una start up come per esempio l'open source per libri universitari, una sorta di Wikipedia mirata sui testi accademici».E ancora chi «ha venduto tutto per riaprire la fonderia del nonno, o una start up del bergamasco, Loda Orobica, partita con tre persone e oggi diventata una delle aziende più importanti per l'archiviazione digitale». Sono finiti su Pionieri anche diversi membri di Ashoka, la rete di imprenditori per l'innovazione sociale, come la direttrice della RdS Eleonora Voltolina, nominata Ashoka Fellow nel 2018. Negli ultimi anni poi, «ci siamo occupati anche dei meno giovani, dei cinquantenni rimasti senza lavoro che con i propri risparmi hanno ricominciato magari aprendo un locale». Tutte persone insomma che si sono inventate un lavoro, «non un hobby ma qualcosa con cui campano» sottolinea.A scovare le vicende ci pensava lo stesso Kesten, almeno all'inizio: «Poi, quando la trasmissione ha cominciato a farsi conoscere, sono cominciate ad arrivare le segnalazioni». E veniva tutto confezionato e messo in onda dallo stesso conduttore, «come nella migliore tradizione della radio in cui una sola persona fa tutto, dalla regia al resto». Con contenuti dal linguaggio «il più chiaro possibile e lontano da tecnicismi, proprio per evitare di fare i grandi che parlano ai giovani creando un certo distacco».C'è bisogno di parlare di lavoro, oggi più che mai: «Perché è diventato tutto difficilissimo: non ci sono più diritti, le regole si sono polverizzate tra partite Iva, precari e assunti veri e propri» ragiona l'autore. E il tema è sempre più scomodo perché «chi ne parla non è chi sta bene, ma in linea di massima chi il lavoro non ce l'ha e si trova in difficoltà, e chi dovrebbe risolvere i problemi». L'importante però per chi è fuori dal circuito, suggerisce, «è non perdere di vista i propri obiettivi, e non preoccuparsi se ogni tanto bisogna cambiare strada perché non c'è niente di umiliante nel non fare quello che si era previsto, non è una colpa». Sono questi i consigli ai giovani per farsi largo in questo mercato del lavoro, a parte «riascoltarsi tutti podcast di Pionieri» scherza. E poi sintonizzarsi ancora su Radio Popolare a partire da maggio per il prossimo appuntamento dedicato ai lavori di oggi.  Ilaria Mariotti

“Perché l'Italia torni un paese per giovani, i giovani stessi devono scendere in campo in prima persona”

Che l'Italia non sia più un paese per giovani lo si dice già da tempo: giusto giusto dieci anni fa, nel 2009, la frase divenne il titolo di un saggio fulminante dell'allora quarantenne Alessandro Rosina, docente di demografia e acuto osservatore della condizione giovanile in Italia. Un decennio è passato – eppure la situazione non è migliorata. «Oggi non ci sono più le condizioni per un giovane di crescere e affermarsi» dice Luca Pietro Ungaro: «Si scappa all’estero perché non ci si sente valorizzati». Ungaro non parla per sentito dire: ha ventisei anni e da un paio d'anni vive a Parigi dove, dopo una laurea in economia alla Cattolica di Milano e un mba che lo ha portato anche in California e in Ghana per un po', oggi fa il consulente. Insomma un giovane “ingrato” fuggito all'estero in cerca di fortuna? Non proprio. Ungaro – fratello del deputato Massimo, eletto l'anno scorso alla Camera nella circoscrizione Estero – è anche appassionatamente convinto che i giovani debbano lavorare in prima persona per la rinascita dell'Italia per rendere il nostro Paese di nuovo “un Paese per giovani” appunto. Da tre anni fa parte della Global Shapers Community, iniziativa del World Economic Forum che mira a creare un network di giovani “che sono eccezionali per potenziale, risultati ottenuti e intenzione di dare un contributo alla propria comunità”. E nel 2015 ha fondato Culturit, una organizzazione non profit che ha già una decina di sedi sparse per l'Italia e si prefigge di formare studenti universitari di tutte le facoltà attraverso progetti focalizzati sulla valorizzazione e lo sviluppo dei beni culturali italiani, intesi in senso largo. Insomma uno convinto che con la cultura... si mangi.La più recente creatura di Ungaro è Energia Giovani, un progetto – che probabilmente prenderà la forma di associazione non profit nei prossimi mesi – che vuole affrontare il tema dell'equità intergenerazionale.Sabato 30 marzo a Milano è in programma “Culturit University”, il raduno nazionale di tutte le locali italiane di Culturit: questa è la sesta edizione dell'evento, e quest'anno il tema principale sarà proprio la (non) rappresentanza e la (non) centralità degli under 30 – o forse addirittura under 40... – in Italia. “Non è un paese per giovani: le sfide delle nuove generazioni” è il titolo che gli organizzatori hanno scelto per la giornata. L'evento (questa la pagina su FB) prenderà avvio alle 14 con la messa in scena dello spettacolo teatrale “Aiuto, mi laureo!” di Francesca Isola, con musiche di Angelo Simonini; a seguire la tavola rotonda “Investire sui giovani: a che punto siamo”, con Alessandro Rosina (proprio lui) e il giornalista Francesco Cancellato, direttore de Linkiesta. L'intervento conclusivo sarà di Eleonora Voltolina, fondatrice della Repubblica degli Stagisti e Ashoka Fellow, che insieme a Leonardo Stiz – ventiseienne veneto, laureato in Legge alla Bocconi, oggi stagista presso la Commissione europea, e cofounder insieme a Ungaro di Energia Giovani – discuterà delle migliori “Idee per un'Italia a misura di giovani”. Alla “Culturit University” collaborano associazioni come Aiesec Milano, Enactus Milano, European Generation, Fai Giovani Milano, JECatt, Poliferie e Tortuga. «Dalla politica tendiamo ad allontanarci sempre di più» dice Stiz: «Il divario tra giovani e politica cresce e il dialogo tra queste due realtà si annulla. Ci perdono i giovani, perché la politica non fa più niente per loro, e ci perde il Paese, perché i giovani si disinteressano». Bisogna invertire la rotta, e in fretta.«Sta a noi disegnare la società del futuro: ora tocca a noi» conclude Ungaro: «Se non ne siamo convinti noi per primi, nessuno ci darà spazio. Dobbiamo far capire alla società che non siamo degli antagonisti ma che vogliamo prendere in mano il nostro futuro di lavoro e di vita, lavorando e innovando. Questa è la missione di Energia Giovani». Giovani all'ascolto, se queste parole risuonano nella vostra mente, se vi ispirano, potete trasformare la vostra energia in qualcosa di concreto. Magari iscrivervi a CulturIt. O a un sindacato. O a un partito. O a un'associazione di azione giovanile.

Niente più stage gratis al Parlamento europeo: la vittoria dell'eurodeputato Benifei

Mai più stage a titolo gratuito all'Europarlamento. Il traguardo arriva dopo tre anni di battaglia – sotto il nome di #Fairinternships per stage più equi – a suon di «manifestazioni, incontri, flash mob, questionari anonimi» racconta Brando Benifei, eurodeputato Pd e copresidente dell'Intergruppo giovani. Al suo fianco David Sassoli, vicepresidente dell'Europarlamento: l'occasione è una conferenza stampa organizzata ieri apposta per annunciare «la fine della pratica vergognosa dell'uso di stagisti senza rimborso spese». Uno stop che riguarda quel «far west» – così lo definisce Benifei – di stage che si svolgono presso gli uffici degli europarlamentari, finora rimasti sostanzialmente senza regolamentazione. La nuova normativa entrerà in vigore a partire dal primo luglio, quindi con la prossima legislatura: scongiurato per fortuna il timore «di non riuscire a rientrare nei tempi della fine del mandato», con il rischio di lasciare a metà il lavoro fatto finora. Le regole che saranno introdotte in estate e che il Bureau ha approvato lo scorso 25 marzo rompono in maniera netta con il passato. Innanzitutto sul piano dell'indennità da corrispondere ai tirocinanti: si passa infatti da nessun tetto minimo a un range di rimborso spese – obbligatorio – dagli 800 ai 1313 euro mensili come soglia massima. Una fascia non casuale «ma allineata alle regole sugli stage in vigore in Belgio, e rispetto alle quali finora il Parlamento si poneva in una situazione di ambiguità dal punto di vista legale». O per non parlare proprio di palese illegalità: secondo i dati emersi dal questionario somministrato dall''Intergruppo nel 2017 a 233 stagisti, ben un quarto risultava pagato meno di 600 euro al mese, mentre l’8% non percepiva alcun rimborso. Il tutto a fronte di un 40% impegnato per oltre 40 ore a settimana, con un 15% che andava oltre le 45. Uno «scandalo» secondo Sassoli, da correggere anche perché «il Parlamento europeo come istituzione deve dare l'esempio e mettere in pratica per primo ciò che chiede agli altri di fare». E siccome gli europarlamentari possono inserire stagisti anche negli uffici dei propri paesi di provenienza – quindi non solo in Belgio – il provvedimento chiede di applicare anche nei diversi Paesi membri la legge nazionale valida per gli stage. La seconda misura riguarda poi la durata: si passa da un massimo di 18 mesi alla metà, ovvero nove mesi. Con una durata che può andare da sei settimane a cinque mesi prorogabili appunto fino a nove. Si pone l'obbligo dell'assicurazione sanitaria (è attualmente sufficiente la sola autocertificazione), e si fissano altri due paletti: ogni europarlamentare non potrà avvalersi di più di tre stagisti contemporaneamente né ripetere lo stage con chi lo abbia già fatto. Si apre anche una finestra specifica per le cosiddette 'visite di studio', una nuova categoria che introduce il regolamento appena approvato rivolta «ai ragazzi che stanno per terminare le scuole superiori o che frequentano l'università e che vogliono svolgere una piccola esperienza presso l'Europarlamento» sottolinea Benifei. Proprio per evitare che vi sia una sovrapposizione con gli stage «abbiamo stabilito che il massimo possibile di durata di queste esperienze sia pari al minimo dello stage, ovvero sei settimane». Ogni europarlamentare può usufruire al massimo di due visite di studio per legislatura, e può – in questo caso liberamente – decidere di erogare un piccolo forfait «che non potrà comunque superare il massimo previsto per una mensilità di stage». La nuova regolamentazione, è bene specificarlo, non avrà alcun effetto sui tirocini Schuman, quel programma di tirocini che si ripeto ogni anno al Parlamento Ue, garantiti da regole e tutele ben precise, e che ogni anno accolgono nelle varie aree dell'istituzione circa 900 persone. «Questi prevedono già programmi formativi e compensi adeguati» chiarisce Benifei. L'urgenza era insomma intervenire sulle altre categorie di stage «rispetto alle quali il Parlamento era inadempiente». Adesso invece ci sarà un allineamento a questi tirocini ufficiali «perché in base ai nuovi contratti attivati da luglio gli stagisti risulteranno a tutti gli effetti dei dipendenti del Parlamento, come vale per gli Schuman, adeguandosi poi al trattamento per gli stagisti previsto dall'ordinamento belga». L'obiettivo è andare anche oltre. Spiega Benifei che il fine politico ultimo «è quello di mettere a bando i tirocini senza rimborso spese in tutta Europa, e più in generale accrescerne la qualità». Anche se inseriti «nell'ambito di un percorso formativo, il lavoro e l'impegno vanno pagati», fa eco Sassoli. Il primo passo sarà la riforma del «Quadro di qualità europeo per i tirocini e per gli apprendistati», una raccomandazione del Consiglio adottata nel 2014 che definisce standard minimi che i Paesi Ue si sono impegnati a rispettare. Resta il nodo dei controlli e delle sanzioni. «Come si può evitare che la nuova normativa non sia aggirata?» chiede un giornalista al termine della conferenza stampa. «Il tutto si svolgerà dentro la cornice dei controlli ordinari realizzati dal Parlamento europeo e con responsabilità diretta dell'istituzione» rassicura Sassoli. Ma per averne la certezza la normativa andrebbe forse implementata anche su quel fronte.Ilaria Mariotti   

Oltre cento tirocini negli uffici giudiziari, in Sardegna un nuovo percorso senza sbocchi professionali

È tra le regioni in cui il tasso di disoccupazione è tra i più alti: quasi il quarantasette per cento per i giovani tra i 15 e i 24 anni e ben oltre il ventisette nella fascia immediatamente seguente, tra i 25 e i 34. Per risolvere il problema la Sardegna punta ancora una volta sui tirocini. Nessuna certezza di un inserimento finale, ovviamente: un semplice tampone della situazione. La Regione ha pubblicato ai primi di febbraio un avviso pubblico per tirocini negli uffici giudicanti del distretto della corte di appello di Cagliari. Gli stage in questione sono «destinati a giovani laureati in materie giuridiche ed economiche». Nello specifico a 103 disoccupati tra i 18 e i 35 anni che per sei mesi lavoreranno 30 ore alla settimana con un rimborso mensile di 450 euro. Per i primi 48 posti, quelli per la città di Cagliari, la scadenza era il 4 marzo. Diverse invece le scadenze per le altre sedi: per i 23 posti a Sassari, sempre accorpando tribunale, giudice di pace, tribunale per i minorenni,ufficio di sorveglianza e sede distaccata della corte di appello, si può fare domanda fino al 24 marzo. Stessa scadenza per gli otto tirocini di Tempio Pausania e La Maddalena. Mentre per i complessivi 24 posti di Lanusei, Oristano e Nuoro le domande vanno consegnate dal 24 marzo fino al 14 aprile. Complessivamente, quindi, ci sono ancora a disposizione 55 stage. L’avviso è finanziato dall’Agenzia sarda per le politiche attive del lavoro (Aspal) con 540mila euro a valere sulla missione 15, programma 2, del bilancio di previsione pluriennale 2019-2021,  approvato a fine febbraio.Gli aspiranti tirocinanti, come espressamente indicato nel bando, devono alla data di presentazione della domanda essere domiciliati in Sardegna ed essere disoccupati ai sensi del decreto legislativo 150 del 2015. Quest’ultimo requisito deve essere posseduto nel momento di presentazione della domanda e mantenuto per tutta la durata del tirocinio, così come la Regione Sardegna ha precisato. Gli aspiranti stagisti non devono poi essere beneficiari di altro intervento di politica del lavoro o essere iscritti all’albo degli avvocati, nemmeno nel registro dei praticanti. Per partecipare bisogna presentare entro i termini previsti la domanda presente sul sito completa di documento e curriculum vitae. A questo punto l’Aspal attribuirà un punteggio alle candidature pervenute che sarà completato da un colloquio motivazionale.Nel bando alla voce “caratteristiche dei tirocini” si precisa che gli stage hanno una durata di sei mesi «eventualmente prorogabile di ulteriori sei». Insomma, con tutta probabilità dureranno complessivamente un anno. Il punto nodale, però, è che questo tipo di stage difficilmente porterà a un inserimento finale. Uno dei principali problemi dei tirocini negli uffici giudiziari, che da sempre la Repubblica degli Stagisti sottolinea, è che l’assunzione post stage non è nemmeno ipotizzabile. E purtroppo questi percorsi formativi non forniscono competenze poi spendibili sul mercato del lavoro, specialmente nel settore privato. Ed è qui che si concentrano tutte le contraddizioni di iniziative di questo tipo. Uno stage serve principalmente a far capire a un giovane che cosa significa il mondo del lavoro, come ci si comporta, quali regole seguire. Ma al giorno d’oggi è soprattutto un primo passo per entrare e cercare di rimanere nel mercato del lavoro. Offire uno stage in un campo come quello della giustizia, dove si entra solo tramite concorsi pubblici, e farlo proprio in un ambito dove da anni – come ampiamente documentato dalla Repubblica degli Stagisti – si susseguono tirocini di tutti i tipi (da quelli in Garanzia giovani a quelli con progetti provinciali, dai bandi alle dirette dipendenze del ministero della giustizia a quelli su sola base regionale) che non hanno mai portato ad un’assunzione finale, non è certamente un buon biglietto da visita. E non lo è nemmeno includere dei disoccupati laureati ultratrentenni in un percorso senza sbocchi.Nel testo dell’avviso, è vero, viene precisato che «il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro, ma è un’esperienza pratica» che consentirebbe, quindi, il contatto diretto dello stagista con l’organizzazione e l’opportunità «di acquisire competenze e conoscenze specifiche, tecniche relazionali e trasversali che possono agevolare e supportare le scelte professionali oltre che favorire il suo ingresso o reingresso nel mercato del lavoro».Ma proprio nelle competenze e conoscenze specifiche che c’è un’incongruità. La stessa che ha riguardato i tirocinanti della giustizia che all’incirca dal 2010 affollano gli uffici giudiziari di tutta Italia, portando risultati apprezzati da tanti Presidenti di Corti di appello. Una platea larghissima che coinvolge cassintegrati, anche over 50, neo laureati in giurisprudenza, trentenni disoccupati: tutti destinatari di progetti in cui hanno acquisito e sviluppato competenze e conoscenze specifiche che non hanno portato a nulla. Oggi, per esempio, quanti erano stati inclusi nel cosiddetto ufficio per il processo hanno terminato a dicembre il percorso e a tutt’oggi non si sa quale sarà la loro sorte. Mentre gli esclusi da questo percorso, che in alcune regioni erano stati inclusi in progetti locali, si trovano tutti in fasi diverse. Tre esempi su tutti: chi ha da poco ripreso con l’ennesima proroga, come Lazio e Calabria, chi non è mai stato rinnovato come l’Abruzzo. Il tirocinio avrebbe dovuto migliorare l'occupabilità di questi disoccupati, proprio come in questo nuovo caso sardo. Ora sottolineare le differenze è d’obbligo: qui c’è un’età limite, seppure alta, l’obbligo di una laurea in settori precisi come giurisprudenza o economia. Ma l’iter del percorso non sembra molto distante da quello che ha illuso per anni tanti altri. E a tutti i disoccupati sardi che nonostante tutto presenteranno domanda di partecipazione, se non altro attirati dal rimborso spese, val la pena ricordare che tra sei mesi, un anno al massimo, dovranno ancora una volta ricominciare tutto da capo. Con un bagaglio di nuove competenze difficilmente spendibile in altri settori. Marianna Lepore   Foto in alto: Firma dell'accordo di collaborazione tra Regione e Corte d'appello di Cagliari, da sinistra Gemma Cucca, presidente della Corte di appello di Cagliari, Francesco Pigliaru, presidente Regione Sardegna, Virginia Mura, assessore al lavoro.

Italia addio non tornerò, il docufilm sugli expat che lasciano l'Italia senza rimpianti

Meritocrazia: a rischio di scivolare nella retorica è questa la parola che ricorre nelle trenta interviste a expat di tutto il mondo contenute nel docufilm 'Italia Addio, non tornerò', curato dalla giornalista Barbara Pavarotti [nella foto a destra], classe 1956, ex vicecaporedattrice del Tg5. A finanziare il lavoro, presentato alla Camera dei deputati a febbraio, è stata la Fondazione Paolo Cresci di Lucca, che si occupa di promuovere la conoscenza dell'emigrazione dall'800 a oggi. «All'inizio, da 'perfetta' giornalista tuttologa, non ne sapevo nulla» racconta Pavarotti alla Repubblica degli Stagisti. «Poi, quando ho cominciato a 'scalettare' le interviste, mi sono appassionata, mi sono resa conto che la questione expat era fondamentale». Chi appare nelle interviste è stato scelto attraverso un appello lanciato sulla settantina di gruppi di Facebook di Italiani nel mondo. «La Fondazione non voleva le eccellenze italiane di cui parlano tutti» evidenzia la giornalista «ma un ventaglio il più ampio possibile, di mestieri, titolo di studio, competenze». Il coro nei cinquanta minuti di documentario è unanime: all'estero il merito conta, in Italia molto meno. Ed è così che questi figli di nessuno, senza santi in paradiso, hanno costruito il loro futuro fuggendo da un'Italia che li ha respinti, non ha dato loro speranze di futuro, possibilità di trovare un posto e costruirsi una vita. E in questi altri Paesi che li hanno accolti vogliono restare, per tornare in patria al massimo per le vacanze, da turisti.«Mi sono state date delle opportunità: lavori bene? Allora mi fido di te»: la fa breve Stefano Nicoli di Lucca, classe 1980, dal 2005 a Barcellona raggiunta subito dopo la laurea in Scienze della comunicazione. Oggi è un affermato professionista dell'audiovisivo. «Negli ultimi dieci anni mi sono creato uno spazio, e non penso di tornare indietro» dice, riferendosi a un possibile rientro in Italia. Sara Lucchetti [nella foto a sinistra] invece di anni ne ha trenta, è di Roma, ed era il 2011 quando ha deciso di trasferirsi in Australia, a Melbourne, dopo la triennale in Mediazione culturale. Figlia di una cuoca e con un padre con problemi di salute, racconta del desiderio di «crearmi delle opportunità, che non avevo in Italia». Con la famiglia in difficoltà economiche, l'unico sbocco erano le pulizie o la ristorazione. «Sono partita come bartender, e oggi sono manager di un ristorante italiano».La storia si ripete anche per gli altri. Marco Tommaselli, perito informatico di Firenze, a Los Angeles è oggi un direttore della fotografia. «Non conoscevo nessuno e volevo lavorare nel cinema» ammette. «Ci ho messo tre anni a arrivare dove volevo, e ho la sensazione che in Italia ne avrei impiegati quindici, perché qui è diversa la mentalità: le persone ti insegnano e hanno piacere che tu vada avanti nel tuo percorso». In Italia è «l'opposto, non si pensa che sia necessario un ricambio generazionale». Per questo «non credo che riuscirei a riadattarmi al sistema italiano delle raccomandazioni» sottolinea Valeria Milani, medico 45enne, a Monaco dove inizialmente si è trasferita per motivi personali, e oggi si sente «un ibrido perfettamente integrato».Alessandra Altamura, del 1978, di Milano e figlia di un medico di base e di una maestra di asilo, laureata in Ingegneria: oggi è anche lei a Monaco, dove «il mio curriculum e la mia forza di volontà sono stati abbondantemente premiati». In Italia era tutto più difficile perché «avevo anche una bambina piccola». Qui «ho trovato meno pregiudizi sulla maternità». Quarantuno anni anche per Fillippo Baglini [nella foto sotto], giornalista di Pietrasanta, in provincia di Lucca, che nel 2006 è approdato a Londra  «per realizzare un sogno: quello di creare una web radio». Filippo aveva già un lavoro a differenza di altri 'cervelli in fuga', ma nella capitale inglese è riuscito a a dare vita alla sua idea, fondando la London One Radio. Certo, non tutto è rose e fiori: «Non è semplice, ci sono difficoltà come la lingua o anche riuscire a tenere in piedi un'azienda, che qui si apre con un solo pound» precisa Baglini, e non sempre si arriva dove si vuole. A dispetto del titolo del documentario, in realtà qualcuno che vuole tornare c'è. Milena Guerra, 29enne di Napoli, figlia di una sarta e di un autista, in Italia non riusciva a trovare lavoro ed è arrivata due anni fa a Los Angeles con in tasca una laurea in Lingue. Ma non è riuscita purtroppo ad andare oltre la fase di ragazza alla pari: non proprio «il lavoro dei sogni». E adesso – confessa – «sento il bisogno di rientrare».Il danno economico prodotto dai giovani italiani che vanno all'estero senza mai fare rientro ammonterebbe a 14 miliardi di euro all'anno secondo stime di Confindustria – un punto di Pil – sottolinea il documentario, calcolando le spese di formazione di questi stessi ragazzi di cui si fa carico lo Stato. Una formazione che non ha portato occupazione e che ha fatto sì che oggi si sia tornati a una emigrazione ai livelli del Dopoguerra. «In Italia il lavoro è concepito come un diritto dinastico» è il commento della regista al termine della proiezione: «Puoi aver anche scritto un capolavoro, ma nessuna casa editrice ti si filerà mai» esemplifica, per restare nell'ambito editoriale. Qui da noi «un Zuckerberg non sarebbe mai nato, perché quando vai a chiedere lavoro rappresenti un fastidio» prosegue. E i curriculum spediti «non vengono quasi mai visti e per lo più cestinati».Emigrare all'estero non deve essere «una scelta obbligata» dichiara a margine dell'evento il deputato Pd Massimo Ungaro, 30 anni e un passato da expat a Londra, «perché partire può essere un fatto positivo, ma moltissimi sentono che non hanno un'alternativa». E al momento un modo per spingerli a rientrare esisterebbe pure: «La legge sugli sgravi fiscali Controesodo», fa sapere. Una norma che consente a chi rientra di usufruire per i primi anni di un sostanzioso sconto sulle tasse da lavoro.Per chi volesse vederlo, il docufilm sarà presentato il 22 marzo a Milano, a Palazzo Reale. Poi a Salerno, a Pisa, al Luccafilm Festival, a Genova, al convegno Diaspore. All'estero è già stato anche a Madrid, all'Ambasciata, mentre in autunno di quest'anno sarà proiettato a Melbourne. Ma «il sogno è che qualche televisione lo trasmetta integralmente», confessa la curatrice, «perché lì c'è una sintesi dei temi più importanti finora emersi nel dibattito sugli expat, e più se ne parla più c'è speranza, forse, che le cose cambino». Ilaria Mariotti

Regole sui tirocini, l'Umbria alza l'indennità minima e riduce la durata massima

A ormai quasi due anni dall’approvazione delle “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento” l’Umbria ha emanato la sua nuova direttiva sul tema, che entrerà in vigore il prossimo 1° ottobre. Si posiziona quindi terzultima: ora restano solo Puglia e Molise a non essersi ancora messe in regola.Numerose le differenze della nuova normativa umbra rispetto alle indicazioni nazionali, a cominciare dalla durata massima del tirocinio, fissata a sei mesi per tutti (in particolare: i soggetti in stato o a rischio di disoccupazione, i lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito, i soggetti già occupati in cerca di altra occupazione e altri eventuali soggetti individuati dalla programmazione delle politiche nazionali e/o regionali per il lavoro). I dodici mesi – che le linee guida suggerivano di applicare come durata massima generale – in Umbria invece sono d'ora in avanti concessi solo in caso di tirocini per i soggetti disabili e svantaggiati. Infine, il periodo massimo di tirocinio si riduce a tre mesi per gli studenti che hanno assolto l’obbligo di istruzione limitatamente ai tirocini promossi dai servizi per l’impiego e svolti durante il periodo estivo. Quanto alla durata minima, è fissata a due mesi, che si riducono a uno per chi svolge il tirocinio presso soggetti ospitanti che operano stagionalmente e a quattordici giorni per gli studenti. Viene specificato inoltre che l’orario giornaliero non può superare le otto ore.Ma attenzione, perché nell’ambito di interventi di politiche attive viene prevista la possibilità di prolungare i tirocini extracurriculari da sei a dodici mesi e da dodici a ventiquattro per soggetti disabili e svantaggiati. Cioè tornando ai limiti massimi standard previsti dalle linee guida.In particolare, la Regione Umbria potrà finanziare quattro tipologie di misure: «interventi volti a incentivare le imprese che al termine del periodo di tirocinio extracurriculare assumeranno, con contratto a tempo indeterminato, i beneficiari neo-formati, in unità produttive presenti sul territorio umbro»; «misure volte a premiare e incentivare le imprese che al termine del periodo di tirocinio extracurriculare assumeranno, con almeno un contratto a tempo determinato, in unità produttive presenti sul territorio umbro, soggetti disabili e persone svantaggiate»; «programmi d’inserimento/ reinserimento volti a favorire, al termine del tirocinio extracurriculare, l’occupazione in Umbria di giovani e disoccupati di lunga durata»; e infine «azioni rivolte alla messa in trasparenza, validazione e certificazione delle competenze, nonché riconoscimento di crediti formativi, dei partecipanti ai tirocini extracurriculari». In caso di avvisi con questi requisiti, «la Regione può assumere a proprio carico in tutto o in parte l’indennità di partecipazione, sulla base delle previsioni dei singoli avvisi».Ma in base a quali criteri i tirocini rientrano o meno nelle "politiche attive del lavoro"? «Vi rientrano, e quindi hanno diritto all'estensione, tutti quei tirocini che sono esplicitamente finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro» risponde Carla Collesi dell'Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro: «Possono inoltre derogare alla durata stabilita i tirocini extracurriculari promossi dai servizi sociali e dai servizi sanitari dell'Umbria». Secondo la nuova normativa, intitolata “Disposizioni della Regione Umbria, relative all’attuazione e svolgimento dei tirocini extracurriculari”, l’indennità di partecipazione non deve essere inferiore a 450 euro lordi mensili, erogati per intero a fronte di una partecipazione minima documentata del 70 per cento su base mensile o altrimenti in maniera riproporzionata. Anche l’Umbria, quindi, ha deciso di aumentare la cifra rispetto ai 300 euro fissati sia nella precedente normativa regionale che nelle linee guida nazionali. Particolare di non poco conto, nella bozza visionata dieci mesi fa dalla Repubblica degli Stagisti l’indennità era inizialmente stata fissata a 400 euro, dunque evidentemente nel corso della discussione su questo provvedimento è stata fatta dalla Regione una riflessione sulla opportunità di alzare ulteriormente la soglia minima.Rispetto alla normativa precedente, la Regione pone inoltre maggiore attenzione sulle misure di vigilanza e controllo, istituendo «un elenco nel quale vengono inserite i soggetti per i quali è stato accertato un utilizzo del tirocinio non conforme alla normativa vigente»: una novità anche rispetto alla normativa nazionale. Riguardo la disciplina sanzionatoria, viene confermata per le violazioni non sanabili l’intimazione della cessazione del tirocinio per dodici mesi preceduta, per le violazioni sanabili, da un invito alla regolarizzazione. L’interdizione aumenterà rispettivamente a diciotto e ventiquattro mesi in caso di seconda e di terza o maggiore violazione nell’arco di ventiquattro mesi dalla prima interdizione. E la cumulabilità tra indennità di disoccupazione e rimborso spese? Qui l’Umbria si discosta dalle linee guida nazionali, ribadite nella circolare Inps 174, sulla totale compatibilità tra i due. La delibera regionale stabilisce infatti che «nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi e comunque percettori di forme di sostegno al reddito in quanto fruitori di ammortizzatori sociali, l’indennità di tirocinio non viene corrisposta per il periodo coincidente con quello di fruizione dell’ammortizzatore». Il legislatore regionale aggiunge che «nell’ipotesi in cui l’importo percepito a titolo di ammortizzatore sia inferiore all’indennità minima da corrispondersi a titolo di tirocinio, il tirocinante ha diritto alla corresponsione della differenza, qualora essa risulti inferiore al sostegno al reddito percepito».Queste le principali variazioni rispetto alle indicazioni venute fuori nel 2017 dalla Conferenza fra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano. Intanto, nel periodo di transizione, secondo il Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2018, i tirocini extracurriculari in Umbria sono aumentati di quasi il 40%, passando da 4.090 a 5.720; per dare un'idea, in Umbria vivono circa 122mila persone tra i 15 e i 29 anni – la fascia di età in cui è più frequente fare stage. Resta ora da capire se la nuova normativa, più attenta alle esigenze dei tirocinanti ma anche più severa nel monitoraggio della qualità dei tirocini, cambierà questa tendenza.Rossella Nocca

Corte di giustizia UE, candidature fino a metà aprile per trenta stage con rimborso spese oltre i mille euro

La buona notizia è che il rimborso spese è leggermente salito, passando da 1.120 euro netti agli attuali 1.177, quella un po’ meno positiva è che nonostante gli italiani siano i più rappresentati tra i tirocinanti, il rapporto tra ammessi e domande è di uno a quarantadue. Sono i tirocini presso la Corte di giustizia dell’Unione europea, l’organo con sede nella città di Lussemburgo istituito negli anni Cinquanta che interpreta il diritto dell’Ue per garantire sia applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri, oltre a dirimere le controversie giuridiche tra governi nazionali e istituzioni europee. Anche per l’ultima sessione di domande, quella di settembre, per cui sono ora in corso gli stage, «gli italiani sono stati il primo paese per numero di richieste con 169 application spedite sul totale di 576, seguiti dai francesi, con 95, e da Spagna e Grecia a parimerito con 45 domande», spiega alla Repubblica degli stagisti Marilena Cavassa, assistente della Direzione della comunicazione della sezione italiana dell’unità stampa e informazione della Corte di giustizia europea. E questa volta all’alto numero di application corrisponde anche il numero di stagisti: «dei 30 ammessi, quattro sono italiani, quattro greci e tre francesi». Il nuovo bando in corso, invece, è per 30 tirocinanti e tre interpreti di cui uno italiano. Stagisti che oltre al rimborso spese mensile riceveranno anche «un contributo alle spese di viaggio di 150 euro ai tirocinanti retribuiti il cui luogo di residenza è situato a una distanza geografica di 200 chilometri o più dalla sede della Corte di giustizia dell’Unione europea».Per quanti fossero interessati a vedere da vicino come funziona la Corte, non bisogna quindi lasciarsi scappare la nuova finestra per fare domanda per uno stage: il termine ultimo è la mezzanotte del 15 aprile. Le opzioni di scelta sono tre, e per ognuna di queste si possono consultare qui le differenze: un tirocinio nei servizi o negli uffici dei membri della Corte o nella direzione dell’interpretazione. Se interessati bisogna, quindi, fare domanda attraverso l’applicazione Eu Cv online: si deve prima fare la registrazione, poi selezionare il tirocinio di interesse e a quel punto completare, in inglese, francese o tedesco, prima la lettera di motivazione e poi le altre sezioni sui propri studi.  Se selezionati, i tirocinanti dovranno trasferirsi nella città di Lussemburgo dove svolgeranno il loro stage dal 16 settembre al 15 febbraio 2020, per i tirocini nei gabinetti, e dal primo ottobre al 28 febbraio per quelli invece nei servizi. E si entrerà a far parte di una grande macchina organizzativa che secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti al 31 dicembre 2017, conta oltre 2mila dipendenti, di cui più di mille e trecento donne (il sessanta per cento) e 850 uomini tra funzionari, agenti temporanei e contrattuali, con un’età media relativamente bassa rispetto agli standard italiani visto che è di 44 anni. Se, invece, non si superasse la selezione, si potrà ripresentare domanda tra il primo luglio e il 15 settembre per svolgere eventualmente lo stage a partire dal primo marzo 2020.Per avere più chance di essere selezionati è consigliata una buona conoscenza della lingua francese, scritta e orale. Altro fattore molto importante, visto il luogo di lavoro, è la conoscenza della materia giuridica. Tanto che Eleonora Montserrat Pappalettere, della direzione della comunicazione dell’ufficio stampa della Corte di giustizia europea, aveva già precisato alla Repubblica degli Stagisti che «la laurea in giurisprudenza offre maggiori chances, visto che anche il servizio di traduzione della Corte si avvale di giuristi linguisti e non di semplici traduttori, così come l’ufficio stampa e informazione della Corte richiede competenze giuridiche».  Gli italiani, si diceva, sono quelli che più fanno domanda per questi stage e sono i numeri delle varie sessioni a dimostrarlo. Non solo per i tirocini in corso un terzo delle candidature arrivava dall'Italia, lo stesso rapporto c'era anche per gli stage cominciati nell’ottobre 2018, quando su 615 application totali 187 provenivano dal nostro Paese. Mentre per la sessione precedente il numero di candidature raccolte a fine 2017 è stato di 559, di cui 165 italiane. Il dato dei tirocini cominciati a febbraio, con 169 domande italiane, è quindi in calo rispetto all’anno precedente ma comunque di gran lunga in crescita rispetto al passato visto che nella prima sessione del 2016 le candidature totali erano 437 di cui 99 dal nostro Paese e prima ancora 390 di cui “solo” 70 dall’Italia.Nonostante la grande partecipazione è bene ricordare, però, che la competizione è alta. Perché la Corte di giustizia riceve per ogni periodo di tirocinio non meno di 700 domande per circa 30 posizioni. Le varie candidature vengono inoltrate ai capi servizio che le esaminano e in base alle necessità dell’ufficio le selezionano. E visto che la maggior parte dei servizi ha uno o due posti per ciascun priodo di tirocinio, ogni candidato sarà in competizione con altre 200-400 persone. Questo spiega perché i candidati finali selezionati siano altamente qualificati, ma anche perché si passi da 169 richieste italiane a quattro stagisti.Ai tanti interessati a conoscere da vicino il sistema giuridico comunitario e a fare un’esperienza internazionale altamente formativa, non resta che fare domanda e nel frattempo cercare i vari gruppi facebook relativi più o meno a tutte le annate per chiedere informazioni aggiuntive. Marianna Lepore   Foto: fonte Corte di giustizia dell'Unione europea

Riscatto della laurea, ora diventa «flessibile»

Ha conosciuto fortune alterne proprio a causa dei costi sicuramente non alla portata di tutti. Dopo il record di 28mila richieste del 2009, secondo l'Inps nel 2017 sono state circa 13mila, tra settore pubblico e privato, le persone che hanno avviato le procedure per riscattare la laurea. Ma già lo scorso anno il numero è sceso nuovamente, attestandosi su circa 9.700. Sempre nel 2018, è stata la fascia d'età 56-65 a prevalere per tra le persone che hanno scelto di usufruire di questa opportunità: un dato non irrilevante alla luce delle disposizioni relative all'età, che rappresentano uno dei principali punti critici della nuova normativa.Con la legge di Bilancio di quest'anno sono entrate in vigore una serie di novità in tema di lavoro. Tra queste, una riguarda proprio quello che è stato ribattezzato riscatto «agevolato» o «flessibile» della laurea.Nello specifico viene prevista una forma di riscatto riservata esclusivamente a soggetti in possesso di specifici requisiti: il richiedente deve avere un’età inferiore ai 45 anni e la richiesta di riscatto può essere fatta unicamente per i periodi di studio non coperti da contribuzione e svolti a partire dal 1996, quindi nati a partire dall'anno 1974 che nel 1995 frequentassero ancora l’università. Chi richiede il riscatto della laurea, inoltre, non deve essere titolare di pensione. Il limite dei 45 anni è stato espressamente fissato per rendere matematicamente impossibile l’accesso alla pensione anticipata come previsto da Quota 100, altro provvedimento di rilievo tra quelli previsti dalla Manovra. In fase di conversione del decreto legge è stato tuttavia proposto un emendamento per portare il limite da 45 a 50 anni d'età, provando ad aggirare il rischio di incostituzionalità legato all'età, che però è in fase di approvazione. Cosa cambia e quali sono le differenze rispetto alle forme di riscatto della laurea? Per riscatto della laurea, dice l’Inps, si intende la possibilità di «valorizzare a fini pensionistici il periodo del proprio corso di studi» così da accumulare anni di contributi utili a raggiungere più velocemente il traguardo della pensione. In sintesi, si pagano per ogni anno del proprio corso di laurea dei contributi calcolati sulla base dello stipendio percepito al momento della richiesta di riscatto.Ad esempio, in base alle simulazioni riportare sul sito dell’Inps, un lavoratore nato nel 1984 con un anno dianzianità contributiva e una retribuzione pari a circa 21mila euro dovrebbe corrispondere per quattro anni di corso di laurea da riscattare un onere di circa 28mila euro, ossia oltre 7mila euro per ogni anno. Anche chi non ha un lavoro può fare richiesta di riscatto, nello specifico i soggetti inoccupati che al momento di presentazione della domanda non risultino iscritti a nessuna forma di previdenza obbligatoria e non abbiano avviato attività in Italia o all’estero. Il riscatto agevolato prevederebbe un risparmio di circa 2mila euro per anno di studio.«Rispetto a quello ordinario, questa forma innovativa ha un costo forfettario e sganciato dall’ultima retribuzione» chiarisce alla Repubblica degli Stagisti Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: «Tale costo è identico a quello pagato dagli inoccupati, ma in questo caso non è richiesta l'assenza di qualsiasi precedente esperienza lavorativa e di contributi versati, come invece accade per il riscatto per inoccupati previsto dalla legge 247 del 2007. Il costo per singolo anno del corso di studi, in entrambi i casi, è pari all'aliquota IVS del fondo pensione lavoratori dipendenti – 33% – per il reddito minimo della gestione artigiani e commercianti. Questo si traduce in una spesa di circa 5.240 euro per ogni singolo anno del corso (ad esempio il riscatto di una laurea triennale costerà attorno 15.720 euro), senza considerare però il vantaggio che sarà costituito dalla deducibilità ai fini fiscali di questo importo. Anche il riscatto agevolato per under 45 è rateizzabile in massimo 10 anni senza interessi».Anche per il riscatto agevolato, a differenza della prima versione proposta, il riscatto è legato un aumento dell'anzianità assicurativa e contributiva, cioè salgono gli anni di contributi accantonati e aumenta la misura dell'assegno di pensione.Per De Luca questa nuova formula del riscatto «sarà sicuramente gettonata soprattutto in vista della futura pensione anticipata con quota 41, promessa nella fase due della riforma. Quattro o cinque anni su quarantuno di contributi costituiscono quasi un buon decimo del percorso che porta alla pensione».Risultano quindi superate le proposte, avanzate in passato dalla campagna #riscattalaurea e dall’ex sottosegretario all’Economia Pierpaolo Barretta, di prevedere per i nati tra il 1980 e il 2000 che avessero concluso nei tempi prestabiliti il proprio percorso di laurea il versamento dei contributi a carico dello Stato e quindi gratuito per i soggetti interessati. Nel caso di #riscattalaurea si prevedeva addirittura il superamento dei limiti d’età. «La totale gratuità poteva creare eccessiva spesa per lo Stato e una forte ingiustizia fra le varie generazioni. La formula appena approvata è invece un’opzione che rimane libera e che rappresenta un costo sicuramente meno sbilanciato per la finanza pubblica», conclude De Luca.Non c’è dubbio che nei prossimi mesi l’attenzione sul tema sarà alta per capire eventuali integrazioni e sviluppi, in modo da iniziare a tirare le prime somme.Chiara Del Priore

Stairway to your future, torna l’alternanza scuola-lavoro in EY

L’alternanza scuola-lavoro introdotta dalla riforma della Buona scuola ha l’obiettivo di far vivere da vicino ai giovani cosa significa il mondo del lavoro, quali sono le ruotine, i processi e i prodotti dell’azienda. Ci sono aziende che non producono oggetti, ma servizi e che possono essere altrettanto stimolanti e interessanti per i giovani. È il caso di EY, che ha creato il progetto “Stairway to Your Future” – “Una scala verso il tuo futuro” – giunto ormai alla sua terza edizione.Non è stato semplice delinearlo: «Noi vendiamo servizi professionali e quando abbiamo costruito il nostro percorso di alternanza scuola lavoro lo abbiamo pensato con l’idea di aiutare i giovani a conoscere le tematiche o competenze fondamentali per affrontare il mondo del lavoro», spiega Riccardo Quaglia, Employer branding manager di EY, in azienda dal 2012 e con più di dieci anni di esperienza in Risorse umane, recruting e international mobility: «Abbiamo quindi costruito un percorso legato all’orientamento professionale cercando di trasferire delle competenze ai ragazzi attraverso i nostri professionisti, portando quel valore aggiunto dato dalla loro conoscenza».Il programma sta crescendo: per il 2019 si è pensato di espanderlo sul territorio e affiancare alla ormai consolidata edizione milanese anche una edizione romana. «Avremo cinquanta ragazzi per città, quindi un totale di 100 provenienti da nove scuole: quattro al Nord - l’istituto Bertarelli Ferraris di Porta Romana, l’ITST Gentileschi, il Canadian School of Milan, l’Istituto tecnico economico Mossotti di Novara e cinque su Roma – il liceo scientifico Talete, l’istituto tecnico per il turismo Cristoforo Colombo, l’istituto di istruzione superiore Domizia Lucilla, il liceo Giordano Bruno e il Liceo Azzarita-ISS Tommaso Salvini». Ragazzi con background molto diversi: una sfida nella sfida creare un percorso che appassioni tutti.L’altra novità dell’edizione 2019 è la riduzione della durata programma da due settimane a sette giorni: una scelta fatta per «accogliere i feedback delle annate precedenti: i ragazzi ci hanno spiegato che quindici giorni erano troppo pesanti». Inoltre è stato anticipato il periodo, preferendo una collocazione non nel mese di giugno – quando ormai gli studenti sono stanchi e già con il pensiero alle vacanze estive – ma dal 4 all’8 marzo a Milano e dal primo al 5 aprile a Roma. «Abbiamo creato dei moduli che potessero coprire tutte le tematiche in una settimana, con un impegno dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13». Una riduzione possibile anche grazie all’eliminazione del modulo sulla sicurezza, che è obbligatorio ma è già stato svolto da tutti i ragazzi nelle proprie scuole.Quest’anno, quindi, si è cercato di accorciare il tempo in cui i ragazzi ascoltano i formatori, ovvero i professionisti di EY, rendendo la settimana più pratica. «Si comincia con una giornata di welcome ”istituzionale”, in cui ci presentiamo e facciamo conoscere ai ragazzi i nostri brand ambassador che racconteranno la loro esperienza in EY», spiega Quaglia. «Poi ci saranno tre moduli. Il primo è legato al personal branding, quindi ai social media e alla costruzione dei curriculum digitali. Ci sarà una parte introduttiva dove spiegheremo queste cose e poi metteremo subito i giovani in gioco facendogli fare delle videointerviste». In pratica i giovanissimi faranno quello che i loro colleghi un po’ più grandi fanno quando incontrano le aziende all’università. «Quando andiamo ad assumere i ragazzi negli atenei, gli chiediamo di girare un video in cui spiegano chi sono e qual è la loro intenzione rispetto a una posizione professionale. Ora lo faremo mettere in pratica anche a questi studenti. Abbiamo una video intervista corretta e una sbagliata. Le mostriamo entrambe ai ragazzi, li dividiamo in sottogruppi e li invitiamo a replicare i video su loro stessi usando una piattaforma digitale». Questi giovanissimi si troveranno, quindi, alle prese con una delle modalità innovative del recruiting moderno. Una grande novità rispetto allo scorso anno quando durante il programma si facevano ancora colloqui classici. Il secondo modulo è invece dedicato alla sicurezza informatica: anche in questo caso è stato ridotto il tempo d’aula delle spiegazioni per passare subito alla pratica. «Facciamo fare agli studenti dei “giochi di guerra” [ndr. dei giochi che stimolano la sensibilizzazione alla sicurezza] per capire cosa significa utilizzare i social media in un determinato modo, come scoprire l’identità delle persone e informarsi sui loro dati. Quindi creiamo un profilo e dimostriamo come da questo si riescano a determinare informazioni su una persona». Nelle ultime due giornate, invece, si passa alla realizzazione di un project work: i ragazzi andranno a costruire una campagna di comunicazione digitale per la loro scuola. «Riceveranno un brief iniziale in cui diremo loro qual è l’obiettivo e faremo raccontare l’esperienza da colleghi che vendono questo tipo di servizi ai clienti. I ragazzi creeranno la campagna che completeranno nella seconda giornata quando avranno anche la possibilità di presentarla ai loro presidi e professori. Gli studenti avranno, infatti, due-tre minuti per illustrare come hanno costruito la campagna di comunicazione a una giuria che darà una valutazione sul lavoro finale. Poi in chiusura un pranzo tutti insieme per salutarsi».L’edizione 2018, che si è svolta solo a Milano, ha coinvolto 50 ragazzi provenienti da tre scuole milanesi, da una scuola di Copertino in provincia di Lecce e da una scuola di Genova. Anche in questo caso i docenti erano professionisti di EY che hanno riadattato i moduli formativi normalmente utilizzati per i dipendenti per una platea decisamente più giovane. E i feedback ricevuti al termine del percorso sono stati tutti positivi.La cosa più complicata, dice Quaglia, è stato comunicare l'essenza di una realtà consulenziale: «Si aspettavano un ambiente molto più rigido e si sono invece accorti che è molto informale. La parte che hanno apprezzato di più è stata la lezione sui colloqui di selezione, organizzata con delle simulazioni sia di gruppo sia individuali con dei nostri colleghi che fanno recruiting tutti i giorni. Hanno potuto capire cosa si deve fare e cosa è meglio invece evitare. E li abbiamo anche messi in contatto con un professionista di Linkedin che ha portato la sua esperienza di esperto di social media». Grazie al progetto inizia così a modificarsi anche l’idea che i giovani hanno dell’azienda: «All’inizio pensavano EY facesse solo revisione contabile, alla fine hanno capito che offriamo anche altri servizi e qualcuno ha ipotizzato di considerarci un domani come un datore di lavoro».La sfida per quest’anno è quella appunto di consolidarsi su Roma: al momento verrà replicato lo stesso progetto di Milano, ma non si esclude per il futuro di differenziare i contenuti a seconda delle città. «Sarebbe bello fare un percorso di questo tipo itinerante, che andasse nei diciassette uffici EY in giro per Italia, ma è importante gestire anche la qualità del progetto, motivo per cui penso che anche il prossimo anno rimarremo su Milano e Roma». Per il momento è presto per parlarne: ora l’attenzione è tutta sull’incontro con gli studenti, alle prese con una “Scala verso il futuro” che può insegnargli molto su quello che dovranno affrontare nei prossimi anni.Marianna Lepore

Bando per 50 tirocini al Consiglio dell’Unione europea: il rimborso spese supera i mille euro

Gli italiani continuano ad essere tra i più numerosi nel fare domanda per gli stage al Consiglio dell’Unione europea e, infatti, sono stati al primo posto tra i richiedenti fin dall’avvio del programma nel 2007. Per i tirocini partiti questo mese, su 4.430 domande totali di partecipazione, ben 1.426 erano italiane, esattamente un terzo del totale (a seguire, molto distanziati, i candidati spagnoli e greci). Il picco in assoluto si era registrato nel 2014 quando ben 2.558 delle 5.265 candidature arrivate erano italiane, quindi un candidato su due proveniva dal nostro Paese. A un numero alto di domande non corrisponde però un altrettanto numero di stagisti, anche in base alla necessità di distribuzione omogenea dei posti tra i vari paesi europei. Per esempio, a fronte delle 1.474 domande italiane pervenute per la tornata di tirocini partita lo scorso settembre (su 4.611 candidature totali), alla fine gli italiani selezionati erano stati soltanto sei. Questo perché i tirocinanti sono selezionati principalmente in base al merito, senza alcuna quota fissa nell’assegnazione dei posti per nazionalità. Solo in caso di parità di requisiti, infatti, l’ufficio tirocini si impegna a garantire prima l'equilibrio di genere e, dopo, la presenza di quanti più paesi possibili rappresentati tra i tirocinanti selezionati.Tra i fattori chiave nella selezione degli stagisti c’è la conoscenza approfondita dell’inglese o del francese, meglio se entrambi; il merito; la provenienza da nazioni scarsamente rappresentate e il genere. E infatti, spiega alla Repubblica degli stagisti Eva-Lotta Axelsson, assistant – administration dell’ufficio tirocini del Consiglio dell’Unione europea, «negli ultimi tirocini sono rappresentate venti nazionalità diverse. Tra queste, quelle con il maggior numero di soggetti sono la Spagna, seguita ex aequo da Italia, Francia e Germania». Non solo, la buona notizia per quello che in molti considerano ancora il sesso debole, è che su cinquanta stagisti, ben 39 sono donne.Per quanti siano interessati a prendere parte a questa opportunità, non bisogna allora lasciarsi scappare il nuovo appuntamento per gli stage presso il Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea, organismo che conta 2800 dipendenti provenienti da tutta Europa e contribuisce a organizzare i lavori del Consiglio, assicurandone la coerenza, e ad attuare il suo programma di diciotto mesi.Fino al primo aprile è, infatti, possibile fare online l’application e mandare la propria candidatura per un tirocinio che prenderà il via il primo settembre e si concluderà a fine gennaio 2020. I posti disponibili, anche questa volta, sono 50. Al più tardi nel mese di maggio saranno contattati i candidati selezionati per lo stage e invitati a presentare alcuni documenti a sostegno delle informazioni indicate nel modulo della candidatura. Ma anche gli esclusi riceveranno entro la fine di giugno una comunicazione e, se interessati, potranno sempre ricandidarsi per la sessione di febbraio 2020.Gli stagisti, che per partecipare devono aver completato almeno il primo ciclo di studi universitari, riceveranno un rimborso mensile di 1.177 euro, un importo pari a un quarto dello stipendio base mensile di un funzionario di grado AD 5. Obbligatoria per gli stagisti è la stipula di un’assicurazione sanitaria: se il tirocinante già ne dispone una deve solo dimostrare la sua copertura anche all’estero, se invece ne è sprovvisto può attivarne una attraverso il Segretariato generale del Consiglio. In questo caso dovrà contribuire per circa un terzo al premio assicurativo, circa 13 euro al mese, che saranno sottratti dal rimborso spese mensile. In aggiunta, il Consiglio mette a disposizione anche un’indennità di viaggio per le spese sostenute all’inizio e alla fine del tirocinio, per chi proviene da una città a più di 50 chilometri da Bruxelles.A parte questi stage, anche questa volta ci saranno altri dieci posti per tirocinanti che non prevedono alcun compenso, anche se sono coperti da assicurazione sanitaria interamente a carico del Consiglio e da tessera mensa prepagata di 125 euro. Sono i tirocini obbligatori per gli studenti universitari dal terzo anno in poi che prevedano questo tipo di stage nel proprio percorso di studi o per quelli che devono fare ricerca per la tesi o per il dottorato. Per tutti il consiglio è di non aspettare gli ultimi giorni per candidarsi per evitare di sovraccaricare il sistema di registrazione. La maggior parte delle domande arriva da candidati laureati in giurisprudenza, scienze politiche, relazioni internazionali, studi economici, ma il Segretariato cerca anche tirocinanti in settori diversi come traduzione, comunicazione, informatica, ingegneria biochimica, scienze della formazione, salute e sicurezza alimentare, solo per citarne alcuni.E chi venisse selezionato, in pratica, quali compiti dovrà svolgere? Anche in questo caso sul sito ci sono ampi dettagli sul tema: «L’attività quotidiana equivale generalmente a quella dei giovani funzionari agli inizi della carriera». In pratica «preparare riunioni e redigere processi verbali, partecipare a riunioni degli organi preparatori del Consiglio e del Coreper, tradurre documenti, effettuare ricerche su determinati progetti, redigere relazioni». I tirocinanti sono poi invitati a partecipare a un programma di studio che prevede visite e conferenze presso le altre istituzioni a Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo.Agli stagisti spettano anche dei giorni di ferie, come specificato nella Decisione 40/17 del Segretariato generale del Consiglio entrata in vigore il 1 settembre 2017 e in cui si illustrano tutti i particolari riguardanti lo stage. Tra questi, all’articolo 7.3 si specifica che «il tirocinante ha diritto a due giorni di ferie al mese, calcolati a decorrere dal primo giorno del mese». Ma le domande devono essere approvate dal consigliere del tirocinio e sopratutto tenere conto delle esigenze del servizio a cui si è assegnati. In ogni caso il loro non utilizzo non dà luogo a pagamenti extra.Chi volesse candidarsi deve per prima cosa creare un traineeship account e poi fare l’application, seguendo tutte le indicazioni e le faq presenti sul sito. Solo una volta contattati – per un colloquio telefonico o online – fare le eventuali proprie richieste di chiarimento. Certo, il tirocinio non dà alcuna possibilità di assunzione finale, e il Consiglio è chiaro nello specificarlo e nel puntualizzare che non si assume nemmeno la qualifica di funzionario o agente dell’Unione europea. Ma allo stesso tempo non si esclude che gli ex tirocinanti possano essere selezionati mediante una procedura di gara d’appalto o un invito a manifestare interesse organizzato dal Segretariato. Insomma vedere da vicino come funziona l’Unione europea, capirne meglio i processi, lavorare in un ambiente multiculturale e multietnico e condividire nuovi punti di vista, uniti al buon rimborso spese e all’esperienza in una città straniera continua a fare gola a molti. Negli ultimi cinque anni i tirocinanti italiani sono stati 68, a cui ne vanno aggiunti altri otto che hanno usufruito della modalità di stage “di serie B”, senza rimborso spese.Marianna Lepore