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Equo compenso per i liberi professionisti: il Lazio ha la sua legge regionale

Il cammino è iniziato ai primi di ottobre dello scorso anno, quando la Giunta regionale del Lazio ha approvato un ordine del giorno della presidente della Commissione lavoro, Eleonora Mattia, per applicare l’equo compenso negli incarichi conferiti ai professionisti da tutti gli uffici regionali, enti strumentali e società controllate. In seguito ha presentato una proposta di legge «che è stata scelta come testo di riferimento», spiega Mattia alla Repubblica degli Stagisti, «e dopo un confronto con tutti i professionisti, ascoltati nel corso di varie audizioni, la legge è stata approvata dall’aula il 3 aprile». Così dopo Calabria, Basilicata, Piemonte, Campania e Sicilia anche il Lazio ha la sua legge, la n. 69, sull’equo compenso.Una battaglia portata avanti da Mattia, avvocato, nel Pd dal 2007, che è stata prima presidente dell’Assemblea provinciale del Pd Roma e poi membro della segreteria regionale nonché eletta in Assemblea nazionale. Vicensindaco nel comune di Valmontone dal 2013 dopo essere stata la più votata in assoluto, nel marzo 2018 è stata eletta al Consiglio regionale del Lazio.  La legge, ricorda Mattia, «vale per circa 175mila professionisti della nostra regione, sia per quelli iscritti a un albo che per quelli che non ne hanno uno di riferimento». Ed è stata concepita dopo aver analizzato studi di vari centri di ricerca per capire a quanto ammontasse l'equo compenso determinato dai singoli decreti ministeriali. Una platea vasta quella di applicazione, che spiega anche perché il provvedimento abbia trovato la convergenza di tutte le forze politiche che l’hanno votata all’unanimità. Da quando nel 2012 sono stati aboliti i minimi tariffari, «l’obiettivo di prendere degli incarichi costringeva i professionisti a una corsa al ribasso che non garantisce né la prestazione, né la dignità di chi lavora», spiega Mattia. La legge, però, un punto debole ce l’ha, visto che non tratta un altro tema caro ai liberi professionisti, quello sui tempi dei pagamenti. Ma sottolinea l’importanza per Regione e società controllate di far riferimento al riconoscimento dell’equo compenso per i professionisti e, soprattutto, vieta l’inserimento di clausole vessatorie all’interno di contratti di incarico professionale.Non ci sono, però, dei parametri “univoci” quando si parla di equo compenso. «Sono i criteri stabiliti dai decreti ministeriali, che cambiano da professione a professione». E questo è bene ricordarlo. Per quanti, invece, non abbiano un ordine professionale di riferimento, il principio applicato è quello della retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione, secondo quanto sancito dall’articolo 36 della Costituzione.L’obiettivo alla base dell’approvazione della legge «È quello di frenare l’incessante calo dei redditi dei professionisti italiani che, tra il 2005 e il 2017, si è attestato al diciannove percento». Un calo che ha colpito, nello specifico, gli appartenenti alle categorie più disagiate: giovani e donne. Il reddito medio di un professionista sotto i 40 anni, infatti, arriva al cinquanta per cento di un over 45. E, ancora una volta, se il professionista è una donna la discriminazione è doppiamente applicata visto che il suo reddito medio non va oltre il cinquantasei per cento di quello di un uomo. L’equo compenso approvato cerca di tutelare i professionisti non solo dai pagamenti da parte degli enti pubblici, ma anche dai privati. Qualora, infatti, non venga dimostrato che il committente non abbia preventivamente pagato il progettista, qualsiasi procedimento amministrativo che abbia chiesto al privato di avvalersi di un professionista verrà sospeso. Una scelta che dovrebbe, almeno sulla carta, spingere i privati a rispettare i tempi dei pagamenti. Certo, in Italia non basta una legge per vederne poi l’applicazione, ma il passo intrapreso dalla Regione è sicuramente un segnale positivo per i professionisti laziali e per quelli delle altre regioni in cui l’argomento non è stato ancora trattato, che possono sperare il tema si allarghi fino al coinvolgimento di tutto il territorio nazionale.Quello ottenuto dalla Commissione lavoro della Regione Lazio è, quindi, un traguardo importante. Solo il primo di una lunga serie: come la proposta di legge regionale sul contrasto al caporalato, che intende favorire l'emersione del lavoro irregolare in agricoltura in coerenza con quanto disposto dalla disciplina nazionale. E si tornerà nuovamente sul tema delle tutele per i liberi professionisti, con una nuova proposta di legge presentata dalla presidente Eleonora Mattia, per introdurre specifici strumenti di sostegno e tutela delle professioniste e professionisti: un fondo rotativo dedicato e un’integrazione all’indennità di maternità.    Marianna Lepore

Women in Sciences, l'università Bicocca lancia un appello alle ragazze: studiate materie scientifiche!

Le donne sono oltre il 55% del totale degli iscritti alle università italiane – in tutto, quasi 1 milione e 700mila – e anche un po' di più, il 60%, se si guarda per esempio solo ai 33mila studenti dell'università Milano Bicocca. Dunque la questione non è che le ragazze non si iscrivano all’università: la questione sta  nella scelta della facoltà. A Giurisprudenza, per dire, alla Bicocca le donne rappresentano il 66% del totale degli iscritti, a Sociologia oltre il 70%. A Psicologia quasi l’80%, a Scienze della formazione addirittura l’88%!Ma quando si passa dal grande alveo delle facoltà umanistiche a quello delle facoltà scientifiche c’è un crollo. A livello nazionale, sui circa 281mila iscritti nelle classi di laurea che comprendono Engineering, manufacturing and construction, c'è solo un 29% di donne (fonte dati: Direzione generale per i contratti, gli acquisti e per i sistemi informativi e la statistica del Miur, anno di riferimento 2016). Ancor peggio se si considerano specificamente gli studenti di Informatica, più precisamente delle facoltà del gruppo Information and Communication Technologies (ICTs): qui  gli iscritti sono poco meno di 29mila e statisticamente le donne sono davvero pochissime, il 13%. Dati confermati al millimetro nel caso dell'università Bicocca: dei 1160 studenti iscritti alla facoltà di Informatica oltre mille sono uomini e le donne rappresentano solamente il 13,1%. E non va molto meglio a Fisica: qui, su 907 iscritti, le donne sono poco più di una su quattro: il 28,7%. Sembra che le studentesse siano ancora soggiogate al vecchio stereotipo di genere per cui “la matematica è roba da maschi”, e si regolino di conseguenza. Peccato però che, così facendo, si precludano proprio quei percorsi di studio che sono oggi – e saranno ancor più domani – richiesti dal mercato del lavoro. In altre parole: le ragazze fanno scelte universitarie ai limiti dell’autolesionismo, auto-escludendosi in partenza dai lavori meglio contrattualizzati e pagati.Come si inverte la tendenza? Ci prova la prossima settimana l’università Bicocca con una due giorni intensissima, “Women in Sciences: le Scienze con la D maiuscola”, in programma lunedì 13 e martedì 14 maggio. Un programma full day 9-18 che prevede workshop, tavole rotonde, “keynote speech” di 45 minuti, spettacoli teatrali a tema scienza. I relatori invitati a parlare (qui l'elenco completo degli interventi) sono complessivamente oltre quaranta, in maggioranza donne – dunque niente “gender balance” in questo caso, ma per una ottima causa: lanciare il messaggio che le donne scienziate esistono, che possono raggiungere ottimi risultati, fare carriera, fare la differenza in laboratorio, nelle aziende, all’università. Di solito i convegni scientifici sono tutti al maschile, tanto che per rivendicare un bilanciamento nelle opportunità di visibilità sono ormai attive molte iniziative, tra cui la campagna “No Women No Panel” lanciata dalla commissaria europea alla Digital Society and Economy Mariya Gabriel, oppure in Italia l’hashtag #tuttimaschi con cui segnalare sui social network gli eventi, i dibattiti, i talk show in cui non c’è nemmeno una donna tra gli ospiti. Invece in questo caso la voce sarà data in primo luogo alle donne.“Women in Sciences: le Scienze con la D maiuscola” è alla sua prima edizione. «La sua genesi è molto interessante» racconta alla Repubblica degli Stagisti Silvia Penati, docente di Fisica specializzata in fisica teorica delle particelle elementari, teoria delle stringhe e teorie con supersimmetria e tra le promotrici dell'evento: «Dal 2013 al 2017 sono stata capofila di un progetto europeo, COST, dedicato alla ricerca scientifica in fisica teorica, che aveva un forte impegno sulla questione della rappresentanza di genere nella comunità della fisica teorica – dove le donne sono meno del 10%». Parte dei fondi destinati al progetto venivano utilizzati per promuovere eventi: «Qualche anno fa capitò che la mia collega Nadia Malaspina assistesse ad un mio seminario in Bicocca sul progetto COST e le sue iniziative in ambito gender. Recentemente, ricordandosi di quella mia presentazione, ha avuto quindi l'idea di lanciare un evento simile nel nostro ateneo. Mi ha contattato e da lì, coinvolgendo altre colleghe di ambito scientifico, è iniziato tutto». [nella foto, Silvia Penati è a sinistra; al centro Sara Manzoni, a destra Nadia Malaspina]La due giorni, che ha già registrato quasi 250 iscrizioni (l’ingresso è libero, ovviamente aperto a entrambi i generi anche se l’evento è pensato per attrarre sopratutto ragazze, e la preiscrizione si effettua a questo link), sarà l’occasione di focalizzare il tema delle pari opportunità e degli stereotipi di genere con diversi attori del mondo accademico, industriale e sociale. «La popolazione femminile per il mio dipartimento oggi si attesta attorno al 10%» sottolinea Sara Manzoni, docente di informatica specializzata in Intelligenza artificiale e responsabile delle attività di Orientamento per il dipartimento di Informatica, sistemistica e comunicazione della Bicocca. Fortunatamente poi andando avanti la presenza femminile diventa più significativa: «Circa il 30% tra gli strutturati, e anche le studentesse di dottorato sono certamente una presenza importante, sia numericamente che dal punto di vista della qualità dei risultati». A conferma del fatto che, quando le ragazze trovano il “coraggio” di iscriversi a Informatica, possono raggiungere risultati eccellenti, eguagliando senza difficoltà e a volte superando i più numerosi colleghi maschi: «Quindi primario obiettivo per noi è cercare di colmare questo gap e cercare di stimolare e motivare le studentesse ad iscriversi ai nostri corsi di laurea» aggiunge Manzoni: «Mostrare con interventi su temi divulgativi di relatrici di alto profilo scientifico che la professionalità in contesto scientifico non è prerogativa maschile. Mostrare role-model che possano essere motivanti per lo sviluppo di interessi, passioni e curiosità delle studentesse presenti». Se “Women in Sciences: le Scienze con la D maiuscola” è alla prima edizione, è però vero che l’università Bicocca non è nuova a questo genere di iniziative. Il corso di laurea in Informatica organizza e gestisce già da quattro anni l’iniziativa NERD? (Non E’ Roba per Donne?) in collaborazione con IBM, offrendo ogni anno la possibilità a duecento studentesse di terza superiore di partecipare ad attività laboratoriali con ambienti e strumenti dell’ICT per sviluppare un progetto con la supervisione di un team di esperti. «L’iniziativa prevede inoltre incontri con ricercatrici e aziende del mondo ICT e docenti del CdL in Informatica» dice ancora Manzoni. E la partecipazione vale anche per l’alternanza scuola-lavoro «attraverso la definizione di un piano formativo individuale definito con gli istituti scolastici superiori».Inoltre «all’interno del Progetto Lauree Scientifiche del ministero dell’Istruzione, esteso la prima volta quest’anno a Informatica, uno degli obiettivi prioritari è quello di “stimolare la conoscenza e curiosità verso le discipline informatiche per una platea di studenti più ampia e eterogenea in termini di formazione scolastica superiore e di genere". Auspichiamo dunque che il ministero continui a finanziare progetti di questo tipo» dice Manzoni «per poter avere strumenti che ci consentano di proporne di nuove nei prossimi anni. Ad oggi, tutte le edizioni sono state basate sul volontariato delle colleghe del mio dipartimento!». In “Women in Sciences: le Scienze con la D maiuscola” ci sarà spazio anche per il divertimento: alla fine del primo giorno i lavori infatti si concluderanno con “Educazione (in) Fisica”, uno spettacolo teatrale che racconta in chiave ironica esperienze personali legate ai pregiudizi di genere «che tutte noi possono abbondantemente testimoniare» racconta Manzoni: «Una tra tutte: una mia ex-allieva che svolge attività professionale in ambito di consulenza tecnica risponde al telefono dicendo “Pronto? Risponde nome_azienda, come posso aiutarla?” e dall’altro lato: “Buongiorno signorina, avrei bisogno di una consulenza tecnica, posso parlare con un ingegnere?" e lei risponde: “Qui siamo tutti ingegneri!”. Esplicita sorpresa e poco imbarazzo, seguito da silenzio per alcuni secondi dall’altra parte delle cornetta…». Ma le cose stanno cambiando: «Il contesto professionale e culturale in cui si troveranno le nostre future studentesse sarà diverso da quello in cui ci siamo trovate noi», aggiunge Manzoni, «anche grazie ad un cambiamento di contesto socio-culturale in cui le diversità di genere dovranno pervadere tutti gli aspetti della nostra vita sociale e familiare».Ma perché questo cambiamento possa effettivamente avvenire, devono e dovranno esserci più donne che studiano materie scientifiche. E quindi bisogna parlare con le adolescenti, mostrare loro la strada, convincerle a credere nelle loro capacità: a partire da oggi.[alcune delle immagini che corredano questo articolo sono tratte dal Bilancio di Genere dell'università Milano Bicocca]

Reddito di cittadinanza, per ora niente proposte di lavoro a chi lo percepisce: il sistema non è ancora pronto

Obiettivo del reddito di cittadinanza «non è dare soldi a qualcuno per starsene sul divano, ma dire con franchezza: hai perso il lavoro perchè il tuo settore è finito o si è trasformato? Bene, ora ti è richiesto un percorso per riqualificarti ed essere reinserito». Così parlava il vicepremier Luigi Di Maio poco meno di un anno fa intervenendo a un congresso Uil a Roma. Ma a diverse settimane dall’erogazione dei primi sussidi, le politiche attive legate alla misura sono ancora ferme al palo. Motivo? La piattaforma informatica che serve a convocare i lavoratori non è ancora pronta.Insomma, pur di erogare in fretta la misura – e magari capitalizzarla in termini elettorali in vista dell’appuntamento di fine maggio con le consultazioni europee – si è dimenticato per strada il capitolo più importante: quello che subordina l’assegno alla ricerca attiva di un lavoro. Una fretta che consente a chi vuole far il furbo di percepire i soldi restando comodamente in poltrona. Proprio quello che, almeno stando alle promesse del governo gialloverde, si voleva a tutti i costi evitare.L’Inps ha iniziato nei mesi scorsi a raccogliere le richieste, le ha valutate per verificare il rispetto dei requisiti e ha infine cominciato a staccare gli assegni per gli aventi diritto. Ma i Centri per l'impiego, come confida alla Repubblica degli Stagisti un dipendente lombardo che preferisce l'anonimato – non hanno ancora ricevuto i nominativi dei beneficiari: impossibile, quindi, convocarli e far firmare il cosiddetto “Patto per il lavoro”, l'impegno attivo nella ricerca di un’occupazione che chi domanda sostegno deve sottoscrivere. Chi rifiuta, in teoria, perde i soldi. Ma in questo caso il problema non si pone: finché la prima proposta di lavoro non arriva, non la si può, ovviamente, rifiutare. «Stiamo attendendo che il sistema sia pronto» ammette Claudio Spadon, direttore dell’Agenzia Piemonte Lavoro, che gestisce i centri per l’impiego della regione settentrionale. «So che al ministero si sta lavorando in questo senso, e ho motivo di ritenere che sarà pronto in pochi giorni. Ma ci tengo a precisare che la nostra attività di supporto alla ricerca di lavoro è  precedente al tema del reddito di cittadinanza, e prosegue anche adesso con gli strumenti che già abbiamo a disposizione, cioè i Patti di servizio».Ma se una piattaforma a disposizione dei Centri per l’impiego esiste già, perché, allora, ne serve un’altra? Si tratta di comunicare ai centri la lista dei cittadini che percepiscono il reddito di cittadinanza, per poterli convocare e inserire nello schema di riqualificazione. Ma l’integrazione, segnala la fonte lombarda, può non essere facile. «I sistemi informatici devono parlarsi tra loro, e non è detto che sia semplice da realizzare, dato che sono stati progettati in epoche diverse». Non tutto è fermo. E' appena scaduto il termine per la presentazione delle candidature per i potenziali ”navigator”, i tutor che accompagneranno i cittadini nel percorso di ricerca di un impiego. I prescelti saranno ripartiti sul territorio sulla base di una convenzione che ogni regione firmerà con l'Agenzia nazionale. Quando il testo sarà pronto. Un processo di recruiting e selezione di figure “di alto profilo professionale”, quello dei navigator, gestito da Roma proprio per evitare i temuti clientelismi. Ma mentre a Palazzo si briga per chiarire gli aspetti operativi, c’è già chi ha deciso di rinunciare all'assegno: sarebbero molti i delusi dall’importo, che in qualche caso non arriva a 50 euro ma impegna a prendere parte a un percorso attivo di inserimento lavorativo. Il gioco non varrebbe la candela, e qualcuno ha scelto di passare la mano. Vale la pena ricordare, però, che le regole erano state esplicitate sin dall'inizio: il reddito di cittadinanza è un sostegno "modulare" e dunque, a meno che una persona sia completamente nullatenente, va semplicemente a integrare il reddito fino alla soglia minima individuata. L'Inps non è preparata a quello che è evidentemente un imprevisto, e per il momento – riportano i media locali – diverse sedi cittadine hanno diramato circolari in cui chiedono ai dipendenti di protocollare le richieste di rinuncia in attesa di lumi da Roma: non è ancora chiaro, infatti, se sia possibile tirarsi indietro. Ma non è chiaro nemmeno se il reddito di cittadinanza sia o meno compatibile con uno stage: si può richiedere la misura se si è impegnati in un tirocinio che prevede un'indennità mensile? «A mio parere, si. La misura è compatibile, in generale, con eventuali altri redditi da lavoro» spiega l’avvocato Andrea Brunelli, giuslavorista. «Deve, comunque, trattarsi di introiti molto bassi». Antonio Piemontese

Al via la nuova edizione della Dedagroup Digital Academy, opportunità per 30 aspiranti “professionisti digitali”

Sta per partire la quarta edizione della Dedagroup Digital Academy, progetto di Dedagroup, azienda dell’RdS network tra i principali attori dell’Information Technology “made in Italy”, per la formazione di giovani professionisti del mondo digitale. «L’Academy nasce per rafforzare la nostra strategia focalizzata allo sviluppo del capitale umano» spiega Valentina Gilli, direttrice Risorse Umane per Dedagroup «promuovendo attività a sostegno della crescita di nuove competenze e delle professionalità del futuro, con particolare attenzione ai temi dell’innovazione, e dell’inserimento in maniera continuativa di giovani talenti».Nel 2019 sono previste due edizioni: la prima si terrà il prossimo 13 maggio, la seconda in autunno. La selezione è rivolta a trenta giovani laureati e neo laureati al di sotto dei 28 anni, in possesso di una laurea del settore tecnico-scientifico ma anche umanistico e con una buona conoscenza della lingua inglese. Insomma, il gruppo si apre anche ai “letterati”. «Poiché il nuovo contesto digitale è sempre più permeato dalla contaminazione di competenze e di esperienze, abbiamo allargato la ricerca anche a giovani provenienti da corsi di laurea apparentemente lontani dal nostro settore come quelli in Beni Archivistici e Librari, Scienze internazionali, Architettura o Interfacce e Tecnologie della Comunicazione. La selezione prevede due fasi: un colloquio conoscitivo con l’HR business partner di riferimento per la futura divisione e un colloquio con i responsabili dell’area. Ma come si struttura l’Academy? «Consiste in un percorso di formazione full time e di training on the job, in cui i partecipanti possono conoscere da vicino la cultura e i valori di Dedagroup» spiega la direttrice HR «e sviluppare le professionalità proprie dell’era digitale richieste all’interno del Gruppo». Sei mesi durante i quali si alternano quindici giorni di attività in aula, presso l’headquarter dell’azienda a Trento, e per il restante periodo laboratori di pratica all’interno delle Business Unit e società del Gruppo. Quattro i moduli formativi proposti: digital economy, valore d’impresa (economics & performance), project management (gestione progetti, vendita a valore, metodologie agili) e people value (comunicazione in azienda, team work e problem solving, time management). Inoltre nell’edizione di quest’anno saranno introdotti nuovi temi quali l’ICT Literacy, per acquisire maggiore consapevolezza degli strumenti digitali nella ricerca delle informazioni; il Data Management, per approfondire l’importanza della corretta gestione del dato nell’economia digitale; e l’Intelligenza Artificiale, per far fronte a un aspetto sempre più determinante nei nuovi modelli di business.Cuore dell’offerta è il training on the job attraverso percorsi cross-industry, in cui i partecipanti sperimentano sul campo come nascono e si sviluppano le soluzioni software e i servizi made in Italy di Dedagroup. Inoltre i giovani hanno la possibilità di usufruire di percorsi di sviluppo già a disposizione dei collaboratori dell’azienda, come i Fit Talk, faccia a faccia interattivi con i grandi nomi delle trasformazione digitale; e i Tech Talk, webinar che promuovono la condivisione interna e la diffusione di tecnologie innovative. Nella maggior parte dei casi l’iter si conclude con opportunità concrete di inserimento in azienda. «Le prime tre edizioni, dal 2017 a oggi, hanno visto la partecipazione di 40 giovani e ben il 90 per cento di questi è stato assunto in Dedagroup» dice Gilli «il che conferma che la Dedagroup Digital Academy è uno strumento di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro molto efficace».«Oggi sono Business Analyst per la divisione internazionale del Gruppo» racconta Ilaria Vanoni, 24 anni, laureata in Economia aziendale, che ha partecipato alla seconda edizione dell’Academy «e mi occupo di identificare le esigenze dei clienti, attuali o potenziali, e di analizzare quale sia la soluzione migliore per soddisfarle». Vanoni è stata inserita con un contratto a tempo determinato. «La prassi aziendale è quella di assumere in apprendistato, ma nel mio caso è stata fatta un’eccezione volta ad agevolare le frequenti trasferte all’estero» spiega alla Repubblica degli Stagisti: «Proprio ora sto tornando dalle Hawaii, dove sono stata quasi tre settimane per aiutare tre organizzazioni a implementare dei cambiamenti nel loro software. Sono elettrizzata dopo questa prima trasferta e anche un po’ sotto pressione, perché ora conosco il cliente a livello personale, ma mi tranquillizza poter contare su colleghi competenti e disponibili».Perché l’Academy può essere la scelta giusta per il futuro di un giovane laureato? «La consiglio a chi vuole saperne di più dei temi caldi della tecnologia dell’informazione» afferma l’ex partecipante «con un occhio critico a quali sono i loro aspetti positivi e le chiavi di lettura per un’azienda che vi opera». Senza dimenticare lo sbocco occupazionale e la possibilità di crescere rapidamente che l’azienda offre. «Non avrei mai immaginato di poter avere tutta l’autonomia e la responsabilità che mi sono state affidate dopo soli sei mesi al mio primo impiego!».Per candidarsi a partecipare basta creare un account sul sito Dedagroup e compilare l’apposito form. Rossella Nocca

Decreto crescita, cambiano le regole degli incentivi per gli expat che rientrano in Italia: ora non serve la laurea

Li chiamano «talenti», «cervelli in fuga». Ricercatori, medici, ingegneri, ma anche insegnanti, fotografi, designer e un sottobosco di lavoratori emigrati senza particolari qualifiche ma che, vivendo lontano da casa, hanno imparato a darsi da fare, senza piangersi addosso. E in qualche caso sono anche diventati imprenditori.Sono circa due milioni gli italiani che hanno lasciato il paese negli ultimi dieci anni. I dati tengono conto solo degli iscritti all'Aire, l'anagrafe per i residenti all'estero. Ma molti connazionali non sono mai usciti allo scoperto: oltre a motivazioni di ordine fiscale, ce ne sono altre, meno conosciute. Ad esempio, il tentativo di non perdere il diritto al medico di base. Perché la sanità in Italia spesso funziona, e all'estero è persino rimpianta.Il Parlamento ha cercato di affrontare il problema del «brain drain» a partire dal 2010. Risale a quell'anno l'approvazione di un testo bipartisan, la cosiddetta «legge Controesodo», che prometteva incentivi e sgravi fiscali a chi prenotava il biglietto di rientro per il Belpaese. Competenze sulla frontiera della conoscenza, network relazionali, lingue: riportare a casa chi ha trascorso un periodo fuori dai confini patrii è diventato, da allora, un punto qualificante dell'agenda di tutti i governi, da quello guidato da Silvio Berlusconi all'attuale esecutivo gialloverde, passando per Enrico Letta e, naturalmente, Matteo Renzi. Ma la partita per far rientrare i «cervelli in fuga» è più complessa di quanto si possa pensare. Il punto sono gli incentivi: cioè far pagare meno tasse a chi sceglie di tornare a vivere in Italia, permettendo quindi, a parità di stipendio, un “netto” più alto. Tradurre le buone intenzioni in politiche attive significa trovare una sintesi tra le aspirazioni di chi rientra - spesso lasciandosi alle spalle condizioni economicamente vantaggiose - e i principi costituzionali di progressività nella tassazione.Dopo il 2010, la legge Controesodo è stata riscritta nel 2015. Nei giorni scorsi un nuovo capitolo: il Governo Conte ha approvato in Consiglio dei ministri il cosiddetto decreto Crescita, che contiene un articolo sui cosiddetti lavoratori «impatriati». Tra le novità, la defiscalizzazione per le imprese e l'eliminazione della laurea come requisito. Il testo prevede, inoltre, una defiscalizzazione del reddito imponibile che torna al 70%  e un'estensione dei benefici in caso di figli o di acquisto di un immobile. «Si parla sempre di attrarre imprese le imprese straniere e trattenere quelle italiane, ma senza il capitale umano è tutto inutile». A parlare è Giulio Centemero [foto a sinistra], 39 anni, deputato della Lega, professione commercialista e un'esperienza di quasi otto anni all'estero tra Scozia e Belgio. « Il know-how di ragazzi che hanno visto il mondo e possono portare nel nostro territorio le esperienze vissute altrove è indispensabile per creare valore. Abbiamo provveduto a ritoccare gli incentivi al rialzo, sul modello portoghese e iberico. In Spagna, in particolare, le agevolazioni durano 10 anni» spiega, precisando di non aver mai usufruito in prima persona degli incentivi. Il decreto Crescita è stato approvato con la formula «salvo intese», che prevede eventuali modifiche da parte del Governo prima dell'invio alle Camere. C'è spazio, quindi, per l'attività di lobbying. Ad esempio, quella di «Gruppo Controesodo», community nata nel 2015 che raccoglie oltre diecimila expat rientrati in Italia. «Il testo va a rivedere l'impianto in maniera piuttosto sistematica, e non ho nessun problema a dire che il novanta per cento dei contenuti di questo articolo sono stati suggeriti da noi» rivela Michele Valentini, presidente dell'associazione. Trentanove anni e un lavoro nell'ambito di un grande gruppo bancario per cui si occupa di derivati, ha seguito passo per passo tutto l'iter: «Per questo dico che ci sono alcune distorsioni clamorose che abbiamo ovviamente già segnalato alla politica. Mi riferisco al fatto che la norma prevede che le nuove agevolazioni si applichino solo ai contribuenti che rientreranno a partire dal 2020».Non è la prima volta che Controesodo suggerisce modifiche a un testo di legge. Un'attività di pressione costante sul Palazzo, che spesso è sfociata in un accoglimento delle richieste. Tutto in nome della «retention», il tentativo di trattenere dentro i confini chi già una volta si è chiuso la porta alle spalle. Un tentativo, spiegano, che passa necessariamente dagli sgravi fiscali: perché niente pare trattenere in Italia gli expat meglio degli incentivi. Il rovescio della medaglia? Una volta esauriti, molti, moltissimi fanno nuovamente le valigie. E vanno a cercare guadagni maggiori all'estero.Antonio Piemontese

A Palermo oltre cento expat riuniti dal Cgie, obiettivo: creare una rete di giovani italiani nel mondo

Parte oggi a Palermo un grande evento dedicato ai giovani italiani nel mondo. Quattro giorni di seminari, dibattiti, discussioni e workshop per fare il punto su cosa vuol dire essere italiani e vivere in un altro Paese. Centoquindici giovani tra i 18 e i 35 anni sono appena sbarcati nel capoluogo siciliano dai quattro angoli del globo - dall’Argentina al Guatemala, dal Canada a Israele, dalla Svizzera all’Australia… - su invito del Cgie, il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, un organismo di consulenza del Governo e del Parlamento sui grandi temi che interessano le comunità all’estero creato negli anni Novanta per promuovere la partecipazione attiva alla vita politica del paese da parte delle collettività italiane nel mondo.Dieci anni dopo la Conferenza Mondiale dei Giovani, che il Cgie organizzò nel dicembre del 2008 portando a Roma quattrocento delegati da tutto il mondo, sembra finalmente arrivato di nuovo il momento di dare voce e spazio agli expat italiani. Ideatrice e anima dell’evento è Maria Chiara Prodi, classe 1978, bolognese d’origine e parigina d’adozione. Laureata in , co-fondatrice di ExBo - il network dei bolognesi all’estero - Maria Chiara Prodi vive in Francia da quindici anni; è coordinatrice artistica de l’Opéra Comique e presidente della commissione “Nuove migrazioni e generazioni nuove” del Cgie.La finalità del Seminario è ambiziosa: creare una rete di giovani italiani nel mondo che non esaurisca la sua energia nei quattro giorni di Palermo, ma che anzi prenda il via e prosegua nei prossimi mesi elaborando riflessioni e proposte e sopratutto coniugando le due anime, spesso percepite come contrapposte, degli italiani all’estero. E cioè da una parte le seconde o terze generazioni, vale a dire i figli e i nipoti di italiani emigrati all’estero molti decenni fa, e dunque “identità ibride”; e dall’altra parte la nuova emigrazione, i sempre più numerosi giovani nati e cresciuti in Italia che a un certo punto han deciso di fare le valige e costruire la propria vita altrove - in cerca di migliori opportunità. In particolare, i centoquindici partecipanti sono equamente divisi tra un 60% di seconde e terze generazioni e un 40% di rappresentanti della nuova emigrazione.Molte sono le reti già esistenti: spesso gli expat si federano a seconda della Regione italiana di provenienza (Bellunesi nel mondo, Trentini nel mondo…), oppure creano momenti di incontro e supporto reciproco nelle città dove si sono trasferiti e dove non conta più dove si viveva prima di partire dall’Italia, conta solo il fatto di essere italiani all’estero. Ora si tratta di sistematizzare questo attivismo spontaneo e rendere questi giovani «protagonisti del futuro del nostro paese» spiegano dalla Commissione Nuove Generazioni del Cgie «e  farli diventare attivatori, nei loro territori di provenienza, di coinvolgimento giovanile e informazione a tutta la comunità».L’evento di Palermo è strutturato in due giorni focalizzati sulle “tecniche partecipative”, un giorno dedicato alla formazione (con particolare attenzione alle reti di ricercatori italiani nel mondo, ai temi del lavoro e della mobilità, alle nuove esperienze e opportunità legate alle famiglie expat, e ai meccanismi di rappresentanza degli italiani all’estero) e l’ultimo giorno, venerdì 19, per parlare alle istituzioni. Gli oltre cento partecipanti sono stati selezionati dai Comitati degli Italiani all’Estero e dalle nove Consulte regionali per l’emigrazione aderenti all’iniziativa - quelle di Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Liguria, Marche, Molise, Trentino Alto Adige e Umbria - “con l’intento di mobilitare tutte le comunità d’italiani all’estero e rafforzare le reti istituzionali di rappresentanza di base”.Si parte dunque oggi al Teatro Massimo, con la presenza del segretario generale del Cgie Michele Schiavone e del sottosegretario agli Esteri Ricardo Merlo; subito dopo pranzo la prima sessione di lavori, intitolata eloquentemente “Essere italiani all’estero. Una mappa giocosa dell’essere italiani fuori dall’Italia”, per far emergere e analizzare le caratteristiche che l’emigrazione italiana ha assunto nei differenti Paesi d’adozione. E poiché non di solo pane vive l’uomo i ragazzi in serata avranno anche l’opportunità di assistere alla prova generale dell’opera “Idomeneo, re di Creta” di Mozart e incontrare il giovane direttore d’orchestra Daniel Cohen.Per mercoledì 17 il programma prevede presso il Real Teatro Santa Cecilia una giornata di lavoro con la metodologia Open Space, in cui i partecipanti discuteranno sul senso di fare rete e di come dare valore a questa esperienza; in serata, sulla base dei risultati dei lavori, verrà definita una lista di iniziative da portare avanti.Giovedì 18, mattina dedicata ad atelier tematici: tra questi anche il workshop “Trovare lavoro in Italia, partire per l’estero: kit di sopravvivenza”, presso la Sala della Biblioteca comunale di Palermo, cui parteciperà la giornalista Eleonora Voltolina, presidente dell’associazione Italents e fondatrice della testata online Repubblicadeglistagisti.it, insieme a Silvana D’Intino, fondatrice di ITAUFamily. Tra gli altri seminari vale la pena segnalare che, in anteprima, verrà presentato il rapporto “Famiglie transnazionali dell’Italia che emigra. Costi e opportunità è la prima indagine sull’impatto economico della mobilità giovanile sulle famiglie italiane”, a cura di AltreItalie e Makran-mammedicervellinfuga.com e in particolare degli autori Maddalena Tirabassi, Brunella Rallo, Alvise Del Pra’ e Valeria Bonatti.Nel pomeriggio ci si sposta a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, per un incontro nella Sala Piersanti Matterella con il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè e con l’assessore regionale all’Istruzione Roberto Lagalla. Altri due momenti dedicati all’approfondimento saranno il panel “I giovani al cuore dell’emigrazione italiana: ricerche e dati” tenuto da Delfina Licata, coordinatrice del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, e Paolo Balduzzi, docente di economia dell’università Cattolica e segretario generale di ITalents; e il panel “Il soft power italiano: cos’è e cosa c’entrano i giovani italiani nel mondo” con il direttore dell’Agenzia Nazionale Giovani Domenico De Maio e Letizia Airos Soria, direttrice responsabile del Network Editoriale i-italy.org negli USA.La sessione conclusiva, venerdì 19, avrà luogo all’università di Palermo. I giovani saranno accolti dal rettore Fabrizio Micari, dal sindaco Leoloca Orlando, dal presidente della regione Nello Musumeci e da Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato. Per Maria Chiara Prodi sarà il momento di fare una sintesi dei lavori e aprire il confronto con le istituzioni a partire dai documenti finali del Seminario, presentati dai delegati, prima delle conclusioni del segretario generale del Cgie, Michele Schiavone. Con l’auspicio che Palermo non sia che l’inizio di un lungo percorso per rivitalizzare la preziosa rete delle centinaia di migliaia di giovani italiani all’estero.

L'Agenzia Giovani presenta le opportunità per il 2019: fondi da Ue e governo per gli under 35

Giovani viziati, scansafatiche. La verità è invece che i ragazzi hanno spesso idee da mettere in pratica, ma a mancare sono i mezzi. Quest'anno la Legge di bilancio ha aumentato i fondi da distribuire per le loro iniziative: «venti milioni in più, che stiamo cercando di incrementare» ha fatto sapere Vincenzo Spadafora, sottosegretario con delega ai giovani, all'evento di presentazione dei nuovi bandi europei gestiti dall'Agenzia nazionale giovani, a fine marzo, nei teatri di Cinecittà a Roma. Una vera e propria festa, con atmosfera da discoteca, spettacoli circensi e band sul palcoscenico, in diretta anche sui social con l'hashtag #oggiprotagonisti. Presenti Domenico De Maio, direttore Ang, il vicepremier e ministro del lavoro Luigi Di Maio e Spadafora, che ai seicento ragazzi provenienti da tutta Italia hanno illustrato i dettagli delle nuove opportunità per il 2019 promosse dal Dipartimento per le politiche giovanili.  Lo hanno fatto da una consolle radio, aiutati dalle speaker della nuova emittente Ang radio partita proprio per l'occasione - «avevamo un ufficio dismesso con un'attrezzatura radiofonica e l'abbiamo fatta ripartire», ha raccontato De Maio. «Sono due i progetti europei a cui partecipare» ha spiegato il direttore Ang. Il primo è Erasmus+, programma europeo che fa da contenitore sia al più famoso Erasmus, sia a un altro troncone «che si differenzia per il fatto che è rivolto ai soggetti più svantaggiati, quindi a chi non frequenta l'università». A questi ultimi bandi, che sono quelli gestiti per l'Italia da Ang, possono partecipare i gruppi costituiti in associazioni «che svolgono attività di qualunque tipo, come per esempio la riqualificazione urbana». In ballo ci sono per il 2019 12 milioni di fondi, che Ang deve distribuire tra le diverse iniziative. La bellezza di questo progetto sta nel fatto che «le esperienze in questo modo si fanno in mobilità, viaggiando, ed è così che si acquisiscono nuove competenze e ci si ricalibra ripartendo da un nuovo obiettivo» ha commentato De Maio. La seconda tranche di fondi europei confluisce invece nel Corpo europeo di solidarietà. «La caratteristica di questo bando è che possono partecipare anche gruppi informali di giovani, senza l'intermediazione di un'associazione». E di nuovo a essere ammesse sono attività di ogni genere, «dal digitale, ai laboratori artistici, alle radio» specifica De Maio. Si possono avere «fino a 10mila euro a progetto», un piccolo budget «che però può servire a portare avanti idee per esempio sul proprio territorio». L'Agenzia giovani dà anche una mano a chi non conosce le tecniche di progettazione, o non ha le competenze per redigere un business plan: «Ci sono dei coach a disposizione, con un calendario per prendere appuntamento, perché scopo della nostra organizzazione è proprio dare concretezza ai programmi europei, avvicinandoli ai potenziali beneficiari». Renderli insomma comprensibili e aiutare i giovani a usufruirne, un passaggio non scontato e soprattutto auspicabile, considerato come ogni anno vadano disperse grandissime quote di risorse europee perché sconosciute o – appunto – perché non si sa come richiederle. «Le prossime scadenze sono il 30 aprile e il primo ottobre». Ci si registra «come si farebbe per un social network, si invia il progetto e nel giro di tre o quattro mesi si riceve una risposta». E, assicura De Maio, «non servono raccomandazioni». Nella stessa direzione va anche il bando Fermenti indetto dal Dipartimento per le politiche giovanili, in cui sono confluiti 16 milioni del nuovo tesoretto della manovra a favore dei giovani. Possono partecipare sia gruppi informali che associazioni, unico limite è l'età 18-35 anni. Per ogni progetto «ci sono fino a 450mila euro disponibili» spiega Spadafora, che saranno erogati dal Dipartimento. L'idea «è mettere in piede dei nuovi cantieri, che noi andremo a seguire per 18 mesi, con la possibilità di aggiungere altri bonus e scongiurare i rischi corsi nel passato: quelli di progetti iniziati ma poi andati a morire». Il periodo per fare domanda è di 60 giorni, e anche per questo bando è possibile chiedere il supporto di esperti per la stesura del progetto. Uno dei problemi è far conoscere ai giovani le opportunità che le istituzioni lanciano. Per fare qualche passo in avanti per Fermenti – ad esempio – si è organizzato un tour con un pulmino che andrà in giro per l'Italia a promuovere il bando. E ancora, all'evento hanno presenziato alcuni tra gli influencer più seguiti dai ragazzi – Angelica Massera, Goldengianpy, Leonardo De Carli – che hanno postato sui propri profili l'evento e rilanciato la notizia dei bandi. Ang da parte sua «porterà nelle scuole la testimonianza di persone che hanno usufruito dei bandi e hanno avuto esperienze all'estero, per raccontarle agli studenti così come fanno altre agenzie europee, per esempio in Germania» ha chiarito De Maio. Le novità – e le speranze – per i giovani per quest'anno sono anche altre come assicurato dal vicepremier pentastellato: «Stiamo lavorando al salario minimo orario, che all'estero hanno ovunque, perché il problema dei ragazzi di oggi è che accettano tutto, anche senza guadagnare, pur di lavorare». Con il salario minimo «si dice che lavori se hai un salario minimo, altrimenti è sfruttamento». Ad aprile poi «apriremo un fondo di un miliardo per finanziare idee innovative, non solo digitali» è la promessa. Un po' sulla scia «di Spotify e Tesla, che sono nate con fondi pubblici, e noi ci vogliamo mettere in pari». Questa è una generazione descritta «con il cliché dello smartphone in mano» ha aggiunto il vicepremier, «ma da quel telefono possono nascere invenzioni incredibili che sono quelle che ci stanno cambiando la vita». I giovani vanno allora assecondati per far sì che trovino una strada, «e mai chiusi in un recinto come se fossero una riserva indiana». Sono loro «a dover essere protagonisti di ogni realtà» è l’auspicio di Di Maio. Ilaria Mariotti 

Radio Popolare racconta il mondo del lavoro: dopo tre anni di “Pionieri”, in partenza a maggio un nuovo format

Esistono modi alternativi di guadagnarsi da vivere, con mestieri che non possono essere catalogati sotto nessuna voce alle professioni tradizionali. Ne ha parlato per tre stagioni, da settembre 2015 fino a giugno del 2018 la trasmissione di Radio Popolare Pionieri, andata poi incontro a uno stop «nonostante i buoni ascolti». La sospensione «era nell'aria da un po'» riferisce il conduttore, l'autore milanese Gianpiero Kesten [nella foto]. L'idea del programma era nata «perché volevamo parlare del mondo dei giovani, e si concretizzò un giorno a pranzo con il sociologo Stefano Laffi che aveva scritto un libro che si intitolava proprio “Pionieri”». L'argomento all'epoca non era così inflazionato: «siamo stati lungimiranti a aprire questa finestra perché era una realtà, quella dei lavori non tradizionali, diventata sempre più evidente. Solo che poi se ne è cominciato a parlare un po' ovunque sui media, e il rischio era perdere di originalità».Così, finito il primo ciclo da circa 300 puntante, a maggio si riapriranno i battenti sotto una veste (e un nome) nuovi: «Si parlerà ancora di lavoro, ma partendo da quei luoghi di Milano e dintorni, come per esempio le fabbriche dismesse, che hanno cambiato destinazione d'uso» anticipa Kesten, «portando con sé una trasformazione dei mestieri che si svolgevano al loro interno». Un punto di vista diverso che però sarà «un pretesto per raccontare ancora una volta il mondo del lavoro che cambia». L'appuntamento non sarà più lo stesso: a differenza di Pionieri, che occupava il palinsesto quattro giorni a settimana, il nuovo programma condotto da Kesten andrà in onda solo il sabato, alle 11.30. Di tutto questo mondo alternativo fatto di occupazioni impensate generate per lo più dalla crisi economica «le vecchie generazioni non sanno pressoché nulla, abituate come sono a dei percorsi lineari: studio una tal cosa, per poi essere assunto con tutte le garanzie del caso» riflette il conduttore. Esplorare questo universo significa quindi «mettere in contatto i giovani con altri giovani, far da altoparlante alle loro idee, senza mettersi nei panni degli esperti di qualcosa». Ma alla fine serve «anche a rassicurare per gli ascoltatori più 'maturi', i genitori o familiari di questi giovani, che scoprono così che c'è una via d'uscita per i loro ragazzi senza un'occupazione». Con Pionieri l'aggancio con il pubblico più adulto aveva funzionato. Il riscontro non emergeva tanto dai dati di ascolto, «molto aleatori e imprecisi, neppure li so» dice Kesten, quanto dalle reazioni sui social o dagli sms. E poi «dall'attenzione della stampa, e dagli eventi che Radio Popolare organizzava, in cui mi capitava di incontrare dei genitori che ascoltavano la trasmissione».Pionieri aveva anche un orario strategico, quello del 'drive time', ogni giorno dalle 17 alle 18, ottenuto proprio grazie al buon andamento del programma. Per un'ora si parlava prima della storia di qualche ascoltatore 'pioniere', per poi passare alla seconda fase in cui si discuteva con un collega della radio esperto di filosofia. Solo nell'ultimo periodo «avevamo inserito un consulente che rispondesse alle domande degli ascoltatori». Un filo diretto con gli ascoltatori quindi, senza filtri. Da cui è uscito di tutto: «Dalla storia di chi ha scoperto di avere un cane cacciatore di tartufi e ha fatto della vendita di questi prodotti un business, a chi ha aperto una start up come per esempio l'open source per libri universitari, una sorta di Wikipedia mirata sui testi accademici».E ancora chi «ha venduto tutto per riaprire la fonderia del nonno, o una start up del bergamasco, Loda Orobica, partita con tre persone e oggi diventata una delle aziende più importanti per l'archiviazione digitale». Sono finiti su Pionieri anche diversi membri di Ashoka, la rete di imprenditori per l'innovazione sociale, come la direttrice della RdS Eleonora Voltolina, nominata Ashoka Fellow nel 2018. Negli ultimi anni poi, «ci siamo occupati anche dei meno giovani, dei cinquantenni rimasti senza lavoro che con i propri risparmi hanno ricominciato magari aprendo un locale». Tutte persone insomma che si sono inventate un lavoro, «non un hobby ma qualcosa con cui campano» sottolinea.A scovare le vicende ci pensava lo stesso Kesten, almeno all'inizio: «Poi, quando la trasmissione ha cominciato a farsi conoscere, sono cominciate ad arrivare le segnalazioni». E veniva tutto confezionato e messo in onda dallo stesso conduttore, «come nella migliore tradizione della radio in cui una sola persona fa tutto, dalla regia al resto». Con contenuti dal linguaggio «il più chiaro possibile e lontano da tecnicismi, proprio per evitare di fare i grandi che parlano ai giovani creando un certo distacco».C'è bisogno di parlare di lavoro, oggi più che mai: «Perché è diventato tutto difficilissimo: non ci sono più diritti, le regole si sono polverizzate tra partite Iva, precari e assunti veri e propri» ragiona l'autore. E il tema è sempre più scomodo perché «chi ne parla non è chi sta bene, ma in linea di massima chi il lavoro non ce l'ha e si trova in difficoltà, e chi dovrebbe risolvere i problemi». L'importante però per chi è fuori dal circuito, suggerisce, «è non perdere di vista i propri obiettivi, e non preoccuparsi se ogni tanto bisogna cambiare strada perché non c'è niente di umiliante nel non fare quello che si era previsto, non è una colpa». Sono questi i consigli ai giovani per farsi largo in questo mercato del lavoro, a parte «riascoltarsi tutti podcast di Pionieri» scherza. E poi sintonizzarsi ancora su Radio Popolare a partire da maggio per il prossimo appuntamento dedicato ai lavori di oggi.  Ilaria Mariotti

“Perché l'Italia torni un paese per giovani, i giovani stessi devono scendere in campo in prima persona”

Che l'Italia non sia più un paese per giovani lo si dice già da tempo: giusto giusto dieci anni fa, nel 2009, la frase divenne il titolo di un saggio fulminante dell'allora quarantenne Alessandro Rosina, docente di demografia e acuto osservatore della condizione giovanile in Italia. Un decennio è passato – eppure la situazione non è migliorata. «Oggi non ci sono più le condizioni per un giovane di crescere e affermarsi» dice Luca Pietro Ungaro: «Si scappa all’estero perché non ci si sente valorizzati». Ungaro non parla per sentito dire: ha ventisei anni e da un paio d'anni vive a Parigi dove, dopo una laurea in economia alla Cattolica di Milano e un mba che lo ha portato anche in California e in Ghana per un po', oggi fa il consulente. Insomma un giovane “ingrato” fuggito all'estero in cerca di fortuna? Non proprio. Ungaro – fratello del deputato Massimo, eletto l'anno scorso alla Camera nella circoscrizione Estero – è anche appassionatamente convinto che i giovani debbano lavorare in prima persona per la rinascita dell'Italia per rendere il nostro Paese di nuovo “un Paese per giovani” appunto. Da tre anni fa parte della Global Shapers Community, iniziativa del World Economic Forum che mira a creare un network di giovani “che sono eccezionali per potenziale, risultati ottenuti e intenzione di dare un contributo alla propria comunità”. E nel 2015 ha fondato Culturit, una organizzazione non profit che ha già una decina di sedi sparse per l'Italia e si prefigge di formare studenti universitari di tutte le facoltà attraverso progetti focalizzati sulla valorizzazione e lo sviluppo dei beni culturali italiani, intesi in senso largo. Insomma uno convinto che con la cultura... si mangi.La più recente creatura di Ungaro è Energia Giovani, un progetto – che probabilmente prenderà la forma di associazione non profit nei prossimi mesi – che vuole affrontare il tema dell'equità intergenerazionale.Sabato 30 marzo a Milano è in programma “Culturit University”, il raduno nazionale di tutte le locali italiane di Culturit: questa è la sesta edizione dell'evento, e quest'anno il tema principale sarà proprio la (non) rappresentanza e la (non) centralità degli under 30 – o forse addirittura under 40... – in Italia. “Non è un paese per giovani: le sfide delle nuove generazioni” è il titolo che gli organizzatori hanno scelto per la giornata. L'evento (questa la pagina su FB) prenderà avvio alle 14 con la messa in scena dello spettacolo teatrale “Aiuto, mi laureo!” di Francesca Isola, con musiche di Angelo Simonini; a seguire la tavola rotonda “Investire sui giovani: a che punto siamo”, con Alessandro Rosina (proprio lui) e il giornalista Francesco Cancellato, direttore de Linkiesta. L'intervento conclusivo sarà di Eleonora Voltolina, fondatrice della Repubblica degli Stagisti e Ashoka Fellow, che insieme a Leonardo Stiz – ventiseienne veneto, laureato in Legge alla Bocconi, oggi stagista presso la Commissione europea, e cofounder insieme a Ungaro di Energia Giovani – discuterà delle migliori “Idee per un'Italia a misura di giovani”. Alla “Culturit University” collaborano associazioni come Aiesec Milano, Enactus Milano, European Generation, Fai Giovani Milano, JECatt, Poliferie e Tortuga. «Dalla politica tendiamo ad allontanarci sempre di più» dice Stiz: «Il divario tra giovani e politica cresce e il dialogo tra queste due realtà si annulla. Ci perdono i giovani, perché la politica non fa più niente per loro, e ci perde il Paese, perché i giovani si disinteressano». Bisogna invertire la rotta, e in fretta.«Sta a noi disegnare la società del futuro: ora tocca a noi» conclude Ungaro: «Se non ne siamo convinti noi per primi, nessuno ci darà spazio. Dobbiamo far capire alla società che non siamo degli antagonisti ma che vogliamo prendere in mano il nostro futuro di lavoro e di vita, lavorando e innovando. Questa è la missione di Energia Giovani». Giovani all'ascolto, se queste parole risuonano nella vostra mente, se vi ispirano, potete trasformare la vostra energia in qualcosa di concreto. Magari iscrivervi a CulturIt. O a un sindacato. O a un partito. O a un'associazione di azione giovanile.

Niente più stage gratis al Parlamento europeo: la vittoria dell'eurodeputato Benifei

Mai più stage a titolo gratuito all'Europarlamento. Il traguardo arriva dopo tre anni di battaglia – sotto il nome di #Fairinternships per stage più equi – a suon di «manifestazioni, incontri, flash mob, questionari anonimi» racconta Brando Benifei, eurodeputato Pd e copresidente dell'Intergruppo giovani. Al suo fianco David Sassoli, vicepresidente dell'Europarlamento: l'occasione è una conferenza stampa organizzata ieri apposta per annunciare «la fine della pratica vergognosa dell'uso di stagisti senza rimborso spese». Uno stop che riguarda quel «far west» – così lo definisce Benifei – di stage che si svolgono presso gli uffici degli europarlamentari, finora rimasti sostanzialmente senza regolamentazione. La nuova normativa entrerà in vigore a partire dal primo luglio, quindi con la prossima legislatura: scongiurato per fortuna il timore «di non riuscire a rientrare nei tempi della fine del mandato», con il rischio di lasciare a metà il lavoro fatto finora. Le regole che saranno introdotte in estate e che il Bureau ha approvato lo scorso 25 marzo rompono in maniera netta con il passato. Innanzitutto sul piano dell'indennità da corrispondere ai tirocinanti: si passa infatti da nessun tetto minimo a un range di rimborso spese – obbligatorio – dagli 800 ai 1313 euro mensili come soglia massima. Una fascia non casuale «ma allineata alle regole sugli stage in vigore in Belgio, e rispetto alle quali finora il Parlamento si poneva in una situazione di ambiguità dal punto di vista legale». O per non parlare proprio di palese illegalità: secondo i dati emersi dal questionario somministrato dall''Intergruppo nel 2017 a 233 stagisti, ben un quarto risultava pagato meno di 600 euro al mese, mentre l’8% non percepiva alcun rimborso. Il tutto a fronte di un 40% impegnato per oltre 40 ore a settimana, con un 15% che andava oltre le 45. Uno «scandalo» secondo Sassoli, da correggere anche perché «il Parlamento europeo come istituzione deve dare l'esempio e mettere in pratica per primo ciò che chiede agli altri di fare». E siccome gli europarlamentari possono inserire stagisti anche negli uffici dei propri paesi di provenienza – quindi non solo in Belgio – il provvedimento chiede di applicare anche nei diversi Paesi membri la legge nazionale valida per gli stage. La seconda misura riguarda poi la durata: si passa da un massimo di 18 mesi alla metà, ovvero nove mesi. Con una durata che può andare da sei settimane a cinque mesi prorogabili appunto fino a nove. Si pone l'obbligo dell'assicurazione sanitaria (è attualmente sufficiente la sola autocertificazione), e si fissano altri due paletti: ogni europarlamentare non potrà avvalersi di più di tre stagisti contemporaneamente né ripetere lo stage con chi lo abbia già fatto. Si apre anche una finestra specifica per le cosiddette 'visite di studio', una nuova categoria che introduce il regolamento appena approvato rivolta «ai ragazzi che stanno per terminare le scuole superiori o che frequentano l'università e che vogliono svolgere una piccola esperienza presso l'Europarlamento» sottolinea Benifei. Proprio per evitare che vi sia una sovrapposizione con gli stage «abbiamo stabilito che il massimo possibile di durata di queste esperienze sia pari al minimo dello stage, ovvero sei settimane». Ogni europarlamentare può usufruire al massimo di due visite di studio per legislatura, e può – in questo caso liberamente – decidere di erogare un piccolo forfait «che non potrà comunque superare il massimo previsto per una mensilità di stage». La nuova regolamentazione, è bene specificarlo, non avrà alcun effetto sui tirocini Schuman, quel programma di tirocini che si ripeto ogni anno al Parlamento Ue, garantiti da regole e tutele ben precise, e che ogni anno accolgono nelle varie aree dell'istituzione circa 900 persone. «Questi prevedono già programmi formativi e compensi adeguati» chiarisce Benifei. L'urgenza era insomma intervenire sulle altre categorie di stage «rispetto alle quali il Parlamento era inadempiente». Adesso invece ci sarà un allineamento a questi tirocini ufficiali «perché in base ai nuovi contratti attivati da luglio gli stagisti risulteranno a tutti gli effetti dei dipendenti del Parlamento, come vale per gli Schuman, adeguandosi poi al trattamento per gli stagisti previsto dall'ordinamento belga». L'obiettivo è andare anche oltre. Spiega Benifei che il fine politico ultimo «è quello di mettere a bando i tirocini senza rimborso spese in tutta Europa, e più in generale accrescerne la qualità». Anche se inseriti «nell'ambito di un percorso formativo, il lavoro e l'impegno vanno pagati», fa eco Sassoli. Il primo passo sarà la riforma del «Quadro di qualità europeo per i tirocini e per gli apprendistati», una raccomandazione del Consiglio adottata nel 2014 che definisce standard minimi che i Paesi Ue si sono impegnati a rispettare. Resta il nodo dei controlli e delle sanzioni. «Come si può evitare che la nuova normativa non sia aggirata?» chiede un giornalista al termine della conferenza stampa. «Il tutto si svolgerà dentro la cornice dei controlli ordinari realizzati dal Parlamento europeo e con responsabilità diretta dell'istituzione» rassicura Sassoli. Ma per averne la certezza la normativa andrebbe forse implementata anche su quel fronte.Ilaria Mariotti