Categoria: Storie

«Assunto dopo lo stage al Comitato delle Regioni», la storia di Paolo da L'Aquila a Bruxelles

C’è tempo fino al 30 settembre per candidarsi alla sessione primaverile dei tirocini presso il Comitato europeo delle Regioni. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Paolo Ciampaglione, 32 anni, tirocinante della scorsa sessione primaverile e oggi junior communication specialist per una società esterna che lavora per il Comitato.Vengo dalla provincia di L’Aquila e ho appena finito uno stage di cinque mesi presso il Comitato europeo delle regioni di Bruxelles, dove tuttora lavoro grazie a un contratto con una società esterna. Ma partiamo dall'inizio. Ho studiato Cooperazione internazionale alla Sapienza di Roma. Dopo la laurea ho fatto un’esperienza di tirocinio di sei mesi in Irlanda con il Leonardo Programme, in una ong che si occupava di scambi interculturali tra studenti irlandesi e scuole in Sudamerica e Africa. Successivamente sono stato un anno in Malawi, dove ho lavorato in una ong italiana, Cooperazione internazionale (Coopi) come assistente al country director. Scrivevo progetti e mi spostavo per il Malawi per il supporto ai progetti in corso. Dopo la scadenza del contratto, mi sono candidato per uno stage sia alla Commissione europea, perché mi interessava l’unità di cooperazione, che al  Comitato europeo delle regioni, anche perché avevo fatto un Master al collegio europeo di Parma. Sono stato pre-selezionato per lo stage presso il Comitato europeo delle Regioni, dove ho sostenuto un colloquio con l'Unità Eventi del dipartimento di Comunicazione.  Durante il colloquio telefonico mi hanno chiesto perché ero interessato al tirocinio, abbiamo parlato in inglese, lingua di cui avevo una conoscenza avanzata, e poi in francese livello base. Il colloquio è durato una decina di minuti ed è stato abbastanza informale. Ho lavorato presso l’Unità Eventi del Comitato da febbraio a luglio 2018. È stato interessante e abbastanza impegnativo, perché l’Unità Eventi è quella centrale, in quanto organizza conferenze ed eventi locali. Io ho supportato l‘organizzazione di conferenze all’interno del Comitato. Ma, in particolare, ho lavorato alla campagna Riflettere sull’Europa, che a ottobre diventerà Futuro sull’Europa. La campagna consiste nell’organizzazione di eventi locali nei paesi dell’Europa e non, organizzati da regioni, province, comuni e associazioni che si occupano di temi legati all’Ue. Gli eventi sono sostenuti da un membro del Comitato e consistono in dibattiti con i cittadini nelle loro aree di appartenenza per discutere sul futuro dell’Europa. I messaggi sono raccolti in un report: il prossimo rapporto finale verrà presentato il 9 ottobre 2018. Inoltre ho partecipato al (Y) factor project, un progetto facoltativo in cui gli stagisti hanno carta bianca nell’organizzazione di un’attività legata al lavoro del Comitato. Con il mio gruppo abbiamo organizzato un dibattito con i cittadini di Molenbeek, un comune di Bruxelles non ben visto agli occhi di molti. È stato il primo evento organizzato al di fuori del Comitato. Abbiamo coinvolto quindici associazioni che si occupano di inclusione sociale e organizzato per il 1° luglio scorso presso il Comune di Molenbeek prima un workshop e poi un dibattito con i cittadini, la sindaca e il presidente del Comitato Karl-Heinz Lambertz riguardo i problemi del quartiere. L’evento ha avuto molto successo ed è stata una bella soddisfazione.Nonostante fosse uno stage, io sono stato coinvolto in tutte le attività dell'Unità ed ho lavorato molto. Il capo unità era il mio tutor, ma ho lavorato soprattutto con la campaign manager, che mi ha insegnato moltissimo. Il Traineeship office è sempre disponibile per risolvere eventuali problemi. Inoltre, gli stagisti vengono coinvolti in molte visite ad altre istituzioni europee di Bruxelles e nei mesi successivi anche fuori Bruxelles, come ad esempio a Lussemburgo presso la Corte dei Conti e Corte di Giustizia. Uno dei pochi difetti è che forse l’istituzione dovrebbe pensare a informare di più gli stagisti sulle opportunità che ci sono all’interno dell’Unione e sui contratti che potrebbero esser loro proposti dopo lo stage.Su ventitré stagisti della mia sessione, due erano italiani più una ragazza italo spagnola, poi c’erano quattro tedeschi due finlandesi un inglese/neozelandese un lituano, un ungherese e così via. Durante lo stage condividevo la casa con la mia fidanzata, e spendevamo in tutto 800 euro, quindi il rimborso di 1.200 mi era sufficiente per vivere. La giornata lavorativa prevedeva otto ore giornaliere, per un totale di quaranta settimanali. Gli orari si potevano gestire liberamente: il Comitato apriva alle 7.30, il lavoro entrava nel vivo per le 9.30, a me è capitato di uscire tanto alle 17 quanto alle 20 a seconda degli impegni. Ho sempre cercato di dimostrare curiosità e propositività. Ho avuto la fortuna di trovarmi in un’unità in cui avevano bisogno di personale, così finito lo stage sono rimasto a lavorare al Comitato. Dal 1° agosto ho un contratto con una società esterna con il ruolo di junior communication specialist e continuo ad occuparmi della campagna Riflettere sull’Europa. l contratto dura più o meno fino a gennaio e spero possa essere rinnovato. In ogni caso farò il concorso Epso per cercare di entrare in modo permanente all'interno delle Istituioni UE. In generale a Bruxelles mi trovo bene, è una città viva a livello culturale e di divertimento, offre molte possibilità, ma allo stesso tempo è piccola e non molto caotica, e i servizi funzionano abbastanza bene. Certo l’ambiente è diverso da quello in cui sono cresciuto, ma Bruxelles è piena di italiani ed è molto internazionale, quasi non sembra di vivere in Belgio. L’intenzione è di restare a Bruxelles per qualche anno, ma in futuro mi piacerebbe tornare in Italia, a Roma, a patto di trovare un lavoro che soddisfi le mie esigenze, preferibilmente in ambito europeo e di cooperazione.Consiglio uno stage nel Comitato perché, essendo l’istituzione più piccola dell’Ue, l’ambiente è più familiare e informale e hai l’opportunità di essere più a contatto con le persone che ci lavorano, compresi i capi unità. E, in particolare, consiglio l’Unità Eventi perché è in continuo fermento e si ha modo di lavorare di imparare tanto.Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Au pair, l'esperienza che mi ha cambiato la vita: tre storie di ventenni alla scoperta del mondo "alla pari"

Ogni anno più di mille ragazzi italiani tra i 17 e i 30 anni vivono un'esperienza all'estero con il programma "au pair", che può avere una durata fra i 3 e i 12 mesi. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto le storie di Valentina Rossi e Simone Barutti, au pair in Inghilterra e Caterina Pandolfi, ragazza alla pari in Irlanda.Caterina Pandolfi Ho 22 anni e sono di Imperia ma studio Mediazione linguistica a Torino. Dopo la maturità ero incerta su quello che volevo fare, all’inizio pensavo a Beni culturali, ma non essendo convinta mi sono presa un anno di pausa e ho deciso di impiegarlo facendo un’esperienza come au pair. Una scelta dettata dalla voglia di viaggiare e di vivere lontano da casa, ma anche dalla prospettiva di poter imparare meglio l’inglese – che pur avendo fatto il linguistico, non conoscevo benissimo... – e mettere da parte qualcosa in vista dell’università. Proprio sull’università l’esperienza au pair mi ha fatto cambiare idea, portandomi a scegliere Mediazione linguistica. Prima di partire l’idea era di staccarmi dallo studio delle lingue; poi vivendo a contatto con altre culture mi sono resa conto di quanto mi piaceva ascoltarle, tradurle e vedere le differenze.  Per partire sono rivolta a un’agenzia che mi ha trovato una famiglia in Irlanda, a Dublino. All’inizio volevo fare sei mesi, poi la famiglia mi ha chiesto di restare un anno. Mi avevano consigliato l’Irlanda perché si vive bene e pagano bene: non danno mai meno di 100 euro a settimana, a differenza di altri paesi. Una mia amica in Francia ne prendeva 50, un’altra in Olanda 80 a settimana. Ma soprattutto in Irlanda c’è la concezione della tata e della ragazza au pair, e sono trattate meglio che in altri paesi. L’agenzia mi ha messo in contatto con la famiglia via mail e abbiamo fissato appuntamento via Skype: ci siamo piaciuti subito. Il 20 settembre sono partita. La mia famiglia ospitante era composta dai genitori e da quattro bimbi: la più grande aveva sei anni, il più piccolo quattro mesi. Con quattro figli faticavano a trovare ragazze! Io avevo già fatto la babysitter e non mi spaventava, ma lo consiglierei solo a qualcuno a cui piacciono tanto i bambini, perché non è facile gestirne quattro tutti insieme. Il mio lavoro si svolgeva per otto ore al giorno (più due babysitting serali a settimana), con sabato,  domenica, lunedì e venerdì pomeriggio liberi. Mi pagavano 120 euro a settimana, avevo una stanza con bagno, vitto e alloggio. Ho frequentato anche una scuola di inglese – al costo di 300 euro a trimestre – ottenendo la certificazione B2. Vivere con i bambini è bello e allo stesso tempo traumatico. Inizialmente è difficile, non sai come approcciarti, magari hanno appena avuto un’altra aupair e ti fanno i dispetti, ma dopo un po’ cominciano a rispettarti. Mi sono affezionata tanto a tutti – in particolare al più piccolo, che ho accompagnato dal quarto mese al primo anno di vita. Ho pianto come una disperata quando sono andata via. Ancora oggi delle volte ci penso, e ogni tanto torno a trovarli, a vedere come crescono. Dopo essere stata au pair ritorni alla tua vita ma non ti stacchi mai da quella!L’agenzia mi aveva messo in contatto con altre ragazze alla pari: il mio quartiere era pieno di au pair. E fa comodo – soprattutto nei momenti di debolezza – avere persone che vivono la tua stessa situazione. Ho stretto un’amicizia molto bella con una ragazza spagnola e una francese, ancora oggi ci scambiamo le visite. Evitavo gli italiani perché non volevo parlare tanto italiano. Lì la vita è molto diversa, si svegliano e vanno a dormire presto, cenano alle cinque e mezza alle sette e mezza vanno a letto. Dublino è una città molto bella, dove è facile imparare l’inglese, lo insegnano bene e costa meno di Londra, ma non è il posto dove vivrei: fa freddo, piove troppo, e non si mangia molto bene. All’inizio mi ero informata per fare l’università lì, poi ho sentito l’esigenza di tornare a casa, alle mie abitudini. Consiglio l’esperienza au pair – magari dopo il liceo o dopo la triennale – perché ti arricchisce dal punto di vista linguistico, culturale, umano, ti fa crescere, e in più ti permette di mettere un po’ di soldi da parte. Sto anche pensando di rifare la ragazza au pair da un’altra parte, dopo la laurea triennale. Se un giorno avrò figli dirò loro di fare assolutamente quest’esperienza. Ancor più a un figlio maschio, perché stare a contatto con bambini e piccole faccende domestiche potrebbe giovargli molto nell'acquistare responsabilità. E se fossi una host mum sarei molto contenta di affidare i miei bimbi a un giovane ragazzo! Simone BaruttiHo 20 anni e vengo da Oulx, in provincia di Torino, al confine con la Francia. Dopo il liceo linguistico ho fatto un anno di economia a Torino, poi ho cominciato a lavorare nell'azienda termoidraulica di famiglia e per sei mesi ho fatto il fotografo in una scuola di sci. In questo momento sto vivendo l’esperienza di au pair in Inghilterra. Qualche mese fa mi sono detto che a vent'anni ci avrei messo meno tempo a imparare l'inglese, così ho scelto il modo più rapido e più economico per farlo. Non mi sono posto il problema che l'au pair fosse tradizionalmente femmina: ho valutato semplicemente quale fosse la formula più conveniente ed efficace per imparare la lingua.  Dopo vari colloqui, attraverso un’agenzia, la scelta è caduta su una famiglia di Abingdon, 15 km da Oxford, composta da papà, mamma e un bambino di otto anni, di cui faccio il fratello maggiore.Lavoro 25 ore a settimana per cinque giorni come babysitter e prendo 80 sterline, inoltre avendo molte ore libere mi sono proposto di pulire la casa tre ore a settimana per 30 sterline, quindi in totale prendo 110 sterline a settimana. In più ho trovato lavoro in un ristorante come cameriere/ barista per esercitarmi maggiormente con l’inglese. Non è vero che pagano più che in Italia e che c’è il limite di otto ore: puoi lavorare anche fino a 15 ore. Se non superi le otto ore non hai pause e se lavori dalla colazione alla sera non mangi anche se sei in un ristorante. Di solito la paga aumenta con l'età, ma io che sono straniero, pur avendo vent'anni – qua sono già vecchio, hanno tutti dai 15 ai 19 anni – prendo 6,70 sterline all'ora quanto un 15enne, poi ci sono ovviamente le mance. Tuttavia io con i soldi della famiglia posso tranquillamente stare qua, fare qualche viaggetto nei dintorni, pagarmi la scuola di inglese per ottenere il First (18 sterline l'ora) e tenermi qualcosa da parte, mentre con i soldi del lavoro extra mi pagherò le vacanze che farò al ritorno in Italia.Non è stato difficile trovare altri au pair (anche se tutte donne): ogni volta che un ragazzo au pair lascia la famiglia compila un foglio con consigli per chi verrà dopo di lui, ad esempio una lista dei punti di ritrovo. Dopo quattro mesi mi ritengo già soddisfatto dei risultati dell'esperienza. Sono partito che conoscevo l'inglese scolastico e oggi riesco a fare una conversazione con un madrelingua senza nessun problema, a guardare film in lingua, e così via. Con la famiglia il rapporto è molto buono: mi reputano come un figlio, quando sono stato poco bene mi sono stati vicini, per il cibo cercano di venirmi incontro. Certo ci sono molte differenze, ad esempio noi siamo più legati alla famiglia. Poi loro vivono in una città di 80mila abitanti e non chiudono mai la porta a chiave, eppure è gente benestante: il mio "papà" fa il pilota per la British Airways, la mia “mamma” produce software per la Apple. Per me che son venuto con l'idea di imparare l'inglese è stata la scelta ideale, anche perché a Oxford si parla il "vero" inglese. Ma se si parte con l'idea di divertirsi, allora non è il posto giusto – qui sono molto chiusi, se alla fermata del pullman provi a socializzare non ce la fai. Ho fatto amicizie solo a scuola, dove ogni settimana hai una classe diversa. E bevono molto: al locale mi è stata chiesta la birra al mattino insieme a uova e bistecche. Ma il problema ancor più grande è la droga, che ora qui costa pochissimo. Non rimarrei in Inghilterra perché... ho bisogno di cibo vero! Loro hanno idee strane sull'alimentazione due settimane fa la domenica a pranzo – il pasto più “sano” della settimana – hanno fatto la pasta: l’hanno buttata nell’acqua fredda e alla fine hanno spezzettato le patatine al bacon sopra. Purtroppo dal 2025 per effetto della Brexit l'esperienza au pair in Inghilterra potrebbe essere preclusa agli europei: noi au pair stiamo firmando una petizione perché non accada [la raccolta su Change conta già oltre 20mila firme, nrd]. È davvero difficile pentirsi di aver fatto una esperienza au pair, molte persone lo fanno anche più di una volta. Anche io mi sono informato per andare in America, solo che lì bisogna star via per forza un anno. Consiglio a tutti di fare gli au pair perché è un esperienza che ti migliora non solo per la conoscenza della lingua – io ora conosco fluentemente tre lingue: italiano, inglese e francese – ma anche a livello culturale. A vent'anni capisci le differenze tra il tuo e gli altri paesi, ti rendi conto di pregi e difetti, e hai anche hai la possibilità di rivalutare il tuo paese!Valentina RossiHo ventidue anni e abito a Lombriasco, un piccolo paesino vicino Torino. Dopo aver frequentato il liceo classico, a diciannove anni non sapevo bene cosa fare; ho provato il test di ammissione a Fisioterapia ma non l'ho superato. Così, piuttosto che perdere un anno a far qualcosa che non mi piaceva, ho pensato di fare un'esperienza alla pari, anche perché ho sempre avuto uno spirito “avventuriero”. A settembre sono andata in agenzia e i primi di ottobre sono partita. Sono stata fuori nove mesi. Ho scelto l’Inghilterra perché avevo dei cugini lì ma soprattutto per migliorare l'inglese. Ho vissuto a Romsey, vicino Southampton, sud-est dell'Inghilterra. La mia famiglia ospitante era composta da mamma, papà e due bambini, uno di otto anni, Edward, e una di cinque, Abigail. Lavoravo circa sei ore al giorno e mi davano 85 sterline a settimana. Meno rispetto ad altri, tuttavia mi aiutavano con altre spese, ad esempio mi hanno pagato il viaggio di ritorno a Natale, la scheda telefonica e per metà la scuola di inglese (500 sterline). Nel weekend ero libera e di solito partivo con un'amica per delle gite: ho visitato Londra, Oxford, Cambridge, Stratford-upon-Avon, dove è nato Shaksperare, la Cornovaglia. Quando non avevo altri programmi la famiglia mi portava con sé: siamo andati in campeggio, in barca a vela... Loro viaggiavano molto e davano meno peso ai beni materiali, ad esempio vivevano in affitto. Io mi sono innamorata di questo modo di vivere. Ogni tre mesi vado a trovarli e anche loro sono venuti in Italia da me. Penso di essere l'unica a dire che mi sono trovata bene anche per il cibo: mangiavano cibi di tante culture diverse: indiano, cinese, e poi adoravo jacket potatoes e fish&chips. La famiglia mi diceva che sono diventata una vera inglese quando ho iniziato a prendere il thè con il latte. Mi sarebbe anche piaciuto fare l'università lì, ma costava 9mila sterline l'anno! Al ritorno mi sono iscritta a Lingue a Torino. Fare l’au pair mi ha cambiato la vita. Prima di partire non avrei mai avrei pensato di scegliere questa facoltà, l'inglese l'avevo sempre odiato, ma evidentemente me l'hanno trasmesso in modo positivo, infatti ora sto studiando inglese, spagnolo e portoghese.Oggi collaboro anche con un’agenzia au pair, per la quale gestisco i social, raccolgo le foto delle ragazze etc. Ho già fatto richiesta per un’altra esperienza all’estero, con il programma Erasmus in Inghilterra o Irlanda. Dopo la laurea mi piacerebbe o insegnare o lavorare all'estero per un'azienda, ma anche fare l’hostess e girare il mondo per un annetto.  L’esperienza au pair mi ha arricchita a 360 gradi. La consiglio perché ti permette di stare a contatto con nuove persone e culture, stravolge la tua idea di vita, ti chiedi: finora che cosa ho fatto?Testimonianze raccolte da Rossella Nocca

Chiara, da Roma a Bruxelles sola andata: «Per arrivare qui ho mandato 200 curriculum. Bisogna sempre perseverare»

La Commissione Europea offre ogni anno 1.300 posti per stagisti europei laureati in ogni disciplina, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili, pubblicando ogni anno due bandi. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 31 agosto, e verrà selezionato, è previsto per maggio 2019. Chiara Bellani, 29 anni, ha partecipato al progetto nel 2017 e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza.Sono nata nel 1989 a Roma, dove ho fatto la triennale in Scienze Politiche e della comunicazione alla Luiss. Sempre alla Luiss, nel 2013, ho preso la laurea magistrale in International Relations and Affairs, con una tesi sull’Unione Europea e sulle organizzazioni internazionali. Ho scelto questo tipo di studi perché ho sempre desiderato una carriera di tipo internazionale. Sia durante la triennale che durante la magistrale ho avuto la possibilità di fare due esperienze di studio all’estero: un Erasmus nell’Università di Oslo nel 2010 e un semestre, nel 2012, all’University of British Columbia di Vancouver, nell’ambito di un accordo di exchange con la Luiss. Per entrambe le esperienze sono riuscita, in gran parte, a coprire le spese con delle borse di studio finanziate per metà dall’UE (programma Erasmus) e dalla Luiss, oltre che con piccoli lavoretti part-time come la baby-sitter. Dopo la laurea ho deciso di trasferirmi a Bruxelles, dove tuttora vivo. Lì, nel 2014, ho fatto il mio primo stage nell’azienda European Chemical Region Network, che si occupa di lobbying nel campo delle politiche industriali. Ho trovato quello stage grazie al sito eurobrussells.com, un portale dove vengono  pubblicati annunci per lavorare nella capitale europea – sia nelle istituzioni che nelle aziende – e che consiglio a tutti coloro che sono interessati ad un’esperienza all’estero, soprattutto se interessati a lavorare in un’organizzazione internazionale. Ricevevo un rimborso spese di circa 500 euro, che mi ha consentito di poter avere una piccola indipendenza economica.Dopo quest’esperienza, durata sei mesi, ho avuto l’opportunità di svolgere – sempre a Bruxelles – un periodo di tirocinio all’Unric (Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite), un’agenzia Onu che si occupa di promuovere le attività delle Nazioni Unite. In entrambi gli stage ho svolto mansioni di advocacy, comunicazione ed organizzazione di eventi, perfettamente in linea con la mia formazione accademica. All’Unric ho svolto anche attività di traduzione, in quanto mi occupavo del desk italiano. L’unico problema, comune a tutti i tirocini all’Onu, è che lo stage non era retribuito: in quel periodo, sebbene avessi già venticinque anni, ho potuto contare unicamente sulla mia famiglia e su altri lavoretti saltuari per sostenermi. Sarei dovuta rimanere all’Onu sei mesi ma, nel settembre 2014, ho interrotto lo stage dopo tre mesi per andare a lavorare nel neonato Liaison Office della Luiss a Bruxelles, dove ho avuto un contratto a Partita Iva con stipendio di circa 1000 euro. È stato il mio primo vero e proprio lavoro, un’esperienza di due anni e mezzo, formativa e molto utile dal punto di vista del curriculum.A marzo 2017 ho lasciato l’ufficio della Luiss perché ero stata selezionata per un tirocinio alla Commissione Europea nell’ambito del Bluebook Program. Sin dai tempi dell’università, tutti noi studenti di relazioni internazionali eravamo incoraggiati a candidarci per stage e tirocini all’estero, e il Bluebook Program è sempre stata un’esperienza molto sponsorizzata alla Luiss: dopo la laurea mi sono candidata ad ogni bando [ne vengono pubblicati due all’anno, ndr] fino a quando non sono stata selezionata. Non è semplice, infatti, presentare application e essere scelti al primo colpo. Questo soprattutto per noi italiani, in quanto il nostro paese è quello da cui arrivano più candidati in assoluto – anche per via della buona indennità – spesso con background accademico eccellente ed esperienze professionali rilevanti alle spalle.  Motivo per cui gli stagisti italiani sono, tendenzialmente, più vecchi di quelli di altre nazionalità.Il mio stage si è svolto nella Direzione Generale Istruzione, Cultura, Gioventù e Sport, dove sono stata assegnata all’Unità Istruzione. Una collocazione perfettamente in linea con il mio profilo e per cui la mia esperienza al Liaison Office della Luiss è stata molto utile, sia ai fini della selezione che dell’attività lavorativa. Il rimborso spese previsto dalla Commissione è di 1.175 euro al mese: una cifra consistente, che ti permette di vivere a Bruxelles, dove un affitto costa in media sui 600-650 euro se si è da soli o 500-550 con dei coinquilini. È stata un’esperienza molto formativa, sia dal punto di vista professionale che umano, in quanto ho stretto diversi legami, sia di amicizia che di lavoro. In questi contesti internazionali avere un proprio network è fondamentale. La gente è molto disponibile e pronta a darti una mano in caso di necessità. Sin dalla prima settimana di stage ho cominciato a guardarmi intorno cercando delle opportunità di lavoro in Commissione anche al termine del Bluebook Program. Sono stata fortunata perché dopo il tirocinio  sono stata selezionata per un colloquio per sostituire una ragazza che è andata in maternità. Al momento sono ancora qui e lavoro nello stesso Direttorato Generale, dove mi occupo di cultura. In particolare, seguo temi come il traffico illegale di beni culturali (ad esempio le opere d’arte che giungono dalla Siria e i cui proventi vanno a finanziare il terrorismo) o dossier come l’Anno del Patrimionio Culturale Europeo, che è proprio il 2018 e per il quale sono state organizzate diverse iniziative a livello comunitario.Sono inquadrata come «Agente Contrattuale» il che significa che ho un contratto annuale che può essere rinnovato per un massimo di sei volte. È vero che non ho ancora un contratto stabile, ma a quattro anni dalla laurea e con già diverse esperienze nel curriculum posso dirmi fortunata e contenta di quella che, per il momento, è la mia carriera. Per un posto da funzionario, invece, occorre passare attraverso dei concorsi molto selettivi, a cui partecipano circa 30mila candidati per qualche centinaia di posti. Ho già provato a farne uno e riproverò in futuro. Il mio obiettivo, infatti, è quello di poter lavorare in pianta stabile in un’istituzione o in un’organizzazione internazionale. In alternativa, anche un’azienda come l’European Chemical Region Network sarebbe una soluzione ottima per quelli che sono i miei interessi e le mie ambizioni. Quel che è certo è che voglio continuare a muovermi in un contesto internazionale, che è il motivo per cui ho deciso di lasciare l’Italia.Per quanto riguarda gli stage nel nostro paese, penso che il problema principale sia quello delle retribuzioni, in quanto spesso è difficile anche solo ottenere un minimo rimborso spese. È vero che anche all’estero non è tutto rose e fiori, ma almeno le spese sono garantite nella maggior parte dei casi. Certo, poi dipende tutto da quello che uno ha in testa e si sente di fare. Io ho sempre voluto lavorare nelle istituzioni internazionali e per farlo andare all’estero era una soluzione quasi obbligata. Per altri magari non è così.A prescindere, da lettrice della Repubblica degli Stagisti – testata che consulto di tanto in tanto grazie alla vostra attività sui social media – trovo che il vostro lavoro sia molto utile ed interessante per i giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro. In particolare per la qualità della vostra attività informativa sulle migliori opportunità di stage.Un consiglio da dare ai giovani che vogliano intraprendere la mia stessa carriera? Non demordete. Documentatevi, non perdete l’entusiasmo e continuate a mandare candidature. Io ne ho mandate più di duecento prima di arrivare a Bruxelles. Non siate narrow-minded ma cercate di avere un approccio il più aperto possibile. Un’organizzazione internazionale può offrire davvero tante opportunità anche se, a prima vista, potrebbero sembrare non in linea con il vostro profilo. Io, per esempio, ho cominciato a lavorare nel campo delle politiche industriali, su cui avevo solo una conoscenza minima. E poi, ancora, rendete il vostro profilo il più internazionale possibile imparando le lingue e facendo esperienze all’estero.Testimonianza raccolta da Giulio Monga

«Un'esperienza arricchente», Francesca racconta il suo stage alla Corte di giustizia europea

La Corte di Giustizia dell'Unione europea offre ogni anno una cinquantina di posti per tirocinanti europei laureati in giurisprudenza o scienze politiche, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 15 settembre, e verrà selezionato, è previsto per marzo 2018. Francesca De Grazia, 26 anni, ha partecipato al progetto quest’anno e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Lussemburgo.Sono nata a Fiesole, in provincia di Firenze, dove ho preso la laurea magistrale in giurisprudenza italo-francese nel dicembre del 2016. È un programma organizzato dalle università di Firenze e Paris 1 Panthéon-Sorbonne che permette di ottenere, dopo cinque anni di studi, sia la laurea in giurisprudenza italiana che la Maitrise en Droit francese, consentendo l’accesso alle professioni legali in entrambi i paesi. Ogni anno cinquanta studenti vi accedono dopo un test di ammissione: venticinque selezionati dall’università italiana e altrettanti da quella francese, ma quando mi sono iscritta, nel 2011 erano solo quindici per ateneo. Il corso prevede la frequenza con relativi esami dei primi due anni a Firenze, del terzo e quarto anno a Parigi e per il quinto anno un primo semestre di lezioni a Parigi e un secondo dedicato alla redazione della tesi di laurea in Italia.Avevo studiato il francese al liceo linguistico Machiavelli Capponi che, tramite l’accordo bilaterale tra Francia e Italia Esabac, rilascia un doppio diploma – la maturità italiana e il Baccalaureat francese – permettendo l’accesso diretto all’università in entrambi i Paesi. Opzione concretizzatasi con questo corso di laurea. Oggi sono molto soddisfatta della scelta: ho approfondito cultura e metodi universitari stranieri, perfezionato il francese, acquisito apertura ed elasticità mentali stimolando la mia curiosità.Il primo stage che ho fatto è stato un curriculare estivo di due mesi, da metà giugno a metà agosto del 2015, al Tribunale di Sorveglianza di Firenze: un tirocinio obbligatorio del corso di laurea. Avevo trovato l’avviso nella sezione degli annunci di tirocinio del sito dell’ateneo. Non ricevevo alcun rimborso spese, ma l’esperienza è stata formativa e interessante: mi ha permesso di acquisire una conoscenza completa del diritto penitenziario e dell’esecuzione penale.Nel 2014 e 2015, durante l’anno accademico, ho fatto del volontariato a Parigi in un carcere tramite l’associazione francese Genepi, offrendo lezioni di italiano una volta alla settimana ad alcuni detenuti della prigione di Fresnes.Poi nel settembre del 2016, mentre finivo di scrivere la tesi dedicata alla mediazione penale, ho iniziato un master annuale all’université Paris 1 – Pantheon – Sorbonne in diritto penale. Non avevo una borsa di studio, ma era un master pubblico e in Francia le tasse universitarie, anche per i master, sono molto basse: ho pagato meno di 400 euro. Ho approfondito aspetti del diritto penale grazie a materie che non avevo potuto studiare durante la laurea magistrale – e credo sia stato determinante per la mia selezione, il mese seguente, per uno stage alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, in Olanda.Ormai mi ero appassionata alla dimensione sovranazionale del diritto penale e consultando il sito della Corte penale internazionale avevo scoperto questi tirocini. Così ho presentato la mia candidatura e sono stata selezionata per uno stage di sei mesi, da settembre 2017 a marzo di quest’anno, nell’ufficio del direttore della divisione dei servizi giudiziari, nella cancelleria della Corte. L’ufficio fornisce servizi amministrativi e supporto giuridico agli organi giudiziari e coordina varie sezioni. Ho collaborato con tutte quelle interne, lavorando con persone provenienti da tutto il mondo. Purtroppo non avevo un rimborso spese – quindi, ancora una volta, ho dovuto contare solo sui miei genitori. Ma il sacrificio economico è stato indubbiamente ripagato dall’esperienza, estremamente positiva sia dal punto di vista dei rapporti umani con stagisti, colleghi e tutor, sia per la varietà e l’importanza delle mansioni affidate. Ho, però, concluso lo stage con un mese di anticipo perché, dopo aver fatto domanda per la prima sessione del 2018, mi è stato offerto un tirocinio alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che non potevo proprio rifiutare! Non solo perché finalmente era previsto un rimborso spese, ma anche per l’occasione unica che mi veniva offerta.I colleghi e superiori della Corte all’Aja, con cui si era creato un ottimo rapporto, mi hanno suggerito di fare domanda per eventuali posizioni lavorative che si apriranno in futuro: ma sono sempre meno. Una volta, invece, era molto più frequente vedersi offrire un’assunzione post stage. Poi l’istituzione tende a mantenere una rappresentazione geografica del personale equilibrata assumendo in egual numero persone dai vari Stati membri: ultimamente per l’Italia c’è una sovra rappresentazione, e dunque ridotte possibilità di nuove assunzioni.Un paio di anni fa avevo scoperto i tirocini presso la Corte di giustizia e questo, infatti, era già il mio terzo tentativo di candidatura. Due mesi dopo ho ricevuto una proposta per un tirocinio con rimborso spese dal primo marzo al 31 luglio. Così ho concluso in anticipo lo stage alla Corte penale internazionale per andare in Lussemburgo, visto che i periodi di tirocinio nelle istituzioni europee non sono negoziabili. Ho avuto pochi giorni per organizzare il trasloco perciò ho cercato una sistemazione a distanza, in un appartamento da sola in una zona ben servita dai mezzi pubblici. Non è stata certo la soluzione più economica: il rimborso spese previsto dalla Corte, 1.120 euro mensili, nel mio caso è bastato a malapena a coprire l’affitto, che costava più di mille euro. Anche questa volta, quindi, ho dovuto contare sui miei genitori. Ma so che altri tirocinanti hanno speso meno scegliendo residenze o grandi condivisioni – fino a dieci-venti persone nello stesso appartamento! – o allontanandosi dalla città. Comunque è difficile spendere meno di 600-800 euro, visto che il costo degli affitti in Lussemburgo è molto elevato. Il rimborso spese, poi, non prevede buoni pasto, ma ci è stato fornito un abbonamento ai mezzi pubblici. Sono stata assegnata all’Unità di traduzione italiana presso la Direzione generale del multilinguismo, responsabile della traduzione dei documenti giuridici prodotti. Traducevo i documenti sia dal francese sia dall’inglese. L’inserimento all’interno della Corte di Giustizia è stato ottimo: nelle prime settimane vengono proposte ai tirocinanti attività formative per illustrare il ruolo dei vari servizi ai quali sono assegnati e, nel caso delle unità di traduzione, anche formazioni approfondite per acquisire familiarità con i metodi di lavoro e di ricerca dei giuristi linguisti – un momento particolarmente formativo ma anche un’ottima opportunità per instaurare buoni rapporti sin da subito con altri tirocinanti. Inoltre, il capo dell’Unità di traduzione Italiana e tutti i giuristi linguisti con cui ho lavorato si sono dimostrati gentilissimi e disponibili a dare spiegazioni, rendendo l’ambiente lavorativo davvero molto piacevole. L’ottimo rapporto con i colleghi rende particolarmente formativo questo stage: al tirocinante è assegnato un funzionario giurista linguista per la revisione di ogni documento, e le eventuali correzioni vengono discusse insieme, permettendo di avere continui feedback sul lavoro svolto. Si partecipa attivamente alle attività principali della Direzione del multilinguismo, visto che le traduzioni proposte diventano i documenti ufficiali prodotti dalla Corte. Ho avuto la possibilità di assistere ad alcune udienze e alla pronuncia delle sentenze che avevo tradotto personalmente, rendendomi conto concretamente del ruolo svolto anche da noi stagisti.L’aspetto più interessante è l’esperienza multiculturale e multilingue visto che si lavora quotidianamente con persone provenienti da tutti gli Stati membri. In più venivano proposti ogni settimana dei pranzi linguistici: occasioni per riunirsi a tavola con tirocinanti e funzionari allenando una lingua straniera. Ho partecipato a uno di questi pranzi in spagnolo, un’iniziativa molto interessante! E poi si partecipa attivamente alla costruzione del diritto europeo: lavorando alla traduzione spesso si conoscono in anteprima tutte le evoluzioni della giurisprudenza della Corte.È stata un’esperienza molto formativa: ho approfondito la conoscenza del diritto dell’Unione e del funzionamento della sua principale istituzione giuridica e preso maggiore consapevolezza dell’importanza dell’integrazione europea. Ho stretto profondi rapporti di amicizia con altri tirocinanti anche grazie all’organizzazione di aperitivi settimanali. Lavorando per ogni documento con un revisore diverso, ho conosciuto la maggior parte delle persone che lavorano nell’unità italiana: sono stati tutti molto disponibili nei miei confronti senza mai far percepire la distanza gerarchica. Sono convinta che questa esperienza, come quella all’Aia, abbia permesso di ampliare la mia rete di rapporti personali-professionali facendomi incontrare persone che potranno fornirmi spunti per le mie scelte future.Oggi ho capito che mi piacerebbe lavorare in un’istituzione o organismo giuridico internazionale, magari trovando un lavoro nel settore che più mi appassiona: il rapporto fra il diritto penale e i diritti umani. Per questo sto presentando domande di lavoro sia in Ong che in altre istituzioni internazionali. Ho fatto domanda per un tirocinio alla Corte europea dei diritti dell’uomo e, dopo un colloquio telefonico, sono attualmente in lista d’attesa. Non escludo di conseguire il titolo di avvocato: posso farlo sia in Francia sia in Italia, ma penso che opterò per l’ordinamento francese. Lì ci sono modalità di esame più adeguate, senza tirocini prima dell’esame e con migliori prospettive lavorative.Ora, quindi, non ho un contratto di lavoro: sono tornata a vivere a Firenze con i miei ma probabilmente le domande che sto facendo mi porteranno nuovamente all’estero. Perché ho cercato stage fuori dall’Italia? Per le indennità e il tasso di assunzione post tirocinio troppo bassi qui. Poi, nell’ambito giuridico, si dà un’elevata importanza al voto di laurea anche per stage che non prevedono rimborso spese, come quelli presso la Corte di Cassazione o la Corte Costituzionale, precludendo spesso anche solo la candidatura a chi non rientra in quei requisiti. Mentre all’estero il voto è preso in considerazione solo in un momento successivo.A spingermi a fare domanda per tirocini internazionali hanno contribuito anche le storie della Repubblica degli Stagisti! Penso che conoscere le esperienze altrui sia molto utile. A quanti vogliano svolgere un tirocinio in un’istituzione internazionale io a mia volta consiglio di lavorare sulla conoscenza delle lingue, fare esperienze all’estero, di volontariato o stage, e dare coerenza al proprio percorso, punti che permettono di differenziarsi e arricchire lettere di motivazione e cv su cui si basano le selezioni. Per un tirocinio alla Corte di Giustizia nell’ambito della traduzione giuridica è poi determinante anche la curiosità per il mondo della traduzione, oltre alla conoscenza e all’interesse per il diritto dell’unione europea e per quello comparato.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Il primo curriculum inviato dopo la laurea mi ha portato uno stage e poi un contratto di apprendistato!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Gabriele Colombini, 29 anni, oggi assunto in apprendistato in Nestlé.Ho frequentato il liceo classico a Rimini, la mia città, e poi ho tentato il test di accesso a Medicina. Non l'ho superato, nel contempo però avevo scoperto che all’università di Ferrara partiva un corso di laurea in economia, non specializzato: tre anni per dare una panoramica di tutti gli ambiti economici. L’ho vista come un’opportunità e pensato che avrei visto in seguito su cosa focalizzarmi. Così nel 2008 ho cominciato l’università, con una borsa di studio sui 4mila euro lordi totali, e mi sono laureato nel marzo 2012.Dopo ho scelto la laurea specialistica in marketing e comunicazione all’università di Urbino, dove mi sono iscritto nel 2012 e laureato nel marzo 2015. Non è stato per niente complicato inserirsi nel nuovo ambiente perché era una realtà piccola: in aula eravamo venticinque persone, sembrava di tornare ai banchi di scuola del liceo!Finita l’università sono andato un po' in vacanza prima di cominciare la stagione estiva, come ogni anno. Per dieci anni, infatti, ho lavorato in un camping come front desk receptionist: mi occupavo dell’accoglienza in reception e alla fine ero diventato responsabile a livello organizzativo sia delle persone del front desk sia della gestione delle prenotazioni e del portale web. Lavoravo con dei contratti a tempo determinato da maggio a settembre, con uno stipendio netto di circa 1600 euro al mese.Un lavoro che, in seguito, mi è servito molto in Nestlé: nel campeggio ero a contatto tutti i giorni con persone di tutto il Mondo e saper comunicare con gli altri è una cosa fondamentale qui in azienda. Parlando tutti i giorni in inglese con gli ospiti del camping ho avuto un'ottima base che mi ha permesso fin da subito di lavorare con gli uffici esteri di Nestlé: ho avuto la mia prima call internazionale con la Germania solo quindici giorni dopo l’inizio dello stage! Ho preso la laurea magistrale a marzo, ma avevo finito gli studi a settembre: sei mesi in cui ho scritto la tesi e iniziato a mandare curriculum, anche all’estero. Ho fatto un colloquio in un'azienda con sede in Germania: mi era stato proposto un contratto di stage per quattro mesi, ma il rimborso spese era molto basso così non ho accettato. Avevo mandato un altro curriculum per uno stage di sei mesi in un’agenzia di comunicazione che organizza grandi eventi per il bussiness to bussiness con sede a Toronto, in Canada. Ero molto tentato: ma poi non so, qualcosa mi ha frenato.Dopo la laurea ho fatto di nuovo la stagione estiva, poi vacanza all'estero per due mesi e a dicembre sono tornato alla ricerca di un lavoro. Il primo curriculum che ho inviato è stato in Nestlé e sono stato contattato per il colloquio. La mia ricerca è stata molto breve, devo ammetterlo: sono stato fortunato. Ho scoperto Nestlé grazie a un compagno di università che lì faceva uno stage. Ho mandato la candidatura attraverso il sito dell’azienda dopo Natale e sono stato chiamato per un colloquio i primi dell’anno. Quel colloquio non è andato a buon fine, ma ero piaciuto all’Hr che mi ha proposto un secondo colloquio la settimana dopo, per un altro ruolo. Alla fine sono stato chiamato per cominciare il mio stage di sei mesi dal 1° marzo 2016, come corporate sells di supporto alla rete di sell out, quindi non venditore diretto al cliente ma supporto alla forza vendita sul territorio. Il mio rimborso spese era di 720 euro al mese più alcuni benefit come la mensa e la palestra gratuita per i dipendenti. Mi occupavo della parte della gestione del software che utilizzano per i rilevamenti dei punti vendita, interfacciandomi con circa 130 persone. Avevo un tutor, la line manager nel settore in cui lavoravo, ma essendo un team multifunzionale sono stato poi affiancato dalle due persone dirette allegate al sell out che mi hanno seguito nei primi mesi per rendermi autonomo nel mio lavoro.A dieci giorni dalla fine dello stage mi è stato proposto un contratto di apprendistato di due anni. Poiché durante il mio stage ho seguito un progetto internazionale innovativo, una volta assunto ho continuato a lavorare sullo stesso progetto, solo con più responsabilità. Ho seguito questo progetto fino a febbraio 2018, quando sono entrato nel mondo del sell in: ora sono responsabile della gestione dell'assortimento del business delle pizze Buitoni e di Infant Nutrition.Il mio stage è finito a metà settembre del 2016 e il giorno dopo ho cominciato l’apprendistato: ricordo quel giorno, ero super contento. Mi trovavo bene in azienda ed essere riconfermato è stato un grande riconoscimento. La mia ral annuale oggi è di 32mila euro con alcuni benefit come la palestra, lo sconto sui mezzi pubblici, una serie di agevolazioni per visite sportive e specializzate. E poi abbiamo la possibilità di lavorare da casa e gestire il nostro tempo. Non devo per forza essere puntuale la mattina alle nove: posso entrare prima o dopo e gestire il tempo in base ai miei impegni.Oggi vivo a Milano, città molto grande dove all’inizio è stato difficile ambientarsi. Poi grazie allo sviluppo di nuove amicizie con colleghi di ufficio sono riuscito ad ambientarmi e oggi mi piace vivere qui. Certo vengo da una città di mare e, quindi, d’estate prendo il treno il venerdì pomeriggio e torno in spiaggia per ripartire il lunedì mattina: qualcosa che posso fare grazie anche all’orario flessibile che ho in Nestlé. Però ormai inizio a sentire Milano un po’ la mia città.Venendo da due anni di università in marketing la mia ambizione per i prossimi anni è quella di lavorare nella parte di categoria del business e non solo delle vendite. E magari andare all’estero. Entrando in Nestlé ho detto fin dall’inizio che mi sarebbe piaciuto: d’altronde lavoro per una multinazionale presente in 130 Paesi, e non mi dispiacerebbe un domani avere la possibilità di vedere da vicino un mercato diverso dal nostro.Quando ho mandato il curriculum in Nestlé ho iniziato a fare delle ricerche sull’azienda, per informarmi meglio. E tra i risultati c’era una storia sulla Repubblica degli stagisti, come questa, a un ragazzo che aveva fatto uno stage e poi era stato assunto con un contratto di apprendistato. Proprio in quell’intervista c’erano informazioni utili sul rimborso spese e i benefit e leggendola ho pensato subito che avevo fatto bene a mandare la mia candidatura! Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Ho scoperto il servizio volontario europeo digitando su Google “vivere all’estero senza soldi”, e mi ha cambiato la vita

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Miriana Squillaci.Ho venticinque anni e sono nata nella bellissima Sicilia, dove mi sono diplomata al liceo socio-psicopedagogico col massimo dei voti. Dopo il liceo ho però deciso di non continuare con l’università, vista la mia scarsa fiducia nell’attuale sistema educativo, e di intraprendere l’esperienza che mi ha cambiato la vita: il Servizio volontario europeo. Durante il liceo ho prestato servizio come volontaria in tre associazioni della mia città: il centro di aggregazione popolare Gapa, dove scrivevo per il giornale dell’associazione “I cordai” e facevo animazione per bambini e adolescenti; Talikakum, dove affiancavo le responsabili del centro nella realizzazione di attività per bambini tra i due e i sei anni; e la Croce Rossa, con cui realizzavo attività di animazione in ospedali pediatrici e residenze per anziani. Queste esperienze dal valore professionalizzante mi hanno fatto scoprire la mia passione per l’educazione non formale, verso cui ho deciso di indirizzarmi con e dopo lo Sve. Terminato il liceo volevo infatti mettermi alla prova con un’esperienza all’estero e, non avendo molte possibilità economiche, ho digitato su Google “vivere all’estero senza soldi”, e così ho scoperto questa opportunità. All’inizio mi era sembrata una possibilità troppo bella per esser vera ma poi, conosciuta una volontaria Sve greca che collaborava con la mia associazione d’invio a Catania, ho avuto conferma che quella fosse la mia chance. Ho iniziato a cercare progetti e ho trovato il progetto perfetto, “Volunteering Museum Ro”, che mi avrebbe portata in Romania per un anno. Con l’appoggio della mia associazione d’invio ho scritto la lettera di motivazione e compilato un questionario, e in pochi giorni ho ricevuto l’invito a un colloquio via Skype dall’associazione Actor Nervi. Inglese a parte, il colloquio è andato abbastanza bene e in pochi mesi stavo già preparando la valigia per partire alla volta di Bucarest.L’obiettivo del progetto era promuovere il volontariato nei musei e attrarre il pubblico giovane, partendo dall’idea che non c’è futuro senza memoria. Organizzavamo inoltre attività di animazione negli ospedali pediatrici della città. Inizialmente ho condiviso l’appartamento con quattro ragazze (una italiana, una estone, una spagnola e una tedesca), dopodiché con due ragazze, italiana ed estone, e un ragazzo lituano. Devo dire che, anche se a volte può essere complicato vivere con persone con culture molto diverse dalla tua, questa è stata per me un’esperienza fantastica: ho preso nove chili mangiando pasta e pane fritto con uovo a qualsiasi ora della notte, ospitato persone provenienti da ogni parte del mondo e passato momenti unici.La principale difficoltà che ho incontrato è stata inizialmente la lingua: non parlavo né rumeno né inglese e comunicare con il resto dei volontari è stato difficile per i primi tre mesi. Poi ho imparato che, a differenza di quanto accade a scuola, nessuno giudicava i miei errori: allora ho messo da parte la paura, mi sono buttata e in poco tempo ho imparato entrambe le lingue. Anche dal punto di vista economico non ho avuto problemi, non ho dovuto anticipare nulla né chiedere aiuto alla mia famiglia; i viaggi di andata e ritorno sono stati coperti dalle mie associazioni di invio e accoglienza, così come la spesa per i mezzi di trasporto all’interno della città. Anche l’alloggio era totalmente a carico dell’associazione di accoglienza, che pagava affitto e bollette. In più ho ricevuto ogni mese un pocket money di 160 euro (circa 700 lei in moneta locale): cucinando insieme ai miei coinquilini e programmando tutte le spese sono anche riuscita a comprarmi, prima di ripartire, un computer portatile, dato che sul mio avevo accidentalmente versato una tazza di tè.Una volta terminato lo Sve sono tornata in Italia con l’idea di studiare all’università. Ho superato vari test di ammissione, ma poi ho capito che non sarei riuscita ad andare avanti: dopo l’esperienza dell’educazione non formale, che mi aveva dato tanto, volevo proseguire su quella strada. Per questo dopo poche settimane sono partita per la Spagna come ragazza alla pari, anche se l’esperienza si è rivelata decisamente poco positiva. Dopo due mesi sono tornata in Italia promettendomi che non sarei più ripartita e invece, dopo 7 mesi, sono ripartita alla volta della Spagna insieme a Raul, uno studente Erasmus nella mia città, con cui ho creato l’associazione giovanile Mille Cunti che si occupa di organizzare attività sia locali – come dinamizzazione dei musei, informazione giovanile – che europee: scambi giovanili, Servizio volontario europeo. Amo quel che faccio: ho un contratto di lavoro di 17 ore settimanali, guadagno 345 euro al mese e vivo col mio compagno di vita e di avventura. Certo, mi piacerebbe guadagnare un po’ di più per fare tutto con più tranquillità, ma sono soddisfatta del mio tenore di vita e non cambierei nessuno stipendio con la possibilità di svegliarsi ogni mattina con la voglia di andare a lavorare. Se ho iniziato tutto questo è stato grazie allo Sve, che considero il miglior programma dell’Unione Europea, l’unico a cui possono accede anche giovani con limitate risorse economiche. A me ha insegnato che tutto è possibile e che non si smette mai di imparare. Ho guadagnato moltissima sicurezza in me stessa e nei miei sogni, cosa che ha favorito lo spirito d’iniziativa e la capacità di trasformare una semplice idea in un progetto; ho scoperto la bellezza del lavoro di squadra, mi sono fatta moltissimi amici e, a livello linguistico, ho imparato rumeno, spagnolo e inglese. Credo che le associazioni di invio dovrebbero dare più peso alla parte formativa dello Sve e non presentarlo come un’esperienza all’estero utile solamente per migliorare le competenze linguistiche: è un dare e ricevere continuo, che fa crescere sia a livello professionale che umano. Probabilmente l’aspetto migliore è la capacità che lo Sve ha di “distruggere” le nostre convinzioni, di farci sentire un po’ persi e costretti a imparare tutto di nuovo, come da bambini. Cadono i pregiudizi e gli stereotipi, ti confronti con ragazzi provenienti da tutto il mondo.Se dovessi dare un consiglio ai giovani interessati a quest’esperienza direi di non scegliere in base al Paese ma in base al progetto: per quanto possa piacere una città, è difficile restare e mantenere il buon umore se poi bisogna fare qualcosa che non piace. E il secondo consiglio è quello di cercare subito un progetto, un’associazione d’invio e preparare la valigia. Per incontrarsi non c’è niente di meglio che perdersi in questa meravigliosa avventura!Testo raccolto da Giada Scotto 

«Uno stage post diploma in Sic e oggi a 19 anni ho già un contratto di lavoro subordinato»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Andrea Seu, 19 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Sic. Mi sono diplomato l’anno scorso all’istituto tecnico della mia zona, in provincia di Monza - l'Hensemberger, indirizzo informatica. Ho scelto il tecnico per avere al termine della maturità una doppia opzione: il mondo del lavoro e quello universitario. Una decisione che mi ha portato fortuna visto che oggi, a diciannove anni, ho già un contratto di lavoro subordinato!Pensavo di specializzarmi in Storia all’università; ma poi, vista la precaria situazione del lavoro giovanile e il futuro incerto per questa laurea, ho cominciato a fare qualche colloquio per capire se il salto nel mondo del lavoro era possibile. Il primo è stato per uno stage in un’azienda di informatica di Monza, per la gestione di servizi web. Non ero però molto convinto perché alcuni compagni di scuola che l’avevano frequentata per l’alternanza scuola lavoro me l’avevano sconsigliata. Anche io ho avuto la fortuna di fare due esperienze di alternanza scuola lavoro il terzo e quarto anno di studi superiori, in due aziende piccole di Villafranca e Concorezzo, entrambe della durata di tre settimane: la prima nel marzo 2016, la seconda nel giugno 2017. Purtroppo la scuola non mi ha aiutato a cercare le aziende. Comunque ce l'ho fatta; durante ebtrambi i periodi di alternanza ho svolto lavori di help desk, riparazioni di computer, formattazioni, mansioni che riguardavano uno stretto contatto con il cliente. Il lavoro era distante dalla mia formazione ma entrambi i tutor, capi e unici dipendenti, mi hanno insegnato tutto quello che serviva. Esperienze molto formative perché mi hanno messo in contatto con la parte hardware dei computer, un ambito trattato molto poco a scuola, ma non essenziali visto che il lavoro che svolgo oggi è diverso.Quello in SIC è stato il mio secondo colloquio. L’azienda aveva contattato la scuola per avere dei nominativi: la professoressa di informatica l’aveva annunciato in classe e mi ero proposto. La descrizione dell’azienda mi aveva colpito subito. Il primo e unico colloquio è stato agli inizi di maggio 2017. Poi poco prima della maturità ho saputo che ero stato scelto per uno stage di sei mesi da ottobre 2017 a marzo 2018 con finalità di assunzione. Il rimborso spese previste era di 650 euro lordi più ticket giornalieri da 7,50. Essere scelto come stagista mi ha reso felice: ero abituato solo alla paghetta di mio padre e avere a diciannove anni un vero e proprio stipendio è stato molto bello.Durante lo stage ho svolto mansioni di programmatore sviluppatore Oracle e Php, a supporto dei servizi che l’azienda offre ai clienti. All’inizio erano attività semplici, poi con il tempo è aumentata l’importanza dei compiti assegnati. I tutor sono stati gentili e disponibili, mi hanno affiancato e insegnato molto. E sono convinto che per quantità e qualità di apprendimento ho imparato più in questi mesi che in interi anni di scuola. Ricordo ancora il mio primo giorno di stage: emozionante e imbarazzante, mi ero appena lanciato in un mondo completamente diverso da quello scolastico. Avevo molte aspettative e paure, per prima quella di fallire. Mi sono velocemente integrato in azienda e con i colleghi pian piano è nato un sano rapporto di amicizia. Finito lo stage mi è stato proposto un contratto di apprendistato della durata di due anni e mezzo con una retribuzione mensile di 1.237 euro e i buoni pasto da 7,50. Ho firmato il contratto una settimana prima del termine del tirocinio. Ero entusiasta: voleva dire che il mio lavoro era apprezzato e che volevano puntare su di me! E pensare di avere un lavoro solo nove mesi dopo gli esami di maturità mi faceva fare i salti di gioia.Oggi in SIC ho il ruolo di sviluppatore e sono coinvolto in vari progetti con difficoltà e problematiche differenti. Mi occupo di linguaggi Oracle e Php, che hanno molte potenzialità e diversi tipi di utilizzo. Il mio sviluppo comprende sia il controllo che la risoluzione di problematiche segnalateci dagli utenti, sia lo sviluppo di nuove funzioni e progetti, in cui collego la manipolazione dei dati di Oracle alla possibilità di mostrarli via web di Php.Questo settore mi ha colpito fin dal primo momento e continua a farlo: ci sono continue sfide e proseguire in questa direzione non mi dispiacerebbe affatto. Al momento non ho sogni particolari: non ho nemmeno vent'anni, non so cosa mi riserva il futuro. A quattro mesi dal diploma, però, già lavoravo e se il mio orizzonte dovesse mantenersi così ne sarei più che felice. La mia esperienza in SIC è stata positiva, ma nel mondo dello stage oggi si pretende troppo. Negli annunci si cercano giovani con esperienza e abilità più che solide, senza voler spendere energie per insegnargli un lavoro. Mentre in uno stage dovrebbe accadere proprio questo. Ai giovani che pensano di seguire un percorso professionale come il mio, dico di non disdegnare il mondo del lavoro. Con uno stage e un apprendistato il percorso formativo può essere comunque valido. Può, ad esempio, dare nozioni assenti in un mondo prettamente scolastico, avendo il vantaggio di mettere lo stagista di fronte alla realtà, spesso una sfida più che stimolante.Ai miei genitori sarebbe piaciuto che andassi all’università, e all’inizio erano sorpresi per le mie scelte. Ma col passare dei mesi, vedendomi felice, si sono tranquillizzati e continuano a farmi i complimenti e a sorridere quando gli altri genitori gli chiedono come mi trovo al lavoro. Non so se un domani deciderò di seguire qualche corso universitario. Penso che non si smetta mai di imparare: lavorando ti confronti continuamente con ambienti e realtà che ti insegnano qualcosa, anche su materie di cui prima ignoravi l’esistenza. Però non si sa mai: non mi dispiacerebbe in futuro intraprendere anche quella strada, magari in campo storico, per dare sfogo alla mia passione. Ora però, meglio concentrarsi sul lavoro!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Grazie allo Sve in Siberia ho "rotto il ghiaccio" anche col public speaking»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Federica Poggio.La mia storia inizia 27 anni fa a Valenza Po, una città in provincia di Alessandria nota a livello internazionale per la produzione di gioielli. Sin da piccola ho avuto la possibilità di viaggiare molto ed è a questo, oltre che al mio percorso di scuola superiore in ragioneria, che devo la mia grande passione per le lingue straniere, che mi ha portata a scegliere la facoltà di lingue e culture moderne dell’università di Pavia – dove mi sono laureata con una specializzazione in inglese, francese e russo.Il mio primo contatto col mondo del lavoro l’ho avuto già nel periodo delle scuole superiori, quando ho fatto l'addetta alle vendite in alcuni negozi e dato lezioni private di lingua straniera, ma è stato durante l’università che ho accumulato il maggior numero di esperienze. Per prima cosa ho svolto uno stage di due mesi presso una ditta orafa della mia città, nel quale avevo il compito di mantenere i contatti coi clienti esteri, gestire la contabilità e produrre cataloghi dei prodotti dell’azienda. Il rapporto con il tutor e i colleghi era ottimo, ma si trattava di un semplice stage formativo che non prevedeva alcuna possibilità di successiva assunzione. Nella primavera 2016 ho avuto invece l’opportunità di fare un altro stage, stavolta di quattro mesi, presso la Flc-Cgil di Alessandria: dovevo occuparmi principalmente di lavoro di segreteria, compilazione di documenti e gestione agenda appuntamenti. Anche in questo caso ho avuto un ottimo rapporto con i colleghi e l’esperienza, sebbene non perfettamente in linea con i miei studi, è stata soddisfacente sia dal punto di vista lavorativo che da quello umano.L’ultimo tirocinio che ho svolto e che ho deciso di interrompere per partecipare allo Sve è stato invece in una ditta di incastonatura locale dove ero assunta come impiegata commerciale estero. L’esperienza era abbastanza in linea con la mia formazione e l’ambiente era piacevole, ma le prospettive di carriera non mi erano mai state chiarite e, per questo, ho preferito lasciare e provare a candidarmi per il Servizio volontario europeo, del quale sono venuta conoscenza grazie ad una mia amica che, avendo questa opportunità su Facebook e sapendo il mio interesse per la Russia, me ne ha subito parlato. Si trattava di un progetto di sei mesi a Krasnoyarsk, in Siberia, presso l’associazione Interra. Ho deciso subito di inviare la candidatura e, dopo aver effettuato alcuni colloqui preliminari con gli organizzatori italiani e russi, ho saputo di essere stata selezionata per partire. Non era la mia prima volta in Russia, ma non ero mai stata così a lungo lontano da casa, quindi ero elettrizzata ma anche spaventata all’idea di non sapere bene a cosa andavo incontro. Avevo un’idea generale, tante aspettative.. ma lo Sve si è rivelato essere molto di più. Appena arrivata a Krasnoyarsk ho trovato ad aspettarmi Aygul, la ragazza mia coetanea che mi avrebbe ospitata in questi mesi, insieme a suo padre. Mi hanno trattata sin da subito come una di famiglia, facendomi vivere la città e la loro quotidianità, portandomi a visitare luoghi tipici, ma anche al cinema, a teatro. In associazione invece mi sono stati presentati quella che sarebbe stata la mia tutor e tutti i miei colleghi. Dopo due settimane ho conosciuto anche l’altra volontaria con cui ho immediatamente stretto amicizia e collaborato a progetti per ben tre mesi. I miei compiti erano tanti e variegati: partecipavo a progetti in biblioteche locali, aiutavo nella gestione del lavoro e nell’esecuzione di attività pratiche e laboratori, davo una mano con la gestione del sito web e fornivo informazioni sullo Sve e sui programmi Erasmus + a giovani locali e organizzazioni studentesche. Tenevo poi quotidianamente un corso di lingua italiana a ragazzi con cui non ho stretto solo un rapporto “professionale” ma anche di amicizia: abbiamo organizzato escursioni, uscite serate e partecipato ad eventi locali. Tra le tante attività a cui ho preso parte ho avuto anche la possibilità di insegnare inglese per alcuni giorni in una scuola privata e di tenere una conferenza sul tema del volontariato in un’università locale; è stata un’esperienza unica e molto emozionante, essendo la prima volta che parlavo in pubblico. E che pubblico: oltre duecento persone!A rendere possibile tutto questo è stata anche la mia conoscenza del russo, col quale non ho avuto nessun tipo di problema: l'ho utilizzato quotidianamente nell'interazione coi colleghi, durante le lezioni di lingua italiana e in tutte le attività che ho svolto. Qualche problema è invece sorto con il freddo, dato che "Siberia" coincide con gelo! Ma devo dire che è sufficiente attrezzarsi e coprirsi in maniera adeguata: il classico "vestirsi a cipolla" (includendo l'intimo termico) è perfetto, dato che fuori fa freddissimo (-45 gradi) ma nelle varie strutture la temperatura è normale. A conclusione di questa meravigliosa esperienza ci sono state le festività natalizie, che ho trascorso non in Italia ma con la mia nuova “famiglia russa”. La mia famiglia di origine mi è mancata, certo, ma grazie ad Aygul, la sua famiglia e gli amici che mi sono fatta ho avuto la possibilità di vivere un “doppio Natale”: il 25 dicembre ho festeggiato alla maniera europea, con tanto di regali ricevuti, mentre il 7 gennaio abbiamo celebrato il Natale ortodosso. Anche per quanto riguarda la parte economica non ci sono stati problemi: ho dovuto anticipare i soldi di visto e viaggio, ma mi sono stati rimborsati appena rientrata in Italia. Alloggiando in famiglia non avevo spese se non quelle relative al vitto, da sostenere con il pocket money di 200 euro che percepivo ogni mese e che mi ha permesso di mantenermi senza eccedere nell’uso dei miei risparmi e senza chiedere aiuto alla mia famiglia: facevo la mia spesa personale e cucinavo a casa, solitamente per la colazione e la cena, mentre a pranzo mangiavo quasi sempre fuori. 200 euro sono giusti per vivere in un paese come la Russia, se gestiti bene. La sola cosa che mi rimprovero è di aver esplorato poco i dintorni, avrei dovuto viaggiare di più. Ma le distanze in Russia sono enormi, e raggiungere certe mete mi avrebbe portato via un sacco di giorni e anche di soldi.Dopo tutto questo la fine dello Sve è stato un vero shock dal punto di vista emotivo. È un’esperienza unica, che ti cambia davvero: parti con mille dubbi, insicurezze, e torni diverso. Cresci personalmente e professionalmente, gestisci cose che non credevi di essere in grado di fare. Acquisti coraggio, autostima e autonomia. Durante questi sei mesi ho acquisito competenze in ambito organizzativo, sono migliorata nella conoscenza delle lingue e ho guadagnato sicurezza e fiducia in me stessa grazie soprattutto alle varie occasioni di public speaking. Quando sono tornata in Italia mi sono dedicata soprattutto ad amici e famiglia, ho collaborato con l’associazione Nous facendo training a ragazzi in partenza per vari Sve e ho cercato un lavoro. A fine aprile partirò infatti per Rodi, dove lavorerò come receptionist fino a ottobre, con la possibilità di praticare molto l’inglese e il russo, già approfonditi nei sei mesi a Krasnoyarsk.Consiglio di fare uno Sve a chiunque ne abbia la possibilità, buttandosi, uscendo dalla propria comfort zone. Si scoprono situazioni e si vivono esperienze uniche, si diventa persone nuove, più aperte, grazie anche le difficoltà che si incontrano durante il percorso. Testo raccolto da Giada Scotto

Girl Power, «Assunta al primo colpo grazie alla laurea in ingegneria gestionale»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La storia di oggi è quella di Sara Gianotti, 27 anni, ingegnera di processo e Project Manager per Bosch Rexroth, che sarà una delle testimonial dell’edizione 2018 del progetto women@Bosch: il 15 maggio parteciperà alla tappa all'università di Bologna.Sono originaria di Macerata Feltria, in provincia di Pesaro-Urbino; ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono trasferita a Bologna per studiare ingegneria gestionale, sia alla triennale che alla magistrale. Oggi sono Manufacturing engineer e Project Manager per Bosch. E proprio per la mia azienda da quest'anno partecipo al progetto women@bosch, per raccontare alle future ingegnere la mia giovane esperienza in Bosch e parlare di alcuni aspetti tecnici dell’ingegneria gestionale che sono riuscita ad applicare nella mia esperienza lavorativa. Sono sempre stata appassionata delle materie matematiche e tecniche. Dopo le superiori ero indecisa tra ingegneria gestionale e meccanica, ma le argomentazioni della gestionale mi convincevano di più, poiché ritenevo che mi avrebbero permesso di avere una visione più ampia dello spettro produttivo rispetto invece che alla meccanica che nella maggior parte dei casi verte più sulla progettazione del prodotto in tutte le sue varie forme ed era più lontana dai miei interessi. La mia famiglia mi ha lasciato libera di scegliere quello che preferivo, anche se mia mamma è ingegnere, e in qualche modo la cosa può avermi influenzato. Tuttavia lei, dopo essersi trasferita in Italia dalla Finlandia per amore, dopo il matrimonio ha fatto la scelta di occuparsi solo della famiglia. Pochi mesi dopo la laurea mi hanno chiamato a fare un colloquio per uno stage come ingegnere di manutenzione in Bosch. Non mi ero candidata per la posizione, devono aver attinto dal database dell’università, anche perché mi ero laureata proprio con una tesi in manutenzione. Lo stage era volto a implementare un progetto di TPM – che sta per Total Productive Maintenance – per una macchina automatica nello stabilimento di Nonantola, in provincia di Modena, con l’obiettivo di ottimizzarne la produttività in termini di qualità, efficienza e disponibilità. L’esperienza è stata molto positiva sia per me che per l’azienda, che al termine dei sei mesi mi ha fatto un contratto di apprendistato di due anni dopo di che, a novembre dello scorso anno, mi ha proposto un contratto a tempo indeterminato. Sono entrata nel team Manifacturing Engeenering, in cui sono ingegnere dei processi. Inoltre, da poco più di un anno, sono diventata anche Project Manager di una linea di prodotto, che attualmente è in fase di re-design dal punto di vista produttivo, e questo mi porta ad interfacciarmi con vari enti interni alla mia azienda ma anche con una serie di fornitori esterni. Di questo lavoro mi piace la possibilità di crescita che una multinazionale come Bosch è in grado di offrire, senza bisogno di cambiare azienda. E amo le attività che svolgo, in cui riesco a mettere in pratica quanto studiato, il che è molto stimolante. Nel mio ente siamo tutti molto giovani, ma ci sono persone che – pur se giovani – hanno molta esperienza, c’è molta diversità, che aiuta a crescere e a colmare le proprie lacune. Soprattutto per chi, come me, è entrata in Bosch alla prima occupazione nel settore. Nel passaggio dalla carriera universitaria a quella professionale la cosa più difficile non è stata solo imparare a “lavorare come ingegnere” ma soprattutto approcciarsi con tante persone e mentalità differenti tra loro e da me. L’ambito umano è il più complesso da comprendere e gestire, la parte prettamente tecnica si riesce, in ogni caso, a svolgerla attraverso lo studio, il confronto e la determinazione. Finora non ho mai avvertito un gap di genere. Nel mio corso di studi c’era equilibrio tra uomini e donne, e nel mio team di lavoro addirittura siamo in maggioranza: cinque donne e due uomini! Sono convinta che ogni ragazza deve fare quello che più le piace, e se si tratta di ambienti ad oggi prevalentemente maschili, questo non deve essere un vincolo per non seguire i propri sogni.Professionalmente non dobbiamo sentirci diverse – perché non lo siamo. Anzi le donne nella maggior parte dei casi sono più precise e sanno gestire più dettagliatamente il lavoro, cosa che nell’ingegneria può essere un valore aggiunto.Testimonianza raccolta da Rossella Nocca 

Mitsuru Suzuki: «Vi racconto come dopo lo stage al Parlamento UE sono rimasto a lavorare a Bruxelles»

Chiudono il prossimo 15 maggio le selezioni per i tirocini Schuman al Parlamento europeo. Circa 1.200 euro il rimborso spese in palio e tre le opzioni disponibili: generale, giornalismo e Premio Sacharov. Qui di seguito la testimonianza di Mitsuru Suzuki, che ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza.Sono nato a Brescia nel 1990 da padre giapponese e madre napoletana. Ho studiato al liceo scientifico e poi mi sono trasferito a Milano per studiare Giurisprudenza. Ho scelto questa facoltà per diversi motivi: la spendibilità del titolo in diversi ambiti, la passione per la giustizia e la politica e lacuriosità verso i meccanismi dello Stato e del diritto. Già durante gli studi avevo compreso bene che mi interessava una carriera all’estero: sono stato due volte in Erasmus in Germania – a Francoforte sul Meno e a Osnabrück – e lì ho dato esami di stampo internazionale e concettuale, come diritto privato comparato, diritto ambientale internazionale e antropologia del diritto. Laureato in tempo e a pieni voti con una tesi di diritto amministrativo comparato sulle differenze tra Italia e Germania nella gestione dell’immigrazione, ho scelto poi di svolgere la pratica professionale, sia perché da giovani è molto più facile essere presi, sia perché il titolo di avvocato non fa mai male. L’esperienza, però, non mi è piaciuta: ero sì pagato più della media, ma lavoravo molto e, soprattutto, secondo la mia esperienza l’ambiente forense italiano è difficile perché molto gerarchico. Così ho iniziato ad aspirare a una carriera nelle istituzioni europee. Non avendo molta conoscenza di diritto europeo, ho deciso di seguire un master di un anno di diritto europeo e internazionale alla Libera Università di Amsterdam. L’esperienza mi ha cambiato la vita: la città è magnifica, la gente è molto aperta, ho potuto perfezionare l’inglese e imparare un po’ di olandese. Nel frattempo ho fatto due stage, entrambi con un compenso: il primo per sei mesi come assistente di ricerca di un professore, il secondo per altri sei mesi come ricercatore presso una ONG internazionale chiamata La Strada International. Il tutto lavorando come cameriere la sera. L’idea di fare domanda per uno stage alle istituzioni europee – ho fatto domanda sia per il Parlamento che per la Commissione – mi è venuta dopo una visita a Bruxelles organizzata dall’università: la città e il suo ambiente internazionale mi hanno ispirato molto. Sono stato selezionato durante l’estate 2017 per lo stage al Parlamento europeo, che ho svolto da ottobre 2017 a fine febbraio 2018 al Directorate-General for Parliamentary Research Services (DG EPRS), il centro di ricerca del Parlamento europeo. Ero inserito nell’unità “Comparative law library unit” che si occupa di fornire studi giuridici e di organizzare eventi sul diritto comparato. Lì mi sono occupato di diverse cose: correggere le traduzioni di testi giuridici, fare ricerca su richiesta del mio supervisore, partecipare ai convegni, scrivere report e in generale fare ricerca in materia giuridica e politica per il Parlamento. L’ambiente, per chi è appassionato di questi temi, è fantastico: si assiste a come il diritto si forma, fra riunioni, votazioni e “conversazioni” tra parlamentari, e particolarmente istruttivo per me è stato poter partecipare ad una “missione” a Strasburgo, dove ho assistito ad una sessione plenaria – quella in cui tutti i parlamentari europei si riuniscono per votare.Per quanto riguarda gli aspetti più pratici, ricevevo una borsa di studio di circa 1300 al mese. Considerato che a Bruxelles gli affitti delle stanze costano dai 350 ai 500 al mese circa, non solo ho potuto vivere bene, ma ho anche potuto mettere da parte qualcosa. Io sono stato fortunato perché trovato casa tramite amici, ma in generale consiglio di mettersi a cercare tra i gruppi Facebook dedicati con un paio di mesi di anticipo, perché sotto data di inizio dello stage c’è molta più competizione. La città mi piace il giusto, ha il difetto di non essere molto pulita, poco a misura dei ciclisti e non molto verde, ma i lati positivi sono che è molto internazionale e aperta, molto viva in termini di iniziative culturali e anche a buon mercato. A Bruxelles sono poi rimasto anche dopo la fine dello stage, e ora lavoro per una consultancy politica: informiamo le aziende clienti sulle novità politiche europee che potrebbero influenzare i loro affari e sviluppiamo delle strategie per influenzare la legislazione a loro favore. Per quanto riguarda la ricerca di lavoro, le esperienze al Parlamento o alla Commissione UE sono valutate in modo estremamente positivo, e alcuni annunci a Bruxelles le indicano tra i requisiti di base, soprattutto tra le società di lobby e di consultancy, dove la conoscenza dell’ambito istituzionale è elemento essenziale. In particolare ricordo ai giuristi che, oltre alle lobby e consultancy, a Bruxelles si trovano anche le sedi di alcuni famosissimi studi legali. Ma trovare lavoro a Bruxelles da italiani può essere complicato, visto che sono tanti i connazionali che lavorano in questi ambienti – si dice che il mercato del lavoro di Bruxelles sia il più competitivo d’Europa! Per riuscire a emergere è molto importante saper sfruttare i propri contatti e avere competenze distintive, come un’ottima conoscenza delle lingue, una formazione articolata e possibilmente delle solide esperienze professionali alle spalle. Essenziale è, in generale, essere aperti e curiosi e cercare di crescere sempre. Io ho impiegato circa tre mesi per trovare il mio impiego attuale, fortunatamente le esperienze di lavoro precedenti mi hanno aiutato, ma può volerci pazienza e personalmente io ho capito solo molto tardi l’importanza del network a Bruxelles. Se però ce l’hai fatta a Bruxelles, potrai farcela in tutta Europa (o forse in tutto il mondo) dopo!In generale quella dello stage al Parlamento europeo è un’esperienza che consiglio assolutamente. Secondo la mia esperienza, i lati più positivi sono la possibilità di capire meglio come funziona l’Unione Europea, di essere a stretto contatto con le novità politiche europee, di trovarsi in un ambiente internazionale e di conoscere persone interessanti. Lo svantaggio più grande è semplicemente il fatto che poi le possibilità di restare a lavorare nel Parlamento sono molto scarse – la Commissione però dà qualche chance in più.Se dovessi dare un consiglio, suggerirei di valutare bene il DG per cui fare domanda – frugare nei gruppi Facebook o su LinkedIn e chiedere informazioni a qualcuno che ha già lavorato in una certa unità può essere molto utile – di sfruttare bene il periodo di stage per fare molte conoscenze e di non aspettare troppo per iniziare a cercare lavoro: cinque mesi passano molto in fretta!Testo raccolto da Irene Dominioni