Categoria: Storie

L'informatica è il mestiere del futuro ed è anche «un lavoro creativo, emotivo e psicologico». Parola di esperto

Sicurezza informatica, big data, industria 4.0. L’informatica oggi è una materia sempre più trasversale, le cui competenze stanno diventando indispensabili per alcuni dei settori che influiscono maggiormente sulla vita delle persone. Di conseguenza gli sbocchi occupazionali aumentano e con essi la richiesta di nuove figure specializzate. Secondo l’ultima indagine AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, a un anno dalla laurea triennale in Scienze e tecnologie informatiche il tasso di occupazione è del 64,5% e la retribuzione netta mensile media di 1.269 euro. Ma i numeri crescono considerevolmente dopo la laurea magistrale: a un anno dal titolo il 93,4% dei laureati ha trovato occupazione, con una retribuzione netta mensile media di 1.489 euro. Ma come mai il biennio è così rilevante in un settore in cui fra l'altro l'autodidattica prende sempre più piede? «Il divario nel tasso di occupazione fra laureati triennali e magistrali è dovuto principalmente, a mio avviso, al fatto che nel nostro paese viene dato ancora troppo peso ai titoli a scapito delle reali capacità e potenzialità delle persone e, peggio, alla scarsa considerazione che viene data alle esperienze professionali» sostiene Giovanni Grandesso, presidente dell'Anip, l'albo nazionale degli informatici professionisti.«Il paradosso maggiore consiste nel considerare l'IT un elemento strategico, essenziale per la competitività e lo sviluppo» aggiunge «mentre nello scegliere coloro che ne rappresentano la "materia prima", i mattoni portanti, si procede con criteri di selezione e valutazione legati a modelli vecchi, inefficaci nel campo delle "nuove" tecnologie». L'Anip, che è una associazione no profit, si propone proprio di «colmare i vuoti lasciati dalle varie organizzazioni private di categoria, anche attraverso l'erogazione di percorsi formativi di livello evoluto, non riscontrabile nel mercato della formazione "classica"», spiega il presidente. Formazione e aggiornamento professionale obbligatori, copertura assicurativa, networking e collaborazioni in reti di imprese, lavoro e incarichi professionali: questi alcuni dei temi e attività dell'associazione, orientati al severo rispetto delle regole deontologiche ed etiche. «Dal 2001, anno della nostra fondazione, abbiamo elaborato oltre 8mila curriculum e ne abbiamo cestinati altrettanti privi dei requisiti formali richiesti, dalle soft skills alle esperienze pregresse di almeno cinque anni fino al rispetto dei valori del nostro manifesto» spiega Grandesso: La laurea non è condizione necessaria per iscriversi, e sette domande su dieci provengono da informatici senza titoli specifici ma con all'attivo mediamente dieci anni di esperienza pratica.  Secondo il presidente Anip «l'autodidattica oggi incide sul settore per il 90%, se accompagnata dalla pratica. La maggior parte delle informazioni / soluzioni tecniche si trova in rete grazie a un modello di condivisione tipico della categoria. L'offerta formativa inoltre è molto ampia, erogata sia da enti autorevoli che da piccole realtà, sino ad arrivare ai singoli professionisti, tra formazione a distanza, webinar, video conferenze etc».  Di pari passo con questo fenomeno, tuttavia, l’appeal degli studi in Informatica cresce di anno in anno. Dall’anno accademico 2006/2007 a oggi gli iscritti al primo anno sono passati da 7.354 a 10.217, con un aumento del 28%. Quello che invece non è cambiato è purtroppo il divario di genere: la percentuale di uomini è rimasta predominante (86-87%). Per invogliare le ragazze a scegliere materie come l'Informatica sono state promosse diverse iniziative sia pubbliche che private. Ad esempio nel dicembre scorso il Miur ha stanziato 3 milioni di euro a favore delle iscrizioni ai corsi di laurea scientifici. In particolare, gli atenei potranno prevedere l'esonero parziale o totale dalle tasse o altre forme di sostegno allo studio, e inoltre riceveranno il 20% di risorse in più per le iscrizioni femminili. Tra i progetti privati, citiamo il "Women in Technology Scholarships", promosso da Booking.com in collaborazione con la University of Oxford e la Delf University of Technology, che a partire dall'anno accademico 2018/2019 assegnerà borse di studio per un totale di 500mila euro alle ragazze che sceglieranno di proseguire la propria formazione nel settore dell'Information Technology.    Al momento non è possibile quantificare la platea dei professionisti dell’informatica attivi in Italia. «Non siamo in grado di fornire numeri attendibili o stime. Quella che viene in generale individuata come la categoria degli "informatici"» spiega Grandesso «è in realtà un insieme eterogeneo, non ancora classificato, di attività in rapidissima evoluzione e non regolato dal alcun ente o organismo in via esclusiva».Ma quello che si può dire per certo è che la domanda non manca. «In particolare, il mercato richiede progettisti di software, tecnici specialisti di applicazioni informatiche, progettisti elettronici e tecnici specialisti di linguaggi di programmazione. E in futuro serviranno meccatronici, ovvero figure con un mix di conoscenza meccaniche, elettroniche e software; esperti di intelligenza artificiale ed esperti di VR, realtà virtuale e realtà aumentata». «Nessun informatico rimane senza lavoro: se i laureati aumentassero di dieci volte troverebbero ugualmente impiego»: è netta l’affermazione di Franco Fummi, direttore del dipartimento di Informatica dell’università degli Studi di Verona, riconosciuto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario come uno dei  dipartimenti universitari di eccellenza 2018-2022 per l’Informatica (gli altri dipartimenti eccellenti sono quello dell'università La Sapienza” e dell'università di Salerno), meritevoli di speciali finanziamenti statali.  Il settore nel quale saranno principalmente investiti i fondi sarà quello dell’Industria 4.0. «Si tratta del settore che probabilmente esploderà di più, in quanto l’informatica darà vantaggio alla linea di produzione» spiega Fummi: «Per il futuro si prevede infatti il passaggio da una produzione di massa a una produzione massivamente personalizzata, in cui l’oggetto ordinato online sarà prodotto nel momento in cui lo ordiniamo esattamente come lo vogliamo. Questo determinerà una riconfigurazione continua dei sistemi di produzione e richiederà tante nuove professionalità».  Perciò orientare la propria formazione post laurea verso questo ambito può essere secondo Fummi una scelta vincente: «Tra le possibilità segnalo il master in Computer games development, che può sembrare qualcosa di lontano, ma non lo è. Infatti la realtà virtuale su cui si basano tutti i giochi può essere applicata anche nel mondo industriale: strumenti come la visione aumentata o le tecniche di manipolazione e simulazione possono contribuire alla produzione».Un ruolo importante nella quarta rivoluzione sarà giocato anche dalla robotica, «che diventerà sempre più collaborativa, con i robot che non si sostituiranno – come qualcuno crede – alle persone, ma ricopriranno ad esempio alcuni dei compiti più affaticanti. Come ad esempio la robotica chirurgica, secondo la quale il chirurgo durante gli interventi viene assistito da robot specializzati», aggiunge Fummi. Altro settore in espansione è quello della sicurezza informatica, per il crescente bisogno di rendere più sicure le applicazioni informatiche, diventate vitali per tanti ambiti. Dal report Cybersecurity talent: the big gap in cyber protection del Digital Transformation Institute di Capgemini è emerso che tra le varie competenze quelle legate alla cybersecurity registrano il maggiore divario tra domanda e fornitura interna. E il nostro paese ha cominciato ad adeguarsi da un punto di vista formativo, istituendo corsi di laurea in Sicurezza informatica, come quello dell’università di Milano, che è stato il primo in Italia; e avviando percorsi di formazione post laurea, come il master in Cyber Security della Bologna Business School.  Un altro dei “lavori del futuro” sarà quello del data scientist, lo scienziato dei Big data. Secondo la società di consulenza McKinsey solo negli Usa ne mancano all’appello 190mila. I data scientist diventeranno necessari non solo nelle grandi multinazionali, ma anche nelle piccole e medie imprese e nella pubblica amministrazione. E ancora, nuove figure saranno richieste nel settore dei cosiddetti sistemi embedded.  «L’informatica oggi è pervasiva, in quanto è diventata la parte intelligente di qualsiasi oggetto» spiega Fummi: «L’obiettivo di questo nuovo ramo è far diventare gli oggetti sempre più intelligenti, dai sensori delle automobili ai dispositivi mobili». Quali solo i linguaggi di coding che bisogna assolutamente conoscere per lavorare nell’informatica oggi? «In questo momento un laureato in informatica deve saper utilizzare principalmente tre sistemi di programmazione: C++, Java e Python, richiesti nel 90% dei casi» risponde Fummi: «Ovviamente dipende dagli impieghi, ad esempio per le app Java la fa da padrone, mentre per i sistemi più complessi prevale C++. Ma quello che dico sempre agli allievi è che l’importante è capire i meccanismi, anche perché tra dieci anni sarà tutto diverso, è un mondo in continua evoluzione».Il confronto con l’estero in questo settore è particolarmente importante. «La nostra formazione è una delle migliori in Europa, ma a livello lavorativo la figura dell’informatico è spesso più valorizzata all’estero, ad esempio quello tedesco è un mercato estremamente vantaggioso» puntualizza Fummi: «I nostri studenti sono invogliati a svolgere tirocini curriculari in Germania, Francia, Russia, Inghilterra. E i dottorandi sono tenuti ad andare all’estero almeno per sei mesi durante il percorso e poi anche nel post dottorato». Tante anche le realtà stimolanti per un’esperienza post laurea: in Austria, a Graz, c’è una piccola “Silicon Valley”; a Monaco di Baviera c’è grande fermento nelle automobili e nella robotica; in Francia a Grenoble c’è un tecnopolo per i sistemi sicuri e affidabili; e in Svizzera ci sono due importanti aree industriali di ricerca, all’università di Losanna e all’ETH, l’Istituto di Tecnologia di Zurigo. Quanto all’Italia, gli investimenti di grandi colossi come Apple e Cisco hanno sicuramente dato un segnale importante, ma tanto resta ancora da fare. Secondo il direttore del dipartimento di Informatica di Verona «il prossimo passo dipenderà da come finirà la battaglia per la creazione dei competence centre: se essi verranno finanziati e approvati, allora le grandi aziende vedranno queste aggregazioni con un occhio di riguardo, in quanto potranno guardare a una rete di competenze da mettere insieme e non alle singole università». Uno dei consigli che il direttore Fummi ci tiene a dare agli studenti di Informatica è quello di non fermarsi dopo la laurea triennale: «Con la magistrale si possono trovare lavori più stimolanti e meglio retribuiti. La differenza è che il laureato triennale sa risolvere problemi informatici con le tecniche dello stato dell’arte, il laureato magistrale sa anche porsi il problema di qual è la migliore soluzione, quindi si spinge oltre lo stato dell’arte». Sì, perché «il lavoro dell’informatico è anche un lavoro creativo, emotivo e psicologico. E le migliori soluzioni non sono quelle ottimali dal punto di vista tecnico ma quelle che incontrano il bisogno delle persona e ne migliorano la vita».Rossella Nocca

«Stage in Nestlé, trampolino per il futuro: molte più aziende dovrebbero aderire all'Rds network!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Eleonora Ciampi, 28 anni, oggi assunta a tempo indeterminato in Nestlé. Il mio sogno nel cassetto è sempre stato fare la dentista, ma si è infranto con il test d’ingresso di Odontoiatria, che è gestito a livello nazionale. Pur avendo studiato, non l’ho superato, complice anche i pochissimi posti a disposizione. Non è stato semplice metabolizzare la sconfitta. Avevo appena terminato il liceo scientifico nella mia città, Livorno, e ho deciso che potevo prendermi un anno sabbatico per studiare nuovamente per il test e riflettere. L’anno seguente ho ritentato il test, ma anche questa volta senza successo. Nello stesso periodo avevo, però, tentato anche quello per la facoltà di Farmacia dell’università di Pisa, superandolo. All’inizio non ero entusiasta, oggi, però, penso che sia stata la scelta migliore che potessi fare!Una volta laureata, nell’aprile 2016, ho chiesto ai miei genitori di regalarmi un mese in Inghilterra in un college per migliorare il mio inglese. Credevo, infatti, che l'inglese sarebbe stato utile per un percorso di carriera in azienda, avevo già deciso, infatti, che tra il lavoro in farmacia e la carriera aziendale avrei preferito la seconda. Durante l’università ho fatto un tirocinio obbligatorio di 900 ore in farmacia, necessario per imparare la professione. Lì ho capito che questo lavoro non era per me. Durante il mio soggiorno negli UK ho scoperto su Facebook che la mia università aveva condiviso nella bacheca l’evento Sanpellegrino Innovation Campus: ho cercato su internet qualche informazione in più e scoperto che Sanpellegrino avrebbe selezionato 18 ragazzi under 30 per “innovare” i propri brand, nel corso di una settimana presso l’H-Farm. Per partecipare alle selezioni era richiesto il curriculum e la risposta, in forma di foto, articolo o video, alla domanda cosa fosse per noi l’innovazione. Sembrerebbe semplice, ma trasmettere questo concetto non lo è! L’evento, però, mi ispirava e ho iniziato a farmi questa domanda per giorni. E alla fine ho messo su carta la mia risposta, partendo da una foto scattata poche settimane prima proprio a Bristol.Ho inviato tutto e pochi giorni dopo sono stata chiamata dall’HR perché il mio brano era piaciuto. Dovevo quindi andare in sede Nestlè agli inizi di giugno 2016 per il colloquio: il più strano che abbia mai fatto, tipo “speed date”! C’erano tantissimi candidati quel giorno, penso un centinaio, divisi in tre gruppi. Ho fatto il colloquio con quattro persone, con ognuno potevo parlare massimo cinque minuti, poi suonava una campanella e dovevamo passare all’intervistatore seguente.Una volta finito, la prima cosa che ho pensato è stata: «voglio lavorare in questa azienda». Avevo avuto la sensazione di sentirmi a casa. Il giorno seguente mi hanno chiamata per dirmi che ero stata selezionata e che dall’11 al 15 Luglio sarei dovuta partire per questa esperienza con Sanpellegrino.Lo stesso giorno della telefonata, però, erano uscite anche le date per l’esame di stato da farmacista che consiste in una prova scritta, tre prove pratiche di laboratorio e un orale. E l’ultima prova sarebbe stata proprio il 13 luglio. È stata una scelta difficile: partecipare al San Pellegrino Campus o fare l’esame da farmacista per cui avevo studiato. L’Hr dell’azienda, che avevo informato della situazione, mi ha lasciata libera di prendere la mia decisione in un weekend.Ma andando controcorrente a quello che la maggior parte delle persone mi consigliava, ho deciso di partire per l’Innovation Campus: mi sembrava un treno che passava una sola volta nella vita. Mentre l’esame per l’abilitazione da farmacista potevo tranquillamente farlo al secondo appello a Novembre, come poi ho fatto superandolo.È stato un periodo molto intenso: l’esame di stato, il Sanpellegrino innovation campus e nel frattempo anche un colloquio con Gensan. Poco prima di partire per l’Innovation Campus, infatti, mi era stato comunicato che ero stata scelta per cominciare il mio stage il 18 luglio in questa azienda di integratori per sportivi.Così dall’11 al 15 sono partita per il Sanpellegrino Innovation Campus dove ho lavorato con altri due ragazzi sul brand Belté. Non avevo mai fatto marketing e per me è stata una settimana stimolante. Sono tornata a casa stanca ma estremamente carica. E pur non avendo mai parlato di retribuzione, anche perché abbiamo lavorato per soli cinque giorni con vitto, alloggio e trasporti tutto pagato, alla fine ci hanno anche dato un contributo a testa di 500 euro.Finito il Campus ho cominciato lo stage a Pisa. Avevo mandato il curriculum a inizio maggio e dopo un mese mi avevano chiamata per il colloquio. A metà luglio ho cominciato lo stage di sei mesi come Customer Service con un rimborso spese di 700 euro più la mensa aziendale. Durante il tirocinio assistevo il mio tutor nel gestire gli ordini che arrivavano via e-commerce e tramite gli agenti di vendita, e davo supporto ai clienti che chiamavano per avere più informazioni sui prodotti. Non ho concluso lo stage perché a metà settembre sono stata chiamata da Nestlé. Non è stato facile dire al mio tutor in Gensan che cambiavo azienda, ma lui è stato molto felice per me!L’Hr di Nestlé mi aveva vista durante il Sanpellegrino Innovation Campus e mi ha chiamata agli inizi di settembre 2016 perché c’era una posizione aperta come stagista per Nestlé Health Science. Ho fatto il colloquio e sono stata scelta per uno stage in Trade Marketing nel canale Farmacia di Nestlé Health Science, con un rimborso spese di 700 euro al mese più la mensa aziendale. Mi sono occupata dello sviluppo del Progetto TEN, in cui ho partecipato attivamente alla selezione di dieci stagisti neolaureati in facoltà scientifiche che sarebbero poi andati dai circa 900 medici di famiglia di Milano per promuovere informazione e sensibilizzarli sui temi della malnutrizione e della disfagia. Il Progetto TEN è il primo progetto al mondo di Nestlé Health Science, e i medici dovevano poi proporre ai pazienti di effettuare due test di screening – MNA per la malnutrizione e EAT-10 per la disfagia - validati per gli over 65, in modo da avere un’indicazione della percentuale di persone malnutrite o con problemi di deglutizione in una città grande ed eterogena come Milano.Ero la coordinatrice da sede di questi dieci stagisti: ci incontravamo una volta al mese per fare delle riunioni e dare nuovi obiettivi. Il progetto è andato molto bene, due di questi dieci stagisti oggi lavorano con un contratto a tempo determinato come Medical Delegate per il marchio Meritene e visitano i medici di famiglia di Milano. Mentre a Roma siamo partiti con un secondo “Progetto TEN”. Per lavorare in Nestlé mi sono trasferita a Milano: inizialmente è stato difficile integrarsi, ma poi mi sono trovata bene e oggi che non vivo più lì ammetto che un po’ mi manca.Mi sono sentita subito a mio agio nel team a cui sono stata assegnata e dopo appena tre mesi dall’inizio dello stage, mi è stato proposto un contratto di un anno, fino al dicembre 2017, come Commercial Project, e una retribuzione lorda di circa 28mila euro annui. Non mi aspettavo l’interruzione anticipata dello stage, è stata una grande gioia! Ho ampliato le attività che svolgevo con il nuovo contratto e sono stata sempre più entusiasta di ciò che facevo.Nel mio caso lo stage è stato un trampolino per il futuro. Spesso, invece, è un investimento a vuoto per lo stagista e la sua famiglia: rimborsi spesa contenuti e affitti alti nelle grandi città sono solo alcuni dei problemi degli stagisti che dopo tanti sacrifici spesso non sono assunti e devono ricominciare tutto da capo.A gennaio ho poi cambiato mansione passando dal canale Farmacia a quello Ospedale di Nestlé Health Science e ora sono Medical Delegate Pediatria per Toscana, Umbria e Marche. NHS è divisa in due canali: quello in Farmacia segue il brand Meritene, quello in Ospedale prodotti specifici per la nutrizione enterale ed orale per esigenze e patologie specifiche. Un passaggio che mi ha portato un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio lordo di 33mila euro. È stata una sorpresa firmare l’indeterminato e questo ha significato cambiare nuovamente vita, lasciando Milano e tornando a vivere a Livorno.Oggi seguo i principali ospedali di queste tre regioni nei vari reparti di pediatria e i centri specializzati in malattie metaboliche ereditarie. La monotonia non fa parte del mio lavoro, mi interfaccio giornalmente con medici, farmacisti ospedalieri e dietisti parlando di nutrizione enterale e fornendo soluzioni presenti nel mio listino. Lavoro quindi sul campo, organizzandomi autonomamente. E grazie al lavoro in sede e a quello oggi da esterna sto cercando di avere una visione a 360 gradi della mia azienda.Non conoscevo la Repubblica degli Stagisti e, guardando il sito, confesso che se lo avessi conosciuta prima sarebbe stato un bene! Penso che lo stage sia uno strumento valido e importante per lo stagista e per le aziende e che molte di più dovrebbero aderire all’RdS network, perché è una garanzia per lo stagista: fare uno stage in una di queste significa che l’azienda si impegna a puntare su di te e sui giovani. E a quelli che vorrebbero entrare nel mio settore professionale dico di non mollare: questo campo offre ancora possibilità di impiego, basta informarsi per bene ed essere flessibili. E ricordarsi che non sempre quello per cui studiamo è quello che faremo nella vita, ma è la base per creare il nostro futuro.  Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Girl Power, «Diventare ingegnera? Ci vuole un bel caratterino»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Angela Lisena, Project Planner in Nestlé.Ho 27 anni, vengo da Molfetta, in provincia di Bari, e ho frequentato il liceo scientifico nella mia città, poi il corso di laurea triennale in Ingegneria industriale e la specialistica in Ingegneria gestionale a Bari.Ho scelto questa facoltà perché mi sembrava più attinente alle mie capacità, molto più razionale e pocodispersiva: un corso di studi compatto e molto pratico, diverso  da Ingegneria meccanica perché più attento ai processi nel loro insieme, con una visione orientata alle interconnessioni tra le parti di un processo fino alla totalità dell’insieme, piuttosto che alla singola macchina. Questo è un approccio che ancora oggi, nelle mie attività lavorative quotidiane, prediligo.Nella mia famiglia sono tutti medici, quindi escludo a priori che qualcuno abbia potuto influenzarmi. Quando ho comunicato ai miei la mia scelta, sono stati contentissimi, conoscevano le mie inclinazioni per le materie ingegneristiche rispetto a quelle mediche e sono stati molto contenti quando hanno visto che ho puntato su ciò che mi piaceva fare piuttosto che sentirmi condizionata da ciò che facevano loro. Qualcuno ha fatto all’inizio la classica domanda “Perché non Medicina come i tuoi genitori?” e la risposta è sempre stata “Perché preferisco poter ambire a qualcosa che è affine a quello che mi piace fare piuttosto che a quello che altri mi immaginerebbero a fare”.Ho sempre studiato presso il Politecnico di Bari: avevo la fortuna di risiedere a pochi chilometri da uno dei tre politecnici d’Italia e tutt’ora non mi pento della formazione che mi ha dato. Tutte le esperienze all’estero che ho vissuto sono stati viaggi studio, nel periodo tra il liceo e l’università, e poi di piacere. Sono una persona che ama esplorare a fondo le mete: penso che l’indipendenza e la maturità che ti dà organizzare un viaggio in completa autonomia ti faccia crescere a prescindere dallo scopo del viaggio in sé. Sicuramente la passione per i viaggi mi ha fatto prendere scelte in maniera molto più leggera rispetto a chi pensa troppo prima di spostarsi anche solo di qualche chilometro.Nel mio corso di laurea la proporzione tra uomini e donne era circa 70 a 30 e a Ingegneria meccanica il divario era ancora superiore. I miei colleghi hanno sempre avuto per le ragazze del nostro corso un atteggiamento di curiosità e ammirazione - mai di discriminazione - dovuto anche al fatto che notoriamente le ragazze sono più precise nello svolgere i proprio compiti. Ho cominciato a lavorare già durante l’Università, portando avanti un progetto di tesi magistrale che prevedeva un tirocinio presso un’azienda di servizi della mia città. Dopo la laurea, ho dedicato i successivi sei mesi all’esame di Stato per l’iscrizione all’Albo degli ingegneri e poi, poco prima dell’esito, ho conosciuto il mondo Nestlé. Ho accettato subito la posizione di stagista come Project Planner e mi sono trasferita da Molfetta a Benevento, dove lavoro attualmente. Subito dopo l’esperienza di stage per cui sono stata assunta, mi è stato proposto di continuare la collaborazione con il team del progetto Benevento e adesso sono in apprendistato sempre presso la sede di Benevento.Inizialmente lo scopo per cui l’azienda cercava nuove figure era l’enorme progetto Nestlé da oltre 50 milioni di euro per fare dello stabilimento Buitoni di Benevento l’hub internazionale per la produzione di pizza surgelata made in Italy. Dopo i primi giorni di formazione canonica, mi è stato assegnato il ruolo di Planner, che all’inizio voleva dire tutto e niente, ma che poi ho capito consistere nel raccogliere tutte le informazioni relative alla gestione delle attività di un intero progetto, nel riuscire ad avere una visione più o meno generale dell’andamento del progetto per ogni reparto. Al momento mi occupo di due progetti che consistono nel revamping dell’intero sito produttivo, sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista di utilities, a cui si inseriscono le installazioni di nuove linee di produzione di pizza. Venendo direttamente dall’università, l’impatto con una realtà così ampia, strutturata, e ricca di informazioni del tutto nuove per me è stata la sfida più grande da affrontare, perché dovevo imparare contemporaneamente nuovi concetti e nuove attività - come se fossero materie - e poi dovevo capire con quale logica di interconnessione si interfacciavano tra di loro, per poter assegnare la giusta sequenza temporale a ogni attività.Per mia grande fortuna ho trovato un ambiente di lavoro giovane e molto reattivo al cambiamento: un team che ha reagito all’ingresso di nuove figure cercando di portarci subito a un buon livello di autonomia, sicuramente un team orientato al risultato più per passione che per lavoro. Nel reparto di engineering l’ago della bilancia pende ancora verso la componente maschile per numero di impiegati uomini/ ingegneri. Ma non ho mai avvertito discriminazione, anzi il mio diretto superiore nonché Project Manager di entrambi i progetti per cui faccio pianificazione ha sempre posto l’attenzione sul mio carattere deciso e grintoso di “donna” come una caratteristica distintiva.  A 18 anni volevo diventare il direttore di una grossa struttura sanitaria, così da poter gestire tutte le figure interne. Ad oggi le mie ambizioni non sono cambiate, anzi, si sono anche più radicate: il percorso di formazione per cui sono stata assunta è finalizzato al Project Management. L’unica cosa che è leggermente cambiata è che adesso ho obiettivi di crescita anche all’interno del mondo Nestlé: mi sono appassionata, grazie anche al supporto della mia SHE (Safety, Health, Environment) manager, oltre che amica, al mondo della sicurezza, quindi certamente vorrei approfondire le mie skills di gestione anche in questo settore.Consiglierei a tutte le ragazze che ritengono di avere un bel caratterino e che preferiscono materie più razionali e pragmatiche di intraprendere il percorso dell’ingegneria: ogni ingegneria ha i suoi lati più oscuri e quelli più splendenti, ma tornando indietro penso che farei sempre la stessa scelta. Fortunatamente nella mia generazione si sta sempre più sfatando il mito dell’ingegnere “uomo”, per cui anche il mio appello alle giovani matricole ha una base più solida a cui appigliarsi!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Stage al Parlamento UE, «un'opportunità incredibile: se non vi prendono subito, continuate a provare!»

Chiudono il prossimo 15 maggio le selezioni per i tirocini Schuman al Parlamento europeo. Circa 1.200 euro il rimborso spese in palio e tre le opzioni disponibili: generale, giornalismo e Premio Sacharov. Qui di seguito la testimonianza di Anna Ferrari, che ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza.Ho 28 anni e sono di Crema, dove ho frequentato il liceo classico. Fin da quei tempi il mio sogno è stato di diventare giornalista. Quando è arrivato il momento di iscrivermi all’università, però, ero indecisa: la triennale in giornalismo non esisteva e scienze della comunicazione non mi interessava, così ho scelto Giurisprudenza, spinta dal fatto che alcuni dei miei giornalisti preferiti, primo fra tutti Tiziano Terzani, avevano studiato legge. Mi sembrava poi una formazione solida, se per caso avessi cambiato idea. Mi sono laureata con 110 e lode all'università Statale di Milano, pur non essendo mai stata una studentessa modello: ci sono stati degli alti e bassi soprattutto perché ero impegnata in una facoltà che sapevo non essere il mio diretto sbocco. Ma si può e si deve spingere e avere pazienza quando sai che un percorso, anche se non ti porterà direttamente al tuo obiettivo, può formarti. Durante Giurisprudenza mi sono innamorata del diritto dell’Unione Europea, e ho capito che mi sarebbe piaciuto combinare quella passione con quella per la scrittura. La seconda svolta è arrivata con l’Erasmus in Germania. Ero a Tübingen, una piccola città universitaria vicino a Stoccarda che attrae studenti e ricercatori internazionali: lì ho capito che volevo vivere all’estero. Conclusa Giurisprudenza ho fatto domanda e sono stata accettata per il master Erasmus Mundus in giornalismo, che mi ha portato per due anni a studiare tra Danimarca e Olanda con studenti da tutto il mondo. Quell’esperienza mi ha formato molto sui contenuti della comunicazione politica e della ricerca accademica, ma per me è stata soprattutto una piattaforma di lancio, che mi è servita per costruire una rete di contatti di qualità e per fare altri progetti in ambito europeo, ad esempio con la European Youth Press.Sulla traineeship nelle istituzioni europee ci tengo a dire due cose: la prima è di continuare a provare, perché va molto a fortuna. Non pensate di non sentirvi all’altezza di fare domanda: c’è tanta gente preparata ma anche tanti non più preparati di voi! Io, ad esempio, avevo già provato una volta dopo aver finito giurisprudenza, ma non mi avevano presa. Le candidature Schuman vengono raccolte in un database dove chi si occupa della selezione fa una ricerca per parole chiave, a seconda delle esigenze contingenti: nel mio caso, in quel momento a loro serviva una persona che avesse un background in giornalismo e comunicazione, ma anche che sapesse il tedesco, quindi il mio profilo rispondeva alle necessità. Il mio secondo consiglio è di prendere l’occasione se si presenta, perché si impara tantissimo. Io sono stata fortunata perché sono finita nel top del top, il team di comunicazione nel Gabinetto del presidente del Parlamento europeo Tajani, da settembre 2017 a febbraio 2018. Ci tengo a sottolineare che il livello è molto alto: anche se capita di dover svolgere relativamente compiti umili rispetto ai propri studi, stare in un ambiente così stimolante fa imparare moltissimo.Il mio lavoro nel Cabinet è stato un po’ diverso da quello di altri tirocinanti al Parlamento europeo, perché era tutto incentrato su Tajani. L’ho incontrato di persona diverse volte - c’è stata anche un’occasione in cui gli ho parlato a lungo! Per me stare lì significava essere in una posizione privilegiata, ma comunque al servizio dei cittadini. Tra le cose non comuni che succedono lavorando nel Cabinet, si ha ad esempio l’occasione di vedere da vicino personalità importanti come capi di Stato o ministri che vengono ad incontrare il presidente, e si assiste a come vengono fatte le interviste e le conferenze stampa. L’aspetto del giornalismo lo vivi dall’altra parte, nel gestire le relazioni con i media, ma è interessantissimo vedere dall’interno delle istituzioni come funziona. E se ti trovi nel posto giusto al momento giusto, anche tu puoi fare la tua parte. Una volta, per esempio, in occasione di una conferenza sull’Africa patrocinata dalla presidenza del Parlamento ho avuto la possibilità di segnalare alcuni nomi validi, e queste persone sono state invitate! Chi lavora nel Gabinetto è molto impegnato, ma c’è anche molta disponibilità a formare le persone, quindi se si è così fortunati da poterci essere, bisogna mettersi nell’ottica di avere una grande opportunità a disposizione e lanciarsi in situazioni nuove, parlare con altre persone ed essere creativi, non semplicemente portare a termine il proprio compito a fine giornata.Aspetti negativi? All’inizio non capivo il livello di stress nell’ambiente, ma in realtà sono tutti un po’ messi sotto pressione: lavorare nelle istituzioni europee comporta tanta paura di non essere all’altezza, perché si trattano problemi veramente di ordine mondiale, e gli addetti dello staff del Parlamento devono inevitabilmente sacrificare una parte della propria vita personale. Per quanto riguarda la città, invece, posso dire che Bruxelles mi manca. E' una città di lobbying, quindi se da un lato c’è molta energia perché le persone vogliono conoscersi, dall'altro c’è anche molta superficialità nelle relazioni. Quando mi sono trasferita ho avuto pochissimo tempo, perché quando ho ricevuto la conferma era estate, stavo partendo per un mese e mezzo di viaggio in India e mi chiedevano di iniziare un mese prima rispetto al ciclo normale degli Schuman. Ho trovato casa inizialmente tramite dei conoscenti, ma l'affitto era alto (700 euro al mese) perché vivevo in un appartamento da sola a St. Catherine, una delle zone più belle e centrali. Una volta arrivata lì ho cercato ancora e ho trovato un appartamento condiviso con un'altra persona, più economico, spazioso e vicino al Parlamento, a 580 euro al mese. Ci sono arrivata tramite passaparola tra amici, ma su Facebook ci sono gruppi molto popolari per fare ricerca, come Bruxelles à louer, Brussels rooms and flats for rent, Desperate people looking for a room in Bxl. C'è molto ricambio, ma potrebbero volerci molta perseveranza e una certa pazienza per trovare una buona soluzione per sé.Posto questo, lo stage è un’opportunità di formazione incredibile, poi uno deve capire cosa vuole fare. Io per il momento sono rientrata in Italia e sto valutando il da farsi, ma qualcuno rimane a Bruxelles e si concede una fase esplorativa. Tra i sogni nel cassetto conservo ancora quello del giornalismo in ambito europeo, oppure di tornare a lavorare nelle istituzioni UE. E se è vero che uno stage al Parlamento europeo non mette al riparo dai no,  sicuramente, se sfruttato bene, può preparare molto per tanti altri lavori, oltre ad essere un’ottima presentazione sul CV. Personalmente, sono da tempo convinta di una cosa: spesso non è una laurea o uno stage di per sé a darti un lavoro. Bisogna muoversi, essere attivi in più ambiti, cercare, proporsi, essere dinamici. E' l'insieme di tutte quelle esperienze a renderti un buon candidato. In conclusione, consiglierei assolutamente il tirocinio al Parlamento europeo, perché è un’esperienza formativa di altissimo livello e ben pagata che ti fa conoscere persone, dà contatti e consente di essere aggiornati e in prima linea sull’attualità. E ricorda che ognuno può dare il suo contributo al progetto europeo.Testo raccolto da Irene Dominioni

A 27 anni già responsabile di un team di 19 persone: «Do tre consigli ai neoingegneri come me»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Antonio Piane, 27 anni, oggi assunto con un contratto a tempo indeterminato in Magneti Marelli.Sono nato a Cosenza nel giugno del 1990 e ho continuato a vivere in Calabria, a Rende, fino ai 25 anni. Lì ho frequentato il liceo classico e poi il corso di Ingegneria meccanica dell’università della Calabria, che ha la sua sede proprio qui. Anche mio padre è ingegnere, ma civile, mentre mia mamma è un medico ospedaliero: avevo preso in considerazione entrambe le opzioni prima di scegliere definitivamente per ingegneria meccanica.Ho scelto l’università della Calabria perché avevo ricevuto delle recensioni molto positive. E le mie aspettative sono state rispettate, soprattutto nei primi tre anni: ho trovato la maggior parte dei corsi ben strutturati per contenuti e qualità della didattica. Non posso dire lo stesso per la magistrale: in quel periodo, infatti, non sono riuscito a fare uno stage per la scarsità di opportunità presenti nel territorio.Ho però un ricordo positivo della magistrale perché in quel periodo – era febbraio 2015 – sono partito per l’Erasmus: ero desideroso di fare un’esperienza all’estero per migliorare il mio inglese, conoscere una realtà diversa da quella italiana e mettermi alla prova lontano da casa. La borsa di studio che l’università mi ha garantito è stata di 230 euro al mese per sei mesi: ovviamente questo minimo contributo economico non copriva neanche le spese di alloggio, per cui tutto è stato possibile grazie ai miei genitori. Da appassionato del mondo automotive e dell’industria meccanica, non potevo che scegliere di farlo in Germania, paese che mi ha colpito per la qualità della vita e dove non escludo in futuro di ritornare. Non sono frasi scontate e di circostanza quelle che si dicono sull’Erasmus: è davvero un’esperienza formativa sotto tantissimi punti di vista, e lo consiglio a tutti. Tornato dall’Erasmus ho iniziato la tesi specialistica nei laboratori di ingegneria chimica e meccanica, realizzando una tesi sperimentale nell’ambito dell’ingegneria dei materiali. Ho finito di scrivere la tesi a febbraio 2016, ma ho iniziato a inviare il mio curriculum in giro e ad affrontare colloqui ben quattro mesi prima della laurea! Così poche settimane dopo, mi sono trasferito a Bologna, era il marzo del 2016, e ho cominciato a collaborare con uno studio di progettazione meccanica per macchinari industriali. Un’esperienza che porterò sempre con me perché mi ha introdotto nel mondo lavorativo. La possibilità di entrare in contatto con questo studio è nata da una conversazione casuale con un docente della mia università nei giorni successivi alla laurea. Alla fine sono stato confermato con una collaborazione come consulente a partita Iva che mi avrebbe garantito una retribuzione di circa 1.800 euro al mese.Ma due giorni dopo l’inizio della collaborazione, ho ricevuto la chiamata da Magneti Marelli, per uno stage di sei mesi nell’ambito del World Class Manufacturing. Non ho avuto dubbi sull’intraprendere questo nuovo percorso, anche se pagato molto meno e con più incertezze sul futuro. L’offerta era per uno stage di sei mesi a 1000 euro lordi al mese, ma era un’esperienza più in linea con quello che volevo fare.Così ho dovuto affrontare una delle situazioni più dure della mia carriera: parlare con il mio primo capo per chiudere improvvisamente il rapporto lavorativo a soli due giorni dalla conferma! Poi ho cominciato lo stage, nel maggio 2016, in Magneti Marelli e mi sono trasferito a Magenta, scelta per la vicinanza al posto di lavoro che è Corbetta. I primi tempi non sono stati facili: avevo vissuto in un contesto cittadino e mi sono ritrovato in una realtà relativamente piccola. Ma la vicinanza con Milano e l’aver conosciuto, grazie al lavoro, tantissimi coetanei ha reso la mia vita molto più completa e stimolante. Avevo contattato Magneti Marelli tramite autocandidatura. Dall’invio del curriculum alla chiamata dell’HR sono passati all'incirca un paio di mesi; una volta cominciato lo stage, ho avuto fin dall’inizio un ottimo rapporto con il mio tutor – il continuo supporto e i suoi consigli hanno reso i miei primi mesi in azienda stimolanti e piacevoli. Qualche mese prima della fine dello stage mi è stato offerto il ruolo che ho ancora: responsabile di manutenzione di un reparto produttivo. L’offerta era di un periodo di sei mesi di prova retribuito, e dopo un contratto a tempo indeterminato: entrambi con una RAL di 28mila euro annui. Quando ho ricevuto questa proposta, a pochi mesi dal mio arrivo, mi sono sentito orgoglioso di quanto fatto fino a quel momento e fortemente responsabilizzato. È stata una sfida dura, ma bellissima. Avevo la gestione di nove persone esperte su tre turni e quattro di queste coetanee dei miei genitori, tutti molto preparati da un punto di vista tecnico. Era una sensazione meravigliosa anche solo osservarli e carpire i segreti del mestiere. Sono da tredici mesi responsabile di manutenzione del reparto di lavorazioni di base, stampaggio ad iniezione e stampa serigrafica, e a breve oltre al mio attuale reparto, diventerò responsabile anche di quello Clusters, ovvero la parte di stabilimento in cui vengono assemblati i quadri di bordo delle auto di numerosi clienti nel campo automobilistico. È una grossa responsabilità perché si aggiungono sotto la mia supervisione altre dieci persone e centinaia di macchinari. Oggi oltre a coordinare varie persone, gestisco tutti gli interventi a guasto e di manutenzione preventiva sulle macchine del mio reparto, i fornitori per l’acquisto di ricambi e per interventi di manutenzione straordinaria e mi occupo della realizzazione di progetti di miglioramento sulle macchine di produzione. Sono stato nominato un anno fa anche co-Pillar del pilastro di manutenzione professionale del WCM – una metodologia che segue le logiche del lean manufacturing e del total quality management – e questo mi consente di contribuire al miglioramento continuo della mia azienda nel mio reparto e nel resto dello stabilimento produttivo. Mi è stato anche chiesto di partecipare come reclutatore in colloqui tecnico/motivazionali per assunzioni all’interno dello stabilimento. Così ho osservato con occhi totalmente diversi il colloquio di lavoro e il punto di vista del recruiter.Ah, durante l’università ho lavorato in ambito sportivo, giocando per circa dieci anni nella squadra di pallavolo della mia città, ricevendo a partire dai sedici anni un rimborso spese di 150 – 200 euro al mese. Dal 2014 ho smesso di giocare ma ho allenato fino al 2016, con un contratto che prevedeva lo stesso rimborso spese le giovanili, under 15 e 17. Non è stato semplice coniugare l’università con un’esperienza di questo tipo: ma mi ha permesso di portare avanti una delle più grandi passioni della mia vita. Ed è stato molto bello il confronto con i ragazzi: c’è il rapporto che si configura sul campo da gioco, imparare a coordinare 15 persone, valutare i momenti di calo della concentrazione e gestire la motivazione. E poi la parte più difficile è quella fuori dal campo, perché ti costringe a capire come mantenere quel giusto distacco allenatore – giocatore anche quando, vedi il mio caso, la differenza d’età è minima. Proprio questa seconda parte dell’esperienza è un bagaglio prezioso che sto applicando nella mia carriera di supervisor di manutenzione in Magneti Marelli.Oggi sono in una fase in cui voglio ancora migliorarmi e nel medio e breve termine mi piacerebbe continuare a lavorare in ambiti molto tecnici, continuando a crescere all’interno del gruppo. In futuro non escludo un’esperienza all’estero: da neolaureato ho mandato anche il curriculum per aziende straniere, ma poi ho avuto la fortuna di trovare un lavoro che mi piace... vicino a casa.Penso che lo stage sia il completamento del percorso di formazione: è molto importante per uno studente nelle ultime fasi della sua carriera accademica guardarsi intorno e capire, anche grazie alle esperienze altrui, cosa aspettarsi dal mondo del lavoro. Mi fa piacere dare un piccolo contributo a questo obiettivo, partecipando a questa rubrica della Repubblica degli Stagisti. Ai neoingegneri mi sento di dare tre consigli: non precludersi nessuna delle possibilità che questa laurea può dare, cercare un lavoro che può arricchire ogni giorno, e poi essere pronti a partire – anche per situazioni apparentemente non ottimali!  Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Girl Power: «Ragazze, non temete di studiare al Politecnico: la digital business transformation è nel suo momento d’oro!»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Sarah Corti, user experience architect per Sketchin, società ticinese leader nel design thinking, parte del gruppo Bip-Business Integration Partners.Ho trentadue anni, ricopro un ruolo gestionale di responsabilità in una multinazionale del design, Sketchin – e da quattro mesi sono mamma. Non nego che essere donna e giovane in alcune occasioni per me rappresenta uno scoglio: molto spesso il cliente, sentendo la mia “vocina”, mi chiede “Non è che potete portare qualcuno con più esperienza?”, ma poi al momento dell’incontro e iniziando a lavorare il pregiudizio viene meno. Certo se fossi un uomo con i capelli bianchi l’approccio da parte dei clienti sarebbe sicuramente diverso... Per fortuna con i colleghi questo scoglio non esiste!  Sono cresciuta nella provincia di Como e ho frequentato l’Istituto tecnico con indirizzo informatico. L’ho scelto perché a tredici anni mi veniva difficile decidere cosa fare da grande, così ho pensato che l’informatica ormai stava prendendo il sopravvento e che studiarla mi avrebbe fornito la base per fare quello che mi piaceva. I miei, che non hanno studiato all’università, mi hanno supportato nella scelta di un percorso che mi avrebbe permesso sia di entrare subito nel mondo del lavoro sia di proseguire gli studi nelle materie scientifiche. Alle superiori eravamo solo due ragazze su ventisei e ovviamente eravamo oggetto continuo di scherzi, ma non è mai pesato.  Dopo la maturità, ero indecisa sulla scelta e mi sono iscritta ai test di ammissione sia per il corso di laurea in Ingegneria informatica che per quello di Design del prodotto industriale al Politecnico di Milano. Alla fine ho superato entrambi e ho optato per il Design. Alle superiori ho capito che era la dimensione progettuale che mi attirava di più – come una infrastruttura dovesse funzionare – quindi ho deciso di spostarmi su una parte più creativa, anche se le materie più artistiche erano tutte nuove per me. Due giorni soltanto dopo essermi laureata ho iniziato a lavorare come free lance per Danese, storico studio milanese dove già avevo svolto sei mesi di stage durante l’università. Era il periodo del Salone del mobile; inizialmente mi occupavo di prodotto, poi mi sono spostata su grafica e comunicazione, lavorando al sito internet e alla dimensione digitale. Sono rimasta lì per tre anni e nel frattempo ho aperto la partita Iva, che mi ha permesso di svolgere altri lavoretti in parallelo per altri studi. Poi cinque anni fa ho trovato la proposta di lavoro di Sketchin – un'azienda che oggi fa parte del gruppo Bip – come designer. Sketchin è un'azienda "flat", cioè la sua organizzazione aziendale è all'insegna dell'appiattimento della gerarchia: i livelli operativi sono solo due, un responsabile o manager di processo e una serie di collaboratori. Così anche il mio colloquio è avvenuto in modalità "anomala". Mi attendevano tutti nell'open space, Ceo compreso, per sentirmi raccontare i miei progetti. Credo li abbia convinti la mia spontaneità e la mia propensione a mettermi in gioco. Sono stata assunta fin da subito con un contratto a tempo indeterminato. Allora i dipendenti erano solo in diciassette: ora siamo una settantina! Per i primi tre anni il mio ruolo era di user experience designer, poi sono diventata user experience architect, ruolo che rivesto da ormai un paio d'anni. Oggi gestisco un team di cinque persone: ho un ruolo di coordinamento sia nei confronti del cliente finale che con il team. Il mio compito è quello di esplorare le esigenze del cliente per tradurle in progetto. Se i primi tre anni ero operativa nel disegno dell’interfaccia, ora lo sono nel coordinamento del team e delle attività collaborative. Sketchin ha un gruppo di lavoro giovane – l’amministratore delegato, Luca Mascaro, ha trentacinque anni! – e c’è equilibrio tra uomini e donne. L’ambiente è positivo, super motivante e stimolante, grazie al confronto quotidiano. E l’organizzazione è flat: io formalmente sono responsabile di un team, ma non si sente la gerarchia. Inoltre c’è grande flessibilità, io lavoro tra gli uffici di Milano, Lugano e anche da casa. Conosco l'inglese e mi è anche capitato di lavorare a dei progetti presso la nostra sede di San Francisco. Ho viaggiato molto, ma non ho mai vissuto all'estero.Amo il mio ruolo perché è stimolante e vario, mi permette di interfacciarmi con clienti e tipologie di business totalmente diversi – editoriale, banking sanitario... E il bello è dover riuscire con metodologie di design a far sedere intorno a un tavolo manager con ruoli importanti e, in massimo otto ore, a tirar fuori requisiti di business importantissimi, che impattano in maniera decisiva sull’azienda. Questo permette di vedere il design applicato non solo sul prodotto ma sul business. Ho appena avuto una bambina e sono rientrata a lavoro da un mesetto. Avendo un contratto svizzero, il periodo di maternità previsto dopo il parto è di tre mesi. Io, d’accordo con il mio capo, sono invece riuscita ad assentarmi da lavoro un mese prima del parto e poi i tre successivi. Ho anche avuto la possibilità di partecipare a giornate di team building portando con me la mia bambina, se ne avevo la necessità. Ora i miei genitori, che per fortuna abitano a mezz’ora da me, mi danno una mano occupandosi di mia figlia durante il giorno. Sia dal punto di vista familiare che formativo ho avuto a che fare con figure femminili molto forti, partendo da mia madre, passando alle professoresse, fino alla mia prima datrice di lavoro. Questo mi ha aiutato perché mi ha permesso di dire “Se ce l’hanno fatta loro, ce la posso fare anch’io”. Il consiglio che mi sento di dare alle ragazze e ai ragazzi è di scegliere una scuola che apra porte su più fronti, visto che a 13-14 anni si è troppo giovani per decidere cosa diventare. E poi di non farsi condizionare: dopo le superiori c’era che mi diceva “Non scegliere una facoltà solo di maschi”, ma molto spesso avere a che fare con più uomini è più produttivo e stimolante e ti aiuta a rafforzarti. Il design dei servizi può essere una buona scelta per i giovani di oggi: la digital business transformation è nel suo momento d’oro, il valore aggiunto è enorme. Progettando bene un servizio si può trasformare un’azienda, basti pensare a start up come Netflix o al carsharing, e a tutte quelle aziende nate da progetti fatti da qualcuno come noi e che stanno rivoluzionando il mercato. È interessante cavalcare quest’onda. Il mio futuro? Essendo Sketchin un’azienda flat, mi vedo in crescita prima di tutto a livello umano e di soft skills: mi interessa la dimensione umana di crescita più che di ruolo e di prestigio. Tra dieci anni, ora come ora, mi vedo ancora qui, ed è strano perché io di natura sono irrequieta, se mi annoio cambio subito. Ma per fortuna qui il mondo dei clienti è in continua evoluzione, ogni giorno è una sfida nuova! Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Girl Power, «Da ingegnera gestionale faccio l'Operation Manager: mi diverto a risolvere problemi»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Simona Barbato, Operation Manager per Noovle, azienda specializzata in cloud e trasformazione digitale. Sono nata in Calabria quarantotto anni fa. Lì ho studiato al liceo scientifico e poi alla facoltà di Ingegneria dell’università della Calabria. L’indirizzo era quello meccanico, ma è cambiato in corso, così sono stata tra i primi laureati in Ingegneria gestionale. La scelta è nata “banalmente” dalla passione per la matematica, i numeri, le formule. La mia famiglia non mi ha influenzato: i miei genitori sono avvocato e maestra, ma i miei fratelli sono diventati architetto, biologo e insegnante di educazione fisica. Anche se mia madre verso il terzo anno mi disse: “Ma perché non studi Lingue?”. Dopo la laurea sono andata via da casa e dalla Calabria, avevo voglia di evadere dalla piccola città. Avevo la sensazione che qualcuno potesse dominare la mia vita, ad esempio non dicevo a mio padre che andavo a sostenere gli esami, come se potesse interferire nel mio valore. E quando volevo dei soldi in più per comprarmi qualcosa, anche se in casa non ne mancavano, non li chiedevo ma andavo a lavorare di nascosto come hostess nei palazzetti. Ho sempre avuto un forte senso di indipendenza. Inizialmente mi sono iscritta all’Albo degli ingegneri, ho svolto uno stage presso il dipartimento di Robotica dell’Enea, a Roma, e mi sono occupata di ricerca operativa, e dell’ottimizzazione di un progetto per l'Istituto centrale del catalogo e della documentazione (Iccd) del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact). Dopo un paio d’anni a Roma, mi sono trasferita a Milano. Qui, attraverso il network universitario, sono stata contattata per lavorare nel mondo dei sistemi informativi come consulente funzionale: mi occupavo di seguire vari processi aziendali migliorati tramite l’informatica. Ho lavorato per diverse società di consulenza: viaggiavo molto, era un mestiere bellissimo e ben pagato. Poi a trentasette anni sono diventata mamma e, anche se mio marito mi ha aiutato tantissimo, è stato un periodo molto duro. Ho lavorato fino all’ottavo mese e sono ritornata dopo il periodo obbligatorio con un part time verticale, deciso da me perché lavoravo fuori sede. Facevo tre giorni da otto ore, che non erano mai otto. Nonostante ciò mi hanno fatto capire che senza il figlio avrei potuto avere una promozione. Quando il bambino ha compiuto dodici mesi e avrei dovuto riprendere il full time, non ho retto il ritmo e ho deciso di dare le dimissioni. Mi ero resa conto che così non poteva più funzionare: uscivo la mattina alle cinque e tornavo alle otto di sera, facevo 180 km all'andata e 180 al ritorno. Stavo male fisicamente ed ero piena di sensi di colpa verso mio figlio. Dubito che un uomo si sarebbe posto lo stesso problema, anche se mi piace pensare che l'equilibrio come genitore sia indipendente dal ruolo e dal genere. Dopo un periodo di riflessione, ho deciso di tornare a fare quello che avevo sempre fatto ma da un’altra prospettiva, come Operation Manager per un’azienda. Ho avuto la fortuna di incontrare Piergiorgio De Campo, CTO di Noovle, una persona che ho stimato da subito. Scherzando, nel colloquio, gli ho detto che l’unica cosa che volevo nella vita era non cambiare ufficio fino a quando non diventavo vecchia. In quel periodo Noovle aveva bisogno di una ristrutturazione a seguito di una fusione. Ho avuto subito un contratto a tempo indeterminato. Mi sono trovata a gestire vari team, composti perlopiù da uomini. All’inizio non è stato facile conquistare autorevolezza ai loro occhi. Ma il mio lavoro è uno di quelli in cui si nota maggiormente il valore aggiunto di essere donna: la particolare propensione al multitasking, la capacità  di ascoltare le persone, diventando anche una sorta di “confidente”. Nel mio lavoro c’è uno studio continuo, ed è difficile che a fine giornata tu ti senta soddisfatta: appena risolvi un grande problema, se ne presenta un altro. Con gli anni ho dovuto imparare a trovare un compromesso tra il lavoro e l’essere mamma, ad esempio a tornare a casa e non guardare più il telefono. Ad oggi viaggiamo con la media di cento mail al giorno!La discriminazione di genere l’ho avvertita sin dall’università, dove eravamo una decina di ragazze su 300 studenti, e i professori non risparmiavano battutine. E poi nel mondo del lavoro: quando mi presentavo con un team di colleghi, loro erano chiamati “ingegneri” e io “signorina”. Per fortuna nella mia esperienza ho trovato anche tante persone intelligenti, che non giudicavano dal sesso ma dal valore. Da un lato credo che l’essere donna mi abbia anche aiutato, perché spesso a parità le donne costano la metà. Ho avuto delle fasi della vita in cui era evidente che fossi sottopagata. Ad esempio, dopo aver dato le dimissioni ho lavorato per quattro anni part time, ma il tipo di lavoro mi portava a essere sempre operativa, quindi era un part time solo nello stipendio! Noi donne nasciamo già con l’idea che ci dobbiamo adattare un po’ di più, perché dobbiamo gestire le priorità in maniera diversa. Inoltre siamo troppo impegnate a farci valere per curare altri aspetti. L’ambizione che ho oggi è quella di continuare a fare quello che mi piace e mi diverte. Amo questo mestiere perché si lavora con la mente, si respira un’aria libera, si segue l’istinto. E poi il mio campo, il cloud, sta dando oggi grandi sbocchi. Qualche tempo fa mi avevano proposto di “fare un salto”, ma non me la sono sentita. Avrei dovuto interfacciarmi con la parte internazionale e riprendere a viaggiare, ma ho deciso di non mettere in discussione il mio equilibrio tra mamma, lavoratrice e donna, che oggi mi fa stare serena. Ho una tata su cui contare, visto che la mia famiglia di origine e quella di mio marito sono lontane, in Calabria, ma delego solo per lo stretto necessario. Per fortuna ho sposato un uomo molto intelligente e presente, che mi ha sempre sostenuta e incoraggiata in tutte le mie scelte.  Alle ragazze consiglio di non sottovalutarsi mai, di coltivare una sana ambizione, per emergere con meritocrazia. E poi di non precludersi nulla: io a quarant'anni ho cambiato lavoro e vita e non tornerei indietro.  Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

«Grazie al servizio volontario europeo ho trovato il coraggio per trasferirmi all'estero»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Chiara Avataneo. Ho 27 anni e sono nata a Torino, dove ho svolto sia le scuole superiori, diplomandomi in ragioneria, sia l’università, laureandomi in Servizio sociale. Durante gli studi universitari ho lavorato nell’attività commerciale della mia famiglia, riuscendo a ricavarmi del tempo per fare anche due interessanti tirocini come assistente sociale: uno presso l’Unità spinale unipolare del Cto di Torino, centro che si occupa della riabilitazione di persone para e tetraplegiche, e l’altro nel reparto di oncologia del San Luigi Gonzaga di Orbassano. Non ho invece fatto l’Erasmus, perché non mi sentivo ancora pronta: ho sempre avuto un forte interesse verso l’estero, il mondo, ma a parte le vacanze non avevo mai trovato il coraggio di lasciare tutto e tutti per partire. E solo facendo lo Sve mi sono poi resa conto di quale opportunità avessi perso.La paura di lasciare e cambiare mi ha spinto, terminati gli studi, ad iniziare a lavorare; all’inizio ho fatto la barista, poi ho lavorato in un’agenzia che organizza eventi nella mia città. Ma sentivo che qualcosa continuava a non quadrare, sentivo che non stavo realizzando il mio sogno di vivere all’estero.. ma come potevo lasciare tutto? Avevo un lavoro stabile, famiglia, amici, il ragazzo, la mia vita. In più non sapevo l’inglese e questo mi sembrava chiudermi tutte le possibili porte. Dopo essere venuta a conoscenza dello Sve grazie al centro Informagiovani di Torino, decido però di provare ad inviare qualche candidatura e un giorno, in un ritaglio di tempo, mi candido per un progetto in Polonia. Non ero molto convinta e non avevo sinceramente grandi speranze, ma dopo una settimana vengo contattata telefonicamente dall’associazione Eufemia di Torino. Abbiamo organizzato un colloquio nel quale ci siamo conosciuti e mi hanno spiegato cosa sarei andata precisamente a fare durante il mio progetto Sve. Dopo il colloquio con l’associazione di invio è stato il turno della chiamata via Skype con la responsabile dell’associazione polacca, la Fundacja Kreatywney Edukacj. Ottenuto il via libera, ho avuto due settimane di tempo per organizzarmi e partire.Sono arrivata a Bydgoszcz nel marzo 2016, emozionata ma anche spaventata. Sono atterrata a mezzanotte e ho trovato ad accogliermi un ragazzo, che ho poi scoperto essere il mio collega, con delle amiche. Mi hanno accolta con un abbraccio, invitandomi subito ad una festa, ma ero ancora troppo scombussolata per accettare. Dal giorno dopo, ad essere onesta, la vita per circa un mese è stata durissima: non avevo mai passato lunghi periodo lontani da casa e la nostalgia era tanta; anche il tempo grigio, il freddo e la lingua diversa non aiutavano. Le comunicazioni erano difficili e spesso mi chiudevo in me stessa; anche la casa, che si trovava in un posto abbastanza centrale, inizialmente mi sembrava lontanissima, non conoscendo i mezzi per arrivare velocemente in centro.Vivevo con un altro ragazzo italiano, che faceva parte insieme a me del progetto all’interno della scuola; si trattava di una scuola privata che gestiva un nido, una scuola materna e una elementare. Inizialmente i nostri compiti non erano ben chiari, perché si trattava anche per loro della prima esperienza e non ci avevano assegnato un mentore che organizzasse il lavoro. Ma con il passare del tempo le cose sono migliorate: ho iniziato a capire cosa c’era da fare e, facendomi guidare anche dai miei colleghi, sono riuscita a stabilire le miemansioni e dare un senso concreto alla mia presenza nella scuola. Ho lavorato prima al nido, dove la comunicazione non era fondamentale, prendendomi cura dei bambini, giocando con loro, portandoli a fare passeggiate. Poi sono stata “promossa” alla scuola materna e lì abbiamo istituito un giorno d’insegnamento della lingua e della cultura italiana. Ho partecipato a gite e a molte attività, organizzando giochi, pasti e tempo libero. Nel frattempo ho iniziato anche a uscire e conoscere gente del posto, ritrovando così serenità e voglia di divertirmi. Passavo le mie giornate coi bambini, e la sera uscivo coi colleghi o con altri giovani conosciuti sul posto. Essendo poi la Polonia un posto economico, ho avuto la possibilità di visitarla in lungo e in largo, ospitata anche da altri volontari conosciuti durante il progetto. Il guadagno non era certamente il punto forte del mio Sve, ma il mio pocket money di circa 230 euro mi ha permesso di fare tutto ciò che desideravo, avendo già vitto, alloggio e trasporti pagati.Se penso alle difficoltà mi viene subito alla mente la mancanza di un mentore e quindi l’iniziale sensazione di sentirci abbandonati in un posto del tutto estraneo. Un’altra cosa che avrei cambiato è il mio coinquilino italiano, perché credo sarebbe stato più utile e formativo convivere con una persona di un’altra nazionalità. Ma, a fronte di questo, ci sono stati mille aspetti positivi, direi quasi tutti. Ho imparato a parlare l’inglese e un po’ di polacco, ho appreso la bellezza di vivere all’estero scoprendo nuove culture, pensieri e abitudini, e il fascino di un paese come la Polonia che viene troppo spesso sottovalutato. Infine ho aperto la mia mente, cambiato pensieri e imparato ad analizzare le situazioni con maggiore elasticità.Terminato lo Sve, infatti, non me la sentivo proprio di mettere la parola fine a questa meravigliosa avventura all’estero e ho deciso di trasferirmi in Inghilterra, così da migliorare l’inglese: ho frequentato una scuola per conseguire un certificato di lingua e lavorato intanto come tata per una famiglia inglese, occupandomi delle loro due bambine. Non so ancora come continuerà la mia avventura, cosa farò, ma se provo a immaginare il mio futuro lo vedo a casa, con la speranza di fare di queste esperienze nate dallo Sve qualcosa di concretamente spendibile nel mercato del lavoro italiano. Vorrei provare a lavorare seriamente come assistente sociale nell’ambito delle adozioni internazionali o, come piano b, in un’agenzia di viaggi. Per il momento continuo a viaggiare, ad emozionarmi e a scoprire.Testo raccolto da Giada Scotto  

Girl Power: «Io, promossa dirigente in Nestlé mentre ero in maternità»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Alessandra Fazio, 41 anni, Head of Quality per Nestlé.Ho 41 anni e sono nata e cresciuta in provincia di Como. Ho studiato al liceo scientifico e dopo il diploma misono iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze e tecnologie dell’alimentazione presso la facoltà di Agraria della Statale di Milano. Frequentavo da pendolare e nel frattempo lavoravo in un negozio di alimentari e in una palestra.  Ho sempre avuto interesse per le materie scientifiche, per mia attitudine personale ma anche favorita da alcuni esempi intorno a me come mio zio, laureato in chimica industriale, “mosca bianca” della famiglia. I miei genitori non sono andati all’università: mio padre faceva l’operaio, mia madre l’impiegata, ma mi hanno sempre sostenuta. La passione e soprattutto la curiosità per le scienze alimentari è arrivata studiando in filosofia Feuerbach con il suo motto “L’uomo è ciò che mangia”. Ad influenzarmi è stato anche un modello femminile importante: la mia nonna materna, classe 1923. Lei si laureò in Lingue e letterature straniere sotto il fascismo: da un paesino della provincia di Cremona si trasferì a Parigi per studiare alla Sorbonne!  Dopo la laurea ho cominciato subito a lavorare. Ho trovato una sostituzione maternità come Quality Specialist in uno stabilimento Parmalat, ma era il 2003, l’anno del crac, quindi è stato chiaro sin da subito che non c’erano prospettive. Poi un’altra sostituzione maternità in uno stabilimento della provincia di Bergamo di un’azienda che è stata successivamente acquisita dalla multinazionale angloirlandese Kerry. Lì ho lavorato in laboratorio, occupandomi della parte analitica di ricerca e sviluppo sul prodotto, per poi diventare responsabile del controllo qualità dello stesso sito. Dopo il periodo di sostituzione, sono stata assunta a tempo indeterminato come Quality Assurance Manager prima degli stabilimenti italiani e poi dell’intera divisione europea, ruolo che mi ha portato a viaggiare tanto e a studiare la lingua inglese.Nel 2010 sono stata contattata da Nestlé per la figura di Quality Manager dello stabilimento di Moretta, in provincia di Cuneo. Non è stata una scelta semplice, perché comportava un trasferimento da sola. Allora convivevo e non è stato facile spiegare ai miei genitori e ai miei suoceri l’importanza di quel passo. Inoltre sarei tornata “indietro” da un ruolo europeo a un ruolo di stabilimento. Tuttavia si trattava della prima multinazionale alimentare al mondo, della possibilità di crescere e di passare dal business to business al prodotto per il consumatore finale. Non potevo rifiutare, così mi sono buttata, pienamente sostenuta - in quell’occasione così come in tutte le mie successive scelte di carriera - dal mio compagno Andrea.Mi sono trasferita a Saluzzo, dove ho vissuto per tre anni e mezzo. Svolgevo un ruolo con le “mani in pasta” nella fabbrica. Poi l’azienda mi ha proposto di diventare Regulatory & Scientific Affair Specialist, quindi di occuparmi della conformità alle leggi dei prodotti commercializzati sul territorio italiano. Si trattava di passare da un ruolo operativo a un incarico dietro la scrivania, ma anche lì ho visto un arricchimento. Così mi sono trasferita a Milano, dove tutt’oggi vivo. Ad aprile 2015, all’ottavo mese di gravidanza, sono andata in maternità. Durante questo periodo sono stata contattata dall’azienda perché si era liberata la posizione di Head of Quality per l’Italia e per Malta. Una scelta “controcorrente”, perché significava puntare su una donna, una madre e una persona giovane, entrata in azienda da soli cinque anni e mezzo. Lavorare in una multinazionale alimentare con un ruolo di responsabilità in un ambito tecnico era il sogno della mia vita e inaspettatamente l’ho realizzato quando sono diventata mamma. Per questo oggi sono felice di portare la mia testimonianza nei convegni su diversità e inclusione e in interviste come questa!Oggi ho la responsabilità della salute dei consumatori che acquistano i prodotti Nestlé. Il mio lavoro è dinamico, viaggio molto, ogni giorno non è mai uguale al precedente. Da donna e da mamma porto in esso l’empatia con cui mi relaziono con tantissime persone sia in azienda, dalle vendite alla comunicazione, sia fuori, dalle associazioni di categoria al Ministero della Salute alle Asl.  Il futuro? La mia volontà è di consolidarmi in questo ruolo, da cui sento di poter imparare ancora tanto. In futuro mi vedrei bene anche in un altro ruolo tecnico, oppure nelle risorse umane, dove mi piacerebbe occuparmi di diversità e inclusione. Mi piace far sì che le persone siano messe nelle condizioni di dare il meglio di sé e di trovare un equilibrio tra vita e lavoro. Ora però devo pensare prima di tutto al secondo figlio, che è in arrivo a luglio! In Nestlé non avverto particolari differenze di genere, il mio ambiente di lavoro è piuttosto bilanciato, anche se la direzione tecnica è prevalentemente maschile. Se ci sono differenze salariali, sono dovute al fatto che le donne - per occuparsi della famiglia - tendono ad accettare meno trasferimenti all’estero. Qui il bilanciamento tra vita privata e lavorativa è favorito da diversi strumenti di gestione degli spazi e del tempo, dal lavoro agile allo smart working fino all’asilo nido aziendale, per fare solo alcuni esempi. A volte mi capita di riuscire a finire prima e andare a prendere mio figlio al nido e poi, tornata a casa e sbrigate le faccende domestiche, accendere il computer per lavorare. Negli altri giorni mi appoggio a una tata, visto che non posso contare sui nonni, che vivono lontano. Possono capitare settimane in cui sono fuori quattro giorni su cinque di lavoro e, visto che il mio compagno fa il pendolare su Varese e rientra tardi, la tata si debba fermare anche a dormire.   No so se consiglierei alle ragazze di scegliere Scienze e tecnologie alimentari come ho fatto io. È vero, è un corso interessante e particolare, e mi ha permesso di realizzare il mio sogno, ma è anche molto vincolante, perché è molto specifico e settoriale e non ci sono aziende alimentari ovunque. Altre lauree più trasversali si possono spendere in molti più ambiti.Tuttavia continuo a consigliare in maniera convinta alle ragazze una carriera tecnica e dico loro di non porsi mai dei limiti. Non c’è niente che sia appannaggio degli uomini. Non fate l’errore che ho fatto io che, quando il mio capo mi ha proposto la promozione durante la maternità, gli ho detto “Sei sicuro che io ce la possa fare?”. Non c’è niente che noi donne non possiamo fare... se abbiamo voglia di farlo!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Apprendistato in Spindox grazie a un corso ITS: «Finalmente applico ciò per cui ho studiato»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Marco Pini, 21 anni, oggi assunto con un contratto di apprendistato in Spindox.Sono nato a Milano ma cresciuto a Cremona dove ho frequentato il liceo delle scienze applicate, per poi trasferirmi a fine 2015 a Milano per proseguire i miei studi all’università Cattolica del Sacro Cuore. La scelta di Milano non è stata casuale: non solo lì vivono molti amici e gran parte della mia famiglia, ma ho anche pensato alla moltitudine di opportunità che offre sia lavorativamente parlando che a livello di intrattenimento.Avevo scelto la facoltà di Lettere perché avevo trovato un percorso formativo interessante che poteva conciliare le mie passioni umanistiche a quelle accademiche. L’ho frequentata per due mesi e a poco a poco mi sono reso conto che quel tipo di percorso non faceva per me: troppo teorico e ripetitivo. Ho realizzato che la mia principale necessità era di fare e applicare con concretezza quello che apprendevo. Così mi sono ritirato dall’università e a novembre mi sono iscritto al corso sistemi informatici e cloud computing dell’ITS Angelo Rizzoli presso Cefriel, in collaborazione con Eforhum.Il corso di virtualizzazione informatica che ho scelto mi ha permesso di sviluppare le mie conoscenze informatiche e di applicare in concreto ciò che studiavo indirizzandomi verso il mondo lavorativo. Durante il corso ho avuto modo di conoscere e apprendere nuove tecnologie legate alla virtualizzazione informatica e di prendere le relative certificazioni professionali, come quella in Windows Server 2012 R2 o quella in Linux Server. Non solo informatica, però, perché ho seguito anche lezioni più relazionali come comunicazione, inglese, sicurezza aziendale e diritto. La mia classe era formata da una ventina di persone tra i 19 e i 29 anni. Grazie proprio al numero contenuto di corsisti si è instaurato subito un clima sereno e c’è stata sempre una buona collaborazione. Anche il rapporto con i docenti è stato ottimo, con una condivisione di esperienze utili a capire le criticità che si possono presentare in un contesto lavorativo reale. Oggi sono soddisfatto della scelta che ho fatto perché mi ha consentito un’evoluzione personale, umana e lavorativa. E non escludo in futuro un ritorno agli studi accademici.Il corso ITS prevedeva durante i due anni anche un’esperienza individuale presso un’azienda. L’istituto ci ha quindi proposto una serie di aziende tra cui esprimere una preferenza per fare i colloqui. Ho scelto Spindox, pur non conoscendola, perché offriva un posto nell’ambito del cloud computing, tecnologia che vedeva applicata la teoria studiata durante il corso, ma ad un livello superiore rispetto alla virtualizzazione classica. L’azienda mi ha contattato per un colloquio formale con il responsabile di selezione del personale a cui è seguito un colloquio tecnico con il responsabile dell’area in cui sarei poi stato inserito, quella di cloud infrasctructure and services.I due colloqui sono andati bene e sono stato scelto per uno stage di cinque mesi, a partire da febbraio 2017. L’esperienza, che è stata il mio primo contatto con il mondo del lavoro, prevedeva un rimborso spese di 800 euro al mese più buoni pasto giornalieri da 5,50 euro. All’inizio ho imparato a conoscere meglio le tecnologie utilizzate in azienda. Poi ho preso contatto con i progetti e con i clienti e cominciato a mettere le mani sulle infrastrutture in cloud nelle quali ho eseguito diversi interventi dalla manutenzione alle modifiche. Il rapporto con il tutor è stato ottimo fin dall’inizio: mi ha introdotto nell’ambiente di lavoro e aiutato a capire i meccanismi aziendali. Oltre a insegnarmi tanto anche sul fronte tecnico. Durante lo stage ho anche acquisito una certificazione Microsoft Azure, suggeritami dal mio precedente responsabile. Lo stage è finito il 27 luglio e cinque giorni dopo ho ricominciato come apprendista sempre in Spindox. Ho subito visto aumentare le mie responsabilità su diversi progetti, cosa che mi ha permesso di avere una crescita personale e professionale. Oggi ho quindi un contratto di apprendistato con una Ral di 20mila 600 euro, più telefono, pc e tessera ATM aziendale. All’interno di Spindox sono collocato nel team Cloud, formato da nove persone sparse per le sedi nazionali: ci occupiamo trasversalmente di diversi clienti e progetti. Lì dove in un progetto è utilizzata una tecnologia cloud noi interveniamo affiancando gli altri team di sviluppo come quello digital incaricato di sviluppare l’applicazione che andrà a risiedere all’interno di una piattaforma cloud. In pratica durante la mia giornata di lavoro ho diversi compiti: creo infrastrutture per supportare siti web o infrastrutture per applicazioni smartphone, presto supporto ai clienti sia in ufficio che fuori ufficio, creo le guide per i clienti e mantengo i rapporti con i fornitori.Ormai vivo per conto mio, condividendo un appartamento con un amico, dai tempi del corso Its. Essere così autonomo, a 21 anni, è molto stimolante. Penso che l’autonomia raggiunta così velocemente sia proprio il risultato delle scelte fatte negli ultimi tre anni: aver deciso di frequentare un corso Its mi ha senza dubbio agevolato nel veloce accesso al mercato del lavoro. E aver ottenuto un contratto di apprendistato solo cinque mesi dopo l’inizio dello stage evidenzia due aspetti: il mio impegno e la mia professionalità, colti dall’azienda, ma anche la grande attenzione che Spindox ha nei confronti di nuovi e giovani talenti su cui investe, insegnandogli il mestiere fin da quando hanno solo vent’anni.È vero, la gran parte dei miei coetanei ancora studia o non guadagna abbastanza, e in questo senso penso che la mia indipendenza sia frutto anche di un mio personale bisogno di svincolarmi da un apprendimento tradizionale verso un percorso di crescita individuale rivolto alle sfide che realmente il mondo del lavoro oggi propone. Mi sento decisamente all’inizio del mio percorso professionale e la mia età lo conferma! Penso di essere fortunato nel lavorare con dei professionisti e con ragazzi giovani che ogni giorno mi insegnano qualcosa. Mi auguro di proseguire la mia carriera nel mondo dell’informatica che è un settore in costante evoluzione e non ti permette di fermarti a quello che già sai, garantendo un grande dinamismo. Ho delle buone prospettive, ma per il momento preferisco focalizare su questi due anni che ho davanti in cui posso e voglio imparare ancora molto.Certo la mia esperienza di stage con Spindox è stata ottima, soprattutto se si considera che era il mio primo contatto con il mondo del lavoro. Ero seguito, aiutato e soprattutto, fin dall’inizio, ho visto e preso contatto con progetti reali che hanno aiutato a capire e apprendere più velocemente. Sento però le storie delle esperienze di amici e colleghi: non erano seguiti per niente e questo non consente un confronto costruttivo né una crescita delle proprie competenze. Perciò penso che non si possa parlare in generale dei problemi degli stage oggi in Italia, perché questi derivano troppo spesso dal tipo di approccio che l’azienda ha nei confronti dello stagista. La Repubblica degli stagisti è in questo senso uno strumento utile per chi si affaccia al mondo del lavoro perché può avere diversi punti di vista grazie alle storie di chi ha affrontato uno stage prima di lui.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore