Categoria: Storie

Manager a soli 28 anni: «Le donne sono carri armati. Il segreto? Essere preparate»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma anche in altri ambiti considerati tradizionalmente "maschili", come Audit e revisione di bilanci aziendali. In Italia le donne manager rappresentano ancora solo il 24,7 per cento del totale (Unioncamere, 2019), ma sono in aumento. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontare alcune delle loro storie attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne convinte che in certi campi, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Nadia Abu Ne' Meh, Audit Senior Manager presso il gruppo EY.Ho 34 anni, sono nata a Monza da madre italiana e padre originario della Giordania e fino a quattro anni fa ho vissuto a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Dal 2016 invece vivo a Roma. Mi sono diplomata in ragioneria e poi ho frequentato l'università Bicocca di Milano: prima la triennale in Economia e Amministrazione delle imprese e poi la specialistica in Amministrazione, Auditing e Controllo. Sin da piccola mi ha sempre affascinato il mondo dei numeri e dell'organizzazione, e poi mi piacevano le lingue: ho studiato l'inglese e il francese.Quando ancora frequentavo l'università mi si è presentata la possibilità di svolgere uno stage curriculare presso EY, multinazionale con cui avevo avuto modo di entrare in contatto durante un business game che mi era stato consigliato dal docente di Economia aziendale. I manager che avevo conosciuto mi avevano fatto un'ottima impressione: erano persone giovani, brillanti, accoglienti. Lo stage a Milano è durato da ottobre a dicembre, e da allora non sono più andata via. A gennaio mi hanno offerto un contratto di apprendistato: il mio primo vero lavoro – prima di EY avevo svolto solo due stage durante il liceo presso la Banca di credito cooperativo e l'Agenzia delle entrate, oltre ad altri piccoli lavori saltuari.Nei primi mesi di lavoro ho scritto la tesi, ispirandomi al progetto con un cliente che stavo seguendo per analizzare i lati positivi e negativi dei sistemi di controllo imposti dalle disposizioni americane alle società quotate. Il mio primo team è stata la mia prima famiglia lavorativa: sono stati gli anni più belli. Il primo ruolo al momento dell’ingresso in EY è rappresentato dalla figura dello staff: un ruolo di supporto al team per le mansioni più operative, ma già di responsabilità. Può capitare di essere mandati da soli a parlare e a richiedere informazioni ai referenti o di fare l'inventario in un'azienda, rappresentando in quel momento la società: un'esperienza sfidante e formativa.Dopo due anni sono diventata senior e poi, al secondo anno in questo ruolo – io ne solo avevo 28! – mi hanno proposto di anticipare il passaggio a manager, che solitamente avviene dopo tre anni. Per me ha significato molto, perché è stato assolutamente meritocratico, ma ha portato anche un carico di responsabilità in più. Una persona mi disse: “Stai in guardia, molto spesso i referenti vogliono vedere una persona con i capelli bianchi”: stava a significare che la mia giovane età poteva “spaventare”, in quanto la maggior parte delle persone in azienda si aspetta di interloquire con persone di esperienza. Essere manager significa dover dividere il tempo tra i vari team – una quindicina. Occorrono capacità organizzative e di gestione dei clienti ma anche delle risorse: un aspetto che mi è sempre piaciuto. Io lavoro nel settore industriale, con aziende produttive dalla piccola e media impresa fino alla società quotata in Borsa. Entrare in un mondo così importante a meno di trent'anni, avere a che fare con referenti molto più grandi dai quali puoi imparare anche solo stando seduta allo stesso tavolo è molto sfidante. Il vero valore di questo lavoro è proprio poter confrontarsi con persone molto preparate e competenti, vedere come funzionano le cose in un'azienda dalla A alla Z, cosa che mi ha sempre appassionato.Noi ci occupiamo in particolare di revisione dei conti, certifichiamo il bilancio delle aziende: il rapporto con ciascun cliente dura tra i tre e i nove anni e in taluni casi anche oltre, laddove sia previsto dalla legge che il contratto possa essere rinnovato. Si inizia con la fase di rilevazione dei processi aziendali e poi, dopo la chiusura del bilancio al 31 dicembre, si procede alla sua analisi secondo i principi di revisione allo scopo di formulare un giudizio. Un passaggio molto importante per le aziende.A settembre 2016, a tre anni dalla promozione a manager, ho chiesto il trasferimento a Roma per ricongiungermi con il mio fidanzato – ora, da due anni, marito – che lavorava lì in proprio come geometra. Il mio lavoro è rimasto lo stesso, e alla fine dell'anno sono stata promossa senior manager: ora sono al decimo anno in EY.Sebbene si lavori tanto, questa società lascia lo spazio per costruirsi una propria vita – si va sempre di più verso una conciliazione tra vita privata e lavorativa. Certo all'inizio mio marito non concepiva i miei orari o il mio lavorare anche nel weekend, ma poi ha capito. Non mi spaventa l'idea della maternità, anche se l'azienda corre veloce e per stare al passo so che dovrò riuscire a tornare operativa in tempi brevi – non perché mi sia richiesto, ma per la volontà di tornare appena possibile dai miei team di lavoro e dai clienti che seguo.Da marzo fino all'estate siamo stati in smart working: abbiamo lavorato molto, noi i mezzi per gestire il lavoro in remoto li avevamo da tempo, un po' meno preparate erano le aziende piccole nostre clienti. Inevitabilmente è mancato il contatto umano, che nelle situazioni complicate "ammorbidisce": al telefono è molto più facile che si arrivi allo scontro, l'empatia un po' si perde. Ma alla fine i risultati li abbiamo portati comunque a termine. Ora stiamo cominciando a tornare dai clienti, laddove esistono le condizioni di sicurezza per farlo. Ci viene data la libertà di organizzarci tra lavoro da remoto e in sede.Nel mio percorso ho sempre ricevuto il sostegno della mia famiglia: di mia madre, impiegata comunale, e di mio padre, medico. Inoltre di grande ispirazione sono stati la mia professoressa e relatrice di tesi – una donna decisa, senza compromessi – e il mio primo capo, che aveva soli tre anni più di me, ma voleva "mordere" il lavoro, sembrava che tutto gli riuscisse con facilità.Solo un paio di volte, con i referenti, ho avvertito la sensazione di non essere la persona che volevano avere di fronte a discutere di alcune tematiche. Si trattava di persone molto grandi di età, condizionate da una certa forma mentis, quindi un po' spiazzate dal confrontarsi con una donna di ventott'anni. Questo si può combattere solo dimostrando di essere persone preparate: su tutto il resto si può discutere, sulla preparazione no.Quindi alle ragazze consiglio di non farsi spaventare dalle situazioni: le persone preparate non devono temere nulla. Io cerco di essere di esempio: se non so una cosa, mi riprometto di approfondire e, solo dopo, di dare una risposta. Non bisogna mai essere superficiali e approssimativi, ma avere basi solide. E poi ci vuole un pizzico di coraggio per affrontare i cambiamenti e crescere. Le ragazze sono dei carri armati, precise, affidabili: io ho avuto anche team completamente al femminile e, quando si capisce che si può lavorare bene insieme, nasce una squadra vincente!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Dalla Bce a Prometeia: «Tornare in Italia una scelta difficile, ma non sono pentita»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Annalisa Molino, Economist in Prometeia.Sono figlia di una laureata in biologia e insegnante di matematica, dunque forse il fatto che abbia finito per laurearmi proprio in matematica potrebbe sembrare “ovvio”... Ma non è così. La mia famiglia mi ha lasciato sempre libera di scegliere: e io alle superiori ho voluto fare il liceo classico. Ma proprio lì, in mezzo a greco e latino, mi sono appassionata alle materie scientifiche, e in particolare alla matematica. Quando è stato il momento di scegliere l'università mi sono iscritta a Ingegneria, ma mi sono accorta quasi subito che non faceva per me. Quindi ho virato sulla facoltà di Matematica a Tor Vergata restando quindi sempre nella mia città, Roma.L'inizio è stato difficile: avendo un background umanistico, ho dovuto recuperare molto per mettermi al passo con gli altri – e una grossa mano, lo ammetto, me l'ha data mia madre! Quell'esperienza mi ha aiutato nell’imparare ad affrontare gli ostacoli. Inoltre la matematica, prima che darti contenuti, ti forma la mente, anche per questo ti offre un sacco di sbocchi. Durante gli studi ho capito che non ero interessata al lato teorico e all'insegnamento, ma alla matematica applicata: analisi numerica, statistica e probabilità. Finita l'università, ho quindi intrapreso un dottorato in Econometria, nella facoltà di Economia. Anche qui un'altra sfida, non possedendo un background economico. Nel terzo anno di dottorato, il mio supervisor mi ha prospettato la possibilità di fare un'esperienza in Germania presso un centro di ricerca a Francoforte, come assistente di ricerca part time in un team che si occupava di cryptocurrency e bitcoin in particolare. Una bellissima esperienza: era il 2014 e si trattava di uno dei primi studi su un tema che sarebbe poi esploso. Nell'altra metà del tempo portavo avanti la mia tesi di dottorato sulle misure di rischio di mercato. Dopo un anno e mezzo, terminato il progetto, ho avuto la possibilità di svolgere un tirocinio presso il Dipartimento di statistica della Banca centrale europea (Bce), in un team che si occupa di ricezione, processing e analisi statistica di dati su strumenti derivati raccolti sotto l'European Market Infrastructure Regulation (Emir). Il tirocinio si è poi trasformato in un contratto di lavoro a tempo determinato, durato fino a gennaio 2019. Nel frattempo avevo anche finito la mia tesi di dottorato e avevo avuto modo di tornare in Italia, a Verona, per partecipare a un incontro dei dottorandi con delle aziende: lì avevo fatto un colloquio con la società di consulenza Prometeia, sulla quale dei colleghi a Francoforte mi avevano dato ottimi feedback. L'azienda aveva manifestato interesse verso il mio profilo così, terminata l'esperienza alla Bce, mi sono rimessa in contatto con loro e mi hanno proposto subito un contratto a tempo indeterminato. Da Francoforte mi sono trasferita direttamente a Bologna, dove mi trovo molto bene, anche perché è più vivibile di Roma. Certo sono stata tentata di rimanere in Germania: tornare in Italia non è stata una scelta facile, ma oggi sono felice e soddisfatta di averla fatta.  In Prometeia lavoro nel Dipartimento di analisi dei mercati e degli intermediari finanziari, e in particolare nel team dedicato al mercato del risparmio, che si occupa di statistica ed econometria, ma anche di sviluppo regolamentare. Inoltre faccio parte di un gruppo che si occupa dello sviluppo di web app. Non avevo mai lavorato prima sul tema del risparmio, e ho dovuto sviluppare la mente ad esso, ma mi sono subito appassionata. Lavorare qui mi piace perché c'è un ambiente dinamico e ognuno ha la possibilità di esprimersi e di cambiare il corso delle cose, portando innovazione. È un lavoro mai ripetitivo, dove c'è sempre spazio per nuove idee. Inoltre qui non c'è mai stata discriminazione di genere e c'è grande equilibrio: il mio manager è donna e il mio capo dipartimento anche! Attualmente siamo in smart working al 100 per cento. Fortunatamente nel mio dipartimento non ci sono particolari difficoltà, in quanto abbiamo poco contatto diretto con il cliente. Quindi da marzo a oggi siamo sempre riusciti a mantenere i nostri impegni. Certo manca il contatto umano con i colleghi e, in genere, si lavora di più, pur avendo maggiore flessibilità organizzativa.  Alle ragazze e ai ragazzi che amano le materie Stem dico di non lasciarsi spaventare: quello della matematica e delle materie scientifiche è un percorso a ostacoli, ma può dare grandi soddisfazioni. Bisogna essere ostinati nel seguire le proprie aspirazioni, avere la mente aperta ed essere elastici nel cogliere le opportunità che si presentano. Io ad esempio non mi sono preclusa nulla e mi sono fatta trovare pronta a partire da un momento all'altro. E poi bisogna fare di tutto per far coincidere i propri interessi con il proprio lavoro: nella mia esperienza questo ha fatto la differenza!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

A 28 anni manager in EY a Roma: «Magari nella mia Sicilia ci fossero più opportunità»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Federica Lo Monaco, manager presso il gruppo EY.Ho trent'anni, vengo da Palermo e dopo il liceo scientifico ho studiato Ingegneria gestionale all'università della mia città.Inizialmente avevo valutato di intraprendere un percorso universitario fuori sede, magari all'estero come sarebbe piaciuto ai miei genitori. Ma non mi sentivo pronta e oggi non sono pentita, anzi. A Palermo ho trovato il mio ambiente e un corso di laurea ben strutturato, con docenti di alto livello professionale. Nonostante non abbia frequentato un'università "blasonata", la mia formazione mi ha permesso di raggiungere le mie soddisfazioni.Al liceo ho cambiato molte volte idea sul mio futuro: ho sempre avuto un forte interesse per lo studio e l'approfondimento in generale. L'ultimo anno è venuta fuori la mia preferenza verso un percorso scientifico-matematico e ho ritenuto che l'ingegneria gestionale potesse permettermi di conciliare l'aspetto scientifico con le esigenze del mercato. Notavo infatti che gli ingegneri gestionali trovavano lavoro in tempi record ed è un percorso che ho sempre più che consigliato a tutti.Otto mesi prima di laurearmi, a luglio del 2014, ho iniziato uno stage in EY a Roma, dove attualmente lavoro. Avevo partecipato a un business game a Bari finanziato dalla mia università e, fra le società presenti, EY mi aveva colpito particolarmente per la sua presentazione. Così ho deciso di candidarmi per una posizione di stage, convinta che i tempi di selezione sarebbero stati lunghi e avrei fatto in tempo a concludere gli studi. In realtà dopo una settimana sono stata contattata per fissare un colloquio a Roma e in pochi giorni mi hanno comunicato l'esito positivo. I primi di settembre mi sono trasferita a Roma. Certo non è stato facile dopo 24 anni vissuti nella mia "comfort zone". Tuttavia, nonostante avessi scelto di studiare nella mia terra, mentalmente ero già pronta al fatto che prima o poi avrei dovuto abbandonarla perché, per il mio tipo di laurea, avrei trovato più opportunità lontano dalla Sicilia. Mi ha aiutato particolarmente, in quel periodo, il fatto che il trasferimento sia avvenuto insieme a vecchi amici e colleghi, con i quali ho anche condiviso la casa. Qui a Roma si vive bene: certo è confusionaria, ma del resto anche Palermo lo è!Sarebbe bellissimo se la Sicilia potesse inglobare la stessa capacità di forza lavoro. Se trovassi un'opportunità simile a quella attuale, tornerei per mettere a frutto quello che ho imparato e far crescere un settore, quello della consulenza e della gestione finanziaria delle piccole e medie imprese, che lì è ancora carente. Ma per ora opportunità del genere non ne vedo all'orizzonte. Tornando al mio stage, l'ho iniziato come Junior Consultant presso l'unità “IT Risk & Assurance”, caratterizzata da un'anima consulenziale e di supporto alle società nell'individuazione del rischio IT e un'anima di supporto loyalty alle attività di assurance e revisione del bilancio. È stato un periodo faticoso – studiavo di notte! – ma non me ne sono mai pentita. Sei mesi e mezzo dopo mi sono laureata e dallo stage sono passata a un contratto di apprendistato. La mia responsabilità da operativa è diventata sempre più di coordinamento delle attività e di revisione del lavoro delle figure junior. EY ha una struttura piramidale che permette di crescere in responsabilità, con una visione di insieme che allinea gli obiettivi di ciascun dipendente. Se si dimostrano volontà di crescere e capacità, si riescono a raggiungere obiettivi importanti rapidamente. Io a soli ventotto anni, con quattro anni di anzianità, sono passata da Senior consultant a Manager. Ora mi auguro di raggiungere l'apice della piramide e di continuare, spero per tutta la vita, a dare il mio contributo a una società che ha creduto e sta credendo in me.Amo il mio lavoro perché ti fa vedere continuamente cose nuove, si cambia attività con una frequenza elevatissima e ogni progetto è a se stante: non ci si annoia mai. Certo ci sono ritmi assurdi, ma se si ha voglia di fare e non ci si abbatte alla prima difficoltà la consulenza è il mondo perfetto. Io non ho immaginato e non immagino ancora per un bel po' di tempo di svolgere un'attività routinaria, con gli stessi obiettivi giornalieri.Attualmente lavoro ancora in smart working. Nonostante la nostra società adottasse già questa modalità, nessuno aveva mai vissuto un contesto di perenne smart working e, dopo il primo mese, sono emerse alcune difficoltà, ma abbiamo imparato a gestirle. Il rapporto umano, soprattutto nei grandi gruppi di lavoro, fa la differenza. Per questo mi auguro che questa modalità di lavoro si cominci ad adottare sì con più semplicità ma non in modo continuativo.Rispetto al gap di genere, il ramo gestionale ha sempre rappresentato un'eccezione, quindi non mi sono mai ritrovata in "minoranza", né ho mai avvertito discriminazioni. Lo stesso vale per la mia esperienza lavorativa: EY è una società che non fa differenze, non c'è un limite alla crescita causato dal genere. C'è semmai una componente sociale per cui non tutte le donne sono pronte a sacrificare il percorso familiare per quello lavorativo. La consulenza non è un ambiente che permette di raggiungere un compromesso con semplicità, tuttavia conosco tantissime donne, anche Senior manager, che hanno famiglia e figli. Io nell'immediatezza non ho progetti di costruzione di una famiglia, ma non mi sento preclusa in tal senso, anche se comporterà sforzi in più.Alle ragazze dico quello che ripeto ogni giorno a me stessa: di credere in se stesse e nelle proprie capacità. Purtroppo le donne spesso peccano in autostima, invece hanno un grande potere. Non a caso un gruppo di lavoro misto rende molto più di un gruppo solo al maschile. Nel 2020 non possiamo pensare di lasciarci ostacolare da barriere di genere. Laddove esistono, dobbiamo sforzarci di abbatterle. E non dobbiamo avere paura di sbagliare: un errore è un'opportunità se genera un insegnamento, una crescita. Inoltre alle ragazze dico che non esiste un corso di laurea migliore degli altri, ma solo quello giusto per ciascuno di noi. Non c'è niente di peggio che fare un lavoro che non si ama: io ogni mattina mi sveglio consapevole che sarà una giornata difficile ma felice di quello che faccio!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Stage al Comitato delle Regioni di Bruxelles, «Non va considerato una "seconda scelta" rispetto al Parlamento e alla Commissione!»

C’è tempo fino al 30 settembre per candidarsi alla sessione primaverile dei tirocini presso il Comitato europeo delle Regioni. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Giulia Traversi, 27 anni, tirocinante della sessione autunnale 2019, che oggi lavora a Bruxelles nelle Risorse umane della Confederazione internazionale dei sindacati.Ho 27 anni, sono nata e Brescia e cresciuta in Franciacorta. Ho frequentato il ragioneria con indirizzo linguistico, dove studiavo tre lingue, inglese, spagnolo e francese, cui ho aggiunto poi il portoghese. Dopo le superiori mi sono iscritta alla facoltà di Economia a Brescia, facendo la mia prima esperienza di stage presso Coopcooperative. A fine percorso, ho trascorso due mesi in Irlanda per scrivere la tesi. La prima di tante esperienze all'estero, cui sarebbe seguito un mese di volontariato in Ecuador. Consiglio a tutti di fare un periodo all'estero, perché arricchisce tantissimo.La magistrale l'ho frequentata a Milano, ma in lingua inglese: il corso era in Management of Human Resources and Labour Studies e prevedeva sei mesi all'estero. Io sono stata in Belgio all'Université catholique de Louvain, un campus universitario a un'ora di distanza da Bruxelles. Ho terminato gli studi nel giugno 2019. Successivamente tramite un'associazione studentesca sono stata due mesi a Salvador, in Brasile. Alcuni miei familiari hanno vissuto e lavorato in America Latina e ci sono particolarmente legata. In Brasile ho lavorato nel Dipartimento delle Risorse umane e delle politiche sociali di una ngo, Teto, il cui obiettivo è quello di costruire case per persone svantaggiate che vivono nelle favelas. Vivevo in una host family, a stretto contatto con la comunità locale: è stato il momento più bello della mia vita. Una volta rientrata ho continuato a collaborare con loro – infatti oggi sono ambasciatrice in Europa dei loro progetti.Dopo il Brasile sono tornata in Belgio, dove mi sono candidata per un tirocinio al Comitato delle Regioni. Sono una persona molto curiosa e, vivendo in Belgio, mi ero avvicinata alle relazioni internazionali e alla Comunità europea e volevo conoscerla dall'interno. In particolare ho scelto il Comitato perché durante l'università avevo fatto per quattro anni la consigliera comunale e la Regione era l'istituzione che dava voce ai politici locali. Così mi interessava conoscere la sua ripercussione a livello europeo e il modo in cui il Comitato poteva aiutare la politica locale. Ho superato la selezione dopo un colloquio telefonico in lingua inglese e francese – quest'ultima era particolarmente richiesta per le Risorse umane – sia motivazionale sia sulle mie esperienze precedenti con quelli che sarebbero stati il mio supervisore e il responsabile della mia unità. Spesso il Comitato viene considerato una "seconda scelta" rispetto a Parlamento e Commissione europea, quindi ci tengono molto a capire la reale motivazione.Ho svolto il mio tirocinio da settembre 2019 a febbraio 2020 presso il Dipartimento delle Risorse umane, il più affine alla mia formazione: mi sono occupata di condizioni di lavoro, gestione degli stagisti e comunicazioni con le risorse umane delle altre istituzioni europee per organizzare eventi e così via. Fra le varie attività, ho contribuito alla compilazione di un codice etico del Comitato e ho partecipato al Y Factor, progetto che gli stagisti possono fare su base volontaria. Con i miei colleghi abbiamo deciso di concentrarci sulle politiche di riciclo e abbiamo presentato una proposta per armonizzarle a livello europeo, realizzando anche un libricino sul nostro policy briefing, che è stato preso in considerazione dal Comitato: una bella soddisfazione!Il tirocinio al Cdr mi ha dato una visione a trecentosessanta gradi di come funzionano le cose in un'istituzione europea. Essendo solo in ventidue, eravamo molto seguiti, e con il mio tutor, Marcel, avevo un rapporto molto bello. In generale, veniva data molta importanza allo stagista, per lui le porte erano sempre aperte e si aveva la possibilità, su richiesta, di partecipare a riunioni o plenarie e specializzarsi in determinati temi. Inoltre ci tenevano molto, durante e dopo, a raccogliere i nostri feedback per ricalibrare in base ad essi le modalità di tirocinio. Era anche disponibile un supporto socio-psicologico per i tirocinanti. Un altro lato bello era che, in un solo giorno, poteva capitarti di parlare cinque lingue diverse e conoscere storie completamente differenti. Nella mia sessione eravamo quattro italiani, poi c'erano tedeschi, bulgari, polacchi...Se un giorno dovessi lavorare nelle istituzioni, mi piacerebbe entrare in una delegazione dell'Unione europea o nell'European External Action Service, l'organizzazione che si occupa delle relazioni esterne dell'Ue, che dovrebbe a breve pubblicare un bando.Subito dopo la fine del tirocinio, è iniziato il lockdown ed ero indecisa se rientrare in Italia. Alla fine ho trovato un'opportunità di lavoro qui a Bruxelles, come recruiter presso un'azienda. Avevo un contratto di immersione professionale da 1.900 euro al mese, che si sarebbe trasformato in indeterminato. Ho lavorato in smartworking, ma rispetto all'Italia, dove sentivo con apprensione i miei genitori – mio padre è anche un medico – ho avvertito molto meno il peso della la situazione. Qui, anche se era tutto chiuso, non ci è mai stato impedito di uscire. Tuttavia a mio avviso le misure adottate in Italia si sono rivelate più efficaci, mentre qui i casi sono aumentati e la mascherina ora è obbligatoria tutto il giorno.A luglio ho deciso di licenziarmi: volevo uscire dall'ambiente aziendale e riprendere a occuparmi di politiche sociali. Sono tornata per un po' in Italia e ora sono di nuovo a Bruxelles, dove ho appena iniziato a lavorare per la Confederazione internazionale dei sindacati. Mi occupo sempre di recruitment ma in un progetto a sfondo sociale: una piattaforma in collaborazione con vari paesi asiatici che valuta la correttezza del reclutamento dei lavoratori immigrati. Qui sono partita da uno stage, ma spero si trasformi presto in un contratto di lavoro.Qui in Belgio il salario minimo è di circa 1.600 euro e la vita non è più cara che a Milano. Io ho una stanza singola in un appartamento centrale, condiviso con due ragazze francesi, e pago un affitto di 550 euro spese incluse. A parte il clima, che influisce molto sul mio stato d'animo, a Bruxelles si vive bene: è una città in cui puoi camminare nel verde perché ha tanti parchi, vivere i quartieri internazionali: ognuno può trovare la sua dimensione. Io seguo un corso di danza brasiliana, faccio tandem italiano/portoghese, faccio volontariato con associazioni locali.Il tirocinio in un'istituzione europea è un'esperienza che consiglio a chi ha la curiosità di capire come funziona una realtà europea. Suggerisco però di non pensare che Bruxelles sia l'Ue e basta: spesso la bolla dell'Unione europea ti aliena un po' e finisci per frequentare solo le persone che ci lavorano. Invece Bruxelles è una città piena di bellezze e contraddizioni ed è interessante viverla pienamente, conoscere i vari quartieri, fare volontariato...L'Italia? La connessione c'è sempre, cerco di mantenere i rapporti con i gruppi di volontariato e con l'attività politica, e poi c'è la mia famiglia. Ad oggi la vedo come un punto di arrivo: non me ne sono andata perché l'Italia non mi piaceva, ma perché sentivo la curiosità di sperimentare altri stili di vita. Per ora il mio focus è ancora fuori, mi piacerebbe tornare in America latina, ma amo l'Italia e nel cuore ho sempre la speranza di ritornarci. Per adesso appena possibile prendo un volo per vedere il sole!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

«Lo stage al Consiglio dell’Unione europea, una delle esperienze più belle che abbia mai fatto»

Il Consiglio dell'Unione europea offre ogni anno un centinaio di posti per tirocinanti europei con almeno la laurea di primo livello, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. E mette a disposizione anche alcuni posti per studenti senza rimborso spese ma con assicurazione medica e rimborso spese di viaggio. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 28 settembre, e verrà selezionato, è previsto per febbraio 2021. Matteo Casalboni, 25 anni, ha partecipato al progetto per studenti universitari da settembre 2017 a gennaio 2018 e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Bruxelles.La mia esperienza al Consiglio dell’Unione europea non è stata né il primo impatto con il mondo del lavoro né la mia prima volta all’estero. Durante l’estate del secondo e terzo anno di liceo, infatti, ho svolto lavori di volontariato aderendo ad un programma proposto dal comune della mia città, Cesena, facendo l’animatore presso un centro estivo. E nell’estate fra il quarto e quinto anno di liceo, nel 2013, sono andato a Los Angeles per imparare l’inglese. Non ho partecipato a un programma di scambio, ma sono andato per conto mio e ho frequentato l’EC English School a Santa Monica, un quartiere di LA, seguendo un corso di inglese per due mesi. Tornato in Italia ho preso il diploma al liceo scientifico e mi sono iscritto al corso di informatica presso l’università di Bologna. Dopo un mese ho capito che non faceva per me e deciso di ritirarmi. Ho preso un gap year per potenziare la lingua inglese e sono andato in Inghilterra, a Salisbury, per quattro mesi, da gennaio ad aprile 2015, durante i quali ho frequentato una scuola locale di lingua inglese. Finita l'esperienza in Inghilterra ho frequentato un po’ di lezioni presso varie facoltà dell’università di Bologna per capire cosa studiare l’anno successivo. E ho scoperto che economia era la facoltà adatta a me! Dopo aver superato il test d’ingresso, nel settembre di quell’anno, ho iniziato il corso Business and Economics da studente fuorisede. Avevo preso in affitto un bilocale con un amico, anche lui al primo anno. Ovviamente, non lavorando, le spese erano sostenute dalle nostre famiglie. Ci siamo subito integrati bene, anche frequentando seminari organizzati dall’università. L’affitto non era troppo alto, pagavamo trecento euro a testa tutto compreso, mentre oggi i costi a Bologna sono quasi raddoppiati. Durante l’estate fra primo e secondo anno di università ho lavorato presso una famiglia facendo il babysitter per mettere da parte qualche soldo e iniziare ad approcciarmi al mondo lavorativo.Durante il secondo anno di studi dovevo inserire un tirocinio come attività curricolare e ho iniziato a informarmi per stage all’estero. Così ho scoperto l’application form sul sito del Consiglio dell’Unione Europea e ho subito mandato la domanda. Dopo circa tre mesi, a metà maggio del 2017, mi è arrivata la comunicazione che ero stato preso per uno stage da settembre a gennaio e pochi giorni dopo mi è stato inviato il contratto da firmare. Ho quindi cominciato a cercare casa a Bruxelles attraverso vari siti internet e affittato una camera singola nel quartiere di Ixelles per quattro mesi al costo di 500 euro al mese tutto compreso. Gli affitti sono molto costosi ed è stato difficile trovare una sistemazione. Ma in Belgio non è caro solo l’affitto, costa tutto di più: la spesa, i ristoranti, i mezzi di trasporto. La mia camera era in un appartamento dove ho vissuto con altri nove ragazzi e senza l’aiuto dei miei genitori non sarei stato capace di sostenere le spese. Mi sono trasferito a Bruxelles e ho cominciato il tirocinio presso il Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea il primo settembre 2017 fino al 31 dicembre.Ricordo molto bene il primo giorno: arrivato al Consiglio dopo i controlli ci hanno portato in una sala per farci conoscere tutti e spiegato le cose generali da sapere e le attività organizzate dal traineeships office. Poi ci hanno accompagnato nelle nostre unità per presentarci i responsabili e colleghi. Durante lo stage ho cercato di apprendere il più possibile e partecipare a quante più riunioni, workshop e attività.Il mio tirocinio era per studenti universitari, quindi senza il classico rimborso spese mensile. Il Consiglio, però, ci garantiva ugualmente dei benefit: ho ricevuto un rimborso spese di 450 euro per gli spostamenti, cifra che cambia in base alla distanza della propria residenza da Bruxelles, e un buono da 120 euro al mese per la mensa. Certo, per mantenermi ho dovuto attingere ai miei risparmi e chiedere aiuto ai miei genitori. A parte il rimborso spese, comunque, non c’era differenza con gli altri stagisti: ci ritrovavamo tutti insieme e svolgevamo le stesse attività e compiti. Sono stato assegnato a due unità, la DGG2A Budget and Financial Regulations e la DGG1A Economic policy. Con la prima unità ho seguito i lavori del processo di budget relativi all’approvazione del bilancio dell’Unione Europea dell’anno passato e alla stesura del budget dell’anno successivo. Seguivo la mia responsabile aiutandola con i verbali e la preparazione dei power point per le varie riunioni. Ho partecipato in qualità di assistente alle riunioni ECON, BUDG e CONT committees tenute presso il Parlamento europeo. Aiutavo la mia unità a preparare le riunioni, cercando di seguire il loro lavoro e apprendere il più possibile. Ho imparato a fare verbali, a capire il procedimento per l’assegnazione del budget, ho assistito a negoziazioni fra i vari Member States. Il lavoro con l’unità di Economia politica era meno analitico. Ho partecipato a molte più riunioni, al Consiglio, in Commissione e al Parlamento dell’Unione Europea. Aiutavo il mio responsabile in molte ricerche e a preparare le riunioni cercando di apprendere i procedimenti di politica economica.Sono stato seguito da tutti i componenti delle due unità e ho appreso delle skills che vanno al di là del puro lavoro, come rapportarmi con gente con una cultura diversa dalla mia e interagire con gli altri in ambito lavorativo. Per gli stagisti una parte fondamentale dell’integrazione all’interno dell’ambiente del Consiglio è stato svolto dal traineeships office. Sono state organizzate varie attività: riunioni, visite ad altre istituzioni europee e momenti di gruppo dove poter interagire. Ho stretto molte amicizie e sono in contatto con gli altri tirocinanti: ogni anno organizziamo un ritrovo a Bruxelles per rivederci tutti. Certamente questo tirocinio mi ha creato una rete di contatti con persone di molti Paesi diversi che sono sempre disponibili a darmi dei consigli professionali.Grazie a questo stage ho consolidato la mia padronanza dell’inglese e imparato altre lingue, tra cui lo spagnolo che di lì a poco mi sarebbe stato molto utile in Argentina. Nello stesso periodo in cui avevo fatto domanda per il tirocinio al Consiglio, infatti, avevo anche fatto richiesta di andare in overseas durante il secondo semestre del terzo anno universitario in Argentina, a Buenos Aires: un’opportunità offerta dal mio corso di studi. Finito lo stage al Consiglio sono tornato in Italia un paio di settimane, il tempo di ripartire alla volta del Sud America per sei mesi. Il mio corso di studi, infatti, dà la possibilità a sessanta studenti del terzo anno (trenta ogni sei mesi) di frequentare un semestre a Buenos Aires presso il campus Unibo in collaborazione con l’università locale UADE. L’università non dà alcun sostegno economico quindi ho dovuto coprire interamente i costi. Gli affitti in Argentina costano circa 300 euro al mese e la vita non è cara, spendevo circa 150-200 euro al mese. A parte però c’è il viaggio aereo tra 600 e mille euro. A Buenos Aires mi sono trasferito ai primi di febbraio del 2018 e ho seguito lezioni di spagnolo, imparato a Bruxelles, e partecipato a progetti con altre università locali: il più lungo durava tre mesi e abbiamo fatto un Business Plan per il lancio di una nuova azienda. All'inizio di luglio anche quel programma è finito e sono rientrato in Italia. Senza dimenticare i bellissimi luoghi come la Patagonia e le cascate Iquazu che sono riuscito a visitare anche grazie all’economicità del Paese. Tornato a Bologna ho dato gli ultimi esami e mi sono laureato. Subito dopo mi sono iscritto alla laurea magistrale in Business and Administration. Quest’ultimo semestre, causa Coronavirus, ho seguito tutti i corsi online e ho trovato molto comoda questa modalità, che credo dovrebbe rimanere anche post emergenza Covid. Il prossimo anno mi piacerebbe fare un altro stage all’estero per poi continuare a lavorare lì, e penso proprio che utilizzerò la Repubblica degli Stagisti per le prossime possibilità di tirocinio! Credo che il problema principale dello stage in Italia sia che viene ancora percepito dai datori di lavoro come un’occasione per far svolgere mansioni basilari a un bassissimo costo, senza insegnare nulla. All’estero, invece, hanno tutti voglia di insegnare e spiegare come svolgere il lavoro. Qui le aziende pensano che i tirocinanti debbano già saper fare il lavoro, dimenticando che sono lì per impararlo.L’esperienza di stage al Consiglio dell’Unione europea è stata una delle esperienze più belle che abbia mai fatto. Non è possibile, però, improvvisarsi ma è necessario prepararsi perché c’è tanta concorrenza. Per questo bisogna prima cercare di fare altre esperienze sia all’estero sia in Italia in ambito lavorativo, di volontariato, formativo. Quante più possibili per cercare di arricchire il proprio curriculum. Oltre ad avere una buona conoscenza dell’inglese. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Lavorare in Meta System? Significa non annoiarsi mai»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alessandro Rapiti, 27 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Meta System.Vengo dalla provincia di Viterbo e dopo la maturità mi sono iscritto alla laurea triennale in Economia presso l’università degli studi della Tuscia. Presa la laurea di primo livello, nel 2016, ho deciso di continuare con la specialistica in Marketing e Qualità, un bel mix tra analisi dei dati, management e qualcosa di psicologia, laureandomi nel febbraio dello scorso anno. Durante l’ultimo anno della specialistica ho partecipato al progetto Erasmus andando a vivere per sei mesi a Varsavia. Ero coperto da una borsa di studio di circa 400 euro al mese che è stata sufficiente per coprire tutte le spese in città: Varsavia è perfetta per gli studenti, ottima nei servizi pubblici, con molti eventi e attività e si spende veramente poco per qualsiasi cosa. Ho vissuto in un appartamento con due camere da letto, per tre mesi con un ragazzo tedesco e altri tre con un francese. Il complesso di appartamenti, infatti, era interamente affittato a studenti Erasmus ed ero l’unico italiano. Ho fatto tantissime amicizie in quel periodo: con alcuni di quei ragazzi sono ancora in contatto ed è già capitato di rivederci in gruppo.Sempre durante l’ultimo periodo universitario ho fatto uno stage di sei mesi dal luglio al dicembre 2018 presso Golden Moments, un’azienda inglese, nella città di Portsmouth. Le mie attività erano di gestione delle campagne pubblicitarie, analisi dei KPI e coordinamento di un gruppo di ragazzi per la creazione di nuovi prodotti. Ho trovato lo stage grazie alla mia università e il rimborso spese ricevuto è stato sufficiente per coprire tutte le spese. In queste città universitarie all’estero si vive bene, ci si diverte molto e sono esperienze che consiglio a tutti di fare almeno una volta nella vita.Entrambe le esperienze all’estero mi hanno consentito di migliorare il modo di relazionarmi con gli altri e consolidare l’inglese: due skills che a mio avviso sono fondamentali per entrare nel mondo del lavoro. Non penso, però, in futuro di trasferirmi all’estero: per vivere e lavorare, infatti, preferisco rimanere in Italia.Durante gli studi universitari ho avuto anche piccole esperienze di lavoro, tra queste la più importante in un ufficio di consulenza fiscale e contabile: non era una mansione prettamente inerente al mio percorso di studi, ma mi ha permesso di avere un’autonomia economica e di formarmi negli atteggiamenti.Non ho trovato grandi differenze tra gli stage svolti all’estero e quelli svolti in Italia: in entrambi finivo il pomeriggio dopo le cinque con uno spacco di un’ora per il pranzo, però certo erano diverse le responsabilità, correlate al fatto che fossero attività completamente diverse.Mentre stavo scrivendo la tesi di laurea ho iniziato a mandare curriculum in giro e dopo aver ricevuto alcune offerte, alcune serie e altre al limite della decenza, ho deciso di partecipare anche al Talent Day proposto da Meta System. Avevo scoperto questa iniziativa leggendone su Linkedin e oggi posso dire di aver fatto la scelta giusta!Al Talent Day partecipano di solito una quindicina di giovani già preselezionati che dopo la giornata con visita all’azienda e discussione di un caso con assessment di gruppo vengono ulteriormente selezionati. Sono rientrato tra i cinque giovani scelti quell’anno e ho così cominciato il tirocinio di sei mesi con un rimborso spese di 800 euro mensili. Era il marzo 2019 e mi sono dovuto, quindi, trasferire a Reggio Emilia. Non ho avuto grandi difficoltà e mi sono ambientato abbastanza bene con i colleghi. La particolarità del percorso iniziato con il Talent Day è quella di cambiare dipartimento ogni mese e mezzo, così in sei mesi sono passato per quality fornitori, logistica, pm, quality clienti. Tutti i ruoli sono stati interessanti e il percorso mi ha consentito di conoscere molti colleghi e il loro modo di lavorare.Abbiamo cominciato in cinque stagisti: l’ambiente di lavoro è stato ottimo fin dall’inizio, molto stimolante e con colleghi competenti, sempre disposti a darti una mano quando necessario. Siamo stati confermati tutti e cinque tramite apprendistato, cominciato nell’ottobre del 2019, con una Ral di circa 26mila euro. Questo percorso durerà due anni per poi trasformarsi in un rapporto a tempo indeterminato. Oggi ricopro il ruolo di Customer Quality Engineer e sono soddisfatto del mio percorso. In Meta System non ci si annoia mai: iniziare un percorso di stage qui significa mettersi subito in gioco, lavorare sodo e sentirsi una risorsa al pari degli altri.Da metà marzo, dopo il diffondersi dell'emergenza Coronavirus, anche il nostro lavoro si è dovuto adeguare a i nuovi tempi: così ho iniziato a lavorare in smart working, appunto da casa, ma fortunatamente ci sono molte attività da portare avanti lo stesso, quindi non è cambiato molto. Con il suo network la Repubblica degli Stagisti fa un valido lavoro perché consente di avere un’idea di chi ci invia le proposte di lavoro, evitando di perdere tempo e consentire, invece, di investire tempo e impegno in aziende che se lo meritano. Come quelle del suo network!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Contro il maschilismo sul lavoro serve caparbietà, e il coraggio di chiedere riconoscimenti

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Isabella De Biase, Insurance Operation Leader per Marsh, società di servizi professionali globale specializzata nell'intermediazione assicurativa e nella gestione dei rischi.Ho 47 anni, lavoro a Milano e vivo a Pavia, ma sono di origini calabresi. Dopo il liceo scientifico, ho studiato Economia aziendale all’Unical, l’università della Calabria, a Cosenza.Inizialmente volevo iscrivermi a Ingegneria gestionale, via di mezzo tra Ingegneria ed Economia. Mio padre era un po’ spaventato, in quanto considerava difficile il percorso e l’inserimento di una donna in un mondo al maschile. Allo stesso tempo in me era forte il desiderio di realizzarmi subito nel lavoro, quindi non faticò a convincermi. Il mio interesse era legato all’organizzazione aziendale, all’ambito concernente le soft skills, la formazione e lo sviluppo delle risorse umane e la gestione del cambiamento. Ho avuto la fortuna di avere dei docenti della Bocconi di Milano, che hanno portato molta innovazione nel nostro territorio e nella nostra università. Il problema poi è stato trovare una coerente applicazione di quanto avevamo studiato in termini pratici. Inizialmente ho supportato la mia relatrice nell’ambito della formazione universitaria, ma dopo un po’ lei mi disse che ero “un cavallo che scalpitava”. All’epoca l’ambiente universitario era molto politicizzato e con tempi molto lunghi di ingresso. Così lei, che aveva fatto esperienza in Accenture, mi indirizzò verso la consulenza, che mi avrebbe permesso di aggiungere consapevolezza su quello che avrei voluto fare da grande. Allora avevo bisogno di lavorare: ero la prima di tre figlie e mio padre era l’unico percettore di reddito. Grazie alla lettera referenziata della professoressa, fui contattata da EY, quindi decisi a malincuore di lasciare la mia terra per Milano. Iniziai a lavorare, dapprima con un contratto a tempo determinato e poi dopo 12 mesi indeterminato, nell’ambito dell’implementazione di sistemi ERP e di reingegnerizzazione dei processi. Un’esperienza molto formativa, grazie alla possibilità di vedere tante aziende e progetti diversi. Si lavorava dalle 10 alle 12 ore al giorno, ma per noi era una “palestra di vita”, visto che l’università non ti preparava al lavoro. L’azienda investiva molto sul training: full immersion d’inglese, sei mesi di formazione presso il Knowledge Center di EY a Dorking (UK) per apprendere le metodologie da utilizzare e fare esperienza trasversale con altri team EY europei.Dopo quasi tre anni in EY, mi è stata offerta la posizione di Senior Specialist in Zurich Financial Services, dove mi sono occupata di organizzazione e sviluppo del personale per altri tre anni. Quindi sono stata contattata da una società di head hunters, in quanto un ingegnere di Marsh era alla ricerca di persone con le mie competenze e con esperienza in ambito consulenziale. I colloqui sono durati quasi un anno, anche perché inizialmente cercavano... un uomo! Venni finalmente convocata e all'inizio di marzo del 2003 mi assunsero con contratto a tempo indeterminato con sei mesi di prova: avevo 29 anni e una qualifica di quadro. L’idea era fare 3-5 anni e cambiare per un settore diverso dall’Insurance... invece dopo diciassette anni sono ancora qui. Pur rimanendo nella stessa azienda, si sono avvicendati modelli organizzativi completamente diversi e non mi sono mai annoiata. Dapprima mi sono occupata di Organization, poi di un progetto di creazione funzione Operations, per il quale siamo diventati case study per altri paesi a livello europeo. Oggi sono Insurance Operation Leader per l’Italia e ho trentacinque persone sotto la mia responsabilità. Un team quasi completamente al femminile, con soli cinque uomini, con un’età media di trentasette anni e molto dinamico e trasversale, in quanto supporta le varie linee di business e i ruoli sono interscambiabili. La nostra attività è di back office (gestione amministrativa-contabile delle polizze assicurative, reminder e sollecito pagamenti e attività operative a supporto del business), e i nostri interlocutori sono: team di business, aziende e compagnie, con cui ci interfacciamo per la gestione documentale delle polizze e dei pagamenti.In questi anni ho avuto la possibilità di essere una professionista, ma anche di diventare mamma di tre bambini, che oggi hanno dodici, undici e sei anni. E non sono mai stata né penalizzata né tantomeno bloccata da questo, anzi le sfide a ogni maternità diventavano più alte. Considero Marsh come la mia seconda casa e le ricambio la fiducia in me riposta dando il massimo. Mi ha permesso di raggiungere un equilibrio che mi consente di essere una persona serena sia da un punto di vista professionale che personale. Equilibrio che è il mio asse vitale e che cerco di riportare anche nel mio team.  Nei primi anni di percorso lavorativo ho dovuto constatare che era difficile imporsi: soprattutto quando  penso ai meeting, in qualità di consulente, giovane e donna. Ma le mie origini calabresi mi hanno ben supportata nel mio percorso: ho la “testa dura” e  questa caparbietà è diventata con il tempo resilienza, consentendomi di trasformare le minacce in opportunità. Anche la retribuzione inizialmente non era equiparabile a quella di un collega maschio, ma non me ne sono mai curata: mi interessava solo che il lavoro continuasse a farmi sentire viva, a farmi svegliare con il piacere di andare a lavorare. Una pecca delle donne è che non chiedono mai: quello che mi è stato dato è stato sempre per riconoscimento interno. Oggi le cose sono molto cambiate: il nuovo management spinge verso una  leadership al femminile.  Il  concetto di Diversity & Inclusion è molto sentito e praticato attraverso la creazione di un ambiente di lavoro con pari opportunità dove persone di ogni età, genere e background culturale sono coinvolte nel processo decisionale.Nella mia esperienza quello che posso confermare è che noi donne siamo molto orientate al conseguimento degli obiettivi, anche se poi nel corso della carriera può intervenire un rallentamento, riscontrando difficoltà nella crescita professionale a causa delle problematiche relative alla gestione degli impegni familiari e professionali. È opportuno, allora, chiedersi quali siano i fattori che incidono su questi aspetti, ma anche cosa si può fare per superare gli elementi che ostacolano le pari opportunità relative al genere. Anche perché le donne sono costrette a scegliere ancora tra il sogno di costruire una famiglia e il desiderio di fare carriera. Le aziende hanno un ruolo fondamentale nel creare condizioni favorevoli affinché i dipendenti possano avere la serenità mentale che consenta loro di essere realmente produttivi. Per fortuna strumenti e condizioni di flessibilità fanno parte del nostro modello culturale-aziendale:  la pratica dello smart working, inserita da tempo in azienda, ha fatto sì che l’emergenza Covid-19 non ci cogliesse impreparati, anzi. Tutti eravamo dotati di portatili e lavorare con modalità di gestione per obiettivi è sempre stato il nostro mantra: le performance non hanno subito il minimo declino. Marsh è un’azienda in cui ruoli e competenze sono legati a un sistema di meritocrazia che rappresenta uno dei fattori critici di successo. Le lauree ricercate vanno da Economia a Giurisprudenza, passando per Ingegneria gestionale, ambientale e civile, in quanto si spazia tra moltissimi ambiti: attività di vendita e di sviluppo commerciale, gestione tecnica a supporto del cliente, analisi e mappatura dei rischi e implementazione di soluzioni atte a contenerli.La mia ambizione? Visto il mio amore iniziale per l’ambito soft skills, il mio sogno nel cassetto è diventare HR manager, coniugando gli aspetti della selezione, della gestione della formazione e dello sviluppo della competenza. Le donne che mi hanno ispirato? Nel mio sistema familiare sicuramente mia madre: una donna molto tenace e forte, che ha sempre considerato l’istruzione e l’umiltà come i “driver” che permettono di distinguersi nella vita e sul lavoro. Invece, pensando all’ambiente lavorativo, mi vengono in mente Donne con la D maiuscola come Alessandra Giacoma Bottalat, che è Risk Incoming Director.Alle ragazze e ai ragazzi dico di non avere fretta volendo conseguire nel breve un certo ruolo senza pensare di costruire prima un percorso di competenza. A volte manca la sana umiltà di affrontare le attività a tutto tondo. Il che non vuol dire non avere ambizione, ma accompagnarla con sana curiosità. Provare tutto, per avere sempre più un bagaglio culturale che possa sviluppare la flessibilità di commisurarsi in maniera diversa a seconda dell’occasione. Occorre avere tanta buona volontà, guardarsi intorno e avere l’ambizione di crescere in maniera costruttiva, sempre. Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

“Mamma, moglie e manager: mai avuto pentimenti, anche quando ho dovuto stringere i denti”

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente maschile; o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Maria Caterina Chiesa, responsabile degli uffici di Genova e di Firenze per Marsh, società di servizi professionali globale specializzata nell'intermediazione assicurativa e nella gestione dei rischi.Ho 55 anni e sono nata a Genova ma vivo a Chiavari, godendo dei vantaggi della "provincialità". Dopo la maturità classica, ho iniziato la mia carriera come imprenditrice nell'azienda di famiglia, un'impresa di costruzione di cantieri navali. Un'esperienza a largo spettro, che mi ha aiutato tanto nel mio percorso, perché ho iniziato molto giovane ad avere responsabilità. Mi sono avvicinata al brokeraggio in quanto avevamo costituito, con altri soci, una piccola società, di cui dapprima eravamo in possesso del 50% e poi del 100%. Quindi la piccola società è stata assorbita da una società media, di cui abbiamo acquisito una minoranza, poi venduta. Infine sono entrata in Marsh, dove ancora oggi lavoro. Dopo il liceo mi ero iscritta a Giurisprudenza, sostenendo alcuni esami, ma un giorno mio padre mi disse di scegliere, perché non sarei riuscita a portare avanti entrambi i percorsi: non ho rimpianti.In Marsh sono entrata in Enti pubblici a Genova, da  lì sono diventata Office Manager dell'ufficio di Genova e recentemente responsabile anche di quello di Firenze, oltre che Senior Vice President Industry leader Sanità Pubblica a livello nazionale. Il mio lavoro mi porta a viaggiare molto, infatti durante il lockdown mi sono "riposata". Attualmente lavoro da remoto e vado solo dai clienti. Negli uffici lavora al momento solo il 20% del personale, che potrebbe passare a breve al 40%. La mia attività manageriale, con la responsabilità di due team, per un totale di sedici persone mediamente giovani, consiste nello sviluppo di new business e la gestione dei clienti e delle risorse. Questo mi porta a dover dare l'esempio, fare sempre di più degli altri, essere propositiva e mettermi sempre in discussione, accettare la critica, la forza contraria per coinvolgerla in un confronto positivo. Inoltre sono alla fine del terzo mandato come Presidente della Sezione Finanza ed Assicurazioni di Confindustria Genova. Quest'esperienza mi ha aiutato a creare relazioni con il mondo dell'imprenditoria, arricchendo il mio lavoro.Nonostante i tanti impegni, la conciliazione tra vita privata e lavorativa non è mai stata un problema. Ho tre figli: un maschio di 29 anni, giornalista, e due femmine di 25 anni, medico, e di 16 anni, studentessa alla scuola internazionale. Mi sento fortunata perché sono una mamma e una moglie che è riuscita ad avere una carriera soddisfacente. Mio marito è medico primario e siamo entrambi molto impegnati, ma abbiamo potuto contare sul supporto familiare, pur convinti che l'imprinting di una madre e di un padre siano imprescindibili. Anche se ho dovuto togliere del tempo a me stessa, non è mai stato per me un sacrificio. Né ho mai avuto pentimenti, anche quando ho dovuto stringere i denti: ho il dono di credere e questo particolare modo di vivere la vita mi ha sempre aiutato, così come la mia grande determinazione. Inoltre sono crescita in una famiglia con valori saldi di etica, correttezza, dedizione al lavoro.Anche nel momento storico difficile che stiamo attraversando, ho capito che da ogni situazione negativa derivano opportunità. Ad esempio per me sono scaturite opportunità che cercavo di raggiungere da tempo. Certo la crisi e la contrazione sono sotto gli occhi di tutti, ma questa situazione ci ha permesso di imparare un nuovo modo di lavorare, che può implementare le nostre attività. Fermo restando che per negoziare e chiudere i deal è necessario vedersi, pertanto sono una fautrice del tornare in ufficio. In questo periodo, mi sono sentita ancora più orgogliosa di lavorare in Marsh, perché ha aiutato in maniera concreta tutti i miei colleghi, tutelandone prima di tutto la salute e venendo incontro a tutti in maniera esemplare, senza alcuna ripercussione negativa.Il mio sogno è sempre stato quello di gioire nel vedere nascere qualcosa, che fosse un'idea o un progetto: realizzare cose in cui credevo. L'aspettativa per il futuro è sempre quella di crescere. Sulla mia scrivania non ho mai messo una foto della mia famiglia: credo che il senso di precarietà sia il succo della vita. Non bisogna mai credersi affermati e sicuri, pur affrontando la vita lavorativa pacificamente. Questo, a mio avviso, è il segreto per approcciare tutte le situazioni in maniera corretta e opportuna.Quello che più mi ha aiutato nel mio percorso è stata la curiosità, l'imprenditorialità, la voglia di mettermi in gioco. Ai giovani consiglio di osare e al contempo di riflettere sulle azioni da intraprendere, di avere passione e di essere pronti a modificare le proprie azioni quando sia chirurgicamente necessario. Io credo tanto nei giovani, che sono molto più veloci nella capacità di informatizzare e hanno tanti strumenti che li possono avvantaggiare tra cui creatività, adattamento, sacrificio. Oggi una buona scelta può essere quella di specializzarsi in ambito di new business, nella conoscenza dei mercati emergenti, nella gestione del rischio, nella gestione della crisi, nella cyber security e nella finanza. Mai come in questo momento, i mercati stanno subendo forti ripercussioni e servono giovani professionisti che studino e approfondiscano queste tematiche. Una nuova era è iniziata e necessita di fantasia lavorativa, entusiasmo e determinazione!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

“Poi è arrivato il lockdown, ed è cambiato tutto”: un 25enne racconta la sua laurea e il suo primo lavoro... da casa

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Filippo Barzaghi, 25 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Prometeia.Ho sempre avuto una forte passione per le materie tecnico-scientifiche, motivo per cui ho scelto prima il liceo scientifico e poi una laurea in Ingegneria. Durante la scuola superiore ho dato ripetizione di matematica per guadagnare qualcosina ed essere indipendente economicamente e fino allo scorso anno ho giocato agonisticamente a calcio, poi purtroppo non riuscendo a conciliarlo con il lavoro ho dovuto mollare. Credo che aver praticato uno sport di squadra sia stato fondamentale per la mia crescita personale: il calcio è una scuola di vita e mi ha insegnato molte dinamiche tipiche del lavorare in team oltre ad aiutarmi a potenziare le mie soft skills.La mia prima esperienza all’estero è del 2012, quando ero ancora alle superiori, e grazie al progetto Estate INPSieme, erogato dall’Inps, ho passato due settimane a Warwick, nel Regno Unito. Era un progetto di potenziamento della lingua inglese che cosentiva ai giovani tramite una borsa di studio di partecipare a una vacanza studio. Il programma comprendeva alloggio e pasti, per cui le spese sono state minime.Nel settembre del 2014 ho cominciato il mio percorso universitario al Politecnico di Milano, scegliendo la laurea triennale in Ingegneria Gestionale che ho conseguito nel settembre del 2017. A quel punto ho deciso di continuare gli studi con la magistrale dello stesso indirizzo. Grazie all’iscrizione al Politecnico ho potuto in questa seconda fase svolgere ben due semestri di studio all’estero. Ad aprile dell'anno successivo infatti, contemporaneamente al corso universitario mi sono iscritto al Master QTEM, Quantitative Techniques for Economics and Management, un programma valido solo per gli studenti della facoltà di Ingegneria gestionale a cui il Politecnico di Milano aveva appena aderito. È un network che riunisce studenti talentuosi da diversi atenei che possono quindi svolgere due semestri di studio all’estero beneficiando di un network di aziende partner. La selezione si è basata inizialmente solo sui risultati accademici degli studenti di Ingegneria gestionale. Superata questa prima fase ho dovuto sostenere come requisito obbligatorio il GMAT, Graduate Management Admission Test [un test per determinare l'attitudine personale agli studi aziendali a livello universitario e post-universitario, ndr]. Grazie a questo master ho svolto parte del secondo anno, dal luglio al dicembre del 2018, a Melbourne in Australia e il terzo anno, da settembre a maggio del 2019 a Montreal, in Canada. In pratica ho svolto all’estero l’anno che avrei dovuto seguire al Politecnico e ho potuto conseguire contemporaneamente al diploma di laurea magistrale anche il master. Visto che è un progetto di cui fa parte la mia università non ho dovuto pagare nulla per partecipare al di fuori di vitto e alloggio e in entrambi i casi ho ricevuto una borsa di studio mensile di circa 340 euro. In Australia ho vissuto insieme ad altri due studenti italiani del Politecnico che sono partiti nell’ambito dello stesso programma: l’affitto era pari a 440 euro al mese. Siamo stati fortunati perché di solito i costi sono ben più alti. In Canada, invece, ho voluto provare un’esperienza diversa così sono andato a vivere con studenti non italiani. Ero in un appartamento con altri quattro ragazzi, tre americani e un canadese, e pagavo circa 440 euro al mese di affitto. Ma anche in questo caso i costi sono solitamente più alti. In entrambe le esperienze le principali differenze che ho trovato rispetto all’università italiana sono sia nella modalità di insegnamento, con classi più piccole e di conseguenza una partecipazione attiva degli studenti, sia nella valutazione, con buona parte del voto finale che si basa su lavori di gruppo e progetti fatti durante il semestre. Mi sono trovato molto bene in entrambi i paesi e le due culture mi hanno sorpreso positivamente per disponibilità e apertura mentale delle persone. Ambientarsi è stato facile e anche qui il calcio ha avuto la sua parte! Sia in Australia sia in Canada sono entrato a far parte di una squadra di soccer e questo mi ha permesso di conoscere ancora di più la cultura e fare amicizie. In futuro mi piacerebbe tornare in questi due paesi: la loro mentalità e modo di vivere in maniera spensierata rispecchia molto i miei ideali. Tornato in Italia mi sono messo a completare gli studi e a lavorare sulla tesi. Nel frattempo, durante l’estate dello scorso anno, ho partecipato al Career Day organizzato dal Politecnico. Stavo cercando un’esperienza lavorativa perché non volevo chiudere il mio percorso universitario senza aver mai fatto un’esperienza sul campo. Alla fine mi sono candidato per uno stage di sei mesi presso Prometeia e nel giro di una/due settimane sono stato contattato per un primo colloquio conoscitivo. A questo sono seguiti altri due colloqui, più tecnici, con il partner e il senior manager. Finiti i tre colloqui pensavo di cominciare lo stage e, invece, sono stato ricontattato dall’Hr che mi ha proposto direttamente un contratto di apprendistato di tre anni. Entusiasta per la proposta ho subito accettato e cominciato questo cammino. La proposta era di una Ral che ammonta a 25mila euro lordi annui, più una parte variabile fino al 30 per cento della retribuzione in base alla performance, buoni pasto del valore di 100 euro al mese e benefit aziendale che si aggira sui mille euro. Ho cominciato la mia prima esperienza lavorativa il 10 ottobre dell'anno scorso, pochi mesi prima che tutto fosse chiuso causa Covid. Ricordo bene il mio primo giorno di lavoro in azienda: avevo l’adrenalina a mille, con le stesse sensazioni dei primi giorni di scuola. I miei colleghi sono stati subito molto disponibili e l’ambiente mi è parso familiare. Credo questo abbia facilitato il mio inserimento: riuscire a entrare sin da subito nei meccanismi di un team positivamente è sempre merito dei tuoi compagni di squadra. In Prometeia sono entrato come Junior Consultant, ma in questi mesi ho fatto esperienza su diversi fronti. La cosa più positiva ad oggi è avere mansioni diverse e non ripetitive: ogni giorno sei alle prese con varie attività: ho supportato il project manager nello sviluppo operativo dei tasks, steso dei requisiti business per il cliente, redatto analisi funzionali, testato software e gestito processi bancari. Giornate piene che iniziano tra le 8.30-9.30 del mattino e vanno avanti fino alle 19.30.Poi è arrivato il lockdown ed è cambiato tutto. Non solo abbiamo iniziato a lavorare in smartworking, ma anche la mia fase finale di studio pre laurea è stata a distanza! Lavorare da casa mi ha sicuramente consentito di essere più concentrato sulla tesi. Quando la sera finivo di lavorare mi concentravo sulla stesura e il fine settimana non poter uscire causa lockdown mi ha permesso di passare il tempo libero scrivendo! È stata un’esperienza provante ma sicuramente gratificante. La mia relatrice è stata sempre disponibile a organizzare incontri via Skype per monitorare la stesura del testo. Ad aprile, il giorno della laurea: sembrava uno come tanti, l’ho vissuto con molta serenità. Ero nella casa a Milano che ho preso in affitto insieme alla mia fidanzata, quindi lei era l’unica persona presente fisicamente nella stanza durante la discussione. Ma famiglia e parenti erano collegati in remoto tramite un link che l’università ci ha permesso di condividere con i parenti più stretti. Mi piace pensare che questa modalità atipica di laurearmi mi distingua e mi dia la possibilità di poter raccontare ai miei figli, in futuro, questa esperienza con un pizzico di orgoglio. È stata una laurea diversa da quella di primo livello, principalmente è mancata la possibilità di festeggiare fisicamente con famiglia, amici e parenti. Ma la mia università ha deciso di organizzare una cerimonia di proclamazione quando l’ergenza sarà conclusa: avrò così modo di festeggiare per bene con tutti.Intanto sto continuando a lavorare da remoto, ormai da febbraio. I mesi passati da ottobre all’inizio dello smart working mi hanno dato la possibilità di costurirmi una base solida grazie a cui ho potuto lavorare con più autonomia. Credo che Prometeia abbia gestito al meglio questa situazione di emergenza: la comunicazione è sempre stata ineccepibile e pur lavorando da remoto ho continuato a interagire costantemente con il mio team. Questa modalità consente più flessibilità e una maggiore gestione del proprio tempo però, certo, riduce i contatti umani. Sotto questo punto di vista ho risentito dell’impossibilità di entrare in contatto fisicamente con il mio team. Penso che in futuro un compromesso tra lavoro in ufficio e da remoto possa essere la soluzione migliore, che giova sia al dipendente sia all’azienda. Sono contento della scelta fatta e di aver puntato sulla consulenza  e in futuro mi piacerebbe provare anche l’esperienza lavorativa all’estero.Non sono passato attraverso uno stage, ma conosco i problemi, vedendoli nei miei amici. Il principale è il rimborso spese: vedere ripagati anni di sacrifici con rimborsi spesso bassi non è un incentivo per giovani laureati. E poi spesso non sono finalizzati all’assunzione. In questo senso credo che la Carta dei diritti dello stagista sia un ottimo strumento per mettere in evidenza i diritti dei giovani neolaureati, spesso trascurati, e i doveri delle aziende. Credo che proprio per questo dovrebbe essere sponsorizzata di più dalle università.Scegliere il mondo della consulenza significa fare dei sacrifici e a chi volesse intraprenderlo consiglio di seguire corsi di formazione e tenersi aggiornati costantemente per padroneggiare le conoscenze di propria competenza e crearsi un network. E non perdere il contatto con la realtà: perché il lavoro è importante ma la vita e l’aspetto sociale contano di più. Marianna Lepore

Veneta e cittadina del mondo: “Lo stage alla Corte di Giustizia dell'Ue, la mia sesta esperienza all'estero”

La Corte di Giustizia dell'Unione europea offre ogni anno una cinquantina di posti per tirocinanti europei laureati in giurisprudenza o scienze politiche, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. L'avvio degli stage per chi farà domanda (entro il 15 settembre) e verrà selezionato è previsto per marzo 2021. Sara Marpino, 25 anni, ha partecipato al progetto quest’anno e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza in Lussemburgo.Il mio primo contatto con l’estero è cominciato nell’agosto 2012 quando ho lasciato il liceo scientifico che stavo frequentando a Portogruaro, in provincia di Venezia, per partire alla volta del Canada e frequentare il quarto anno delle superiori grazie a una borsa studio di Intercultura. È stata un’esperienza davvero “life-changing” perché, oltre a imparare il francese e migliorare l’inglese, ho capito quanto l’uscire dalla mia zona di comfort mi facesse crescere a velocità accelerata. Avevo conosciuto Intercultura tre anni prima, quando mio fratello era partito per tre mesi in Belgio. Non ho pagato nulla perché ho ottenuto una borsa di studio totale: vivevo in una famiglia canadese che è diventata per me una vera e propria seconda famiglia con cui sono tuttora in contatto. Preso il diploma sono tornata in Italia dove ho frequentato l’ultimo anno di liceo concluso a luglio 2014 e ho iniziato a essere volontaria per l’associazione.L’esperienza in Canada credo sia stata la più formativa tra le tante che avrei poi fatto all’estero negli anni seguenti. È stata la più lunga, la prima da sola all’estero e vista la mia giovane età ero molto più flessibile e meravigliata dalle differenze. Mi sono poi iscritta alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Trieste, andando a vivere in un appartamento con un’amica e compagna di studi. All’inizio ero indecisa tra Giurisprudenza e Scuola interpreti, vista la mia grande passione per le lingue. Oggi credo di aver fatto la scelta migliore, essendo riuscita ad imparare per conto mio il francese, l’inglese, lo spagnolo e un po’ di portoghese. A Trieste mi sono trovata bene da subito e fatto fronte a tutte le spese grazie a una borsa di studio dell’università. Ho sempre puntato a mantenere un buon equilibrio tra esami, vita sociale e sport – gioco da sempre a basket – cercando di organizzarmi al meglio con gli esami per trovare il tempo di fare delle esperienze internazionali. Ho partecipato, nel 2015, al programma Erasmus + “Youth mobility againts crisis” in Polonia. Si tratta di un programma breve, di dieci giorni, a cui partecipano una trentina di ragazzi di nazionalità diverse e in cui si alternano attività teorica a lavori di gruppo e workshop. Ho pagato una quota di 100 euro – tutto il resto, volo, vitto e alloggio, era incluso. Durante il secondo anno di università sono poi partita per uno stage senza rimborso spese in uno studio legale in Argentina: volevo imparare lo spagnolo e allo stesso tempo iniziare a conoscere l’atmosfera del mondo del lavoro. Lo stage non era organizzato dall’università. Ho contattato, tramite un amico argentino che mi ha ospitato durante il mio soggiorno, la scuola di lingue e lo studio legale. Tutto è durato solo qualche settimana perché ho finito gli esami a fine luglio e i corsi ricominciavano a metà settembre.La passione per l’estero è continuata, così il quinto anno di università sono partita per l’Erasmus in Portogallo, dove ho superato gli esami “a scelta” compresi nel mio programma di studi. Sono rimasta a Porto per quasi cinque mesi e l’inserimento è stato molto facile perché c’erano molti altri studenti Erasmus come me. L’università mi dava una borsa di studio di circa 200 euro al mese, che però non bastavano nemmeno a coprire l’affitto  – che di 350! Mi sono poi laureata a luglio 2019 con 110 e lode.Con un titolo di studio finito avevo voglia di fare una prima esperienza professionale, anche questa volta all’estero. Mi sarebbe piaciuto tornare in Canada per migliorare inglese e francese contemporaneamente: così ho fatto uno stage di tre mesi nella sede centrale di AFS Canada, a Montreal, dall’ottobre al dicembre 2019. Ho contattato direttamente la vicepresidente di AFS Canada, chiedendole se ci fossero delle possibilità per stagisti. Mi occupavo, con altre due colleghe, dell’evoluzione di un nuovo progetto ed avevo compiti molto diversi: dalla logistica, al controllo dei dossier, al contatto diretto con i candidati. Avevo un rimborso spese di 300 dollari al mese più le spese di trasporto. Tornata in Italia ho cominciato la pratica forense in uno studio legale in provincia di Pordenone. Ma è durato solo due mesi perché poi sono partita nuovamente per lo stage alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo, iniziato il primo marzo. Non era l’unica istituzione europea per cui avevo fatto domanda: nel settembre 2019, infatti, avevo fatto varie application senza crearmi troppe illusioni. Lo stage all’Unione europea è sempre stato un sogno per me. Ho saputo di essere stata selezionata quando ero in ufficio, in Canada e ricordo ancora di aver pianto dalla felicità con la mia collega, che era ormai diventata una grande amica. Ho da subito cercato una camera in Lussemburgo, per evitare di dovermi trovare a pagare prezzi esagerati. Abito con altri nove ragazzi, stagisti o lavoratori, tutti maschi, che ormai sono diventati una famiglia per me. Pago 750 euro al mese, quindi i 1177 euro di rimborso spese della Corte mi permettono di pagarmi vitto e alloggio, anche perché i trasporti pubblici sono gratuiti in tutta la nazione. Il primo giorno alla Corte ero emozionatissima: l’edifico era bellissimo, imponente e brillante. Il mio ufficio, con tanto di targhetta con il mio nome e la dicitura “giurista linguista”, si trovava al diciassettesimo piano della torre C. Alla Corte si respira Europa, si sentono parlare 5-6 lingue diverse ogni giorno e tutti, dagli stagisti, alle guardie, ai capi, sono davvero disponibili. Lavoro nell’Unità di Traduzione Giuridica Italiana e mi occupo quindi di traduzione giuridica, che richiede comunque un previo lavoro di ricerca, dalle varie lingue all’italiano. Lo stage di quest’anno è stato sicuramente diverso dal solito. Purtroppo, dopo poche settimane dall’inizio, la Corte è stata chiusa a causa del Covid 19, e mi sono trovata a lavorare in smart internshipping. Il tirocinio continua a distanza anche ora che in Lussemburgo è tornato tutto alla normalità, a parte l’uso obbligatorio delle mascherine. La Corte, infatti, ha deciso che noi stagisti non torneremo più in ufficio prima della fine del tirocinio. Ovviamente da casa non è stato possibile fare tutto esattamente come prima, non avendo accesso agli stessi programmi. Ma i colleghi dell’Unità italiana hanno sempre cercato di fare in modo che potessimo lavorare al meglio delle nostre possibilità. Per fortuna avevo fatto in tempo a farmi dei buoni amici tra gli stagisti: si era, infatti, già creata una bella compagnia composta per lo più da italiani, francesi e belgi. Siamo rimasti in contatto durante la quarantena, e, non appena è stato possibile, abbiamo ricominciato a frequentarci. Da quando sono in Lussemburgo mi sono resa conto di quanto qui le opportunità siano maggiori e le condizioni di lavoro nettamente migliori. Per questo ho deciso che tra pochi giorni – una volta terminato lo stage, il 31 luglio – resterò a lavorare qui. Credo che il problema degli stage in Italia sia che gli stagisti sono considerati, anche quando lavorano a tempo pieno e sono ampiamente qualificati, lavoratori di serie B. Ritengo avvilente che i giovani italiani debbano lavorare per anni accontentandosi di rimborsi spese. Con un sistema universitario brillante come il nostro è davvero triste che anche i migliori studenti si sentano costretti ad andare all’estero per vedere le proprie fatiche ripagate. È indubbio che gli stage permettano di “farsi le ossa” e acquisire preziose competenze, ma non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia che li possa sostenere economicamente per anni. Qui, per esempio, il governo “aiuta” chi ha stipendi bassi. Se il tuo affitto è più del 25% del tuo stipendio, hai diritto a dei sussidi. È evidente che la situazione economica italiana è diversa da quella di molti stati europei, ma non per questo è giusto che a rimetterci debbano essere i giovani che cercano di farsi spazio nel mondo del lavoro. Se questa è la situazione in Italia, non ci si può poi lamentare della “fuga dei cervelli”. Amo il mio Paese e se potessi ci resterei volentieri ma purtroppo, per ora, non mi pare un’alternativa valida.Ai ragazzi italiani, soprattutto ai laureati in giurisprudenza, consiglio fortemente di candidarsi per uno stage nelle istituzioni europee: è un’esperienza estremamente appagante, che permette di aprire gli occhi sulla realtà del mondo del lavoro all’estero. E per avere più chance di passare la selezione consiglio di imparare il francese che è essenziale insieme a qualche altra lingua, di fare più esperienze internazionali e magari scegliere tra gli esami opzionali quelli di diritto dell’Unione europea.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore