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JPO Programme, 30 dicembre ultima chiamata: stipendio base 47mila dollari all'anno

Il 30 dicembre è l’ultimo giorno utile per candidarsi il programma JPO, Giovani Funzionari delle Organizzazioni Internazionali, organizzato dalla Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo e curato dal dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UN/Desa).Il JPO offre a giovani italiani nati il o dopo il primo gennaio 1990 (1989 per i laureati in Medicina e Chirurgia e 1988 per quelli in Medicina già in possesso di laurea specialistica), con conoscenza fluente della lingua inglese e laurea magistrale, triennale con un mater o specialistica a ciclo unico la possibilità di effettuare un’esperienza professionale di due anni nelle organizzazioni internazionali. Anche in questa edizione, come già previsto lo scorso anno, un numero limitato di posizioni è riservato a candidati provenienti da alcuni paesi in via di sviluppo (“Least Developed Countries” e paesi prioritari per la cooperazione allo sviluppo italiana), il cui elenco e requisiti per fare domanda sono riportati sul sito www.undesa.it. Non è noto il numero preciso delle posizioni disponibili, ma dovrebbero essere una quarantina: i partecipanti all’edizione 2020-2021 sono stati 42 e della 2019-2020 41, un numero più o meno in linea con quello delle edizioni precedenti. Dall’edizione 2010 all’ultima l’età media dei candidati selezionati si è attestata sui 28 anni e mezzo.La candidatura può essere inoltrata solo online sempre attraverso il sito www.undesa.it. Per avere ulteriori informazioni su come presentare la domanda, sono stati organizzati dei webinar rivolti ai candidati.I candidati selezionati otterranno un contratto di due anni come staff delle Nazioni Unite. I JPO vengono reclutati al livello P2 della categoria dei funzionari - P2/1 il primo anno e P2/2 il secondo anno, con un salario base di circa 47mila dollari l’anno. Il contratto comprende, come nelle precedenti edizioni, oltre al salario, un “post adjustment”, cioè un adeguamento, che varia a seconda del paese di assegnazione, l'assicurazione medica, i contributi pensionistici ed altre indennità.La prima valutazione delle candidature è svolta dall'Ufficio UN/Desa di Roma e porta all’individuazione di 12-15 potenziali candidati per ciascuna posizione JPO. Una Commissione delle Nazioni Unite composta da esperti delle risorse umane del Segretariato delle Nazioni Unite a New York effettua poi una seconda valutazione, portando a otto la lista per ciascuna posizione.L'ultima fase della selezione è chiusa dai rappresentanti delle organizzazioni internazionali a cui verranno assegnati i candidati JPO vincitori, che vengono contattati entro il mese di agosto prima di iniziare un periodo di formazione previsto per settembre-ottobre. L'elenco finale dei candidati selezionati viene pubblicato sul sito web dell'UN/DESA al termine dell’iter di selezione.All'interno del sito è presente una  “Notice to Applicants” in cui viene specificato che “The United Nations does not Charge a fee at any stage of the recruitment process (application, interview meeting, processing, training or any other fees)”. Questo avviso rappresenta ormai una prassi consolidata: per evitare che i candidati possano essere vittime di truffe online l'Organizzazione delle Nazioni Unite ritiene utile specificare di non addebitare, per policy, alcuna commissione in nessuna fase del processo di reclutamento.Consultando le FAQ presenti sul sito è presente un esempio di qualifiche, esperienza e lingue richieste da un'organizzazione internazionale per una posizione JPO su politiche e programmi per l'occupazione giovanile. Dal punto di vista della formazione sono citate lauree in economia, sviluppo internazionale, studi sul mercato del lavoro, scienze politiche, sociologia, studi sullo sviluppo. Per quanto riguarda l’esperienza sono richiesti almeno due anni. Titolo preferenziale è considerata l'esperienza pregressa nella gestione, monitoraggio e valutazione di progetti/programmi, in particolare nei paesi in via di sviluppo, nonché nel mondo delle Nazioni Unite. Un altro punto affrontato nelle FAQ riguarda il corso preparatorio organizzato dalle Nazioni Unite: «Prima del reclutamento ufficiale, tutti i candidati selezionati devono partecipare a un corso introduttivo obbligatorio organizzato dall'United Nations System Staff College. A loro si uniranno i candidati selezionati dai programmi JPO finanziati da altri paesi donatori. Tutte le spese relative alla frequenza del corso introduttivo saranno a carico del governo donatore tramite UN/Desa. Il corso formerà i partecipanti su una varietà di argomenti tra cui questioni emergenti nell'agenda internazionale, coerenza ed efficacia degli aiuti, situazione e analisi dei conflitti, negoziati, questioni di sicurezza, capacità di comunicazione, lavoro di squadra e collaborazione, gestione della conoscenza e gestione basata sui risultati».Chiara Del Priore

Cosa vuoi fare da grande? Gli Edenmania lo raccontano in rock

C’è chi voleva fare l’archeologa e si è ritrovata fundraiser: anziché scavare in cerca di reperti antichi, oggi scava nella generosità di persone e aziende per finanziare progetti. Chi si immaginava rockstar, e oggi per lavoro in effetti tiene ogni giorno un microfono in mano, ma per fare il conduttore in radio. Chi sognava la tuta d’astronauta e oggi fa la farmacista. Esperte di mercato del lavoro che a dieci anni annunciavano che avrebbero fatto le investigatrici, allenatori di scherma che si figuravano sindaci della città (ma per questo sogno, chissà, magari c’è ancora tempo!).E poi, perché no, ci sono quelli che il mestiere che avrebbero fatto da grandi lo avevano imbroccato già da piccoli: attori, giornalisti sportivi, maestri.La sempreverde domanda “Cosa vuoi fare da grande?” è diventata oggi il fulcro attorno cui ruota una canzone – “Da Grande”, appunto: qui su Spotify – di un gruppo rock italiano formato da tre quarantenni che da grandi, indovinate un po’, volevano fare i musicisti. Poi la vita come sempre accade è stata imprevedibile: Giulio Xhaët, voce e chitarra del trio, oggi lavora come consulente focalizzandosi sulle tematiche digital; Fabio Zorio, alla batteria, è un professionista freelance; e Rodolfo Sogno, al basso e seconda voce, è un imprenditore nell’azienda di famiglia, ramo Costruzioni. A vent’anni avevano fondato un gruppo musicale, gli Ubik, per poi scioglierlo nel 2009 e andare ciascuno per la propria strada. Ma nessuno dei tre ha mai abbandonato completamente la musica; e quindi, complice il momento di “pausa forzata” della pandemia, nel 2021 hanno deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo e riunire il gruppo, ribattezzandolo Edenmania. Così hanno cominciato a buttar giù canzoni, con un obiettivo: raccontare la vita dei trenta-quarantenni di oggi, “il loro contemporaneo”: aspirazioni, passioni, difficoltà.«Proprio il giorno del mio quarantesimo compleanno abbiamo lanciato una chiamata sui social, invitando i nostri contatti a girarci foto e video di loro da bambini e chiedendo cosa volevano fare da grandi quand’erano piccoli» racconta Xhaët alla Repubblica degli Stagisti: «Hanno risposto in tanti con entusiasmo. Persone di tutte le età, amici, conoscenti e follower, dall’Italia e qualcuno anche dall’estero».Risultato: il video della canzone – online da pochi giorni – è una carrellata di foto, e ogni frame mette a confronto ieri e oggi. «È stato emozionante entrare nel vissuto di persone che magari si conosceva solo via Facebook, Instagram o LinkedIn. La maggior parte ha confessato di essere felice di ciò che sta vivendo, oppure speranzosa verso il futuro».«Quello che si fantasticava di fare da bambini nasconde una vocazione profonda: e non conta tanto ciò che esattamente si voleva fare, quanto l’impulso sottostante» aggiunge Rodolfo Sogno: «Se sognavi di fare l’astronauta magari sei attratto dall’avventura, oppure dalla tecnologia. Nel primo caso ti sentirai realizzato con un lavoro dinamico che ti lasci libero di viaggiare, nel secondo caso potresti essere felice di fare l’ingegnere». «E se volevi fare il musicista, cosa conta davvero per te?» rilancia Fabio Zorio: «Scrivere canzoni o esibirti davanti a un pubblico? La vocazione può tendere più al creativo, oppure essere più legata all’intrattenimento e allo spettacolo. Secondo noi è questo ciò che conta per sentirsi felici con ciò che facciamo o che faremo».  Peraltro nel video, in coda, ci sono anche loro, i tre componenti degli Edenmania, con le foto tratte dagli album di famiglia: e lì si scopre, per esempio, che Xhaët voleva fare lo scrittore (e in qualche modo lo ha fatto, pubblicando oltre a vari saggi anche il romanzo “I sogni di Martino Sterio”); Rodolfo Sogno aveva una delle aspirazioni più classiche per i bimbi, quella di fare il pilota; e proprio Fabio Zorio, dei tre, è l'unico aveva già chiaro da piccolo cosa avrebbe voluto fare. Guarda un po': il musicista.Lo stile musicale degl Edenmania è rock anni Novanta – non a caso, l’epoca in cui tutti e tre erano adolescenti e hanno dunque formato il loro gusto musicale a botte di David Bowie, Afterhours, ma anche Guns’n’Roses e Iron Maiden.Una curiosità: essendo Giulio Xhaët un incallito smanettone, per trovare un produttore artistico ha convinto gli altri due a organizzare una challenge online, a cui hanno partecipato una cinquantina di professionisti del campo musicale tra fonici, produttori e responsabili di case discografiche. Alla fine la scelta è caduta su Giorgio Baù, «per la varietà delle sue produzioni e la sensibilità creativa dimostrata». E così “Da Grande” e gli altri due brani finora incisi dagli EdenMania – “Noè” e “Gli anta” – sono stati registrati, prodotti e mixati da Giorgio Baù. Altri tre-quattro pezzi arriveranno tra qualche mese: «L’obiettivo è di avere un album intero entro la fine del 2022» promettono gli Edenmania. La prima occasione per rivedere la neo-riunita band dal vivo è a Milano, sabato 5 febbraio, nel bello spazio di Mare Culturale Urbano. Covid permettendo, s’intende.

Buon rimborso e prospettiva internazionale: in scadenza domande per stage all'Agenzia europea per il programma spaziale

Una delle ultime occasioni quest’anno per far domanda per un tirocinio in un ente governativo europeo, quindi con un buon rimborso spese e un titolo di tutto rispetto in curriculum: scade il 15 dicembre la possibilità di mandare l’application per uno stage presso l’Agenzia europea per il programma spaziale (EUSPA) con sede a Praga. Al momento è possibile far domanda per dieci diverse sezioni: risorse umane, legale e acquisti, market development, finanza, Galileo Services, Egnos Services, sicurezza, project control, comunicazione e ufficio del direttore esecutivo. «Fino ad oggi l’Euspa ha offerto 12 opportunità di tirocinio nel corso del 2021 in gran parte dei suoi dipartimenti» spiega alla Repubblica degli Stagisti Marie Ménard, responsabile della comunicazione, «e tutti si sono svolti a Praga tranne per lo stage del dipartimento Egnos services che può svolgersi anche a Tolosa, in Francia». Nel momento in cui si compila l’application, quindi, per chi fa domanda per uno stage presso questo dipartimento è necessario anche esprimere la preferenza tra la sede francese e quella ceca.Non esiste un limite di età per fare domanda e l’Agenzia offre ai suoi tirocinanti un rimborso spese mensile di 1.200 euro oltre alle spese di viaggio di andata e ritorno per inizio e fine stage fino a un massimo di 1.200 euro. Per il momento si sa già che nel dipartimento finanza si cercano tre figure mentre in quello comunicazione due.«Nel corso di quest’anno abbiamo ricevuto mille application per i tirocini nei nostri uffici, con il più alto numero di richieste arrivate dai seguenti tre paesi: Italia, Spagna e Portogallo» spega Ménard. Alla fine quelli selezionati «arrivavano da 12 paesi europei, tra cui anche l’Italia».Il tirocinio comincia, di solito, o il primo o il 16 del mese e questa volta l’offerta è per tutti di uno stage di sei mesi con possibilità di rinnovo. Per candidarsi conviene, per prima cosa, leggere le linee guida che regolamentano lo stage. Poi andare nella pagina Euspa con l’elenco delle offerte disponibili e applicare per quella di proprio gradimento.  Per far domanda è necessario avere la nazionalità di uno Stato membro dell’Unione Europea o novergese, essere laureati o laureandi, conoscere l’inglese che è la lingua di lavoro dell’Agenzia, avere esperienza in una delle aree di lavoro dell’Euspa o una competenza acquisita attraverso specializzazione in studi universitari, tesi, tirocinio o altri progetti, avere una fedina penale pulita e non aver svolto in precedenza uno stage presso l’Ente spaziale.In tutti i settori è richiesta forte motivazione, poi per ogni dipartimento si aggiungono diversi criteri di selezione. Per l’area risorse umane, per esempio, è richiesta esperienza di lavoro o studio in un’area gestione risorse umane o nella pubblica amministrazione, buona conoscenza dei programmi informatici, atteggiamento proattivo e attitudine al servizio e viene considerato un titolo preferenziale l’esperienza di lavoro o studio all’estero o in un ambiente multiculturale. Per la sezione legale oltre alla conoscenza informatica fanno la differenza una precedente esperienza in uno studio legale o dipartimento legale, la capacità organizzativa, le abilità comunicative e la capacità di problem solving oltre a quella di lavorare in team. Nel dipartimento finanza sono invece richiesti studi economici o matematici, esperienza in ambienti multiculturali e capacità di adattarsi a nuovi compiti di lavoro oltre alla conoscenza del pacchetto office.Più specifiche le richieste per il Market Development dove è necessaria la conoscenza nel campo della navigazione satellitare, delle telecomunicazioni e dell’amministrazione aziendale, un approccio strutturato alla risoluzione dei problemi, oltre a precedenti esperienze in ambienti multiculturali. A fare la differenza nel settore Galileo services sarà invece una formazione o esperienza lavorativa nell’area informatica, in particolare su programmazione Linux, la conoscenza dei principi dell’ingegneria dei sistemi di navigazione satellitare e un approccio strutturato alla risoluzione dei problemi. Nel settore Egnos services si cerca invece una formazione o esperienza lavorativa nel settore dei sistemi e dei servizi di navigazione satellitare, oltre a un atteggiamento proattivo e abilità domunicative efficaci. Nel dipartimento sicurezza è favorita l’esperienza nell’amministrazione pubblica e aziendale o in aree attinenti l’ingegneria o le scienze esatte, la conoscenza tecnica e l’esperienza nel parlare in pubblico. Nel settore project controll è favorita la conoscenza di finanza e di attività di controllo del progetto oltre degli applicativi informatici abbinata alla conoscenza di una o più lingue oltre all’inglese.Per lo stage nell’ufficio del direttore esecutivo si preferiscono l’attenzione ai dettagli e capacità organizzative, la conoscenza dei campi in cui si svolge il lavoro, degli applicativi informatici e ottima capacità di comunicazione scritta e verbale in inglese. Mentre per chi fa domanda per il settore comunicazione si cerca una buona conoscenza di tutta una serie di programmi per il disegno grafico, la gestione dei contenuti e delle strategie web marketing oltre a un uso professionale dei social media.Una volta deciso in quale dipartimento fare domanda non resta che registrarsi sul portale dedicato e creare il proprio account. A quel punto sarà possibile fare domanda e completare tutte le nove sezioni del modulo.Fino al 15 dicembre si raccolgono tutte le candidature, poi non appena c’è un posto libero disponibile il candidato viene contattato per un colloquio telefonico. In ogni caso tutti coloro che fanno domanda saranno informati nel corso della loro application e del relativo esito.«Di solito si richiede ai tirocinanti di essere presenti nella città di svolgimento dello stage», spiega Ménard, «ma a causa della pandemia alcuni degli stagisti nel corso di quest’anno hanno cominciato il tirocinio da remoto o fatto parte del proprio stage in smart internshipping». Quindi pur scongiurando eventuali nuove pandemie o chiusure nel corso del prossimo anno, se ci dovessero essere si potrebbe nuovamente far ricorso a questa modalità di parziale stage a distanza.Per tutti gli interessati conviene quindi affrettarsi a mandare la propria application, ricordandosi che l’Euspa è l’unica agenzia dell’Unione europea dedicata allo spazio responsabile della gestione operativa dei programmi di navigazione satellitare Egnos e Galileo e di garantire la fornitura continua dei loro servizi. In particolare si occupa di supportare il settore spaziale e fornire servizi e applicazioni che rispondano alle sfide che l’Ue deve affrontare.  Marianna Lepore Foto a destra: ©European Agency for the Space Programme  

Parte la discussione della proposta di legge sui tirocini curriculari: tre anni di ritardo, «è ormai necessaria»

Finalmente, dopo oltre tre anni, comincia in Parlamento la discussione sulla proposta di legge per introdurre nuove tutele per i tirocinanti curricolari. Alla proposta principale, quella di Massimo Ungaro (C. 1063), si è unita nel frattempo un’altra proposta a prima firma De Lorenzo (C. 2202). Entrambe puntano a riformare la materia dei tirocini curricolari.Era il 27 settembre del 2018, un giovedì, quando a Montecitorio la proposta di legge Ungaro venne presentata ufficialmente dal suo primo firmatario, allora neoeletto nelle file del PD, con la presenza ovviamente anche della Repubblica degli Stagisti che aveva fortemente perorato la causa e contribuito alla stesura del testo.Ma purtroppo gli entusiasmi sono stati sedati, mese dopo mese, anno dopo anno, dato che la proposta è rimasta nel cassetto senza mai essere calendarizzata. Fino all'altroieri. «Finalmente siamo riusciti ad incardinare in commissione un testo che aspettavamo da tre anni» dice Manuel Tuzi [nella foto a destra], 33enne deputato romano del Movimento 5 Stelle, co-relatore della proposta: «È un lavoro che ha portato avanti sopratutto Massimo Ungaro in Commissione Lavoro; noi lato Commissione cultura abbiamo provato a spingere affinché la proposta venisse calendarizzata».E quella parola, “finalmente”, è anche la prima che esce dalla bocca di Ungaro: «Dopo più di tre anni è stato avviato l’esame in sessione congiunta delle commissioni Cultura e Lavoro» conferma il deputato 34enne, eletto nella circoscrizione Estero dopo un lungo periodo da expat a Londra: «C’è un’assenza di normativa sulla faccenda» che questa proposta di legge si propone di colmare.Il fatto che la proposta sia stata assegnata non a una Commissione bensì a due ha complicato e rallentato le procedure: «sopratutto la Commissione Cultura e istruzione era molto bloccata da vari provvedimenti: le lauree abilitanti, la riforma dei ricercatori, gli Its» spiega Ungaro: «Adesso hanno sgombrato il campo e quindi siamo riusciti ad ottenere il primo slot libero».L'altroieri il deputato, ora in Italia Viva, ha letto ed esposto il documento di relazione, ed è stato fissato per le 14:30 di lunedì il termine per le richieste di audizioni. Che Ungaro spera non solo di riuscire a contenere dal punto di vista numerico ma anche e sopratutto di concentrare tutte in un breve lasso di tempo, in modo da «non ritardare la cosa, perché abbiamo pochissimo tempo rimasto per la legislatura» riflette Ungaro: «Quindi dobbiamo cercare di averla approvata in Commissione entro febbraio e di andare in Aula entro giugno, possibilmente anche prima; poi andrà al Senato per essere esaminata, sperando che ne esca senza modifiche, così che poi diventi legge dello Stato». Per riuscire nell’impresa bisognerà dribblare gli ostacoli: «Ho visto troppe volte proposte di legge insabbiate per secoli, è una corsa contro il tempo» dice ancora.«C’è un terreno politico trasversale» afferma Tuzi: «Tra le forze politiche c’è consenso sul tema. E quindi il nostro obiettivo è chiudere velocemente: potremmo addirittura valutare l’ipotesi di una commissione veloce – una “commissione redigente” – che permetterebbe, se ci fosse il consenso anche delle opposizioni, di approvare la proposta direttamente in commissione, e tecnicamente avrebbe lo stesso valore dell’approvazione in Aula». “Terreno politico trasversale” vuol dire che molti singoli parlamentari di molte forze politiche si sono espressi, sopratutto negli ultimi mesi, a favore di più tutele per i tirocinanti, e hanno dato la loro disponibilità a partecipare a iniziative politiche in questo senso. Ma i detrattori, è facile prevederlo, non mancheranno. «In teoria sono tutti a favore» dice Ungaro [nella foto a sinistra] senza giri di parole «ma in realtà vedrete che qualcuno a un certo punto dirà “Ma no! Volete mettere troppi lacci e lacciuoli! La libera impresa! Facendo così distruggerete tutto, non ci saranno più tirocini!”. Oppure “Queste non sono posizioni di lavoro, sono cose formative: se mettete l’indennità minima vedrete che poi nessuno vorrà fare convenzioni!”.  Aspettiamoci che cominci ad arrivare questo fango. Ma l'attività degli stagisti, anche se non è un lavoro, merita un compenso: e molte forze politiche si sono espresse contro gli stage non retribuiti, adesso è la loro occasione per dimostrarlo». Peraltro, lo scenario apocalittico “indennità obbligatoria = niente più stage” è stato platealmente sconfessato già una volta: paventato da chi, tra il 2012 e il 2013, voleva bloccare l'introduzione dell'obbligo di compenso per gli stage extracurricolari, è stato smentito dai numeri. Dopo il 2013 gli stage extracurricolari sono addirittura aumentati!Ma innegabilmente l’introduzione di più tutele per i tirocinanti curricolari, a cominciare dal diritto a ricevere una indennità mensile, a qualcuno inevitabilmente darà fastidio. Principalmente a coloro che si sono abituati a poter “pescare” nel calderone degli studenti – specialmente universitari, ma anche di master e scuole di formazione – per poter avere stagisti gratis. Una condizione, quella di poter svolgere stage gratuiti, che da alcuni anni relega i tirocinanti curricolari in serie B, con meno diritti rispetto ai “cugini” tirocinanti extracurricolari, per i quali dopo lunghe battaglie tra il 2012 e il 2014 le Regioni (in quel caso la competenza legislativa è regionale) hanno introdotto normative più tutelanti e, appunto, la garanzia di una indennità minima – il cui importo varia dai 300 euro al mese della Sicilia agli 800 del Lazio. «Con questa proposta noi andiamo a rivedere completamente il sistema dei tirocini curricolari» aggiunge Tuzi: «È inevitabile che si vada a toccare un sistema, dato che vogliamo introdurre una serie di tutele che non erano mai state previste fino adesso. Ma ovviamente andremo avanti, indipendentemente da qualsiasi tipo di opposizione anche esterna. Diventa vitale e fondamentale portare a casa il risultato in questa legislatura».Ora bisogna sopratutto vedere come si pronunceranno i ministeri competenti, quello del Lavoro e quello dell’Istruzione: «Quello che conta è la loro opinione, che è ancora non è stata formulata. Vorrei interloquire per capire qual è» dice Ungaro: «E quando dico ministeri non dico i ministri: dico le strutture ministeriali, i pareri tecnici, le relazioni tecniche» che poi determinano spesso il successo o l’insuccesso di una proposta di legge.E come si potrebbero convincere gli oppositori della giustezza di questa misura? «È un semplice discorso di buonsenso, di maturità anche politica per dire che questa cosa ormai è necessaria» chiude Tuzi: «Non si può più immaginare ancora oggi nel 2022 – perché siamo arrivati in quello che poi sarà l’anno dei Giovani, definito così anche dalla Commissione europea – di non retribuire dei ragazzi che non svolgono una semplice formazione ma prestano un servizio: fanno una formazione-lavoro a tutti gli effetti. Penso che sia semplicemente una cosa che si deve fare». E speriamo che nei prossimi mesi si riesca a farla.

Collaborazioni a partita iva per tappare i buchi di organico, il ministero della Cultura così «camuffa altri tipi di contratto»

Altro giro, altra corsa: il ministero della cultura in chiusura d’anno pubblica l’ennesima selezione volta a colmare le carenze di personale con figure a tempo senza alcuna politica di lungo termine. È successo con l’ultimo bando, scaduto lo scorso 25 novembre, per 150 incarichi di collaborazione per selezionare archivisti esperti che firmeranno un contratto di collaborazione della durata massima di 24 mesi e che non potrà protrarsi oltre il 31 dicembre 2023. Ultimo di una lunga serie di selezioni di questo tipo rivolte non solo ad archivisti.In questo caso la giustificazione era quella di rientrare tra gli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, per assicurare il funzionamento degli Archivi di Stato e delle soprintendenze archivistiche grazie all’inserimento di nuove risorse. Per colmare il vuoto, però, solo due anni di collaborazione, a partita Iva per giunta, per 130 ore mensili e per un massimo di due anni. Con un compenso previsto per 25mila euro annui, oltre cassa previdenziale ed iva, quindi circa 2mila euro al mese. Poi tanti saluti e ognuno a casa sua.«Il bando presenta diverse criticità», spiega Federica Pasini, 27 anni, laureata in storia dell’arte e attualmente operatrice museale, componente dell’associazione Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali nata a fine 2015 per ottenere dignità ed eque retribuzioni per tutti i lavoratori e professionisti del settore culturale. «Innanzitutto chiedere una collaborazione a partita Iva per un lavoro continuativo come questo con un monte ore molto importante serve a camuffare altri tipi di contratto. La partita Iva serve per chi ha collaborazioni occasionali in cui magari tratta il proprio tariffario e impone il monte ore, ma per un’archivista sicuramente no. I 25mila euro, poi, sono lordi, si richiede una specializzazione molto alta e non si ripaga tutta la professionalità. Si richiede uno sforzo incredibile e lo può fare solo chi ha le spalle già coperte da un punto di vista economico».Si tratta dell’ennesima richiesta da parte del ministero nel corso di quest’anno di figure altamente specializzate a cui affidare compiti importanti con contratti provvisori, come la partita iva, nonostante le carenze di organico. Un allarme lanciato anche dall’Associazione nazionale archivistica italiana, Anai, che ha scritto – insieme ad altri enti e società che trovano negli archivi e nelle sovrintendenze archivistiche risorse preziose – un appello  ai ministri della cultura e dell’università, Dario Franceschini e Maria Cristina Messa, per portare alla loro attenzione la situazione di imminente collasso degli istituti archivistici statali. «Una crisi strutturale, in rapida evoluzione da molti anni», alla cui base c’è il mancato turn over del personale a partire dal 2012: «Ancora una volta si sconta il colpevole ritardo con cui si affronta la drammatica carenza di personale nel settore degli archivi con un provvedimento di assunzione temporanea, diventato ormai costume nel Ministero, che attribuisce poco più di un funzionario ad ogni istituto», spiega Micaela Procaccia, presidente Anai, alla Repubblica degli Stagisti. «Questo tipo di assunzioni non risolve affatto i problemi, perché la durata delle collaborazioni consente appena di introdurre il personale assunto nel lavoro concreto degli Istituti per poi estrometterlo, una volta formato ad affrontare le specificità del lavoro in Archivio di Stato e Soprintendenza».Il bando scaduto a fine novembre «è veramente assurdo» secondo Federica Pasini soprattutto perché con contratti temporanei colma una carenza di personale notevole su cui in tanti hanno lanciato l’allarme. Prima fra tutte proprio l’Anai che nell’appello di pochi giorni fa ha segnalato un possibile peggioramento nel corso del prossimo anno. Perché all’interno di Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche «l’organico è ormai ridotto a meno della metà». «I dati a suo tempo forniti dalla stessa Direzione generale archivi del Ministero prospettano una carenza di personale che si avvia ad essere al di sotto del cinquanta percento dell’organico previsto nel prossimo anno», continua Procaccia, «e non parliamo solo degli archivisti ma di tutti i profili: dagli amministrativi ai custodi, indispensabili per un funzionamento delle sale di studio». In pratica archivi, musei, pinacoteche si svuotano dei propri dipendenti con conseguenze non solo nella tenuta e gestione del materiale ma con ricadute evidenti anche nella possibilità dei cittadini di poter visitare questi luoghi. Perché allora il ministero non riesce a colmare questa carenza di personale? «Bisognerebbe chiederlo al ministero. Quando fu deciso il blocco del turn over per i dipendenti pubblici non fu prevista un’eccezione per il settore, che sarebbe stata doverosa da parte di governi che trasversalmente si sono vantati del patrimonio culturale italiano, come invece fu previsto per forze dell’ordine e vigili del fuoco».Non solo non si pensò di introdurre una deroga, ma in tutti questi anni il ministero non ha pensato nemmeno di coprire queste carenze di personale con contratti degni di tal nome: «La partita iva sembra essere la moda degli ultimi 12 mesi, quest’anno sono usciti molti bandi di questo tipo», osserva Federica Pasini. E infatti il 2021 è stato il periodo dei bandi a tempo del Ministero della cultura: si è partiti con quello pubblicato a fine 2020 che chiedeva fino a 15 anni di esperienza per collaborare a partita iva pochi mesi con le Soprintendenze di tutta Italia, poi a gennaio è stata la volta dei tirocinanti ultraspecializzati, a marzo il turno è stato per 80 collaborazioni, di cui 49 catalogatori, per la Direzione generale biblioteche e diritto d’autore e ora questo per 150 archivisti.Un uso spregiudicato di tirocini e partite iva in un settore in cui mancano proprio gli impiegati. «In passato non era prevista la partita Iva per la selezione degli esperti, basti pensare a quella avvenuta nel 2016», osserva la presidente Anai Procaccia. «Le ragioni che hanno determinato questa scelta sono, forse, relative alle procedure di controllo contabile ma certamente penalizzano professionisti qualificati che, per partecipare, devono dotarsi di partita Iva e affrontare le conseguenze economiche di questa scelta».E quando non sono contratti a tempo o tirocini ecco che arrivano nuovi accordi tra ministeri per riempire i vuoti di organico, sempre per trovare qualcuno che faccia il lavoro per cui sarebbero necessari dei dipendenti. L’ultimo accordo è di inizio novembre tra il Mic e il ministero della giustizia per far lavorare i detenuti nei luoghi della cultura: dalla Reggia di Caserta alla Pinacoteca di Bologna o al Palazzo Ducale di Mantova o in decine di biblioteche e di archivi. «Ci siamo già espressi in merito: non ha senso. Prima di tutto perché è necessaria una professionalità e competenza che non tutti hanno e soprattutto perché se c’è carenza di personale, un funzionario deve già gestire da solo l’archivio e non può certo garantire un percorso formativo adeguato a queste persone. Bisogna prima colmare i vuoti di organico e poi dedicarsi a progetti di questo tipo. Invece si fa il contrario, si sostituisce il personale con queste categorie più fragili. Non ha alcun senso», osserva ancora Pasini. «L’uso di detenuti in attività di digitalizzazione di documentazione è già accaduto per la realizzazione di alcuni progetti anche importanti, come per i processi relativi al rapimento e uccisione di Aldo Moro, con la rigorosa condizione che l’intero lavoro fosse preceduto da un riordinamento delle carte realizzato da archivisti professionisti e che tutto avvenisse sotto la direzione di archivisti di Stato», spiega la presidente Anai Micaela Procaccia. «Dove questo non è accaduto il risultato è stato talmente carente da consigliare di rifare il lavoro dall’inizio. E quindi si torna al problema principale: se non ci sono archivisti di Stato chi indirizzerà il lavoro e lo controllerà?»In un Paese che di cultura potrebbe vivere tranquillamente, si tamponano solo le mancanze senza pensare a un progetto di lungo termine. «Le nostre battaglie vanno avanti» spiegano dall’associazione Mi Riconosci? «dalla regolamentazione dell’abuso del volontariato all’introduzione di un salario minimo. Cerchiamo stabilità e miglioramenti delle condizioni lavorative». Anche se, di questi tempi, il ministero sembra voler seguire tutta un’altra strada.Marianna Lepore

Mutui, 6mila giovani finora hanno ottenuto la garanzia statale: tanti o pochi?

Il Governo Draghi ha previsto per i giovani italiani una agevolazione sui mutui, per permettere loro di comprare casa più facilmente. Ma i giovani la stanno usando? Dai primi dati ottenuti solo dalla Repubblica degli Stagisti, finora 9mila under 36 hanno fatto richiesta, e 6mila di questi hanno effettivamente ottenuto la garanzia statale. Sono tanti? Sono pochi? Cerchiamo di capirlo.La misura [qui un vademecum con tutte le principali domande/risposte su come accedervi] è entrata in vigore oltre cinque mesi fa (tecnicamente, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è del 26 maggio) e finalmente la Repubblica degli Stagisti è riuscita ad ottenere i primissimi dati ufficiali dalla Consap, la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici, che esamina le richieste. Da premettere che Consap considera che su questa misura in realtà vi sia stato “poco più di un mese di attività” visti i tempi delle banche per lavorare le pratiche.Ma insomma, i primi numeri ci sono: eccoli. 9.490 domande totali per accedere al fondo di garanzia mutui prima casa di cui 8.961 sottoposte da persone under 36. Le domande ammesse sono 6.139 e anche in questo caso la stragrande maggioranza, 5.797, è di giovani sotto i 36 anni. Questi numeri riguardano le pratiche ricevute da Consap nel periodo compreso tra il 24 giugno e il 15 novembre.«Se valutate in relazione alla dimensione del mercato delle compravendite assistite da mutui in Italia, le circa 9mila domande attivate grazie al Fondo Garanzia mutui prima casa rappresentano una componente piuttosto esigua» commenta Elena Molignoni, 60 anni, bolognese, cinque figli, responsabile BU immobiliare e strategie urbane di Nomisma: «I cinque mesi, depurati dai tempi di istruttoria e, prima ancora, dalla predisposizione del prodotto finanziario da parte del sistema bancario, si possono ricondurre a tre mesi. In media negli ultimi anni pre pandemia in un trimestre si finalizzano circa 150mila compravendite, di cui 82mila assistite da mutuo da soggetti di ogni età e circa 28mila sono riconducibili a mutuatari under 36». I numeri citati da Molignoni sono riferiti al periodo pre pandemia, quindi al 2019, perché l’anno seguente le compravendite totali – quindi sia con sia senza mutuo – hanno subito un calo di quasi l’otto per cento: quindi, spiega l'esperta, ha più senso confrontare i numeri di quest’anno con quelli di due anni fa visto che «nel 2021 il mercato ha recuperato abbondantemente quello che ha perso l’anno scorso».Proseguendo questo ragionamento, «le 9mila domande pervenute rappresentano l’undici per cento delle compravendite assistite da mutuo su base trimestrale e il 31 per cento di quelle il cui l'acquirente mutuatario è un giovane under 36». Una valutazione, sottolinea Molignoni, che riguarda soltanto i primi cinque (in “realtà” tre) mesi. «Per poter valutare l’efficacia del provvedimento è necessario avere un consuntivo su base annuale così da scontare l’effetto novità, la scarsa conoscenza e comunicazione del prodotto, nonché i tempi necessari per finalizzare l’acquisto di un’abitazione, in media tra i cinque e i sei mesi».  Ma, insomma, osservando la situazione attuale l'esperta di Nomisma non pensa che il provvedimento stia dimostrando grande efficacia nel convincere i giovani a comprare casa.Di diverso avviso è invece Gianluigi Chiaro, 38 anni, economista bolognese esperto di politiche abitative e di osservatori e valutazioni certificate, fondatore della startup Area Proxima specializzata in big data per le strategie urbane, consulente per la PA e per Caritas Italiana: «La misura sta funzionando» assicura alla Repubblica degli Stagisti «e per comprenderlo i dati Consap vanno confrontati con quelli a livello nazionale di fonte Crif. Nel corso degli ultimi mesi gli effetti del fondo di garanzia sono molto positivi ed è, infatti, il segmento degli under 36 che sta trainando il mercato, con una crescita di dodici punti percentuali rispetto al 2020. Se si considera il dato nazionale, più della metà delle compravendite avvenute nel 2020 è stato finanziato attraverso un mutuo, quindi delle 558mila compravendite solo circa 280mila sono quelle sostenute da mutuo. Se si considera solo un trimestre le compravendite sono circa 70mila e la quota di mutui con garanzia Consap oscilla tra l’otto e il nove per cento: numeri positivi in generale».Insomma, secondo Elena Molignoni il bicchiere è mezzo vuoto, perché i giovani che stanno effettivamente avanzando la richiesta di ottenere questa garanzia sono numericamente pochi; secondo Gianluigi Chiaro, invece, il bicchiere è mezzo pieno perché la misura sta aiutando molti giovani a trovare una casa, cosa che senza garanzia non avrebbero potuto fare se non con l’aiuto economico delle famiglie o con risorse reddituali proprie. Ma anche Chiaro vede criticità: per esempio, considera la misura un po' «anacronistica visto il costante calo dei redditi dei nuclei più giovani, la maggiore mobilità, la tendenza a vivere in affitto».Altro dato interessante da analizzare è quello riferito alla distribuzione territoriale delle richieste di accesso al Fondo garanzia mutui prima casa: più della metà arriva dal Nord, ben distaccato dal centro Italia fermo ad appena un quarto e seguito a ruota da Sud e isole. «La distribuzione percentuale delle domande riflette esattamente le quote di mercato delle compravendite» osserva Elena Molignoni, visto che «in media più della metà degli acquisti di casa si concentra nel Nord Italia, seguito da Centro, Sud e Isole».«La provenienza geografica delle famiglie o dei richiedenti mutuo è sempre stata concentrata nel nord Italia» concorda Gianluigi Chiaro «perché la tendenza è quella di preferire soprattutto per giovani lavoratori l’acquisto di abitazioni dove c’è lavoro. Non deve quindi stupire la distanza tra nord e sud perché è ormai un dato di fatto da anni. Il fattore geografico non si risolve con maggiori garanzie verso le famiglie del Sud ma creando posti di lavoro che attraggano persone».Ma in definitiva una misura come questo fondo può servire veramente per aiutare i giovani a comprare casa? O servirebbe altro? Molignoni non ha dubbi: bisognerebbe puntare sul sostegno all'affitto, e non all'acquisto. «Sarebbe utile favorire la locazione, per rispondere a una esigenza di flessibilità dettata da una prospettiva di vita meno ingessata rispetto al passato. Una locazione a costi accessibili per venire incontro al tema della precarietà del lavoro, dei bassi redditi e prevenire così forme di povertà abitativa».Chiaro ricorda come questa agevolazione sui mutui voluta dal governo Draghi abbia una visione politica legata agli anni Novanta, mentre bisognerebbe avere ben chiara la struttura sociale italiana di oggi. Che non è proiettata verso l’acquisto: i dati 2016 dell’Indagine sui bilanci delle famiglie di Banca d’Italia mostrano come i nuclei under 34 disoccupati o con lavori precari e redditi bassi hanno una percentuale di case in affitto molto elevata.Perché se la proprietà per alcuni resta il sogno, non è più un modello sostenibile nel lungo periodo e sarebbe opportuno, invece, sostenere le famiglie più giovani, incentivare nuove nascite e dare alloggi a canoni calmierati a lavoratori precari. «La casa oggi non è l’elemento da cui partire», spiega l’esperto di politiche abitative, «ma diventa, spesso, quello che rende poveri dopo tutte le spese mensili. Quindi prima della casa, serve lavoro stabile e canoni sostenibili».Per capire se la misura abbia funzionato bisognerà attendere i dati di lungo periodo per vedere che tipo di mercato sarà andata a supportare. «Quante famiglie aiuterà?» si chiede Chiaro: «Se anche fossero 200mila, bisogna ricordare che ci sono cinque milioni di contratti in affitto in Italia, ed è sulla locazione che bisogna ragionare. Bisognerebbe rivedere i contratti dal lato inquilino, dando canoni giusti ed equilibrati rispetto al proprio reddito, ma soprattutto contratti d'affitto temporanei di durata più breve, per esempio da 3 a 18 mesi. Nel target fino a 35 anni in Italia oggi c’è una metà di giovani che comprano e quindi si fissano in un luogo, ma un’altra metà che si muove, anche per fare esperienze, e manca assolutamente un’offerta che supporti questa mobilità». Non farlo comporta non adeguarsi ai tempi moderni e continuare a rincorrere un’idea di famiglia e di proprietà ferma a trenta anni fa.Marianna Lepore

“I Danoners”, su Instagram una finestra su come si lavora (e non solo) in Danone

Danone sbarca su Instagram, e lo fa in maniera un po’ diversa dallo “standard” previsto dalle policy aziendali abituali. Il profilo – lanciato giusto un mese fa – si chiama “I Danoners” e vuole mettere al centro le persone che lavorano all’interno dell’azienda e che ogni giorno si occupano non solo dei prodotti che la grande multinazionale alimentare di matrice francese produce e mette in commercio, ma anche di tutte le altre attività, a cominciare dall’impegno sociale e del sostegno ad alcune cause come la salute o le pari opportunità.«Perché abbiamo deciso di lanciarci in questa avventura? Danone ha una cultura unica che si nutre del valore e dell’ispirazione delle proprie persone» dice Sonia Malaspina, direttrice HR Italia e Grecia di Danone [nella foto]: «Questo crea le basi per un ambiente di lavoro agile, creativo, dove il singolo e la mente collettiva si fondono per dare vita ad un contesto in cui business e progresso sociale si contaminano e si sviluppano insieme. Ci serviva un mezzo altrettanto dinamico per trasmettere tutto questo all’esterno con immediatezza e autenticità».Instagram è dunque questo mezzo “dinamico”, «attraverso il suo storytelling visivo e appunto immediato: è coinvolgente e va al cuore delle persone». Ma non è l’unica motivazione. «Abbiamo notato che le aziende scendono in campo su Instagram con profili dal taglio molto corporate o come emanazione della loro sezione careers. Il nostro obiettivo è diverso» riflette Malaspina: «Vogliamo creare una finestra sul nostro mondo, un canale di comunicazione che attraverso il suo stile unico incarni la nostra cultura e il valore dei nostri brand. E che lo faccia attraverso la partecipazione attiva del nostro asset più importante, le persone». Le persone, in Danone, sono chiamate “Danoners”, appunto, e «sono in prima linea nel trasmettere in maniera autentica all’esterno cosa significhi lavorare qui» dice ancora Malaspina: «Per riassumere in una parola, sono attivisti». Insomma, degli ambassadors 4.0. Raccontando cosa vuol dire lavorare ogni giorno in Danone, nell’headquarter italiano a Milano o sul territorio, il profilo Instagram IDanoners servirà anche a tutti coloro che si stanno guardando intorno in cerca di lavoro, consentendo all’azienda «di raggiungere con immediatezza uno dei nostri target principali in termini di attrazione dei talenti: le nuove generazioni». Danone  peraltro fa parte da oltre 11 anni dell’RdS network, il circuito di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti: ha costruito la sua straordinaria reputazione di good employer con i fatti, con le ottime condizioni economiche offerte agli stagisti (non solo una buona indennità mensile ma perfino l’accesso per gli stagisti al welfare aziendale, una misura pressoché unica nel suo genere in Italia) e con un tasso di assunzione post stage stabilmente doppio rispetto alla media nazionale: «Più del 70% delle posizioni junior che si creano viene ricoperto da stagisti che hanno iniziato il loro percorso di crescita con noi» conferma infatti Malaspina «e abbiamo un tasso storico del 60% di conversione» da tirocinio a contratto di lavoro».Tra i primi contenuti che hanno trovato spazio su I Danoners c’è  un video che spiega perché sono diventati una B Corp; la campagna Act4Change di Activia; e l’evento sportivo organizzato dal Policlinico Gemelli e dall’università Cattolica, sostenuto dai due marchi Danacol e Fortifit, per promuovere stili di vita salutari. «Il go-live ha marcato immediatamente lo stile e l’impronta de I Danoners» spiega Sonia Malaspina: «B Corp rappresenta il nostro dna, il doppio progetto economico e sociale su cui ci fondiamo e la nostra visione, che ci porta ad agire per generare un impatto positivo nel mondo che ci circonda». In tutto il mondo il gruppo Danone sta trasformando le sue filiali in Bcorp, a cominciare dagli Stati Uniti: Danone US è la più grande BCorp del mondo. Le tre società che compongono il gruppo in Italia – Danone, Mellin e Nutricia – nel corso del 2020 sono diventate sia Benefit Corporation, cambiando il loro statuto come prescrive la legge che dal 2015 regolamenta questa nuova forma giuridica di impresa, sia BCorp ottenendo la certificazione dalla società BLab. «Activia Act4Change è espressione del nostro impegno decennale a sostegno delle donne» continua Malaspina «ed è il primo esempio di un brand che si attiva per creare un movimento per far emergere il loro valore con azioni concrete di ispirazione, condivisione e consigli». Da anni impegnata per valorizzare le donne, e in particolare quelle che che scelgono di essere al contempo mamme e lavoratrici, Danone tra le altre cose già dal 2018 utilizza la piattaforma Maam (acronimo di Maternity as a Master) per valorizzare la genitorialità in azienda e per aiutare mamme e papà ad essere più consapevoli delle proprie capacità in quanto genitori: perché prendendosi cura di un bambino si sviluppano inconsapevolmente skill preziosi anche in ufficio - come la gestione del tempo, la capacità di lavorare per priorità, l’ascolto, l’intelligenza emotiva.«Danacol e FortiFit fanno parte del sostegno alla Longevity Run organizzata dal Policlinico Gemelli» aggiunge Malaspina: un’adesione che «apre una finestra sul contributo attivo dei Danoners a supporto dell’iniziativa: non solo chi gestisce i brand, ma chi condivide attivamente la causa sugli stili di vita salutari e che pertanto agisce come ambassador».Insomma, lo storytelling sul canale Instagram “IDanoners” è funzionale a «comunicare in maniera immediata come agisce Danone attraverso le sue persone, ciò in cui crediamo e ciò che vogliamo generare». E mette al centro, come protagonisti, proprio i collaboratori di Danone – che sono quasi 500 in Italia: «Il canale si chiama I Danoners proprio per questo!» conferma Malaspina: «Sono le nostre persone il motore dei contenuti, attraverso i loro occhi ci condurranno nell’esplorare cosa significa lavorare in Danone, contribuire al cambiamento e agire per l’innovazione, sia essa sociale o di brand». Chi naviga su IDanoners trova contenuti differenti. «Le stories formeranno un viaggio che avrà tappe con focus diversi: dall’entusiasmo per il lancio di un nuovo prodotto, alla scoperta di cosa si può imparare lavorando nelle nostre funzioni, di quanto sia importante attivarsi per ciò in cui si crede. E infine perché no, anche una rubrica che mostra il nostro Dark Side!». I Danoners è anche uno spazio pensato, come accennato, per far conoscere la realtà Danone ai potenziali candidati. «Raccontare i Danoners ai futuri Danoners è uno dei nostri obiettivi» conferma la direttrice HR: «Crediamo che questo sia uno strumento di comunicazione potente per avvicinare i talenti al nostro mondo, perché possono quasi toccare con mano la vita in Danone, osservare da una finestra privilegiata quanta passione mettono le nostre persone nel portare la nostra missione in azione. I Danoners sono i cittadini di Danone e mostreranno la loro casa con la consapevolezza di trasmettere in maniera autentica cosa significa far parte di questa comunità».Il concetto di I Danoners però non si ferma qui. «Ha un obiettivo ambizioso e, per citare le parole di uno dei nostri padri fondatori, va al di là nei nostri cancelli: i Danoners sono per noi tutti coloro che condividono la nostra missione e visione, che credono all’impatto positivo e generativo che l’azienda può portare nell’ecosistema in cui opera o che, semplicemente, amano i nostri prodotti e i loro benefici. I Danone lovers insomma!».

Stage4eu, la app per trovare stage in Europa compie tre anni: «Ancora grande la voglia di tirocini all'estero»

La pandemia non è ancora alle spalle, ma gli stage in Europa stanno riprendendo la loro corsa. Lo testimoniano i download dell'app Stage4eu, a quota 22milla, di cui 7mila dall'estate 2020, nonostante l'emergenza sanitaria. Gestita dall’Inapp, Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, e operante nell’ambito del Fondo sociale europeo (Pon Spao), l'applicazione raccoglie tutte le principali offerte di tirocinio in Europa. Non mancano però le criticità: la principale è che, incredibilmente, alla app non è affiancato alcun monitoraggio dei dati sull'incrocio tra domanda e offerta. Non vi sono insomma numeri sulla reale efficacia di questi tirocini, su quanti siano i giovani che tramite la app riescono a ottenere un tirocinio all'estero. Come ammette alla Repubblica degli Stagisti Giuseppe Iuzzolino, ricercatore e curatore dello strumento, «Ci limitiamo per il momento al controllo di qualità delle offerte, ma non conosciamo i dati sui tirocini effettivamente attivati grazie al sito né su eventuali rapporti proseguiti attraverso contratti di lavoro».Quello che è chiaro è che «la pandemia non ha fermato la voglia di intraprendere uno stage all’estero» è il commento di Sebastiano Fadda [nella foto], presidente Inapp, «e adesso grazie al green pass si è ritornati a farlo anche in presenza». L'app è nata tre anni fa ed è la versione digitale del Manuale dello stage in Europa, «un testo in cui gli aspiranti 'eurostagisti' potevano trovare tutte le informazioni e i consigli utili per cercare, organizzare e affrontare uno stage in Europa» si legge sul sito dedicato allo strumento. Si è passati quindi a Stage4eu, un’app mobile e un sito web che offrono «un set di informazioni e una selezione quotidiana delle più interessanti offerte di stage nei diversi Paesi europei». Inapp si fa garante della qualità delle offerte di tirocinio pubblicate attraverso il controllo preventivo dei compiti affidati allo stagista. «Non troverete mai sulla nostra app un tirocinio che prevede mansioni ripetitive o prive di potenzialità formative» garantisce Iuzzolino. Scopo del servizio è infatti proprio quello di consentire di «trovare uno stage all’estero 'su misura', facendo fare ai tirocinanti un salto di qualità nel proprio curriculum e di aprire loro le porte del mondo del lavoro» aggiunge Fadda. Si può procedere alla ricerca attraverso criteri mirati. Si seleziona il paese e l'area professionale ed ecco apparire sul monitor le offerte più recenti (circa una decina al giorno). Per chi ha l'app è anche attivabile la funzione delle notifiche, che avvisa della pubblicazione di un annuncio coerente alla proprie preferenze. Tra le ultime ce ne sono ad esempio una per laureati triennali nell'ambito nell'ambito contabilità in una sede Ubs di Madrid; un'altra in comunicazione presso la Warner Media France a Neuilly-sur-Seine in Francia; e ancora – sempre dello stesso giorno – una a Dublino come sviluppatore Java. C'è un aspetto a cui prestare particolare attenzione, ovvero quello del rimborso spese. «Se è sicuramente presente è indicato nell'annuncio» rassicura Iuzzolino, attraverso l'inserimento del simbolo dell'euro. Il fatto che sia assente non significa però che lo stage sia a titolo gratuito, ma solo che l'azienda non lo ha esplicitamente menzionato. Questo perché spesso accade, specifica Iuzzolino, «che l'importo sia stabilito in sede di colloquio». Purtroppo non è escluso insomma che possano esservi offerte di tirocinio a titolo gratuito, «soprattutto per Paesi come l'Olanda, che li prevedono in questa formula per gli studenti». In altri casi, come la Francia, «il rimborso spese è assicurato per legge». In Germania ad esempio «il rimborso deve essere pari a al salario minimo di circa 1500 euro mensili». Attenzione però, perché anche qui non sempre i tirocini gratuiti sono illegali: l'obbligo di indennità vale sostanzialmente solo per l'equivalente dei nostri tirocini extracurriculari. Viene meno ad esempio, fa sapere Christine Gopner-Reineche, ufficio stampa del ministero del Lavoro tedesco, nel caso di «praticantati, tirocini di durata inferiore ai tre mesi, stage di breve durata unicamente finalizzati all'orientamento del giovane».  La speranza, ricorda l'Inapp, «è che si concretizzi presto in tutti i Paesi Ue quanto auspicato nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla garanzia per i giovani dell’8 ottobre 2020». La risoluzione invoca infatti per i tirocini «la forma di accordi scritti e giuridicamente vincolanti, che specifichino i compiti del tirocinante e prevedano un rimborso spese dignitoso». Informazioni più dettagliate sugli stage sono comunque reperibili nell'app anche sulle 'schede Paese', una apposita sezione in cui si mettono insieme tutti i riferimenti legislativi sugli stage nel paese, così come i documenti richiesti, gli indirizzi utili, le informazioni su alloggio, moneta e simili. «Spagna, Francia e Germania risultano essere le mete più ambite» elenca l'Inapp «Ma va rimarcata la risalita di Paesi come il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e la Svizzera, sedi di istituzioni europee e di importanti organizzazioni internazionali». L’Olanda in particolare sembra scalare posizioni nel gradimento dei giovani. Quanto alla durata media degli stage, proseguono ancora da Inapp, si tratta «mediamente di sei mesi, un periodo di tempo adeguato perché i ragazzi possano maturare un’esperienza professionale significativa». Ilaria Mariotti 

Giornata internazionale degli stagisti: “Estendere i diritti anche ai curricolari e monitorare in maniera trasparente”

Oggi – 10 novembre – è la Giornata internazionale degli stagisti, che viene festeggiata a partire dal 2015 per accendere i riflettori sulle condizioni dei tirocinanti in tutta Europa e sulle battaglie per i loro diritti. Ideata dallo European Youth Forum e dall’associazione InternsGoPro e supportata dalla Commissione europea, la Giornata è il simbolo della lotta contro lo sfruttamento degli stagisti e per una riforma dei modelli di ingresso nei mercati del lavoro dei Paesi europei, che troppo spesso individuano nei tirocini una valvola di sfogo per poter avere accesso a manodopera o cervellodopera a bassissimo costo (o addirittura gratuita!) senza nemmeno il disturbo di dover rischiare impiegando lavoratori in nero. Perché gli stage sono legali: le condizioni a cui agli stagisti viene chiesto di “lavorare”, però, spesso lo sono molto meno.Molta strada è stata fatta, in Italia e in molti altri Paesi, per affrontare il tema dell’abuso dello strumento dello stage per risparmiare sul costo del personale, e debellare la piaga dei tirocini gratuiti: lo slogan principale della Fair Internship Initiative infatti non a caso è “unpaid is unfair”, “non pagato è iniquo”.Gli stage completamente gratuiti sono via via che passa il tempo più rari, anche grazie a nuove normative che li hanno fortemente limitati o messi fuorilegge: in Italia per esempio tutti quelli extracurricolari da qualche anno devono prevedere una indennità minima (fissata da ciascuna Regione). Ma resta purtroppo ancora possibile proporre stage gratuiti, in caso si configurino come “curricolari”, cioè svolti durante un percorso di formazione (il caso più frequente è quello dei tirocini durante i corsi di formazione o l’università). Dunque la battaglia in Italia è stata vinta solo a metà, finora: bisogna sostenere una riforma dei tirocini curricolari e per fortuna c’è già una proposta di legge depositata in Parlamento, a prima firma Massimo Ungaro: l’auspicio è che cominci al più presto la discussione (le due commissioni competenti sono quella Lavoro e quella Istruzione). Inoltre, giusto ieri una delegazione di giovani impegnati nei GD di Milano ha consegnato al ministro del Lavoro Orlando le oltre 60mila firme raccolte a sostegno della proposta di riforma di stage e apprendistati. «Ho ascoltato con attenzione le loro richieste e le loro osservazioni e ho confermato il mio impegno per politiche di accesso al lavoro che riescano a rispondere alle richieste delle nuove generazioni, in linea con quanto ci chiedono il Parlamento e la Commissione Ue» ha scritto il ministro su Facebook: «Anche per questo motivo ho voluto che al Ministero si istituisse un gruppo di lavoro sulle politiche giovanili. Sono fiducioso che il positivo dialogo con le Regioni e con le parti sociali possa portare a breve a un quadro normativo che tuteli veramente i giovani e incentivi le aziende che li assumono». Un gruppo di lavoro di cui fa parte anche la fondatrice e direttrice della Repubblica degli Stagisti.L’altra battaglia ancora tutta da vincere è quella per un monitoraggio sistematico e per una maggiore trasparenza dei dati relativi agli stage: quanti se ne fanno, dove come e a che condizioni, quanto vengono pagati gli stagisti, quanto spesso vengono assunti, con che contratti, in che settori. Tutte queste informazioni o esistono in potenza ma non vengono divulgate (per esempio nel caso dei tirocini extracurricolari), oppure non vengono proprio raccolte (nel caso dei curricolari)! E invece, nell’ottica che si debba sempre “conoscere per deliberare”, poter conoscere anno dopo anno questi dati, poterli confrontare con il passato e con altri Paesi, è fondamentale per poter predisporre al meglio le policy che riguardano i tirocini, e capire finalmente quanto essi siano efficaci come politiche attive del lavoro.La Giornata internazionale degli stagisti è dunque un modo per ricordare le condizioni spesso difficili di milioni di giovani (e meno giovani) che fanno stage in Italia e nel mondo, e delle organizzazioni - come la Repubblica degli Stagisti qui! - che si battono per i loro diritti.Buona Giornata a tuttə!

Fellowship Programme delle Nazioni Unite, c’è tempo fino al 15 novembre per fare domanda

Torna anche quest’anno il Fellowship Programme, il programma finanziato dal Governo italiano attraverso la Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri e curato dal dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UN/Desa).L’iniziativa, rivolta a ragazzi di nazionalità italiana di età inferiore a 29 anni,  consiste in un’esperienza formativa e professionale nelle organizzazioni internazionali di circa dodici mesi, preceduta da un workshop di formazione organizzato dall’International Training Centre dell’ILO, in programma per maggio del prossimo anno. La scadenza per la presentazione delle candidature è il 15 novembre 2021, esclusivamente online attraverso il sito UN/Desa.Per inoltrare la candidatura è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti: età inferiore ai 29 anni (con data di nascita il 1° gennaio 1993 o successiva, quindi); nazionalità italiana; ottima conoscenza della lingua inglese e italiana; possesso di uno dei seguenti titoli accademici: laurea specialistica/magistrale; laurea magistrale a ciclo unico; laurea triennale accompagnata da un titolo di master universitario; Bachelor’s Degree accompagnato da un titolo di master universitario.Anche quest’anno per supportare i candidati e fornire tutte le informazioni utili all’inoltro della domanda sono stati organizzati dei webinar, a cui è possibile partecipare dopo aver effettuato la registrazione sul sito www.undesa.it. Il prossimo è in programma per l’11 novembre alle 10 e 30.Come di consueto non sono ancora noti i posti disponibili, ma, facendo riferimento alle edizioni precedenti dovrebbero essere circa una quarantina, con importi mensili variabili tra i 1.200 e i circa 6mila dollari in base al costo della vita della località di destinazione. Gli importi massimi mensili per paese sono consultabili alla pagina dedicata sul sito UN/Desa. Per la precedente edizione sono stati selezionati 36 partecipanti, 8 uomini e 28 donne, a fronte di 1.722 candidature inviate, per un'età media di 26 anni e 5 mesi. Sempre per l'edizione 2020/2021, il 67% dei candidati era di sesso femminile (percentuale calcolata sulle candidature ritenute valide, pari a 1.582). Il dato delle donne selezionate rispecchia generalmente la percentuale di donne che fanno domanda al Fellowship Programme: più donne candidate uguale più donne selezionate dunque. La grande partecipazione femminile, spiegano da UN/Desa, è una costante dell'ultimo decennio, a partire dal 2012.I motivi di non ammissione, che rendono non valida la candidatura inviata, sono di solito: mancanza dei requisiti accademici, mancata conoscenza della lingua inglese, autocertificazione priva di firma, certificato non valido o mancante, formulario incompleto, formulario non in inglese. Dal 1999, anno della prima edizione, a oggi sono state inoltrate ogni anno in media poco più di 1.200 candidature, per una media di 33 partecipanti a ciascuna edizione. Il meccanismo di selezione è lo stesso delle edizioni precedenti: la fase di preselezione dei candidati, effettuata dall'ufficio UN/Desa di Roma, porta all’individuazione di una rosa di massimo cinque candidati per ciascuna borsa di studio, in possesso di tutti i requisiti richiesti dall'organizzazione beneficiaria. Nell’ambito del processo di selezione si tiene conto di fattori come motivazione, conoscenze linguistiche e tecniche, qualifiche e specializzazioni universitarie, eventuali esperienze volontarie e professionali. I candidati selezionati saranno contattati e informati dell'esito, con l'invito a partecipare alle fasi successive del processo di selezione.La fase finale è caratterizzata da una prova scritta e un colloquio basato sulle competenze. La prima è gestita sempre dall'ufficio UN/Desa di Roma tramite un'applicazione appositamente progettata. Le interviste sono condotte a distanza tramite videoconferenza da gruppi convocati dagli uffici destinatari, nel caso di borse di studio in agenzie/organizzazioni del Sistema delle Nazioni Unite, e convocati da UN/Desa, nel caso di borse di studio in uffici sul campo dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.Tutti i candidati selezionati vengono informati tramite e-mail dell'esito della selezione finale. Nei casi in cui il candidato di prima scelta rifiuti il premio, l'Ufficio UN/Desa di Roma contatta gli altri candidati consigliati in ordine di graduatoria per verificare la loro disponibilità.Chiara Del Priore