Girl Power, «Assunta al primo colpo grazie alla laurea in ingegneria gestionale»

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 14 Mag 2018 in Storie

Gruppo Bosch ingegneria occupazione femminile STEM

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La storia di oggi è quella di Sara Gianotti, 27 anni, ingegnera di processo e Project Manager per Bosch Rexroth, che sarà una delle testimonial dell’edizione 2018 del progetto women@Bosch: il 15 maggio parteciperà alla tappa all'università di Bologna.

Sono originaria di Macerata Feltria, in provincia di Pesaro-Urbino; ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono trasferita a Bologna per studiare ingegneria gestionale, sia alla triennale che alla magistrale. Oggi sono Manufacturing engineer e Project Manager per Bosch

E proprio per la mia azienda da quest'anno partecipo al progetto women@bosch, per raccontare alle future ingegnere la mia giovane esperienza in Bosch e parlare di alcuni aspetti tecnici dell’ingegneria gestionale che sono riuscita ad applicare nella mia esperienza lavorativa. 

Sono sempre stata appassionata delle materie matematiche e tecniche. Dopo le superiori ero indecisa tra ingegneria gestionale e meccanica, ma le argomentazioni della gestionale mi convincevano di più, poiché ritenevo che mi avrebbero permesso di avere una visione più ampia dello spettro produttivo rispetto invece che alla meccanica che nella maggior parte dei casi verte più sulla progettazione del prodotto in tutte le sue varie forme ed era più lontana dai miei interessi. 

La mia famiglia mi ha lasciato libera di scegliere quello che preferivo, anche se mia mamma è ingegnere, e in qualche modo la cosa può avermi influenzato. Tuttavia lei, dopo essersi trasferita in Italia dalla Finlandia per amore, dopo il matrimonio ha fatto la scelta di occuparsi solo della famiglia. 

Pochi mesi dopo la laurea mi hanno chiamato a fare un colloquio per uno stage come ingegnere di manutenzione in Bosch. Non mi ero candidata per la posizione, devono aver attinto dal database dell’università, anche perché mi ero laureata proprio con una tesi in manutenzione. Lo stage era volto a implementare un progetto di TPM – che sta per Total Productive Maintenance – per una macchina automatica nello stabilimento di Nonantola, in provincia di Modena, con l’obiettivo di ottimizzarne la produttività in termini di qualità, efficienza e disponibilità. 

L’esperienza è stata molto positiva sia per me che per l’azienda, che al termine dei sei mesi mi ha fatto un contratto di apprendistato di due anni dopo di che, a novembre dello scorso anno, mi ha proposto un contratto a tempo indeterminato. Sono entrata nel team Manifacturing Engeenering, in cui sono ingegnere dei processi. Inoltre, da poco più di un anno, sono diventata anche Project Manager di una linea di prodotto, che attualmente è in fase di re-design dal punto di vista produttivo, e questo mi porta ad interfacciarmi con vari enti interni alla mia azienda ma anche con una serie di fornitori esterni. 

Di questo lavoro mi piace la possibilità di crescita che una multinazionale come Bosch è in grado di offrire, senza bisogno di cambiare azienda. E amo le attività che svolgo, in cui riesco a mettere in pratica quanto studiato, il che è molto stimolante. Nel mio ente siamo tutti molto giovani, ma ci sono persone che – pur se giovani – hanno molta esperienza, c’è molta diversità, che aiuta a crescere e a colmare le proprie lacune. Soprattutto per chi, come me, è entrata in Bosch alla prima occupazione nel settore. 

Nel passaggio dalla carriera universitaria a quella professionale la cosa più difficile non è stata solo imparare a “lavorare come ingegnere” ma soprattutto approcciarsi con tante persone e mentalità differenti tra loro e da me. L’ambito umano è il più complesso da comprendere e gestire, la parte prettamente tecnica si riesce, in ogni caso, a svolgerla attraverso lo studio, il confronto e la determinazione. 

Finora non ho mai avvertito un gap di genere. Nel mio corso di studi c’era equilibrio tra uomini e donne, e nel mio team di lavoro addirittura siamo in maggioranza: cinque donne e due uomini! Sono convinta che ogni ragazza deve fare quello che più le piace, e se si tratta di ambienti ad oggi prevalentemente maschili, questo non deve essere un vincolo per non seguire i propri sogni.

Professionalmente non dobbiamo sentirci diverse – perché non lo siamo. Anzi le donne nella maggior parte dei casi sono più precise e sanno gestire più dettagliatamente il lavoro, cosa che nell’ingegneria può essere un valore aggiunto.

Testimonianza raccolta da Rossella Nocca 

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