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Indennità ai praticanti nelle Avvocature di Stato: promessa per legge sei anni fa, ma nessuno l'ha mai ricevuta

I giovani laureati in Giurisprudenza che fanno il praticantato per diventare avvocati devono ricevere una indennità mensile? Da qualche anno sì: è un loro diritto. Tranne in un caso: se svolgono il praticantato presso enti che per qualche motivo sono esonerati dal rispettare questa regola. Eh sì, perché mentre gli studi legali privati sono obbligati a rispettare questo principio (anche se ci sono, in effetti, modi per evitarlo... ma non divaghiamo) c'è chi è dispensato dal farlo. Nello specifico, l'Avvocatura dello Stato. Che quindi può ospitare praticanti senza doverli pagare. Già è triste che non ci sia un obbligo nel pagare i praticanti. Ancor più triste è la vicenda delle indennità mancate. Perché a un certo punto, sei anni fa, qualcuno si era accorto che non pagare i praticanti dell'Avvocatura era ingiusto, e aveva trovato un modo per destinare loro dei soldi. Atti, controatti, regolamenti: ma in sei anni nessuno è stato in grado di passare dalle parole ai fatti. Tanta attesa, e nemmeno un euro nelle tasche dei circa mille giovani che avrebbero avuto diritto a ricevere questa indennità.Proprio ieri un drappello di ex praticanti sarebbe dovuto scendere in piazza a Roma, sotto il ministero della Giustizia, a manifestare contro questa vergogna. Poi, causa contagi Covid tra i gruppi di partecipanti, l'evento è stato annullato. Ma l'iniziativa è stata assorbita in un'assemblea pubblica online, già prevista, che è ancora possibile visionare sulla pagina facebook del Coordinamento giovani giuristi italiani. E a inizio mese un parlamentare, il senatore Nencini, ha depositato un’interrogazione al governo Draghi in cui chiede conto dei 4 milioni di euro di soldi pubblici stanziati a suo tempo per pagare questi giovani, oggi ancora fermi, ed evidenzia come sia «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale vi sia una tale mancanza».Ricapitoliamo la vicenda: da molti anni i giovani possono svolgere il praticantato – gratuitamente – presso l’Avvocatura dello Stato, per un minimo di 20 ore settimanali, rispondendo a un bando di selezione che solitamente richiede una laurea con voto non inferiore a 105-106, votazioni alte a determinati esami, e un’età tra i 24 e i 27 anni.  A partire dal 2013 con il decreto 69 il percorso viene legittimato ai fini dell’accesso al concorso in magistratura. «Questa possibilità ha attirato un maggiore interesse per il tirocinio presso l’avvocatura dello Stato, perché oltre alla pratica forense qualificata avrebbe dato questa possibilità in più», spiega alla Repubblica degli Stagisti Giovanni Antonino Cannetti, presidente del Coordinamento giovani giuristi italiani, associazione nata dall’incontro tra paraticanti ed ex praticanti delle Avvocature dello Stato. L’anno seguente la legge di conversione 114/2014 istituisce anche apposite borse di studio per i praticanti presso l’Avvocatura. E lo fa in un modo particolare. Stabilisce, infatti, che in ipotesi di sentenze favorevoli per le amministrazioni difese dall’Avvocatura, il venticinque per cento del recupero delle spese legali a carico delle controparti venga destinato alle borse di studio per la pratica forense. In poche parole «si accantonava un quarto della somma che fa parte della retribuzione accessoria del personale togato e la si faceva defluire in una sorta di fondo che serviva a finanziare le borse di studio», spiega Cannetti. C’è un problema, però: la legge 114 prevedeva anche che spettasse all’Avvocatura stabilire attraverso un suo regolamento interno le modalità, i tempi e l’erogazione delle borse. Eppure in sette anni non c’è traccia dei criteri per l’attribuzione di queste indennità mensili. Tutto questo nonostante le ripetute istanze presentate dai praticanti delle Avvocature in tutta Italia. Il motivo è facilmente intuibile: il personale togato non vuole affatto rinunciare a quella, seppur piccola, parte della sua retribuzione a favore dei praticanti. E dunque ha bloccato tutto con la tecnica dell' “ostruzionismo”, rallentando fino a paralizzare ogni passaggio e contemporaneamente agendo le vie legali per contestare il provvedimento.Ad oggi nessuno dei praticanti che si sono susseguiti dal 2015 in poi ha mai visto un emolumento. «Abbiamo fatto varie istanze di sollecito: la prima nel 2016 come Coordinamento giovani giuristi italiani al segretario generale dell’Avvocatura dello Stato» spiega Cannetti «facendo presente che la norma prevedeva dal primo gennaio 2015 l’accantonamento e l’erogazione e chiedendo spiegazioni». Il 22 dicembre 2016 l’Avvocatura generale dello Stato risponde formalmente spiegando che «era necessario aprire un capitolo di spesa presso il Ministero dell’economia e delle finanze», spiega Cannetti, per la richiesta di riassegnazione delle somme ai nuovi capitoli di spesa. L’Avvocatura spiega anche che precedentemente sarà necessario fare una verifica contabile delle somme riscosse. Solo a quel punto si potrà determinare a quanto ammonta quel venticinque per cento «dedicato al finanziamento delle borse di studio» e si potranno assegnare grazie alla «definizione di una disciplina specifica» all’epoca ancora in corso. Sono passati altri due anni per avere una risposta a una nuova istanza dei praticanti dell’Avvocatura che chiedevano i tempi di attivazione della procedura di valutazione comparativa per l’erogazione delle borse di studio. Poi il capitolo di spesa è stato approvato: nero su bianco ci sono le quote da destinare a borse di studio per la pratica forense presso l’avvocatura dello Stato, pari per l’anno 2018 a più di 2 milioni 180mila euro – da distribuire per la pratica a partire dal 2015 – e per le seguenti due annualità, 2019 e 2020, un milione di euro ciascuno. Per un totale di stanziamento già disposto con la legge del 2014 di oltre 4 milioni 180mila euro.Il 3 novembre 2018 l’Avvocatura scrive di aver iniziato «l’esame della questione dell’applicazione temporale della norma, nonché dei criteri di accesso alle borse di studio per lo svolgimento della pratica forense che dovessero istituirsi», e fa capire che non c’è alcun termine se non ipotetico entro cui debba provvedere a farlo. «I soldi sono stati accantonati, lo stanziamento è stato previsto fino al 2020 ma l’Avvocatura non ha mai emesso questo regolamento» precisa Cannetti. Per cui non si sa nemmeno alla fine a quanto dovrebbe ammontare questa borsa: se si fosse applicato un criterio simile a quello dei tirocinanti negli uffici giudiziari non sarebbe stato, come prevede la norma, più di 400 euro al mese per 18 mesi per un totale massimo di 7.200 euro a praticante. Ma questo con un criterio ripartito in base all’Isee, altrimenti se la distribuzione fosse stata più ampia, la somma sarebbe stata più bassa. Solo ipotesi, però, non essendo mai stato pubblicato un regolamento sul tema.Non solo, a un certo punto si aggiunge la beffa al danno: a fine 2017, con l’approvazione della nuova legge di bilancio, qualcuno decide di tagliare la disposizione che prevedeva l’accantonamento del venticinque per cento della retribuzione accessoria per le borse di studio che, quindi, «dal primo gennaio 2018 cadono, visto che la norma che le regola non c’è più». Quel venticinque per cento torna a far parte della remunerazione accessoria dell’avvocatura, con il personale togato «che era arrivato a portare il contenzioso in sede Tar, arrivando alla Corte costituzionale, per riavere quella cifra».Ora se da una parte può essere comprensibile che una categoria di lavoratori si mobiliti contro un taglio improvviso del proprio stipendio, è bene precisare che il personale togato non aveva visto tagli sulle mensilità fisse. Aveva subito – in teoria – una riduzione del venticinque per cento della retribuzione accessoria, quindi di quel guadagno aggiuntivo variabile che dipende dalle cause vinte. Ma, ecco, bisogna anche dire che il personale togato dell'Avvocatura è tutto tranne che mal pagato: anzi, l'importo annuo lordo è – o almeno, era una decina di anni fa – di 160mila euro all'anno di media. E dunque quei soldi destinati ai praticanti non avrebbero fatto una differenza così grande nella retribuzione complessiva dei 300 avvocati e 70 procuratori dello Stato. C’è poi un’altra precisazione da fare: la norma di fine 2017 non è retroattiva, per cui se anche dal 2018 l’Avvocatura fosse stata legittimata a non pagare i suoi praticanti, restano i tre anni precedenti per cui c’era una norma in vigore che prevedeva un pagamento e che non è stata rispettata.Per tre anni una legge dello Stato ha stabilito che questi praticanti andassero pagati, lasciando a un organo del nostro ordinamento giuridico il compito di decidere le modalità per distribuire questi rimborsi. In tre anni l’Avvocatura non è stata in grado di produrre questo regolamento e nel frattempo è arrivata una nuova legge che ha soppresso il pagamento (ma non retroattivamente). Eppure passati altri tre anni – in totale sei dall’inizio della storia – non si è ancora stati in grado di produrre un testo per distribuire queste somme – dovute – che sono già a bilancio. «Hanno un preciso vincolo di spesa», eppure sono ancora ferme lì, inutilizzate. Del regolamento non c’è traccia e una delle ultime richieste di accesso agli atti è stata respinta perché «materia potenzialmente oggetto di contenzioso». Il Coordinamento ha fatto anche un esposto alla procura della Corte dei Conti competente per il Lazio, ma non ha avuto risposta.Nel frattempo, oggi, chi sceglie la strada del praticantato presso l’Avvocatura dello Stato non percepisce alcun rimborso spese visto che non c’è una norma che obblighi a farlo. Anche perché, spiega Cannetti, «questo praticantato si muove anche in deroga rispetto alle previsioni e agli obblighi della legge forense. Quindi se negli studi privati dopo sei mesi è possibile pattuire un emolumento dell’attività del praticante, per l’avvocatura dello Stato non è così».Oggi i praticanti tra il 2015 e il 2017 sono abilitati, «alcuni addirittura lavorano come procuratori presso l’Avvocatura». Quelle risorse a loro destinate non sono state ancora distribuite. «Fino al 31 dicembre 2017 c’è anche una violazione della norma applicabile pro tempore. E poi ci sono dei soldi stanziati fino al 2020 per questo scopo, e visto che sono stanziati al di là della previsione e della norma, nulla vieta di destinarli per ciò per cui erano fin dall’inizio destinati. Basterebbe un passaggio formale coordinandosi con gli uffici del Mef e con la presidenza del Consiglio» spiega Cannetti, «se lo volessero non avrebbero difficoltà a erogare le borse fino alla fine dello scorso anno». Eppure, continua, «Qui ancora parliamo del regolamento che disciplina come distribuirle».Sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e nella distribuzione delle borse punta, come detto, anche l’interrogazione del senatore Nencini, che sottolinea il contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale svolto da questi praticanti che hanno dovuto anche sostenere notevoli spese e «chiede di sapere se non si ritenga doveroso intervenire per sollecitare l’assegnazione delle borse di studio», visto che è «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza». Questi giovani non hanno intrapreso vie legali per veder tutelati i propri diritti, nonostante gli estremi per agire in giudizio fossero presenti. «Abbiamo un bel ricordo del nostro praticantato, un’attività che abbiamo svolto con rispetto e non c’è volontà da parte nostra di porre in essere un contenzioso che abbiamo cercato in tutti i modi di risolvere». Per questo hanno cercato di ottenere risposte, senza risultato. La misura, però, ormai è colma. «Il 2021 per noi sarà l’ultimo anno di attesa delle risposte, prima di decidere di intraprendere anche un contenzioso». Marianna Lepore   Foto di apertura: di Sergio D'Afflitto da Wikipedia in modalità Creative Commons

Covid, che succede se lo stagista risulta positivo?

A un anno dallo scoppio della pandemia l'Italia sembra vivere un secondo semi-lockdown, ma per fortuna è anche in atto una campagna di vaccinazione. A questo punto vale la pena chiedersi: quali sono le tutele per gli stagisti in caso di contagio da Covid?Per prima cosa un chiarimento: il contagio da Coronavirus è considerato e quindi trattato come infortunio sul lavoro e non come malattia. La Repubblica degli Stagisti ha interpellato l’Inail per avere chiarimenti sulla situazione contagio da Coronavirus sul luogo di lavoro per quanto riguarda la categoria dei tirocinanti, ma è bene chiarire subito che le risposte – arrivate dopo quasi un mese e mezzo di attesa – si riferiscono quasi sempre al “lavoratore” e non al caso specifico degli stagisti. Anche i numeri a disposizione, utili per farsi un'idea generale della diffusione del fenomeno, sono relativi esclusivamente ai lavoratori. Secondo gli ultimi dati, riferiti fino al 31 gennaio 2021, i contagi sul lavoro da Covid denunciati all’Inail sono stati poco meno di 150mila (per la precisione 147.875), pari a circa un quarto delle denunce complessive di infortunio pervenute all’Inail dall’inizio del 2020. Quasi sette su dieci provenivano, come intuibile, dal settore della sanità e assistenza sociale. Secondo per numero di contagi il settore della pubblica amministrazione – ovvero Asl, amministrazioni regionali, provinciali e comunali – con poco più del nove per cento di denunce. Nessun dato disponibile, invece, sulla casistica dei tirocinanti contagiati. Leggendo i numeri si sa solo che i soggetti fino a 34 anni hanno denunciato un infortunio da Covid sul lavoro all’Inail sono stati 28.429, di cui cinque sono morti. Sono, però, tutti giovani lavoratori: il dato sugli stagisti, come detto, manca. A questo punto, vediamo nel dettaglio cosa succede in caso di positività al Covid sui luoghi di lavoro. Se un dipendente fa un test e risulta positivo, viene messo in quarantena e vengono attivate misure di contenimento, procedendo all’isolamento di tutte le altre persone che lavorano negli stessi locali. Ma se a risultare positivo è uno stagista?Innanzi tutto è bene ricordare che ogni volta che si firma una convenzione di stage c’è sempre l’obbligo assicurativo presso l’Inail, a carico del soggetto ospitante o del soggetto promotore, proprio per tutelare il tirocinante in caso di infortuni. E questo vale sia per i tirocini curriculari, previsti all’interno di un percorso di studi, sia per quelli extracurriculari, svolti per l’inserimento nel mondo del lavoro grazie a un periodo di formazione in un’azienda o studio professionale. Per entrambe le tipologie «sussiste l’obbligo assicurativo presso l’Inail e, di conseguenza, la relativa tutela, inquadrando per l’aspetto assicurativo il contagio da Covid 19 avvenuto in occasione di lavoro nella categoria degli infortuni sul lavoro, in quanto in questi casi la causa virulenta è equiparata a quella violenta», spiega alla Repubblica degli Stagisti Fausta Savone dell’ufficio stampa Inail.C’è però una differenza tra i due tipi di stage in fatto di assicurazione, che esisteva già prima della pandemia. Se infatti per i tirocinanti extracurriculari «è prevista la copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro di tutte le attività rientranti nel progetto formativo, comprese quelle eventualmente svolte al di fuori dell’azienda, e quindi anche gli infortuni in itinere, lo stesso non può dirsi per i tirocinanti curriculari, per i quali quest’ultima tutela è da ritenersi esclusa». Questo significa che se all’interno dello stesso ufficio ci sono due stagisti, uno extracurriculare e uno curriculare, ed entrambi dovessero avere un infortunio – o, nel caso specifico della pandemia in atto, venire a contatto con un soggetto positivo al Coronavirus – nel tragitto verso l’azienda solo il tirocinante extracurriculare avrebbe diritto alla copertura assicurativa. Questo perché la tutela in itinere è esclusa per i tirocini curriculari visto che, si legge anche dal sito Inail, «gli infortuni devono essere ammessi a tutela nei limiti e alle condizioni previste per gli alunni e gli allievi dei corsi professionali e cioè quando si verifichino in occasione delle esperienze tecnico scientifiche, pratiche e di lavoro». In ogni caso, stabilire se il contagio sia avvenuto nel tragitto casa – ufficio o a contatto con altri lavoratori in ufficio è pressoché impossibile.  E infatti la risposta dell'Inail è sibillina: «l’accertamento del nesso causale viene effettuato caso per caso esaminando le cause e le circostanze dell’evento denunciato dal datore di lavoro, ricorrendo nei casi più complessi anche ad indagine ispettiva», il tutto secondo «orientamenti consolidati dalla scienza medico legale». La circolare Inail del 3 aprile 2020 fa un po' di chiarezza: vi si legge che «sono tutelati dall’Istituto anche i casi di contagio da nuovo Coronavirus avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere». Su questo punto l’Istituto ha fatto anche un’ulteriore precisazione scrivendo che «poiché il rischio di contagio è molto più probabile a bordo di mezzi pubblici affollati, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza è considerato necessitato l’uso del mezzo privato fino al termine dell’emergenza epidemiologica». Non solo, «la tutela assicurativa si estende anche ai casi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti più difficoltosa. In tali casi la circolare spiega che si dovrà fare ricorso agli elementi epidemiologici, clinici, anamnestici e circostanziali, al fine di garantire la piena tutela». Ma si parla comunque solo di lavoratori.Bisogna poi vedere cosa succede se lo stagista è positivo al Coronavirus o sia entrato in contatto con un soggetto positivo e di conseguenza sia obbligato alla quarantena. L’ufficio stampa precisa che «la tutela Inail nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro presuppone una inabilità temporanea assoluta al lavoro fino alla guarigione clinica» e che, come stabilito dalla circolare 13 del 2020, «nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro il medico certificatore redige il certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail». Inoltre il datore di lavoro «una volta appreso dell’infortunio deve avvertire l’Inail mediante la comunicazione di infortunio attraverso il servizio denuncia/comunicazione d’infortunio, entro due giorni da quando il lavoratore gli ha fornito notizia dell’evento assieme agli estremi del certificato medico, con l’eventuale documentazione sanitaria allegata».Le prestazioni Inail nel caso accertato di infezione da Coronavirus sono erogate anche per il periodo di quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria con conseguente astensione dal lavoro. Savone precisa che «la tutela assicurativa Inail spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da nuovo coronavirus contratta in occasione di lavoro per tutti i lavoratori assicurati all’Inail, compresi tirocinanti e stagisti». Tutela che decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro attestato dal certificato medico di avvenuto contagio o coincidente con l’inizio della quarantena sempre a causa di Coronavirus.In caso accertato di infezione da Covid in occasione di lavoro l'Inail prevede l’inabilità temporanea assoluta al lavoro fino alla guarigione clinica. All’Istituto deve quindi arrivare la documentazione utile per l’apertura del caso di malattia – infortunio che è indispensabile per la verifica della regolarità sanitaria e l’ammissione del caso alla tutela Inail.A quel punto, una volta accertata la malattia e la conseguente inabilità al lavoro, chi paga il lavoratore? «Nel caso di soggetti assicurati che hanno contratto il contagio da Covid 19 in occasione di lavoro, la tutela assicurativa è a carico dell’Inail che provvede a erogare le relative indennità per il periodo di astensione dal lavoro». Se quindi, come l'Inail afferma, «la tutela assicurativa opera per tutti i lavoratori assicurati, compresi tirocinanti e stagisti» allora anche questi soggetti dovrebbero di fatto ricevere l'indennità a carico dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro durante l'astensione dal tirocinio. Ma la Repubblica degli Stagisti non ha ancora dati a supporto.Cosa fare invece per tornare in ufficio a svolgere lo stage una volta guariti? «Per il rientro/reintegro al tirocinio è necessario che si presenti al datore di lavoro il certificato di avvenuta negativizzazione e in caso di stagisti che siano stati ricoverati, che vi sia stata la visita del medico competente per verificare l’idonetà alla mansione specifica», spiega Savone, come stabilito anche dalla circolare ministeriale del 12 ottobre 2020. Fin qui le risposte dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. A queste va aggiunto quanto stabilito nel Dpcm del 3 novembre 2020 all’articolo 1 comma nn in riferimento alle attività professionali per cui si raccomanda «che siano attuate mediante modalità di lavoro agile, ove possano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza» e che «siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio». Questo significa che ai tirocini che si svolgono in presenza o in modalità mista è necessario applicare i protocolli di sicurezza anti contagio e che l’ente ospitante deve dichiarare all’università di assicurare anche nei confronti del tirocinante l’applicazione del Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e la prevenzione dal Covid 19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile dello scorso anno tra Governo e parti sociali. Come già detto, le risposte arrivate dall’Inail fanno quasi sempre riferimento al “lavoratore” e non al caso specifico dello stagista. E infatti, nella pratica, ad oggi in ambito di tirocinio si sta optando per altre modalità piuttosto che per la sospensione assoluta dal lavoro. Per quanto lo stagista sia equiparato al lavoratore e venga nei suoi confronti applicato il protocollo, fin quando possibile si continua con lo svolgimento dello stage in modalità a distanza.Prendendo, infatti, ad esempio le indicazioni dell’università Bocconi, se il tirocinante è risultato positivo al Covid durante lo svolgimento dello stage e questo si sta svolgendo in presenza o in modalità mista e le condizioni di salute del giovane lo consentono, allora «è possibile proseguire senza interruzioni in modalità a distanza durante il periodo di isolamento del tirocinante». Stessa cosa se lo stagista è in quarantena in attesa di tampone o perché contatto stretto di un positivo.Se, invece, le condizioni di salute non lo permettono «è possibile sospendere lo stage per il tempo necessario, con facoltà dell’azienda di recuperare la sospensione alla guarigione del tirocinante». Se, invece, il tirocinante «è entrato in contatto con persone dell’azienda si deve fare riferimento al Protocollo aziendale prevenzione Covid19». Sospensioni e modifiche devono sempre essere confermate dallo stagista e approvate dall’Università.Tenendo presente quindi le indicazioni Inail, conviene sempre farsi dare copia del Protocollo aziendale prevenzione Covid e allo stesso tempo dare un’occhiata alle indicazioni della propria università – o altro soggetto promotore – e a quelle adottate dalle singole Regioni. Nel Lazio, per esempio, il tirocinio va sospeso in caso di quarantena o isolamento, adottando la causale della sospensione per malattia lunga. La tutela Inail resta la stessa ovunque, ma la possibilità eventualmente di procedere con il tirocinio a distanza – soprattutto se asintomatici – dipende dalle singole situazioni.Ad oggi però, come detto, non è dato conoscere il numero degli stagisti infortunati Covid e i dettagli sul trattamento economico che hanno ricevuto e stanno ricevendo dall’Inail come indennizzo. Non appena l'Inail ce li fornirà, torneremo a occuparci di stagisti con il Coronavirus sulle pagine della Repubblica degli Stagisti.  Marianna Lepore

Stagisti "anziani": raddoppiati in otto anni quelli tra i 35 e i 54 anni, triplicati gli over 55

Il dato sull'età media degli stagisti del terzo trimestre 2020, con il calo significativo degli under 25 (per loro le attivazioni di stage tra luglio e settembre sono diminuite del 17%, facendo un confronto con lo stesso periodo dell'anno precedente) e il balzo in avanti della classe degli over 55, aumentati addirittura del 20%, ha riacceso i riflettori sul fenomeno degli stagisti avanti con l'età.Ed effettivamente siamo di fronte a una crescita che negli anni è stata costante e addirittura clamorosa. Qui sulla Repubblica degli Stagisti già nel 2016 avevamo dato l'allarme nell'articolo “A cinquant'anni non è giusto essere stagisti, per almeno cinque ragioni”, riprendendo poi il tema nel 2018 (“Sempre più stagisti in Italia, e sempre più vecchi”). Da allora la situazione non è cambiata, anzi: in otto anni, tra il 2012 e il 2019, il numero di  persone tra 35 e 54 anni coinvolte in esperienze di tirocinio extracurricolare è aumentato di quasi il 90% – cioè è quasi raddoppiato, passando da poco meno di 26mila a poco meno di 49mila. E il numero di persone di oltre 55 anni è più che triplicato, da poco più di 3mila a quasi 10mila.Nel dettaglio, andando indietro di quasi un decennio a compulsare i numeri riportati nei vari Rapporti annuali sulle Comunicazioni obbligatorie del Ministero del lavoro, si scopre che nel 2012 erano stati attivati 25.807 tirocini su persone tra 35 e 54 anni, più 3.139 su persone di oltre 55 anni; tali numeri erano saliti rispettivamente a 28.077 e 3.405 nel 2013 e a 29.979 e 4.077 nel 2014.E hanno continuato a salire negli anni, tanto che l’ultimo Rapporto sulle CO, quello pubblicato nel 2019, si legge che nel 2018 sono partiti 46.126 tirocini a favore di persone tra 35 e 54 anni più 9.430 a favore di persone di oltre 55 anni; nel 2019 questi numeri sono arrivati a 48.613 e 9.733.Chi sono questi stagisti anzianotti? Cosa cercano – e cosa trovano – negli stage? È davvero ragionevole ridurre una persona di cinquant'anni, che magari ha già vent'anni di esperienza lavorativa alle spalle, al rango di stagista, come se fosse un giovane alle prime armi?Ormai è automatico, quando si parla di questo tema, pensare alla faccia del grande Robert De Niro sorridente e incravattato stagista nell'azienda ipertecnologica della giovane startupper Anne Hathaway nel film del 2015 The Intern (titolo tradotto ne “Lo stagista inaspettato”). Attenzione però: lì De Niro interpretava il ruolo di un neopensionato vedovo, benestante, con figli e nipoti lontani, tanto tempo libero e poca voglia di passare le sue giornate davanti alla tv o al parco a dar da mangiare ai piccioni. L'internship rappresentato nel film era più un periodo di volontariato, una sorta di programma di inclusione di pensionati ad alto potenziale di esperienza lavorativa in azienda: al punto che nella versione inglese uno dei payoff del film era “Experience never gets old”, l'esperienza non invecchia mai.. Insomma De Niro non aveva bisogno dello stage né per guadagnarsi da vivere né per reinserirsi nel mondo del lavoro. Era, per lui, un hobby.Ma non è così per le quasi 10mila persone over 55 coinvolte in tirocini extracurricolari in Italia nel 2019. Ben più probabile che si tratti di persone in grande difficoltà, disposte a tutto pur di poter ottenere un compenso mensile – e pace se, anziché una vera e propria retribuzione, sarà solo una indennità di stage – nella speranza di riqualificarsi e riuscire a ottenere un nuovo lavoro, per non restare disoccupati per gli ultimi dieci o dodici anni prima di raggiungere l'età della pensione. Allora bisogna chiedersi: qual è, in ultima analisi, il fine principale degli stage? È addestrare a una specifica mansione oppure orientare una persona inesperta verso il mondo del lavoro, permettendole di fare una esperienza on the job e di sviluppare quelle soft skills che sono trasversali rispetto a tutte le mansioni lavorative – come comportarsi sul posto di lavoro, come interagire con colleghi e superiori, come rispettare le deadline, come rapportarsi con clienti e fornitori...?Perché se concordiamo che la finalità degli stage sia questa seconda, allora utilizzarli su persone già molto avanti con l'età, già avvezze alle interazioni nel mondo del lavoro è completamente inappropriato.La verità è che molto spesso gli stage per persone over 35 e specialmente per persone over 55 sono stati considerati degli ammortizzatori sociali di ultima istanza, impropri, una sorta di extrema ratio quando tutte le altre misure (dalla cassa integrazione ai sussidi di disoccupazione) erano state esaurite. Nelle normative vigenti in Italia – che sono ben ventuno: una per Regione e addirittura due diverse per le Province autonome di Trento e di Bolzano – non sta scritto da nessuna parte che uno stage extracurricolare non possa essere attivato per persone oltre una certa età. Non vi sono limiti anagrafici, e dunque questi quasi 60mila stage attivati nel corso del 2019 per persone di oltre 35 anni non hanno infranto nessuna normativa.A parte, forse, il principio etico che vorrebbe che a ogni età della vita venissero offerte opportunità adeguate; e che una persona di cinquant'anni, che magari ha anni di esperienza lavorativa alle spalle conclusi malamente, oppure ha lavorato in casa crescendo qualche figlio, non fosse costretta a ripartire dalla casella del via, fianco a fianco con ventenni appena usciti dalle superiori o dall'università. La questione dell'umiliazione psicologica di fare un tirocinio in tarda età viene raramente considerata. A torto.E non andrebbero nemmeno ignorate le diverse esigenze economiche delle varie età della vita: non percepire contributi – cosa che accade, naturalmente, per gli stage dato che essi non sono contratti di lavoro e non valgono nulla ai fini pensionistici – può non essere drammatico per un 22enne alle prime armi; per un 40enne invece creare un buco nel suo profilo contributivo è ben più problematico. Allo stesso modo, percepire poche centinaia di euro al mese come indennità può essere già un buon trattamento economico per il nostro 22enne, che fino a quel momento è stato mantenuto dalla sua famiglia; lo stagista 40enne invece come farà a farci stare la rata del mutuo, le bollette e magari il dentista per i figli?Questo è solo un accenno a tutta la miriade di motivi per cui utilizzare lo strumento dello stage su persone adulte – o addirittura quasi anziane – non è una buona idea. Certo, ci sono le eccezioni. Certo, ci sono i 50enni entusiasti che giurano che fare uno stage ha cambiato la loro vita, permettendo un cambio di carriera altrimenti inimmaginabile. Questi casi esistono. Solo che sono una esigua minoranza. Il resto dei 30enni, dei 40enni, dei 50enni non vorrebbe uno stage. Vorrebbe un lavoro, grazie mille.Eleonora Voltolina

Stage da 1.200 al Comitato delle regioni UE, malgrado il Covid «cerchiamo di assicurare un tirocinio memorabile»

Sono circa 50 in totale, suddivise in due tornate, le opportunità di tirocinio con indennità che offre ogni anno il Comitato delle Regioni europeo (CoR) di Bruxelles. L'organo, composto da 329 membri rappresentanti dei 27 Paesi europei, conta su 525 dipendenti e opera in rappresentanza delle comunità regionali e locali «facendosi loro portavoce». La pandemia sembra aver avuto un qualche effetto sul numero totale delle application pervenute. Sono state solo 2.795 quelle per la sessione della primavera 2021 (dunque per il ciclo di stage appena iniziato), secondo i numeri forniti dall'ufficio tirocini, a fronte delle 3.150 depositate per la sessione primaverile 2020 e delle 3.120 per la sessione autunnale dello stesso anno. Una leggera flessione – un dieci per cento in meno – che non si riflette però nelle application provenienti dagli italiani, che nello stesso arco temporale sono cresciute invece del 25%: rispettivamente 1.112,  1.169 e infine 1.424 per l'ultima tornata. Tanto che anche gli italiani selezionati sono cresciuti da due a sei. Un trend, quello dei nostri connazionali, che si verifica per quasi tutti i programmi di tirocinio delle agenzie europee e degli organismi internazionali, e che sembra confermarsi a ogni bando.Le candidature aperte al momento sono quelle per la sessione autunnale, che si svolgerà dal 16 settembre al 15 febbraio 2022: la deadline è fissata per mercoledì 31 marzo. Cinque mesi di tirocinio accompagnati da una borsa di studio di circa 1200 euro mensili, «tassabili a seconda delle diverse legislazioni di appartenenza del candidato», e con supplementi «del 10 per cento in caso di tirocinanti con coniugi disoccupati o con figli a carico» come chiariscono le faq.La particolarità di quest'anno – non potrebbe essere altrimenti per via della pandemia in corso – è quella della possibilità di svolgere lo stage sì da casa, «ma nella città Bruxelles» specifica alla Repubblica degli Stagisti Marcel Lysoněk dell'ufficio tirocini. «Il telelavoro è la norma al momento» specifica, nel senso che è già applicato per i tirocini in corso: «Il Comitato delle Regioni fornisce a tutti i tirocinanti un laptop aprendo l'accesso alla rete di lavoro interna». E come per ogni altro membro dello staff del CoR, prosegue Lysoněk, «il telelavoro non può essere svolto dal Paese di provenienza a meno di circostanze eccezionali, quali situazioni difficili per motivi familiari, forme severe di lockdown, assenza di collegamenti aerei o ferroviari».  Solo in questi casi, «la questione va sottoposta all'ufficio tirocini il prima possibile, in modo da trovare una soluzione appropriata». Il viaggio a Bruxelles, sia di andata che di ritorno, rimane comunque coperto, come avviene nella maggioranza dei casi dei tirocini Ue, sempre che si completino almeno tre mesi di stage dei cinque totali. In più è riconosciuta anche una copertura per gli spostamenti con i mezzi pubblici nella capitale belga. I requisiti per fare domanda corrispondono alle consuete condizioni poste dai bandi delle istituzioni Ue. Vale a dire la cittadinanza europea, una laurea almeno triennale, una conoscenza eccellente di una delle lingue europee e una conoscenza anche solo 'sufficiente' di inglese o francese. Escluso dalla possibilità di candidarsi è invece chi abbia avuto oltre otto settimane di incarichi presso qualche istituzione della Ue. La procedura per la candidatura è tutta online. Per la lettera di motivazione, specificano le faq, «meglio non inserire dati personali». Questo per «assicurare che il processo di selezione sia il più possibile obiettivo, anonimo e basato sul merito». Ragion per cui, proseguono le faq, «il database non consente ai dipartimenti di effettuare ricerche indicando nomi o dati personali come per esempio le foto». Per i candidati attuali la selezione finale sarà a giugno, con intervista telefonica inclusa, a cui si accederà dopo una mail che avvisa dell'inserimento nella lista dei finalisti e la richiesta eventuale di spedizione di documenti a supporto della propria domanda.Ma non finire nella lista finale «non significa non essere abbastanza qualificati» tranquillizzano le faq: «Ci teniamo a sottolineare che non si tratta di una valutazione negativa del vostro percorso accademico o professionale» scrivono. Il significato è solo che «è stato trovato un migliore abbinamento tra candidato e esigenze delle varie unità, e non un migliore candidato». Bisogna indicare almeno tre dipartimenti presso i quali si vorrebbe lavorare. La struttura del CoR è indicata qui. La scelta può cadere sugli uffici legali, le aree comunicazione, le direzioni risorse umane e finanza, la logistica, gli uffici per le traduzioni; ma sono poi i diversi dipartimenti a filtrare i candidati a seconda delle posizioni vacanti del momento. E sulle diverse attività del Comitato potrebbero esserci variazioni dovute al Covid: «Come per tutti i Paesi Ue, le misure sanitarie di contenimento dei contagi potrebbero avere un impatto sulle attività pensate per gli stagisti» sottolinea Lysoněk «quali conferenze o altri eventi, che potrebbero tenersi esclusivamente online». La speranza è che la pandemia il prossimo autunno sia già scemata, ma – proseguono dall'ufficio tirocini – per le restrizioni in corso al momento, «le opportunità di incontrare di persona colleghi o altri tirocinanti sono giocoforza limitate». Benché il CoR «stia facendo il possibile per accogliere gli stagisti e assicurare loro un tirocinio interessante e degno di essere ricordato».Ilaria Mariotti 

Il Covid diminuisce le opportunità per i giovani (e specialmente le giovani): meno stage sopratutto in alberghi e ristoranti

Nel terzo trimestre del 2020 sono stati attivati 68.514 tirocini extracurricolari: il 12% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, quando avevano preso il via 78.043 percorsi formativi di questo tipo. Un calo non drammatico, tutto sommato, frutto della piccola “ripresa” estiva. Ma ovviamente dal punto di vista della suddivisione per settori ve ne sono alcuni che hanno continuato a patire e per i quali questa “ripresa” è stata meno pronunciata. In cima alla lista, prevedibilmente, ci sono le strutture turistico-ricettive. In alberghi e ristoranti gli stage attivati tra luglio e settembre del 2020 sono stati  6.952, rappresentando solo il 10% del totale; nello stesso arco di tempo dell’anno precedente, in epoca pre-pandemia, erano stati 10.051, cioè quasi il 13% del totale. Il calo del numero di opportunità di stage in termini assoluti dall’ultimo anno pre-pandemia, il 2019, all’anno del Covid – confrontando per entrambi gli anni i mesi di luglio, agosto e settembre – è stato del 31%, quindi quasi il triplo del calo mediamente registrato in tutti i settori produttivi (– 12%). Ma tutto sommato una flessione meno pronunciata di quanto si potesse temere per un comparto, quello ricettivo, che ha subito un impatto devastante dalle misure sanitarie restrittive. E forse qui pesa il fatto che gli stage siano così convenienti dal punto di vista economico: non è improbabile che albergatori e ristoratori al momento della riapertura, e specialmente in vista di una stagione estiva incerta, abbiano prediletto gli inquadramenti in stage – meno onerosi e meno vincolanti – ai contratti stagionali.È sempre importante osservare i dati anche con l’ottica di genere: e quindi sapere che dei  6.952  stage nel settore Alberghi e ristoranti, tra luglio e settembre 2020, una buona fetta – 3.637, pari al 52% – ha riguardato donne. Una percentuale identica peraltro a quella registrata nello stesso periodo dell’anno precedente.Meno 20% di opportunità nel terzo trimestre 2020 nel settore che il ministero intitola “Industria in senso stretto”: 11.465 tirocini extracurricolari (si parla sempre e solo di questi quando si citano dati ministeriali, perché sono gli unici monitorati) attivati tra luglio e settembre 2020 a fronte dei  14.496 che erano stati attivati nello stesso periodo dell’anno precedente, e in questo caso la schiacciante maggioranza delle opportunità è riservata ai maschi, che rappresentano il 69% degli stagisti in questo settore di attività in questo periodo. Anche in epoca pre-pandemia comunque si verificava un simile disequilibrio, sebbene in maniera un po’ meno pronunciata: nel terzo trimestre 2019 per esempio il 66,5% degli avviamenti in stage in questo settore avevano riguardato maschi.Meno 20% anche per le attività afferenti ad “Altri servizi pubblici, sociali e personali”:  3.950 tirocini extracurricolari partiti tra luglio e settembre dell’anno scorso, di cui il 56% ha riguardato stagiste donne. Nel 2019 gli stage in questo settore nello stesso arco di tempo erano stati 4.912. Qui il contraccolpo per le donne, con un calo significativo delle opportunità per loro, si è fatto decisamente sentire: c’è stato oltre un 5% di attivazioni di tirocini improvvisamente “migrato” dagli donne agli uomini, se si pensa che nello stesso periodo del 2019 le donne erano state le beneficiarie del 61,5% dei percorsi formativi di questo tipo. In questa macrocategoria vi sono per esempio i cinema e i teatri, le radio e le televisioni, le biblioteche, gli stadi e gli altri impianti sportivi, ma anche i sindacati, le associazioni datoriali di categoria e gli ordini professionali, e ancora gli stabilimenti balneari – ma anche le aziende che si occupano dello smaltimento dei rifiuti e delle acque di scarico.Quindici per cento in meno per il settore multisfaccettato dei “Trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese”: 14.935 stage contro i 17.561 dell’anno precedente. In questo gruppo si trovano, tra le altre, anche le aziende che si occupano di organizzazione di fiere e convegni e le agenzie di recupero crediti. Flessione davvero piccola infine nel settore “Commercio e riparazioni”: qui gli stage attivati sono stati tra luglio e settembre 17.383, solo un – 7% rispetto al 2019. Il che è coerente, del resto, con il fatto che molte attività del settore commercio (a cominciare dai piccoli e grandi punti vendita di generi alimentari e farmacie) sono state in un certo senso “risparmiate” e hanno potuto continuare a lavorare anche nei momenti dei lockdown più duri.Praticamente nessuna flessione invece nell’agricoltura, dove comunque lo strumento dello stage è utilizzato in maniera irrisoria: 1.314 percorsi formativi extracurricolari attivati tra giugno e settembre 2020, in quattro casi su cinque coinvolgendo stagisti maschi; nel 2019 erano stati 1400 (con una percentuale quasi identica, 78%, a favore di maschi).Ci sono però due settori che fanno registrare un segno più: +16%  nella “Pubblica amministrazione, istruzione e sanità”, con 8.632 tirocini attivati (e il 56% sono stagiste donne) contro i 7.430 partiti nello stesso settore nello stesso periodo dell’anno precedente (in quel caso le stagiste avevano rappresentato addirittura il 59% del totale). L’altro è quello delle costruzioni con un +11%: nel terzo trimestre 2020 sono stati infatti attivati addirittura più stage – per la precisione 3.866 – rispetto allo stesso periodo del 2019, quando le attivazioni registrate si erano fermate a 3.497. Manco a dirlo, un settore quasi esclusivamente maschile: gli stagisti rappresentano l’86% (3.335), le stagiste solamente il 18% (14%). Il fatto che questi due settori abbiano “tenuto” può a prima vista sorprendere, ma era una tendenza già emersa quando qui sulla Repubblica degli Stagisti avevamo pubblicato i dati inediti relativi ai primi due trimestri del 2020. Probabilmente da un lato incide il fatto che la pubblica amministrazione non si è potuta fermare, in questi mesi, e anzi ha dovuto fronteggiare una profonda riorganizzazione delle policy per poter fornire prestazioni ai propri utenti anche in una situazione di lockdown o semilockdown senza considerare il fatto che all'interno di questo settore è compresa anche la sanità, che anzi è stata letteralmente sotto stress negli ultimi mesi. Dall'altro, non è da escludere che il settore delle costruzioni "regga" anche grazie ai bonus che sono stati previsti dai decreti di emergenza, e che stanno permettendo di eseguire ristrutturazioni (per esempio interventi di riqualificazione energetica, bonus facciate etc) con importanti detrazioni fiscali. E tutto questo si traduce in una non-diminuzione, anzi addirittura un aumento, delle opportunità di tirocinio. Credits per le immagini:Foto di apertura di Kate Townsend tratta da Unsplash foto del barista di Quaid Lagan tratta da Unsplash

Stage in ripresa tra luglio e settembre malgrado il Covid, sopratutto – a sorpresa – nelle Regioni del Mezzogiorno

Tra luglio e settembre del 2020 sono stati attivati 68.514 tirocini extracurricolari. Un po’ meno rispetto a quello che può essere considerato – almeno in gran parte – come l’ultimo periodo pre-pandemia, e cioè il primo trimestre del 2020 (quando il dato era stato 69.461), ma sopratutto il 12% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, quando erano partiti 78.043 percorsi formativi di questo tipo.Il calo dipende dal Covid, ovviamente: e proprio per “quantificarlo” e comprenderne la portata è opportuno fare il confronto con il 2019. La prima cosa evidente è che nel terzo trimestre 2020 non si è verificato un crollo delle opportunità di tirocinio – niente di paragonabile, insomma, al – 73% registrato nel catastrofico secondo trimestre – ma per una ragione ben precisa: dopo il secondo trimestre, tra aprile e giugno, quando c’era stato il primo lockdown totale, è comprensibile che il trimestre luglio/agosto/settembre sia stato quello della ripresa e sopratutto del recupero del tempo perduto. Ergo: tutti gli stage che erano stati bloccati e messi in stand-by nei mesi “di fuoco” del Covid, proprio tra luglio e settembre sono stati recuperati.La prima cosa che si nota nei dati, che sono inediti e sono stati forniti alla Repubblica degli Stagisti dal ministero del Lavoro, è che le Regioni del Mezzogiorno sono quelle che sono tornate più impetuosamente ad attivare tirocini tra luglio e settembre del 2020.Sembra quasi incredibile, infatti, che in quei mesi sia stato attivato in Sicilia, Campania e Sardegna un numero di tirocini uguale allo stesso periodo del 2019 – quasi che il Covid non ci fosse stato. Nel dettaglio in Campania 5.128 tirocini, in Sicilia 3.106, in Sardegna 1782: dati pressoché identici a quelli (rispettivamente 5.075,  3.170 e 1725) registrati in queste due Regioni nel 2019. E non è tutto: i 2.687 stage extracurricolari avviati in Calabria nel terzo trimestre 2020 rappresentano addirittura un incremento (!) rispetto all’anno precedente (1.751). Un aumento del 53%! Come sia stato possibile questo exploit – dove siano stati inseriti tutti questi tirocinanti, in un periodo di crisi economica e di grande difficoltà per le aziende – è un quesito ancora senza risposta.Anche in Basilicata tirocini più numerosi nel terzo trimestre 2020 che nel terzo trimestre 2019, anche se in questo caso l’aumento numerico è più modesto: 1.093 contro 844, vale a dire il 19% in più. Tra le Regioni del centro-nord l’unica in cui si rileva un aumento, pur contenuto, è l’Emilia Romagna, con un + 14% (5.604  nel III trim 2020 contro i 4.905 del III trim 2019).La Puglia invece è l’unica regione del Sud in cui la flessione c’è: 3.958 tirocini nel terzo trimestre 2020 contro i 4.493 del 2019, dunque in linea con la media nazionale di – 12%.Mentre invece la Lombardia, Regione che di solito ospita da sola un quarto degli stage di tutta Italia – e ha anche un mercato del lavoro più solido e vivace – nel III trim 2020 si è fermata a  12.626 tirocini extracurricolari avviati, poco più del 18% del totale nazionale, con un calo del 22% – vale a dire dieci punti percentuali sopra la media – rispetto allo stesso periodo del 2019.Il fatto che il “mercato dello stage” sia ripreso, tra luglio e settembre dello scorso anno, è certamente un elemento positivo: vuol dire che i giovani – la metà dei tirocini, in media, viene attivata a favore di persone al di sotto dei 25 anni – hanno potuto avere accesso a questa opportunità per fare esperienza e guadagnare qualcosa, dopo il primo impatto devastante della pandemia che aveva bloccato gran parte delle attività economiche e formative in Italia e nel mondo. Resta però sempre un'ombra quando in un momento di crisi economica i posti di lavoro diminuiscono – così come le ore lavorate – e però contemporaneamente i tirocini aumentano (o anche solo restano stabili dal punto di vista numerico). Perché il timore è che molti di quei tirocini possano essere, purtroppo, un sottoinquadramento per persone che altrimenti avrebbero dovuto essere assunte con un vero contratto e una vera retribuzione. Valutare l'andamento dei tirocini è dunque sempre molto complesso: ci sono tanti elementi da tenere in considerazione. Nei prossimi giorni qui sulla Repubblica degli Stagisti pubblicheremo anche l’analisi dei dati settore per settore e dal punto di vista della parità di genere (come già avevamo fatto in questo e questo articolo per il primo semestre 2020).Le foto a corredo di questo pezzo sono tratte da Flickr in modalità Creative Commons:- “Young People Work In Modern Office” di Lyncconf Games- “Two Women Sitting in Chairs Using Laptop Computers” di TopTen Alternatives

Riforma dell'apprendistato per ridurre gli stage, la proposta arriva alla Camera

La proposta di riforma di stage e apprendistato arriva in Parlamento. Il progetto elaborato dai Giovani Democratici di Milano, presentato al pubblico tre settimane fa, è diventato una proposta di legge depositata dalla deputata PD piemontese Chiara Gribaudo pochi giorni fa alla Camera. In particolare, la proposta dei GD si suddivide in due azioni: per quanto riguarda la riforma dello stage, sostiene la proposta di legge depositata oltre due anni fa da Massimo Ungaro (deputato 34enne eletto nelle file del PD, oggi passato a Italia Viva). Una iniziativa legislativa focalizzata sui tirocini curricolari – per estendere a loro le tutele finora riservate agli extracurricolari, a cominciare dal diritto a una indennità mensile – che la Repubblica degli Stagisti appoggia con entusiasmo, avendo anche contribuito a redigerla.Per quanto riguarda invece la riforma dell’apprendistato, le proposte dei GD sono confluite appunto nella nuova proposta di legge (pdl), depositata a prima firma Gribaudo ma sostenuta in maniera bipartisan anche da altri tre parlamentari: oltre a Ungaro di Italia Viva, già da anni attento ai temi dell’occupazione giovanile, anche Valentina Barzotti, avvocata 35enne del Movimento 5 Stelle, e l’ex sindacalista Guglielmo Epifani, già leader della Cgil e oggi deputato di Leu.La pdl ha come titolo "Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e altre disposizioni concernenti la disciplina del contratto di apprendistato”; è indicata come “Atto camera 2902”: risulta “presentata il 22 febbraio 2021, annunziata il 23 febbraio 2021” e presto sul sito della Camera sarà anche disponibile il testo integrale.La proposta di riforma di stage e apprendistato arriva in Parlamento sulla scorta di un sostegno popolare rilevante: la petizione pubblicata sulla piattaforma Change.org meno di un mese fa ha già raccolto quasi 50mila firme (ed è ancora aperta, se qualcuno volesse aggiungere la sua). Tra i firmatari anche il segretario nazionale del PD Nicola Zingaretti, con la motivazione «Dobbiamo tutelare i diritti del lavoro, perché i giovani in questo paese devono avere un futuro», e poi Brando Benifei, capodelegazione degli eurodeputati PD al Parlamento europeo e da anni in prima linea per i diritti dei giovani nel mercato del lavoro, insieme ad altri eurodeputati come Irene Tinagli e Pierfrancesco Majorino, e parlamentari nazionali di vari schieramenti come Lia Quartapelle e Tommaso Nannicini (PD), Lisa Noja (Italia Viva),  Niccolò Invidia (M5S).Ora «vogliamo vedere il pdl approvato» scrivono i GD di Milano in un comunicato «e poi vogliamo risposte e soluzioni anche sull'abuso dello stage extracurricolare, da cui tutto è partito: non possiamo più accettare che la nostra generazione passi da uno stage all'altro a pochi euro al mese, senza diritti, senza contributi, senza la possibilità di diventare indipendente».L’aggiunta più rilevante alla pdl Ungaro sugli stage curricolari insita nella recente proposta dei GD, come avevamo raccontato nel nostro articolo, sta nel fatto che quest’ultima oltre a migliorare le condizioni per i tirocinanti curricolari prevede anche di abolire – o quasi – gli stage extracurricolari. Per la precisione di impedire per legge la maggior parte di essi, prevedendo che si possano attivare solo a favore di persone che abbiano concluso l’ultimo ciclo di formazione da meno di tre mesi. Vorrebbe dire quindi che, una volta laureati, si avrebbero ancora tre mesi di “latenza” per poter essere inquadrati come stagisti extracurricolari; una volta sorpassati questi tre mesi, niente più stage. La proposta, se approvata, eliminerebbe anche tutto il massiccio utilizzo dello stage su persone adulte: non bisogna dimenticare che per l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati ufficiali, il 2019, solo il 47% dei 355mila stage extracurricolari attivati aveva riguardato giovani al di sotto dei 25 anni; vi era stato un 36% di stage che aveva coinvolto persone tra i 25 e i 34 anni, e i 58mila restanti stagisti avevano più di 35 anni – in particolare quasi 10mila erano over 55! Va da sé che, in uno scenario in cui la proposta dei GD divenisse realtà, la stragrande maggioranza di questi 186mila stage per over 25 verrebbe spazzata via.Resterebbe naturalmente ferma la possibilità di fare stage quando contemporaneamente si è impegnati in un percorso formativo: una soluzione simile a quella francese, dunque, dove ormai da un decennio è possibile fare per legge solo stage curricolari (e pagati, ad oggi, almeno 600 euro al mese).«Noi abbiamo portato alla politica una proposta chiara: l'abolizione dello stage extracurriculare» ribadiscono i militanti dei GD Milano «e la riforma dell'apprendistato per renderlo più accessibile. Sull'apprendistato un primo passo c'è, ora lavoriamo sul resto: senza questa riforma non c'è alcun futuro, dobbiamo darci una mossa e abolire una volta per tutte questa vergogna tutta italiana».Ora vedremo se la Pdl Ungaro sullo stage verrà tirata fuori dal cassetto in cui è finita oltre due anni fa, e rispolverata per essere portata in discussione; e se la Pdl Gribaudo sull’apprendistato verrà calendarizzata.

Meno opportunità di stage in tutta Italia a causa del Covid: calo del 37 per cento nei primi nove mesi del 2020

Nel 2020 i tirocini sono decisamente diminuiti. Mancano ancora i numeri degli ultimi mesi dell’anno (per la precisione manca il quarto trimestre), è vero, ma il dato relativo ai primi nove mesi del 2020 è ben eloquente: un calo del 37% delle opportunità di stage.La Repubblica degli Stagisti ha chiesto e ottenuto dal ministero del Lavoro i numeri relativi a questo argomento: eccoli. I tirocini extracurricolari (gli unici, ricordiamolo, che vengono conteggiati e monitorati) attivati in Italia tra gennaio e settembre 2020 sono stati 165.146: 85.075 – il 51,5% – hanno coinvolto stagisti maschi e 80.071 – il 48,5% – hanno coinvolto stagiste femmine.      In calo del 37%, appunto, rispetto ai 263.196 che erano stati attivati nel nostro Paese nei primi tre trimestri del 2019: in quell’anno la suddivisione era stata, per quei nove mesi, di 132.479 stage attivati a favore di maschi e 130.717 attivati a favore di femmine: una percentuale di 50,3% per gli uomini e 49,7% per le donne, quindi parità quasi perfetta.A livello geografico, considerando i primi nove mesi del 2020, a patire di meno il calo di stage sono state tre regioni del Mezzogiorno: la Calabria con –17% (8.364 tirocini extracurricolari avviati contro i 10.103 del 2019), dunque ben venti punti percentuali sotto la media nazionale; la Sicilia con –19% (7.573 contro i 9.332 del 2019), e la Basilicata con –22% (1.852 contro i 2.366 del 2019). Al quarto posto, poco lontana, si trova la la provincia autonoma di Bolzano con –24% (1.854 contro i 2.452 del 2019). Le Regioni dove, al contrario, la contrazione delle opportunità di stage si è sentita di più tra gennaio e settembre del 2020 risultano essere l’Umbria con –48% (2.475 attivazioni contro le 4.801 del 2019), cioè undici punti in più della media nazionale; e poi il Friuli Venezia Giulia con –47% (1.872 contro i 3.519 del 2019) e la Toscana con –46% (6.255 contro i 11.441 del 2019).Ma bisogna anche dire che i dati specifici del terzo trimestre rappresentano, come previsto, un miglioramento rispetto a quelli del secondo trimestre. Il secondo trimestre infatti comprende i mesi di aprile, maggio e giugno: e specialmente i primi due, nel 2020, sono stati quelli del lockdown totale causa pandemia, con gli stage completamente bloccati in quasi tutte le Regioni. Per il secondo trimestre dunque il tonfo era stato fragoroso: dalle oltre 100mila attivazioni di stage registrate nel 2019 si era passati d’un colpo a poco più di 27mila attivazioni nel 2020. Un crollo: –73%.Invece il terzo trimestre 2020 è stato il momento in cui il peggio sembrava passato: piano piano si stava uscendo dal lockdown, i contagi scendevano, le attività economiche riaprivano i battenti. Ed ecco quindi perché il confronto tra il terzo trimestre 2020 e il terzo trimestre 2019 non è così clamoroso. La diminuzione c’è, naturalmente, ma è lieve: 68.514 stage attivati, quando l'anno prima nello stesso periodo erano stati 78.043. Un calo del 12% soltanto.Naturalmente il numero risponde anche alla situazione contingente: nelle attivazioni del terzo trimestre 2020 sono confluite tutte quelle che erano rimaste bloccate nei mesi precedenti causa pandemia, formando quindi un “grumo”: una volta sollevate le restrizioni rispetto al movimento delle persone e all’apertura delle attività, moltissimi tra coloro che avevano sospeso le attivazioni di stage hanno voluto recuperare il tempo perduto. Così si spiega una flessione così modesta nel terzo trimestre 2020.È molto probabile che i dati relativi al quarto trimestre 2020, quando saranno disponibili, riporteranno una diminuzione nuovamente marcata delle attivazioni di tirocini, anche in ragione del semilockdown vissuto in Italia a partire dall'introduzione delle nuove misure restrittive, in ottobre, e dall'istituzione delle zone gialle-arancioni-rosse da novembre. E a quel punto, con i dati di tutti e quattro i trimestri a disposizione, si potranno tirare le somme su quale è stata la misura del crollo degli stage, nel 2020, a causa del Coronavirus.

Navigator a rischio disoccupazione: 2.700 contratti in scadenza a fine aprile, e la proroga è in forse

Sono stati assunti con lo scopo di aiutare le categorie più fragili a trovare un lavoro, ma adesso rischiano a loro volta di restare a spasso. Sono i 2.668 navigator che a luglio 2019 hanno firmato con Anpal servizi, società in house di Anpal, un contratto di collaborazione continuativa in scadenza il 30 aprile prossimo. Stipendio, 1400 euro netti più 300 di rimborso per le spese mensili. Dopo aver superato una selezione pubblica sono stati messi a disposizione delle Regioni «a supporto dei centri per l'impiego nella realizzazione di un percorso che coinvolga i beneficiari del reddito di cittadinanza dalla prima convocazione fino all'accettazione di un'offerta di lavoro congrua», chiarisce il sito dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.Lo scopo era in buona sostanza far sì che la misura del reddito di cittadinanza fosse temporanea, traghettando il beneficiario verso la stipula di un contratto di lavoro. A distanza di oltre un anno e mezzo però i navigator si trovano con un contratto che sta per concludersi, e – nel bel mezzo di un governo nascente – nessuna certezza riguardo una sua proroga. Gli inizi della 'mission impossible' dei navigator non sono stati dei più fortunati. Messi al lavoro dopo un periodo di formazione iniziale di fatto solo a settembre 2019, si sono trovati a testa «un elenco medio di circa 350 persone da contattare per un primo incontro» fa sapere alla Repubblica degli Stagisti Matteo Diomedi, 40enne di Ancona, navigator e presidente dell'Associazione nazionale navigator Anna [nella foto a destra].Poi la pandemia, e lo spostamento di tutte le attività dalla presenza fisica al contatto remoto, modalità che non ha facilitato il loro compito. «Uno dei principali problemi riscontrati tra i beneficiari del reddito è proprio la bassa scolarizzazione, che spesso non arriva alla licenza media» fa presente Diomedi. I dati, secondo l'ultimo monitoraggio reso disponibile da Anpal servizi e aggiornato al 31 ottobre 2020, dicono che i colloqui effettuati sono stati 950mila, e che hanno portato a circa 352mila contratti di lavoro, attorno al 25 per cento del totale dei percettori del reddito di cittadinanza – che sono circa 1milione e 300mila. Solo poco più della metà di questi contratti risultavano però ancora attivi lo scorso autunno, ovvero circa 192mila. Risultati un po' magri, insomma. Qualche soddisfazione è arrivata: «Ricordo in particolare il caso di un carpentiere di 26 anni» ripercorre Diomedi. «Era fermo per la pandemia, non riusciva a trovare stabilità». I colloqui «si sono concentrati sull'aspetto dell'infortunistica, di stimolo a rimettersi in gioco». Alla fine si è trasferito in un'altra regione e ha trovato posto in un cantiere: «Mi ha chiamato per ringraziarmi perché finalmente riusciva a mangiare due volte al giorno». Il supporto dato «è spesso solo di natura psicologica, tanto che alcune situazioni vengono poi passate ai servizi sociali». Alcuni chiamano «perché vorrebbero fare attività di volontariato, spesso l'obiettivo è anche solo la spinta a non rinchiudersi in casa e a cercare opportunità». Quello che fa un navigator «è recarsi presso le aziende in cerca di posti vacanti, ma anche far emergere competenze nascoste, mettere nelle condizioni di presentarsi a un colloquio». A pronunciarsi per un sì alla proroga è stato il numero uno di Anpal Domenico Parisi [nella foto a sinistra], professore di statistica alla Missisippi State University e direttore del Mississippi Works System, un sistema di incrocio domanda e offerta di lavoro basato sui big data. «Il loro ruolo andrebbe ampliato e non circoscritto al solo reddito di cittadinanza» ha detto in un'audizione alla Camera lo scorso novembre: «I navigator possono continuare a offrire il loro contributo nell'ottica di potenziare le politiche attive per il lavoro soprattutto per il superamento della fase emergenziale». Già la ministra del Lavoro uscente Nunzia Catalfo, in quota 5 Stelle, aveva dato rassicurazioni nel senso di un possibile stanziamento per la proroga dei contratti, ma ora la palla passerà al nuovo ministro Andrea Orlando, esponente del Pd. Nel frattempo i navigator di tutta Italia lo scorso 9 febbraio sono scesi in piazza per chiedere il rinnovo del contratto. Al loro fianco Nidil Cigil. «Il mancato rinnovo dei contratti comporterebbe gravi ripercussioni sia dal punto di vista occupazione considerato il numero delle persone coinvolte» ha sottolineato la presidente nazionale del sindacato Silvia Simoncini, «sia sotto l'aspetto dell'impoverimento dei servizi erogati alla collettività». I navigator dovrebbero anzi essere di più, «soprattutto in considerazione del rischio di infoltimento della schiera di persone in cerca di lavoro a causa della pandemia e del termine del blocco dei licenziamenti» prosegue Nidil in una nota. Disoccupati a cui si aggiungerebbero i quasi 2.700 navigator: una platea composta per il 54 per cento da donne, con un'età media di 35 anni, una laurea e in media anche una votazione pari a 107.Ilaria Mariotti 

Oltre 20mila posti pubblici vacanti per i concorsi bloccati: ora ripartono col nuovo protocollo Covid, ecco cosa prevede

Ripartono i concorsi pubblici: pochi giorni ancora e la macchina delle selezioni dovrebbe rimettersi in moto. Erano stati sospesi il 17 marzo 2020 con il Decreto Cura Italia, poi sono stati riavviati quando la pandemia Covid sembrava in via di risoluzione; il decreto legge Rilancio, a maggio, aveva posto in via sperimentale nuove regole fino al 31 dicembre 2020, come lo svolgimento presso sedi decentrate per evitare spostamenti massicci di candidati, o l’utilizzo della tecnologia digitale sia per le prove scritte che per l’orale. I concorsi erano quindi ripresi in tutta Italia, ma a causa dell’aumento dei contagi sono stati poi di nuovo bloccati.Dallo scorso novembre le prove preselettive, scritte e abilitazioni professionali sono sospese; è invece ancora possibile lo svolgimento di concorsi, in varie modalità, per le professioni sanitarie e le Forze dell'ordine. Per tutti gli altri enti pubblici il dpcm del 3 novembre ha trovato una parziale soluzione per sopperire alla mancanza di organici consentendo l’utilizzo delle graduatorie di merito vigenti già approvate da altri enti pubblici,  consentendo quindi una chiamata inaspettata per gli idonei non vincitori.Gli altri concorsi non rientranti nelle eccezioni precedenti hanno visto la sospensione momentanea diventare di lungo periodo con il Dpcm del 3 dicembre, che l’ha di fatto prolungata fino al 15 gennaio. Con l’ultimo decreto è rimasta in vigore la sospensione della possibilità di svolgere procedure preselettive e scritte: ma all’articolo 1 comma 10 lettera z si avvisa già che «a decorrere dal 15 febbraio 2021 sono consentite le prove selettive dei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni nei casi in cui è prevista la partecipazione di un numero di candidati non superiore a trenta per ogni sessione o sede di prova, previa adozione di protocolli adottati dal Dipartimento della funzione pubblica e validati dal Comitato tecnico-scientifico».Ci sono voluti ancora un po’ di giorni, ma alla fine il 4 febbraio è arrivato il protocollo  per lo svolgimento dei concorsi pubblici che si rivolge non solo ai candidati ma anche le amministrazioni titolari delle procedure concorsuali, le commissioni esaminatrici, il personale di vigilanza e gli enti pubblici e privati coinvolti nella gestione dei concorsi.A quanto ammonta il numero dei posti che i concorsi bloccati tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 mettevano a bando? Mettendo insieme i numeri dei bandi pubblicati in quel periodo «il dato si attesta intorno ai 20mila posti sospesi», dice alla Repubblica degli Stagisti Martina Bortolotti dell’ufficio stampa Cgil Funzione Pubblica. Il numero è del tutto approssimativo, e aumenta se si prendono in considerazione i concorsi autorizzati negli ultimi mesi e non ancora partiti e quelli straordinari previsti anche dal Decreto Rilancio. Secondo una ricerca pubblicata a inizio luglio del portale Forumpa la cifra è pari a oltre 37mila. E ora si cerca di recuperare. Primo chiarimento: l’ambito di applicazione. Il protocollo validato dal Cts si applica alle prove preselettive e alle prove scritte delle procedure concorsuali. Prove orali e pratiche, infatti, «potranno svolgersi in via telematica». Se questo non dovesse essere possibile, allora dovranno seguire le regole del protocollo, in particolare nello scaglionamento degli orari di presentazione dei candidati e dove possibile nell’organizzazione in spazi aperti dello svolgimento delle prove.Secondo chiarimento: il numero di partecipanti. Il Dpcm del 14 gennaio ha previsto che dal 15 febbraio sia consentito lo svolgimento delle prove selettive dei concorsi anche in presenza con un numero di candidati non superiore a 30 per ogni sessione o sede di prova. Su questo punto arriva la precisazione del Cts. Visto che non si può limitare la partecipazione dei candidati ai concorsi su base territoriale e volendo limitare i movimenti delle persone tra le regioni, il Comitato tecnico scientifico specifica che non ci debbano essere più di due sessioni giornaliere, non consecutive e separate da un tempo necessario per far defluire i candidati e permettere la pulizia degli ambienti.Terza precisazione: le misure igienico sanitarie. Alle ormai classiche indicazioni dell’ultimo anno – non presentarsi se sottoposti a regime di quarantena o isolamento domiciliare fiduciario o con una temperatura superiore ai 37,5° C o con tosse, difficoltà respiratoria, perdita di gusto e olfatto, mal di gola – se ne aggiungono due nuove: bisognerà presentarsi da soli e senza alcun tipo di bagaglio e consegnare all’ingresso dell’area concorsuale «un referto relativo a un test antigenico rapido o molecolare effettuato mediante tampone oro/rino-faringeo» in una struttura pubblica o privata nelle 48 ore precedenti la data di svolgimento delle prove. Infine il protocollo prevede che dal momento di accesso dell’area concorsuale sarà obbligatorio indossare la mascherina chirurgica messa a disposizione dall’amministrazione organizzatrice. Chiunque non volesse rispettare anche solo una di queste indicazioni non potrà accedere all’area concorsuale.E qui ci sono alcune osservazioni da fare. Per quanto si prescriva il rispetto della distanza droplet di almeno un metro tra i candidati, aumentato di un altro metro all’interno dell’aula del concorso, sorprende l’obbligo di dover cambiare mascherina all’ingresso e quindi, in taluni casi, di dover togliere la ffp2 (con un grado di protezione più alto) con cui si è usciti da casa per sostituirla con una chirurgica (con un grado di protezione più basso). «Il problema nasce dal fatto che non è possibile controllare l’efficacia di un dispositivo di cui un utente è provvisto, perché quel dispositivo potrebbe essere danneggiato o non conforme agli standard di sicurezza» prova a spiegare Angelo Marinelli, 49 anni, segretario nazionale della Cisl Funzione Pubblica, alla Repubblica degli Stagisti «Perciò nel protocollo si è prevista la somministrazione a cura dell’amministrazione organizzatrice di nuovi dispositivi di protezione individuale, per garantire a tutti livelli standardizzati di sicurezza. Il problema è: quali sono questi livelli?». E su questo punto Marinelli aggiunge: «Noi sosteniamo che tutti i luoghi dove vengono erogati o gestiti servizi pubblici dovrebbero garantire il livello massimo di sicurezza possibile per cittadini, lavoratrici e lavoratori. In questo caso occorrerebbe rendere disponibili le mascherine ffp2 anziché quelle chirurgiche». Per questo il segretario nazionale Cisl Fp arriva a definire la gestione della prevenzione nell’emergenza epidemiologica in atto «ancora insoddisfacente».Sul punto dei dispositivi di protezione individuale sorprende poi la disparità di trattamento tra i candidati e gli operatori di vigilanza. Nel protocollo, infatti, non solo si prescrive l’uso delle mascherine chirurgiche per i candidati ma si precisa anche che «gli operatori di vigilanza e addetti all’organizzazione e all’identificazione dei candidati nonché i componenti delle comissioni esaminatrici devono essere muniti di facciali filtranti ffp2/ffp3».Altra prescrizione che lascia qualche perplessità è l’obbligo di consegnare un referto negativo relativo a un test antigenico rapido o molecolare fatto nelle 48 ore precedenti il concorso. La finalità del provvedimento è comprensibile, limitare la circolazione di infetti e il contagio a catena tra i candidati. Il problema, però, è la regola di base: perché introdurre prescrizioni diverse a seconda dei luoghi in cui si entra? Se, infatti, si prescrive l’obbligo della mascherina, l’utilizzo del gel disinfettante e la distanza tra i soggetti di un metro a volte aumentata fino a due metri, mettere anche l’obbligo del tampone negativo introduce una restrizione a questo punto valida solo per i concorsi. Eppure in altri luoghi, per esempio le chiese o i grandi supermercati o in questi ultimi tempi i locali della movida, dove pure si ritrovano molte persone quasi sempre a distanza inferiore ai due metri, non c’è alcun obbligo di questo tipo. Senza contare che la stessa Inail ha evidenziato in un videotutorial sui test diagnostici come il test antigenico rapido abbia «un’affidabilità minore rispetto al test molecolare»C’è poi il fattore costo. Chiunque abbia fatto un concorso sa bene che è anche un investimento economico: dai testi su cui studiare ai mezzi per spostarsi e spesso sistemazioni varie per dormire fuori casa. Spese che da sempre giovani e meno giovani mettono in conto per riuscire a firmare un contratto. Ora bisognerà aggiungere anche il costo del tampone. L'associazione per la difesa e tutela dei consumatori Altroconsumo a dicembre aveva fatto un’indagine da cui era emerso come il costo in sei regioni prese in esame  variasse per tipologia e territorio: dai 22 euro per un tampone rapido in Lazio ai 40 se fatto invece in Piemonte e dai 60 di un molecolare ai 110.A tutto questo vanno poi aggiunti i costi per chi gestisce i concorsi, dalla sanificazione e disinfezione dell’ambiente prima e dopo la prova, alla scelta degli edifici che dovranno avere una serie di aree riservate per accogliere ed eventualmente isolare i soggetti sintomatici. Oltre ad essere di grandi dimensioni per consentire un’area di quattro metri quadri per ogni candidato. Che, ultima fra le regole, non potrà mangiare durante il concorso, ma solo bere.Ognuno degli enti che gestiscono i concorsi pubblici avrà il compito di informare i candidati sulle modalità del concorso post Covid, tramite pec o con una comunicazione sul sito, e restano comunque valide le modifiche introdotte dal Decreto Rilancio come la possibilità di svolgere le prove in modalità decentrata o di svolgere gli orali in videoconferenza.Tante nuove regole e costi aggiuntivi, quindi, per un settore che è stato totalmente bloccato, con concorsi che da un anno ormai procedono mensilmente al rinvio delle comunicazioni ed altri di cui non si ha più notizia. Lasciando nel limbo giovani e meno giovani che su quelle selezioni avevano puntato.Sullo sfondo poi resta sempre la possibilità di nuovi blocchi. L’ultima richiesta è arrivata dal senatore Mario Pittoni, responsabile Scuola della Lega, che ha chiesto di fermare la ripartenza del concorso straordinario per docenti di terza fascia previsto per il 15 febbraio, visto il periodo di crescita dei contagi. E online è già partita una petizione diretta al dipartimento della funzione pubblica che contesta le nuove disposizioni, in particolare la richiesta del tampone per accedere al concorso.Quello che succederà da metà febbraio in poi sarà probabilmente legato anche all’insediamento del nuovo esecutivo. Che dovrà, quindi, trovare la difficile quadra tra il bilanciamento di un settore – quello dei concorsi – in crisi ormai da quasi un anno e la necessità di coprire quei posti ora disponibili, con il diritto alla salute dei candidati, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione.Nel frattempo il 15 febbraio si torna a far concorsi: il primo a riprendere dopo l’interruzione causa pandemia è il concorso straordinario della scuola che prende il via lunedì e andrà avanti fino al 19.Marianna Lepore