Indennità mancata ai praticanti, ancora nessuna risposta: “L'Avvocatura dovrebbe dare il buon esempio, e invece...”

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 09 Apr 2021 in Notizie

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L'Avvocatura dello Stato dovrebbe pagare i suoi praticanti. Dovrebbe farlo per una questione etica. E nella fattispecie avrebbe dovuto farlo per legge, quantomeno per i praticanti accolti tra il 2015 e il 2017. Ma non l’ha mai fatto.

La Repubblica degli Stagisti ha raccontato la storia di questi giovani, alcuni ormai più che abilitati, che da anni aspettano risposte e invece ricevono solo silenzi o rinvii. Poco più di un mese fa il senatore Riccardo Nencini ha presentato un’istanza di sindacato ispettivo al Presidente del Consiglio Draghi
sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e della distribuzione delle borse. Tra il 2015 e il 2017 «centinaia di giovani laureati in giurisprudenza hanno svolto la pratica forense presso le avvocature distrettuali dello Stato assicurando un contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale e sostenendo notevoli spese e sacrifici per gli spostamenti e per lo svolgimento delle attività richieste dai procuratori e dagli avvocati», si legge nella premessa del documento.

Nel testo viene precisato dettagliatamente quanto era stato disposto dalla legge del 2014, ovvero la ripartizione del 25 per cento delle spese legali a carico delle controparti recuperate dall’Avvocature e da destinare a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense. E come «a causa dei notevoli ritardi delle erogazioni, nel 2016 i praticanti di diverse articolazioni distrettuali dell’Avvocatura dello Stato avevano già sollecitato, invano, l’attuazione delle previsioni normative», ricevendo solo una replica in cui si ricordava che per applicare la disciplina era necessario «il preventivo esame della documentazione prevista dal regolamento oltre alla verifica contabile delle somme riscosse dalle avvocature, al fine di chiedere l’istituzione del nuovo capitolo di spesa nello stato di previsione del Ministero dell’economia dedicato al finanziamento delle borse di studio».

Quel capitolo di spesa, sottolinea Nencini nella sua interrogazione, è stato poi istituito dopo due anni di silenzio specificando anche nelle note integrative del bilancio pluriennale che «La Categoria economica Trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private si riferisce alle borse di studio assegnate per lo svolgimento della pratica forense presso “Avvocatura dello Stato”».

Eppure ad oggi quelle borse di studio previste dalla normativa non sono state ancora assegnate. «È assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza», perciò il senatore chiede di sapere se non si ritenga «doveroso intervenire al fine di sollecitare l’assegnazione delle borse di studio, così da colmare la grave mancanza di cui l’Avvocatura statale è responsabile».

L’interrogazione è stata presentata ai primi di marzo e purtroppo non ha una scadenza entro cui ricevere una risposta. «I tempi sono imprecisati», spiega Nencini alla Repubblica degli Stagisti «ed è necessario premere sul ministero competente, ovvero il ministro della Giustizia. Quanto agli effetti che un atto di questo tipo possa avere, per prima cosa accende una luce sul problema» sconosciuto ai più, «e si iniziano a sensibilizzare Parlamento e Governo».

L’iniziativa di Nencini, però non si ferma qui. Se la risposta del presidente Draghi continuasse a non arrivare, il senatore assicura «inizierei a parlarne con il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, cercando anche di allargare il cerchio dell’appoggio di altri senatori».  Nel frattempo resta ignoto il motivo di un ritardo di sette anni da parte dell’Avvocatura per scrivere un regolamento di assegnazione delle borse. «Con questa interrogazione si spinge il governo a fare in fretta. È una questione importante ed è bene che se ne discuta di faccia al parlamento».

Intanto i giovani aspettano: una risposta da Draghi, una dall’Avvocatura e, per i praticanti del triennio 2015 – 2017, quel rimborso spese previsto dalla legge per cui le cui risorse sono già state stanziate. E al ritardo si aggiunge la beffa. Perché l’Avvocatura sul suo sito continua a pubblicizzare la pratica presso i suoi uffici. E a magnificare il lavoro dei praticanti. Nel Piano della performance del 2016 - 2018, del triennio 2018 – 2020 e del triennio 2019- 2021, l’Avvocatura riporta sempre lo stesso testo di elogio del lavoro dei praticanti avvocati al suo interno, «nel numero di 100 e con rapporto di presenza 1:1 con il numero di avvocati dello Stato nelle avvocature distrettuali». E ricorda che l’indagine svolta negli anni 2011-2012-2013 e conclusa nel 2015 «ha messo in risalto la diffusa stima di cui gode l’istituto e l’efficacia della funzione educativa svolta dall’Avvocatura dello Stato».

Per ricavare informazioni sui suoi praticanti, peraltro, qualche anno fa l’Avvocatura mandò un questionario a 811 ex praticanti che si erano alternati tra il 2011 e il 2013, ricevendo solo 349 risposte. Il numero è però interessante, perché in una situazione in cui è difficile sapere con certezza quanti siano questi soggetti, si può partire già dal dato che in un triennio sono stati almeno 800 e che ad oggi, quindi, quel numero dovrebbe essere più che triplicato.

L’attenzione per questo percorso continua anche oggi nonostante l’assenza di un rimborso spese. In tanti, ogni anno, continuano a far domanda nonostante all’atto della richiesta si debba compilare un foglio dichiarandosi anche consapevoli del fatto che questa pratica «non dà diritto al rimborso spese previsto dall’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012». Sono brillanti, con votazioni alte, una laurea entro i termini, eppure non meritano un emolumento per le prestazioni svolte.

Valerio Stomeo, 30 anni, socio fondatore e referente area normativa del Coordinamento Giovani giuristi italiani, si è laureato nel febbraio 2016 e ha cominciato due mesi dopo la pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale di Lecce. Il suo periodo di pratica, quindi, era nella fase in cui la legge prevedeva ancora il rimborso spese. Anche se «nella domanda che si presenta non si parlava minimamente delle borse di studio, anzi si chiedeva di dichiarare espressamente di essere consapevoli che la pratica presso l’avvocatura non dava diritto a ciò». Pur abitando in provincia di Lecce, a 40 minuti di distanza, ha speso nei mesi di pratica 440 euro solo come abbonamento ai mezzi. A questi andavano poi aggiunte le spese di cibo giornaliere. «Non avendo un reddito sono stati i miei genitori a pagare per i dodici mesi di pratica. Così per guadagnare qualcosa ho svolto in contemporanea il tirocinio ex articolo 73 presso il tribunale di Lecce». Una scelta dettata dalla speranza di ricevere un rimborso spese, che per quel tipo di stage viene assegnato al termine e in base all’Isee e alle risorse disponibili, con il rischio quindi di rimanere comunque a bocca asciutta. «Sono stato fortunato e rientrato tra quelli che hanno ricevuto 400 euro al mese per diciotto mesi, ma ricordiamo che quei soldi si prendono un anno dopo: il che significa affrontare comunque il primo anno senza alcuna entrata economica».

Attenzione: i 400 euro al mese erano correlati alla sua attività di tirocinio “ex art 73” presso il tribunale del riesame di Lecce, che gli impegnava due giorni alla settimana dalle 8.30 alle 13.30, quindi circa una decina ore settimanali (che a volte diventavano quattordici). Non si riferiscono, i 400 euro, al praticantato presso gli uffici dell'Avvocatura, che gli impegnava i restanti tre giorni dalle 8.30 alle 18.30 e i due pomeriggi post tirocinio, e per le quali Stomeo come centinaia di suoi colleghi in tutta Italia in quegli anni avrebbe dovuto ricevere per legge un non meglio precisato emolumento mensile... quando in realtà, a causa del ritardo dell'Avvocatura nell'emettere il regolamento interno per l'erogazione di queste indennità – regolamento mai emesso in cinque anni! –  non percepiva nulla.

Nel suo caso non è stato molto complicato conciliare le due esperienze, anche se questo significava comunque passare l’intera giornata fuori casa alternandosi tra un ufficio e l’altro. «Se la pratica presso l’Avvocatura fosse stata retribuita di sicuro non avrei deciso di fare le due esperienze contemporaneamente», spiega. E oggi non è così sicuro che ripeterebbe l’esperienza: «È stata formativa ma non ho ricavato molti vantaggi e se dopo non trovi lavoro, la formazione fine a se stessa non serve a molto».

Le spese, però, possono essere anche più alte. Chiara, che preferisce non svelare il suo cognome, ha cominciato la pratica da avvocato da nemmeno un anno e dopo qualche mese in uno studio privato ha fatto domanda in Avvocatura. «Sapevo che non sarei stata retribuita e che non ci sarebbe stato un rimborso spese ma ho accettato lo stesso anche perché la mia condizione non sarebbe cambiata molto, visto che nemmeno l’avvocato presso cui stavo facendo pratica mi dava alcun rimborso». La giovane è convinta che sia «inaccettabile» che lo Stato legittimi una pratica tanto scorretta quanto ingiusta. Anche perché non ricevendo alcun rimborso, tutti i praticanti in Avvocatura sono costretti a fare anche altro. L’ipotesi più frequente – come infatti è accaduto a Valerio Stomeo – è il tirocinio ex articolo 73 che, su determinate basi, dà diritto a una borsa di studio. Anche Chiara lo sta svolgendo e sul doppio impegno dice: «Questo incide sulle prestazioni del praticante sia in termini di tempo a disposizione che di formazione personale e professionale».

Come tutti quelli che hanno cominciato la pratica nel corso dell’ultimo anno, i costi sono in parte contenuti dal fatto che i praticanti, spesso, a parte le presenze in udienza non mettono piede in ufficio dal marzo 2020. Ma sono tutt’altro che esigui. Visto che ha calcolato che tra abbonamento ai mezzi pubblici per 18 mesi, «le varie quote di iscrizione ai Consigli dell’ordine degli avvocati di riferimento» e spostamenti vari, spenderà in totale più di 1.800 euro. Che nel suo caso potrebbero essere "ribilanciati" dai 400 euro al mese del tirocinio ex articolo 73, che pure sta svolgendo, e per cui proprio recentemente è stata pubblicata la graduatoria provvisoria per il 2019. «Ma l’Avvocatura, in virtù del suo ruolo e natura, dovrebbe dare il buon esempio e non contribuire a consolidare una prassi contraria ad ogni buona logica e diritto» dice Chiara, sacrosantamente.

Insomma, i giovani praticanti avvocato iniziano a non tollerare più la situazione. E se anche le risposte non dovessero arrivare questo potrebbe essere l’ultimo anno di attesa. Prima di intraprendere altre strade e vedere finalmente riconosciuto il diritto a una pratica retribuita.

Marianna Lepore

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