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Your First Eures Job, ultimo biennio: 3,5 milioni di euro per aiutare 1.300 giovani a trovare lavoro in Europa

Tira le somme Your First Eures Job, programma della Commissione Ue per la mobilità professionale dei giovani under 35 anni in cerca di occupazione, gestito da Anpal, agenzia per le politiche attive, e Eures, rete di cooperazione europea dei servizi per l’impiego, con il finanziamento del fondo europeo Easi per un importo pari a 3 milioni e 555mila euro per gli ultimi due anni di attività. Ed ecco i risultati dell'ultimo biennio chiuso proprio pochi giorni fa, il 30 aprile. I giovani coinvolti sono stati 1.730, donne per oltre la metà dei casi, mentre il tasso di placement raggiunto ha toccato quota 1.276. «Il traguardo prefisso di 1.500 è stato sfiorato di poco» si legge nel comunicato, «nonostante gli ostacoli imposti dall’emergenza epidemiologica» iniziata a febbraio 2020, proprio a metà dell'ultima edizione. Più dei due terzi dei partecipanti «hanno ottenuto un contratto di lavoro, il 79 per cento, anche a tempo indeterminato: 39 per cento» fa sapere Catia Mastracci, coordinatrice nazionale Eures-Anpal. I tirocini attivati sono stati invece «il dodici per cento del totale, mentre gli apprendistati il nove». Al progetto hanno partecipato giovani di ventisette nazionalità, nella quasi metà dei casi italiani (sono stati il 28 per cento del totale), e spagnoli (il 48 per cento), uno su tre di età compresa tra i venti e i trent'anni, e concentrati soprattutto nella fascia 23-26 anni. E ancora, di questi un terzo «aveva un'istruzione di tipo terziario», mentre i Paesi di destinazione sono stati soprattutto «Germania, Bulgaria, Olanda». Le aziende partecipanti sono state 366, per lo più piccole e medie imprese operanti «in settori economici tra cui spiccano sanità, informazione e comunicazione, attività amministrative e di supporto» prosegue Mastracci. Ma per farsi un'idea più precisa dei profili ricercati si può curiosare nella sezione Hot Jobs del sito: ci sono per esempio al momento offerte per un transport manager in Austria, come cameriera in un ristorante giapponese ad Amsterdam, e ancora come baby sitter in Germania. Per le aziende, così come per i giovani candidati, sono previste diverse tipologie di finanziamento, ed è proprio questa una delle particolarità del progetto. Ai datori di lavoro vanno infatti contributi fino a 2mila euro per la formazione di ogni giovane – ad esempio attraverso un programma di integrazione come l'apprendimento della lingua. Per i giovani invece sono erogati contributi per le prime spese di spostamento: 2mila euro per pagare un corso di lingua, 600 euro per andare a sostenere un colloquio all'estero, 1400 euro per il trasferimento, 400 euro per il riconoscimento di titoli. Per i tirocini, «per i quali a volte i rimborsi non raggiungono cifre sostenibili»  precisa Mastracci, «sono stanziati contributi fino a 600 euro per tre mensilità». «Ognuno dei 1.730 giovani coinvolti ha ricevuto almeno uno di questi benefit» sottolinea ancora la coordinatrice, «mentre per le pmi, sono state in 176 a usufruire dei contibuti, per un totale di 408 giovani formati».  Le difficoltà legate al Covid hanno pesato. «Con la chiusura dei confini nazionali si è creato il paradosso della mobilità bloccata» ha spiegato Mastracci, «e per molti giovani all'estero si sono verificate sospensioni o interruzioni dei percorsi». Visto il momento inoltre, «è stata sospesa nella fase di emergenza la possibilità di reclutare fuori dall'Italia figure mediche o di infermieri». Possibilità «che è stata adesso riaperta». L'iniziativa, rivolta ai giovani tra i diciotto e i trentacinque anni, punta a combinare offerta e domanda di lavoro proveniente dai Paesi Ue coinvolti. Il tutoraggio avviene da ambedue i fronti. Si caricano i curriculum su una piattaforma, e i consulenti Eures si occupano della prima scrematura e del matching con le offerte di lavoro. Sulle aziende che reclutano si realizzano dei «check di qualità», specifica Mastracci, «per verificarne la credibilità», e alle stesse si viene in aiuto con un supporto pre-selezione nella ricerca di un profilo specifico non presente nel proprio Paese. Your First Eures Job cambierà pelle in futuro. È infatti stata lanciata l’iniziativa Eures Targeted Mobility Scheme, il nuovo programma mirato di mobilità che unifica l’esperienza dei progetti Your first Eures job e Reactivate, rivolto agli over 35. La linea di finanziamento continuerà a essere quella di Easi, ma «fornirà, uniformando la platea dei destinatari, misure di sostegno a tutte le persone di età superiore ai 18 anni in cerca di lavoro o di un nuovo lavoro, a tirocinanti e apprendisti e lavoratori di ritorno». Scompare insomma il tetto massimo di età fissato a 35 anni. E tra le novità è prevista anche l’estensione delle misure ai cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso di soggiorno Ue di lunga durata. «La sfida per il futuro sarà contribuire a sviluppare mercati del lavoro sempre più inclusivi» si legge nel comunicato. Lo scopo sarà «sostenere una mobilità professionale equa, sulla base di un mercato del lavoro trasparente dove venga garantito facile accesso alle informazioni e piena condivisione delle offerte di lavoro».Ilaria Mariotti 

Lombardia, oltre 500 tirocini attivati durante lo stop: ACTL Sportello Stage e gli altri che non hanno rispettato le regole

Questa è la storia di qualcosa che è successo l’anno scorso, ma che viene alla luce solo adesso. Una vicenda accaduta in Lombardia che riguarda il “mercato degli stage”: a qualcuno questa espressione non piace, ma che quello degli stage sia un mercato per molti versi simile al mercato del lavoro è innegabile. Il fulcro della vicenda è che la Regione a un certo punto, per un mese e mezzo, aveva vietato di attivare tirocini extracurricolari: eppure in quel periodo qualcuno ha continuato ad attivarne – venendo meno alle indicazioni regionali, realizzando in qualche caso anche profitto dalla “disobbedienza”, e creando una situazione di concorrenza sleale verso gli altri soggetti promotori che invece avevano scelto di rispettare il divieto.Nella primavera del 2020, appena dopo lo scoppio della pandemia, la Regione Lombardia aveva deciso di sospendere la possibilità di attivare nuovi percorsi di tirocinio. La situazione era molto difficile da gestire, il Covid dilagava, il governo aveva appena decretato il lockdown totale, le aziende arrancavano per continuare a lavorare, attrezzandosi per lo smart working. Con tutto quello che c’era a cui pensare, gli stagisti erano l’ultima delle priorità. Anzi, un grattacapo in più.Dunque: niente più avvii di nuovi tirocini extracurricolari tra il 31 marzo e il 18 maggio 2020. Ne avevamo dato notizia subito, il 1° aprile, qui sulla Repubblica degli Stagisti nell’articolo «Stop all'attivazione di nuovi tirocini dalla Regione Lombardia “fino al permanere delle restrizioni”». Ma, in realtà, in quel periodo di attivazioni ce ne sono state. Era risultato chiaro fin da subito: alcuni soggetti promotori rispettavano il divieto, altri invece no. Per averne conferma, già l’8 maggio del 2020 il consigliere regionale Pietro Bussolati del Partito Democratico aveva avanzato una istanza: una “richiesta di accesso agli atti” in cui chiedeva informazioni rispetto a quanti tirocini extracurricolari risultavano «essere stati attivati sul territorio della Regione Lombardia a partire dal 1° aprile 2020 (dunque successivamente al comunicato della Regione datato 30/03/2020) secondo i dati delle Comunicazioni Obbligatorie (CO)» e rispetto a chi fossero «i soggetti promotori che dal 1° aprile hanno attivato tirocini sul territorio della Regione Lombardia».La Regione non ha risposto per oltre dieci mesi. Qualche settimana fa è arrivata, finalmente, la replica ufficiale con i dati richiesti. In quel periodo di divieto sono stati attivati in Lombardia oltre 500 tirocini, per la precisione 529. La risposta è firmata da Sabrina Sammuri, direttrice generale della Direzione Lavoro della Regione Lombardia. Nel testo Sammuri specifica che «l’ufficio competente ha avviato verifiche puntuali, ancora in corso, sull’effettività e sulle motivazioni che hanno portato gli operatori a scostarsi dagli indirizzi regionali» e che «i primi riscontri di tali verifiche consentono di ricondurre il fenomeno a due casistiche essenziali».La prima di queste casistiche sarebbe quella dell’errore umano, cioè della imprecisione nel compilare le scartoffie: «in alcuni casi, le comunicazioni di avvio di tirocinio sono riferite in realtà a proroghe di tirocini sospesi che, per errore materiale, sono state inserite come comunicazioni di nuovo avviamento». Ma quante sviste potranno esserci state, oggettivamente? Confondere un nuovo avvio con una proroga non è così frequente.La seconda casistica sembra più consistente: «In altri casi, si tratta effettivamente di nuovi avvii per i quali il piano formativo ha previsto lo svolgimento dell’esperienza formativa con modalità “a distanza” e per i quali l’operatore – riferendosi ad un precedente comunicato regionale  – ha interpretato in senso estensivo gli indirizzi regionali, intendendo ammissibili nella modalità “a distanza” anche nuove esperienze di tirocinio».La spiegazione della direttrice Sammuri sembra però un po' debole. Non c’era, in realtà, posto per dubbi. A maggior ragione considerando il fatto che la Regione aveva anche pubblicato il 18 aprile un ulteriore documento per chiarire eventuali fraintendimenti, e la FAQ numero 4 rispondeva proprio alla domanda “È possibile attivare nuovi tirocini?” con un inequivocabile “NO. Non è possibile attivare nuovi tirocini fino al permanere delle attuali restrizioni. Il divieto di attivazione di nuovi tirocini si applica durante il periodo di emergenza indipendentemente dal settore di attività economica della azienda”, e specificando anche che “le opzioni per lo svolgimento delle attività indicate nel comunicato del 12 marzo  (tra queste le modalità alternative alla presenza in azienda), riguardano i tirocini avviati prima del periodo di emergenza Covid – 19”. Più chiaro di così.Ma quali sono i soggetti promotori che invece hanno deciso di non fermarsi, e di continuare ad attivare tirocini anche in quel mese e mezzo in cui la Regione Lombardia l’aveva vietato? In cima alla lista c’è ACTL Sportello Stage, che da solo ha attivato oltre un quarto dei “tirocini proibiti”.137 dei 529 tirocini avviati in Lombardia tra il 31 marzo e il 18 maggio del 2020 risultano infatti essere stati attivati proprio da questo soggetto promotore. Oltre ad ACTL Sportello Stage, ma con numeri decisamente inferiori, vi sono poi quattro università che risultano in quel periodo avere fatto partire tirocini extracurricolari a favore dei propri neolaureati: 57 attivazioni attribuite alla Bocconi, 48 al Politecnico di Milano, 29 alla Cattolica, 15 alla Bicocca. Tra gli “eretici”, anche se con numeri molto contenuti, risultano anche Aliseo (17 tirocini attivati), Recruit srl (15), il Comune di Milano (13), Future Management Recruitment srl (anche qui 13) e Career Paths srl (11).L’elenco comprende in tutto una novantina di soggetti promotori. Complessivamente le realtà autorizzate a promuovere tirocini su suolo lombardo sono molto più numerose: l’elenco fornito dalla Regione Lombardia in questo caso però comprende, ovviamente, solo quelle per le quali risultano una o più “occorrenze” in quel periodo in cui le attivazioni erano interdette. Ma la maggior parte delle realtà citate nella tabella risultano avere attivato solo pochissimi tirocini nel periodo di blocco – molte solamente uno o due. Qual è il problema? Oltre al fatto di violare una indicazione dettata dal legislatore competente in materia di tirocini, cioè? Il problema sta nel fatto che alcuni di questi soggetti promotori guadagnano dall’attivazione di stage. Il che, di per sé, non è un male naturalmente. Si tratta di un servizio. Ma se viene a un certo punto stabilito formalmente uno stop alle attivazioni di stage, e qualcuno sceglie di non rispettarlo, si crea una situazione di concorrenza sleale. Perché, non rispettando il divieto, si realizzano dei guadagni quando gli altri competitor invece sono forzatamente fermi. Paradossalmente le aziende clienti dei soggetti promotori “ligi” alle regole sono state penalizzate (le loro richieste di attivazione di stage congelate, rimandate), mentre le aziende clienti dei soggetti promotori “indisciplinati” sono state avvantaggiate, e hanno visto soddisfatte le loro richieste di attivazione di tirocini.C'è poi la questione pecuniaria. Le aziende clienti di ACTL Sportello Stage, che hanno potuto continuare ad accogliere tirocinanti in violazione delle indicazioni regionali, hanno pagato per il servizio di attivazione di ciascun percorso formativo un corrispettivo. Poniamo che sia anche solo 100 euro (si tratta di una cifra verosimile ma puramente indicativa, dato che non si dispone qui dell’informazione precisa sul tariffario che Sportello Stage applica ai suoi clienti). Attivare 137 tirocini durante il periodo di divieto, ipotizzando appunto che per ciascuna di queste prestazioni ci sia stato un corrispettivo di 100 euro, significa che Sportello Stage nell'intervallo temporale in cui i suoi competitor erano fermi perché rispettavano le indicazioni regionali ha invece guadagnato quasi 14mila euro.Nel caso delle università il discorso è un po’ diverso, perché qui l’attivazione degli stage non è una fonte di guadagno. Sia i tirocini curricolari (a favore di studenti) sia quelli extracurricolari (a favore di neolaureati nei primi 12 mesi dopo il conseguimento del titolo di studio) vengono avviati gratuitamente, senza che il soggetto ospitante debba pagare una fee. Certo, rimane la “macchia” di non aver rispettato una indicazione regionale, generando per i propri neolaureati un vantaggio a scapito dei neolaureati di università più “ligie” alla regola. Ma non vi è il risvolto della concorrenza sleale né del guadagno accumulato svolgendo una attività in quel momento interdetta.  La nostra posizione come Repubblica degli Stagisti, qualcuno lo ricorderà, è sempre stata che il blocco degli stage fosse una decisione sbagliata. Ci siamo pubblicamente espressi, nell’articolo «Il paradosso: aziende pronte a dare opportunità e soldi ai giovani, le Regioni mettono il veto» e nell’editoriale «Coronavirus e mercato del lavoro, la scellerata scelta delle Regioni di vietare gli stage», chiedendo alla Regione Lombardia (e a tutte le altre che avevano preso la medesima decisione) di togliere quel blocco, perché ci sembrava assurdo che – in un momento economicamente  così difficile! – le aziende che avevano la possibilità e l’intenzione di accogliere stagisti e offrire opportunità ai giovani venissero bloccate da un divieto regionale.Ma che la decisione della Regione Lombardia non fosse saggia, o sensata, non elimina il fatto che fosse una indicazione formale, messa nero su bianco. E a questo divieto i soggetti promotori operanti sul territorio lombardo avrebbero dovuto assoggettarsi. Ora, a quasi un anno di distanza, è arrivata la conferma: mentre la maggior parte delle realtà che attivano tirocini ha rispettato le indicazioni della Regione Lombardia, ve ne sono state alcune – e una sopra tutti: ACTL Sportello Stage, appunto – che hanno scelto invece di contravvenire. Verosimilmente non ci sarà alcuna sanzione. Ma era una vicenda che andava raccontata.

New entry nel network delle imprese virtuose: «Lo stage è la forza propulsiva per iniziare assieme il viaggio»

È la prima nuova azienda che entra nell'RdS network da quando è scoppiata la pandemia: anzi, sono due. La prime che, in un periodo in cui l'economia è sotto pressione e anche molti grandi player tirano i remi in barca, riducendo gli investimenti e congelando le assunzioni, hanno invece scelto di puntare su un progetto che valorizza l'occupazione giovanile. Si tratta di NWG Italia e NWG Energia, attive nel campo delle energie rinnovabili. E c'è di più: entrambe sono società benefit e B-Corp. Qualche mese fa avevamo raccontato qui di un'altra azienda dell'RdS network, Danone, che aveva fatto la scelta di abbracciare la scelta “benefit”: con l'ingresso delle due realtà NWG nel network si conferma la grande affinità che c'è tra i valori che stanno alla base del movimento delle benefit corporation e quelli che sorreggono da ormai un decennio l'attività della Repubblica degli Stagisti.«La scelta di essere Società Benefit e azienda certificata B-Corp conferma il committment da parte dei vertici aziendali e l’impegno nel portare avanti un business etico, positivo e coerente con i valori che da sempre ci contraddistinguono in nome della sostenibilità» spiega Claudia Ravera, 46 anni, nelle aziende da dieci e oggi responsabile CSR e Sostenibilità sia per NWG Italia sia per NWG Energia: «In questi diciotto anni di storia abbiamo perseguito obiettivi concreti in tema di sostenibilità economica, ambientale e sociale che naturalmente ci pongono come azienda ingaggiata sugli SDG dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Non ci sono tante aziende in Italia che, come noi, possano vantare di aver messo il profitto a fianco alla sostenibilità, sin dalla nascita».Le due società – NWG, l'acronimo che condividono, sta per “New World in Green” – hanno entrambe sede a Prato, in Toscana, e a oggi danno lavoro complessivamente a circa centoventi dipendenti: «Di questi oltre il 50% sono donne» specifica Irene Ramalli, pratese doc, quarantenne e responsabile Risorse Umane di NWG Energia: «La fascia di età media si attesta nel range 30-40 anni con una percentuale di oltre il 15% di under 30 per entrambe le aziende. Ma il dato che ci rende più orgogliosi è relativo alla presenza significativa delle donne nelle posizioni apicali dei singoli reparti, tanto più trattandosi di un settore tipicamente tecnico e storicamente con una forte presenza maschile». Una vera e propria oasi per le donne esperte di Stem che qui raccontiamo, ormai da anni, nella rubrica “Girl Power” per contribuire a demolire gli stereotipi di genere e sostenere le ragazze che sognano mestieri scientifico-tecnologici e magari si sentono dire “ma quelle son cose da maschi!”.Per un'azienda sbarcare qui sulla Repubblica degli Stagisti, nell'elenco delle “imprese virtuose”, è una dichiarazione pubblica di responsabilità sociale. Significa dare un messaggio di attenzione al tema dell'occupazione giovanile di qualità. Che in questo caso si lega alla “tradizionale” attività comunicativa, concentrata sui temi della sostenibilità ambientale e dell'ecologia: «Noi abbiamo un grande obiettivo: diffondere la cultura delle energie rinnovabili e della sostenibilità attraverso tutte le vie di comunicazione di cui disponiamo» conferma Ludovica Pinto, 43 anni, romana e “new entry” nell'ecosistema della rete di imprese NWG New World in Green, in cui è entrata nell'aprile del 2020 con il compito di gestire l’area Brand, Corporate, CSR & Sustainability Communication: «Il rispetto per gli altri e per il mondo che ci circonda è una predisposizione che abbiamo nel nostro dna e in quello dei nostri dipendenti e collaboratori. Le nuove generazioni già nascono con questa sensibilità che siamo bel felici di coltivare e nutrire con progetti e programmi dedicati».E proprio alle nuove generazioni è dedicata l'adesione di NWG Energia e NWG Italia all'RdS network. Le due società non hanno l'abitudine di ospitare un gran numero di stagisti – nel 2019, per esempio, ce n'è stato solamente uno – ma quelli che accolgono vengono seguiti da vicino, con un'attenzione forte alla qualità della formazione, oltre a vedersi garantito un rimborso spese di 500 euro al mese, senza differenziazione tra tirocinanti curricolari e tirocinanti extracurricolari, buoni pasto e notebook aziendale. «Oggi come non mai troviamo nei giovani i principi e valori in cui crediamo e ci sembra fondamentale accoglierli in un percorso di crescita personalizzato all’interno del nostro ecosistema aziendale» dice ancora Ramalli, condividendo la "vision" in merito allo strumento del tirocinio formativo: «Riteniamo che sia la forza propulsiva per iniziare assieme il “viaggio” volto a valorizzare i talenti in azienda. Abbiamo fortemente voluto questa partnership con la Repubblica degli Stagisti così da rassicurare i giovani che, unendosi alla nostra famiglia, saranno rispettati nei loro diritti».

Interrompere lo stage si può, ecco come si fa (e quanto spesso succede) in Toscana

Non sempre uno stage realizza le aspettative. A volte perché strada facendo si scopre che le competenze sviluppate non sono quelle sperate, a volte perché l’ambiente di lavoro risulta poco accogliente. Oppure perché nel contempo arriva un'offerta più allettante. Ed è a questo punto che lo stagista si trova davanti al dubbio tra continuare o chiedere un’interruzione anticipata. Di recente sul forum della Repubblica degli Stagisti un lettore che stava svolgendo un tirocinio in Toscana finanziato dalla regione attraverso Garanzia Giovani ha chiesto come comportarsi sia in caso di interruzione sia in caso di conclusione dello stage in corso.La Repubblica degli Stagisti ha contattato la Fondazione Sistema Toscana, la struttura regionale che gestisce e coordina il progetto, ma le nostre richieste sono state girate direttamente all’assessora regionale all’istruzione Alessandra Nardini.Quando si parla di interruzione di un tirocinio è necessario verificare quelle che sono le disposizioni delle leggi e regolamenti regionali in materia di stage, visto che ogni regione può adottare prescrizioni diverse, e nello specifico rileggere anche il contratto di stage firmato.In Toscana il quadro normativo sui tirocini è costituito dalla legge regionale 32 del 2002 , poi modificata dalla legge regionale 8/2018, e dal regolamento di esecuzione 47/R/2003 (il regolamento più recente il 6/R/2019), in cui si specifica all’articolo 86 quater che «al tirocinante è data la possibilità di interrompere il tirocinio in qualsiasi momento dandone comunicazione scritta al tutor nominato dal soggetto ospitante e al tutor nominato dal soggetto promotore». Non è però solo lo stagista a poter mettere fine allo stage. «Lo stesso regolamento prevede che il soggetto ospitante o promotore possano interrompere il tirocinio in caso di inadempienze gravi da parte di uno dei soggetti coinvolti nel rapporto di tirocinio o in caso di impossibilità a conseguire gli obiettivi formativi del progetto», spiega l’assessora Nardini. I numeri dimostrano però come nella stragrande maggioranza di casi la richiesta di interruzione anticipata arrivi dallo stagista e non dall’azienda o dal soggetto promotore, che quindi, evidentemente, non sono mai eccessivamente insoddisfatti dei propri tirocinanti.Nel caso specifico della regione Toscana, i dati disponibili non si riferiscono al solo programma Garanzia Giovani. Questo perché l’avviso per i contributi della nuova Garanzia è partito nel settembre 2020 – quindi a cavallo tra le due fasi pandemiche da Coronavirus – mentre il precedente avviso per stage finanziati sempre in Garanzia Giovani si è chiuso nel 2018. Questo vuol dire che i dati disponibili del 2019 si riferiscono a tirocini attivati tramite Giovanisì, il progetto della Regione dedicato ai giovani fino a 40 anni di età finanziato con risorse del Piano operativo regionale del Fondo sociale europeo 2014/2020 in cui ricadono sette aree di attività tra cui, appunto, anche i tirocini.Ed ecco i numeri: nel 2019 in Toscana sono stati attivati 6.464 tirocini con contributo del Fondo sociale europeo, sui 15.404 (dati del ministero del Lavoro) attivati complessivamente in Toscana nel corso di quell'anno. Un primo dato interessante, dunque, è che circa il 42% di tutti i tirocini partiti in Toscana nel 2019 poteva contare su un finanziamento europeo. «La maggioranza di questi 6.464, oltre 5.200, termina alla naturale scadenza» specifica alla Repubblica degli Stagisti l’assessora.Degli oltre 1.100 conclusi in anticipo, «nella metà dei casi l’interruzione anticipata dell’esperienza di tirocinio è una scelta del tirocinante. Solo nel tre per cento dei casi stagista e soggetto ospitante hanno concordato una risoluzione consensuale del rapporto di tirocinio o anticipato il termine fissato per la conclusione del rapporto stesso. La decisione è del soggetto ospitante solo di rado, nel due per cento dei casi», quindi solo una ventina di tirocini.Interessante analizzare anche la fascia di età più coinvolta nell’interruzione anticipata. «Poco più della metà coinvolge i soggetti tra i 20 e i 24 anni, un terzo in quella tra i 25 e i 29 anni e appena un tredici per cento tra i 18 e i 19 anni». La Regione Toscana sostiene che non esiste una casistica di interruzioni anticipate di stage che riguardino persone over 30.Guardando invece i dati con la lente del titolo di studio degli stagisti, è più alta la percentuale dei soggetti in possesso di un diploma che termina in anticipo uno stage, quasi sei su dieci; mentre c’è una sostanziale parità per quanto riguarda il genere: le interruzioni dei tirocini attivati nel 2019 con contributo del fondo sociale europeo hanno riguardato parimenti uomini e donne, con una piccola percentuale in più a favore dei maschi, 51 a 49.Diversa la situazione invece per quanto riguarda il 2020, quando la pandemia Covid ha inciso in maniera significativa anche sui tirocini con contributo Fse che hanno preso il via in Toscana. «Quelli attivati l’anno scorso sono stati 1.897» sul totale degli 8.896 tirocini extracurricolari partiti in Toscana nell'arco del 2020. Da notare dunque come l'anno corso i tirocini che hanno potuto contare su un finanziamento europeo in Toscana si siano dimezzati: solo il 21% (rispetto al 42% dell'anno prima).Tornando all'assessora Nardini: «La maggior parte dei 1.897 tirocini con contributo Fse, quasi nove su dieci, è terminata alla naturale scadenza». Un trend in crescita rispetto all’anno precedente quando erano otto su dieci. «La scelta di interrompere anticipatamente lo stage è stata degli stagisti stessi per il quaranta per cento dei casi mentre solo il quattro per cento ha trovato una risoluzione consensuale e l’uno per cento delle volte è stata, invece, una scelta del soggetto ospitante». Di quel tredici per cento di tirocini non terminati alla loro naturale scadenza, però, per più della metà non è possibile avere un’informazione specifica dalle comunicazioni obbligatorie, perché in questo documento è indicata la classe “altro” e non è quindi possibile ottenere informazioni specifiche sulle motivazioni.Interrompere un tirocinio è sempre un passo delicato; nel caso si abbiano dei problemi il primo consiglio è parlare con il proprio tutor per cercare di capire se siano risolvibili. Se però lo stagista continua ad essere insoddisfatto l’unica strada è quella dell’interruzione. L’ultimo accordo Stato – Regioni sulle linee guida in materia di tirocini e orientamento, datato 25 maggio 2017, stabilisce appunto che lo stagista possa interrompere in qualsiasi momento il tirocinio comunicando la propria volontà a soggetto ospitante e promotore. Conviene però dare sempre una lettura alla convenzione di stage firmata – e di cui è opportuno avere una copia – per controllare che non ci siano clausole particolari che regolamentino in maniera diversa questa circostanza. Un altro aspetto specificato nell’accordo è il fatto che il tirocinante debba dare motivata comunicazione scritta al tutor del soggetto ospitante e del soggetto promotore in caso di interruzione dello stage.Ci sono altre domande che i lettori della Repubblica degli Stagisti avevano avanzato e che, purtroppo, al momento non trovano risposta né da parte dell’assessora Nardini né da parte di altri funzionari della Regione Toscana. E sono quelle relative alle eventuali ripercussioni negative per uno stagista per aver interrotto anticipatamente uno stage: in particolare alla possibilità per un’azienda di scoprire se un candidato non ha completato un tirocinio interrompendolo in anticipo.In linea di massima sono informazioni riservate, quindi se non espressamente indicate nel curriculum o raccontate durante un colloquio, non sono facilmente rintracciabili: Miriana Bucalossi, funzionaria responsabile della programmazione tirocini e apprendistato della Regione Toscana, ricorda che «esiste un quadro normativo articolato a tutela del tirocinante che sin dal 2011, con l’approvazione della Carta dei tirocini e degli stage di qualità, vede la Regione impegnata a garantirne la qualità e il corretto utilizzo, ponendo a tale scopo vincoli ben definiti e precisi per la loro attuazione, scoraggiarne l’uso distorto e ricondurli alla loro naturale funzione formativa».  Ma non risponde alla domanda specifica.Il consiglio in ogni caso è quello, qualora il tirocinio non rispetti le aspettative, di parlare con il proprio tutor e di fare di tutto per rimetterlo nei giusti binari. Ma nel caso il problema sia proprio irrisolvibile, non resta altra strada se non quella di interrompere anticipatamente l'esperienza. Evitando di perdere mesi utili in attività non formative o poco in linea con i propri obiettivi, e cercando subito un'altra opportunità.Marianna Lepore

Nato, sessanta tirocini da mille euro al mese: il bando è in scadenza

Domenica 2 maggio è l’ultimo giorno utile per provare a partecipare alla 19ma edizione dei tirocini banditi dalla NATO presso la sede di Bruxelles. Destinatari giovani di età superiore a 21 anni che hanno frequentato almeno due anni di università o laureati al massimo da un anno, appartenenti a uno degli Stati membri dell’organizzazione e con una buona conoscenza di inglese e francese, lingue ufficiali della Nato.Il tirocinio ha durata di sei mesi con partenze a marzo e settembre e può essere svolto in tre sedi: presso il quartier generale di Bruxelles, a L'Aja in Olanda e a Oeiras in Portogallo. Il rimborso medio è pari a mille euro: nel dettaglio 1192 euro in Olanda, 1088 in Belgio e 944 in Portogallo. In tutti e tre i casi gli stagisti avranno attività per 38 ore alla settimana. In più è prevista la possibilità di ricevere fino a mille euro per le spese di viaggio. La candidatura si può inoltrare online dal portale dell’organizzazione. Gli ambiti di impiego spaziano dall’assistenza nella redazione e preparazione dei documenti ufficiali alla la ricerca, dall’analisi dei media ai servizi di supporto tecnico e amministrativo.Tutti i candidati saranno contattati per la preselezione nel mese di giugno, mentre tra luglio e settembre sono previste le selezioni finali, la prima tranche di tirocini è in partenza per marzo 2022, la seconda a settembre, sono circa 60 gli stage messi a bando ogni anno.Ogni anno, dice alla Repubblica degli Stagisti l'ufficio stampa dell’Organizzazione, arrivano circa 3/4mila candidature, di cui il 20% dall’Italia. «Non c’è un dato medio su quante candidature arrivano da uomini e quante da donne, i numeri variano da un’area di lavoro all’altra, ovviamente la nostra selezione si basa su capacità, competenza ed esperienza. La Nato attribuisce grande importanza all’equilibrio di genere e all’uguaglianza e le presta la dovuta attenzione come parte del suo processo di reclutamento, anche per il programma di tirocinio».Gli obiettivi principali dello stage sono quello di «fornire ai tirocinanti l’opportunità di imparare dalla comunità della Nato e ottenere una migliore comprensione dell’Organizzazione e ampliare la comprensione della Nato nei paesi dell’Alleanza». Tra i documenti necessari per lo stage l’assicurazione sanitaria e un permesso per i non residenti nel Paese, fondamentale per poter iniziare il tirocinio.Cosa succede dopo lo stage? Nonostante il tirocinio non assicuri certamente un successivo contratto presso l’Organizzazione, rappresenta comunque un’ottima opportunità per concrete possibilità professionali anche presso altre realtà internazionali. «Dopo il tirocinio – spiegano dall’ufficio stampa – i tirocinanti intraprendono una varietà di percorsi, tra cui la permanenza con un contratto di lavoro temporaneo o a tempo indeterminato oppure l’assunzione presso altre organizzazioni internazionali o amministrazioni nazionali.Sul sito della Nato sono raccolte anche alcune testimonianze di ex stagisti: «La Nato non è solo un'organizzazione militare, lavorarci è un'esperienza eccezionale», afferma Alessandro in un video realizzato insieme ad altri tirocinanti provenienti da tutto il mondo. Bodine, collega olandese di Alessandro ha lavorato in un team «composto da sole donne», in un contesto che le ha permesso di «avere tanti nuovi amici».Nell'organizzazione, insomma, sono tutti parte di una grande squadra che travalica i confini nazionali: «We Are Nato», affermano nel cartello finale. Chiara Del Priore

“Le donne devo essere presenti, e non solo metaforicamente!”: lettera aperta a Draghi sulla distribuzione dei fondi del Recovery Plan

Le associazioni e le organizzazioni mobilitate nella campagna “Donne per la salvezza”Lettera aperta al Presidente del Consiglio, alle Ministre e ai MinistriAlla vigilia della presentazione del Pnrr, sono alte le aspettative delle donne per un Piano che, secondo le indicazioni europee, dovrà porre le basi per un rapido assorbimento del divario di cittadinanza tra uomini e donne in ordine al lavoro, all’accesso al credito, ai sostegni all’imprenditoria, alla partecipazione ai corsi di laurea e alle professioni Stem.La via maestra per un aumento importante dell'occupazione femminile è un massiccio investimento nelle infrastrutture sociali: asili nido, servizi sanitari territoriali, strutture per l'assistenza di anziani, disabili, soggetti bisognosi, voucher transitori e universali per la cura, attività e servizi di contrasto alla violenza contro le donne, compresi centri anti violenza e case rifugio.Questi strumenti possono offrire vere opportunità, sicurezza e lavoro alle donne nel nostro Paese.I fondi ipotizzati dal Governo Conte nell' ultima versione a noi nota del PNRR, ad esempio, devono essere piu' che raddoppiati per gli asili nido, poiché al momento non coprirebbero neppure il 33% dei bambini. Lo stesso piano Colao, troppo frettolosamente accantonato, proponeva il 60% di copertura.Sono almeno 5 i miliardi necessari per l'assistenza di ad anziani e disabili, mentre i fondi per l'imprenditoria femminile andrebbero almeno triplicati, rispetto a quelli stanziati fino a oggi (800 milioni di euro).Il nostro auspicio è che le attese siano rispettate. L'occupazione femminile deve crescere. Siamo ultimi in Europa per occupazione delle giovani dai 25 ai 34 anni e penultimi per altre fasce di età.Maternità e genitorialità devono assumere un valore sociale, potenziando i congedi di paternità e aumentando la copertura dei congedi parentali.Una condizione importante affinché si vigili sull'efficacia del PNRR è la valutazione ex-ante ed ex-post sull’impatto di genere delle diverse misure, secondo una prassi sempre più diffusa in Europa, per consentire scelte strategiche fondate.Se l’Italia ha avuto la quota più alta in assoluto dei fondi europei è anche perché ritenuta meritevole di aiuti “speciali”, date le numerose fragilità che presenta. Tra queste, c’è la diseguaglianza di genere, che rende necessario concretizzare un rapido riequilibrio nei prossimi cinque anni, l’arco d’azione del PNRR.La scelta di qualificare le pari opportunità come obiettivo trasversale delle sei missioni del Piano rappresenta al tempo stesso un’opportunità e un rischio. Un’opportunità, perché teoricamente consente di costruire un’azione a tutto campo, quindi anche mediante interventi e investimenti non direttamente finalizzati alla parità di genere, come detto. Un rischio, perché sappiamo bene che gli interessi delle donne, in un confronto segmentato tra innumerevoli capitoli, possono essere marginalizzati e sottorappresentati.È di tutta evidenza che il nostro Paese non possa permettersi l’errore di non considerare le donne destinatarie prioritarie nella gestione dei fondi del Recovery plan.Il danno derivante sarebbe enorme: lo pagherebbero le giovani generazioni, condannando l’Italia a un futuro di povertà e recessione. Com’è noto, infatti, il riequilibrio di genere in ogni ambito si traduce anche in termini di aumento di PIL, oltre che di equità.Le associazioni femminili e le organizzazioni firmatarie del Manifesto Donne per la salvezza intendono continuare a “esserci” anche adesso, nella fase in cui si definiscono esplicitamente le scelte, per capire se le linee guida europee siano state condivise e rispettate nella suddivisione dei fondi, nel senso e nella portata degli interventi e degli investimenti indicati nel documento. A questo fine, nel ribadire il nostro impegno per il bene del Paese, nell’ottica di un dialogo sempre costruttivo con il nuovo Governo, reputiamo essenziale che le associazioni e le organizzazioni che operano sul fronte femminile siano pienamente coinvolte nell’analisi e nella verifica delle proposte da presentare in sede europea.Pertanto chiediamo al Governo non solo di essere informate sull’evoluzione del prossimo PNNR, ma di essere inserite tra i soggetti con i quali l’esecutivo si confronterà, nei prossimi incontri istituzionali. L’accoglimento di questa nostra richiesta significherebbe riconoscere le organizzazioni al femminile (e non solo) come realtà ricche di professionalità, competenze e spunti concreti utili alle istituzioni e attribuire finalmente a esse un ruolo di contributo fattivo e audit nelle scelte che orienteranno la vita economica, sociale e politica del Paese nei prossimi anni.È bene che le donne siano presenti, e non solo metaforicamente, là dove si decide del futuro non solo loro, ma di tutti.Le associazioni, le organizzazioni e le personalità mobilitate nella campagna “Donne per la salvezza”1. Politiche di genere CGIL2. Coordinamento Pari opportunità UIL 3. Dipartimento pari opportunità ALI4. Gruppo Donne Imprenditrici Confimi Industria5. Le Contemporanee6. Soroptimist International d'Italia 7. Fuori Quota8. InGenere9. Fondazione Marisa Bellisario10. Rete per la parità11. Giusto Mezzo12. Se Non Ora Quando - Libere13. Human Foundation14. Associazione Donne Banca d'Italia15. M&M – Idee per un Paese migliore16. Base Italia17. Green Italia18. UCID Coordinamento Donne19. GIO- Osservatorio Interuniversitario di Genere 20. D.i.Re - Donne in rete contro la violenza21. Differenza Donna22. Siciliane23. GammaDonna24. #DateciVoce25. Movimenta26. Assist Associazione Nazionale Atlete27. EWA- European Women Alliance28. Jump - Solution for equality at work29. Road to 50%30. Community Donne 4.031. LeD, Libertà e Diritti32. Women in Film, Television & Media Italia33. EWHR- European Women for Human Rights34. Donne & Società35. Io parlo europeo36. Telefono Rosa - Torino37. Leads - Donne leader in Sanità38. Avvocati per i Diritti Umani39. AGI - Associazione Giuriste Italiane sezione europea40. Aps SconfiniAmo41. (R) evolution Associazione42. Rebel Netwok43. One Billion Rising Italia44. Associazione Abbraccio del Mediterraneo 45. Associazione Blu Bramante46. B Women Italy47. Tlon48. Odiare ti costa49. La Repubblica degli Stagisti

Indennità mancata ai praticanti, ancora nessuna risposta: “L'Avvocatura dovrebbe dare il buon esempio, e invece...”

L'Avvocatura dello Stato dovrebbe pagare i suoi praticanti. Dovrebbe farlo per una questione etica. E nella fattispecie avrebbe dovuto farlo per legge, quantomeno per i praticanti accolti tra il 2015 e il 2017. Ma non l’ha mai fatto. La Repubblica degli Stagisti ha raccontato la storia di questi giovani, alcuni ormai più che abilitati, che da anni aspettano risposte e invece ricevono solo silenzi o rinvii. Poco più di un mese fa il senatore Riccardo Nencini ha presentato un’istanza di sindacato ispettivo al Presidente del Consiglio Draghi sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e della distribuzione delle borse. Tra il 2015 e il 2017 «centinaia di giovani laureati in giurisprudenza hanno svolto la pratica forense presso le avvocature distrettuali dello Stato assicurando un contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale e sostenendo notevoli spese e sacrifici per gli spostamenti e per lo svolgimento delle attività richieste dai procuratori e dagli avvocati», si legge nella premessa del documento. Nel testo viene precisato dettagliatamente quanto era stato disposto dalla legge del 2014, ovvero la ripartizione del 25 per cento delle spese legali a carico delle controparti recuperate dall’Avvocature e da destinare a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense. E come «a causa dei notevoli ritardi delle erogazioni, nel 2016 i praticanti di diverse articolazioni distrettuali dell’Avvocatura dello Stato avevano già sollecitato, invano, l’attuazione delle previsioni normative», ricevendo solo una replica in cui si ricordava che per applicare la disciplina era necessario «il preventivo esame della documentazione prevista dal regolamento oltre alla verifica contabile delle somme riscosse dalle avvocature, al fine di chiedere l’istituzione del nuovo capitolo di spesa nello stato di previsione del Ministero dell’economia dedicato al finanziamento delle borse di studio».Quel capitolo di spesa, sottolinea Nencini nella sua interrogazione, è stato poi istituito dopo due anni di silenzio specificando anche nelle note integrative del bilancio pluriennale che «La Categoria economica Trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private si riferisce alle borse di studio assegnate per lo svolgimento della pratica forense presso “Avvocatura dello Stato”». Eppure ad oggi quelle borse di studio previste dalla normativa non sono state ancora assegnate. «È assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza», perciò il senatore chiede di sapere se non si ritenga «doveroso intervenire al fine di sollecitare l’assegnazione delle borse di studio, così da colmare la grave mancanza di cui l’Avvocatura statale è responsabile».L’interrogazione è stata presentata ai primi di marzo e purtroppo non ha una scadenza entro cui ricevere una risposta. «I tempi sono imprecisati», spiega Nencini alla Repubblica degli Stagisti «ed è necessario premere sul ministero competente, ovvero il ministro della Giustizia. Quanto agli effetti che un atto di questo tipo possa avere, per prima cosa accende una luce sul problema» sconosciuto ai più, «e si iniziano a sensibilizzare Parlamento e Governo». L’iniziativa di Nencini, però non si ferma qui. Se la risposta del presidente Draghi continuasse a non arrivare, il senatore assicura «inizierei a parlarne con il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, cercando anche di allargare il cerchio dell’appoggio di altri senatori».  Nel frattempo resta ignoto il motivo di un ritardo di sette anni da parte dell’Avvocatura per scrivere un regolamento di assegnazione delle borse. «Con questa interrogazione si spinge il governo a fare in fretta. È una questione importante ed è bene che se ne discuta di faccia al parlamento».Intanto i giovani aspettano: una risposta da Draghi, una dall’Avvocatura e, per i praticanti del triennio 2015 – 2017, quel rimborso spese previsto dalla legge per cui le cui risorse sono già state stanziate. E al ritardo si aggiunge la beffa. Perché l’Avvocatura sul suo sito continua a pubblicizzare la pratica presso i suoi uffici. E a magnificare il lavoro dei praticanti. Nel Piano della performance del 2016 - 2018, del triennio 2018 – 2020 e del triennio 2019- 2021, l’Avvocatura riporta sempre lo stesso testo di elogio del lavoro dei praticanti avvocati al suo interno, «nel numero di 100 e con rapporto di presenza 1:1 con il numero di avvocati dello Stato nelle avvocature distrettuali». E ricorda che l’indagine svolta negli anni 2011-2012-2013 e conclusa nel 2015 «ha messo in risalto la diffusa stima di cui gode l’istituto e l’efficacia della funzione educativa svolta dall’Avvocatura dello Stato».Per ricavare informazioni sui suoi praticanti, peraltro, qualche anno fa l’Avvocatura mandò un questionario a 811 ex praticanti che si erano alternati tra il 2011 e il 2013, ricevendo solo 349 risposte. Il numero è però interessante, perché in una situazione in cui è difficile sapere con certezza quanti siano questi soggetti, si può partire già dal dato che in un triennio sono stati almeno 800 e che ad oggi, quindi, quel numero dovrebbe essere più che triplicato.L’attenzione per questo percorso continua anche oggi nonostante l’assenza di un rimborso spese. In tanti, ogni anno, continuano a far domanda nonostante all’atto della richiesta si debba compilare un foglio dichiarandosi anche consapevoli del fatto che questa pratica «non dà diritto al rimborso spese previsto dall’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012». Sono brillanti, con votazioni alte, una laurea entro i termini, eppure non meritano un emolumento per le prestazioni svolte. Valerio Stomeo, 30 anni, socio fondatore e referente area normativa del Coordinamento Giovani giuristi italiani, si è laureato nel febbraio 2016 e ha cominciato due mesi dopo la pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale di Lecce. Il suo periodo di pratica, quindi, era nella fase in cui la legge prevedeva ancora il rimborso spese. Anche se «nella domanda che si presenta non si parlava minimamente delle borse di studio, anzi si chiedeva di dichiarare espressamente di essere consapevoli che la pratica presso l’avvocatura non dava diritto a ciò». Pur abitando in provincia di Lecce, a 40 minuti di distanza, ha speso nei mesi di pratica 440 euro solo come abbonamento ai mezzi. A questi andavano poi aggiunte le spese di cibo giornaliere. «Non avendo un reddito sono stati i miei genitori a pagare per i dodici mesi di pratica. Così per guadagnare qualcosa ho svolto in contemporanea il tirocinio ex articolo 73 presso il tribunale di Lecce». Una scelta dettata dalla speranza di ricevere un rimborso spese, che per quel tipo di stage viene assegnato al termine e in base all’Isee e alle risorse disponibili, con il rischio quindi di rimanere comunque a bocca asciutta. «Sono stato fortunato e rientrato tra quelli che hanno ricevuto 400 euro al mese per diciotto mesi, ma ricordiamo che quei soldi si prendono un anno dopo: il che significa affrontare comunque il primo anno senza alcuna entrata economica».Attenzione: i 400 euro al mese erano correlati alla sua attività di tirocinio “ex art 73” presso il tribunale del riesame di Lecce, che gli impegnava due giorni alla settimana dalle 8.30 alle 13.30, quindi circa una decina ore settimanali (che a volte diventavano quattordici). Non si riferiscono, i 400 euro, al praticantato presso gli uffici dell'Avvocatura, che gli impegnava i restanti tre giorni dalle 8.30 alle 18.30 e i due pomeriggi post tirocinio, e per le quali Stomeo come centinaia di suoi colleghi in tutta Italia in quegli anni avrebbe dovuto ricevere per legge un non meglio precisato emolumento mensile... quando in realtà, a causa del ritardo dell'Avvocatura nell'emettere il regolamento interno per l'erogazione di queste indennità – regolamento mai emesso in cinque anni! –  non percepiva nulla.Nel suo caso non è stato molto complicato conciliare le due esperienze, anche se questo significava comunque passare l’intera giornata fuori casa alternandosi tra un ufficio e l’altro. «Se la pratica presso l’Avvocatura fosse stata retribuita di sicuro non avrei deciso di fare le due esperienze contemporaneamente», spiega. E oggi non è così sicuro che ripeterebbe l’esperienza: «È stata formativa ma non ho ricavato molti vantaggi e se dopo non trovi lavoro, la formazione fine a se stessa non serve a molto».Le spese, però, possono essere anche più alte. Chiara, che preferisce non svelare il suo cognome, ha cominciato la pratica da avvocato da nemmeno un anno e dopo qualche mese in uno studio privato ha fatto domanda in Avvocatura. «Sapevo che non sarei stata retribuita e che non ci sarebbe stato un rimborso spese ma ho accettato lo stesso anche perché la mia condizione non sarebbe cambiata molto, visto che nemmeno l’avvocato presso cui stavo facendo pratica mi dava alcun rimborso». La giovane è convinta che sia «inaccettabile» che lo Stato legittimi una pratica tanto scorretta quanto ingiusta. Anche perché non ricevendo alcun rimborso, tutti i praticanti in Avvocatura sono costretti a fare anche altro. L’ipotesi più frequente – come infatti è accaduto a Valerio Stomeo – è il tirocinio ex articolo 73 che, su determinate basi, dà diritto a una borsa di studio. Anche Chiara lo sta svolgendo e sul doppio impegno dice: «Questo incide sulle prestazioni del praticante sia in termini di tempo a disposizione che di formazione personale e professionale».Come tutti quelli che hanno cominciato la pratica nel corso dell’ultimo anno, i costi sono in parte contenuti dal fatto che i praticanti, spesso, a parte le presenze in udienza non mettono piede in ufficio dal marzo 2020. Ma sono tutt’altro che esigui. Visto che ha calcolato che tra abbonamento ai mezzi pubblici per 18 mesi, «le varie quote di iscrizione ai Consigli dell’ordine degli avvocati di riferimento» e spostamenti vari, spenderà in totale più di 1.800 euro. Che nel suo caso potrebbero essere "ribilanciati" dai 400 euro al mese del tirocinio ex articolo 73, che pure sta svolgendo, e per cui proprio recentemente è stata pubblicata la graduatoria provvisoria per il 2019. «Ma l’Avvocatura, in virtù del suo ruolo e natura, dovrebbe dare il buon esempio e non contribuire a consolidare una prassi contraria ad ogni buona logica e diritto» dice Chiara, sacrosantamente. Insomma, i giovani praticanti avvocato iniziano a non tollerare più la situazione. E se anche le risposte non dovessero arrivare questo potrebbe essere l’ultimo anno di attesa. Prima di intraprendere altre strade e vedere finalmente riconosciuto il diritto a una pratica retribuita.Marianna Lepore

Covid e stage, le università si organizzano e i tirocini vanno (più o meno) avanti

L'Italia è in un nuovo, sostanziale lockdown. Come si stanno organizzando adesso le università rispetto ai tirocini di loro competenza, ovvero i curriculari e gli extracurriculari per neolaureati? A un mese dall'ultimo dpcm che ha tinto di rosso la quasi totalità delle regioni italiane, la bella notizia è che non sembrerebbe sia più in corso quella generalizzata interruzione dei percorsi a cui erano andati incontro gli stage dopo le prime chiusure a causa del Covid, quelle di marzo 2020. Neppure per i tirocini curriculari, che rientrando nell'ambito della didattica sono soggetti a essere sospesi al pari delle lezioni in aula, per proseguire ove possibile a distanza. Gli stessi sono anche quei percorsi spariti dai radar dei conteggi ufficiali purtroppo, non essendo più necessaria, dal 2007, la comunicazione obbligatoria della loro attivazione. Per questo la Repubblica degli Stagisti, secondo le cui stime i tirocini curriculari sono circa 200mila ogni anno, chiede da tempo una nuova legge che li regolamenti, non potendo bastare una norma di oltre vent'anni fa, il decreto ministeriale 142/1998, a cui tuttora si fa riferimento in assenza di un testo legale specifico per questa categoria di stage. Stando almeno agli atenei contattati dalla Repubblica degli Stagisti, la regola adesso è quella di consentire sempre il proseguimento dei tirocini ma da remoto, o tutt'al più in modalità mista, contenendo al massimo i disagi per gli studenti. A Padova però ci sono volute le proteste degli studenti per arrivare alla determinazione di non sospendere i tirocini curriculari. In un primo momento la decisione del rettore era stata infatti quella di sospenderli: «Le attività didattiche curricolari dell’università (lezioni teoriche e pratiche, esami di profitto e di laurea, tirocini curriculari) potranno essere erogate solamente a distanza» si legge in una pubblicazione sul sito dell'ateneo datata 15 marzo. Unica eccezione, le attività sanitarie, per le quali la presenza resta ammessa. Scoppiano le proteste degli studenti, e così si fa un passo indietro, due giorni dopo. Il 17 marzo sul sito compare un nuovo avviso, con cui si chiarisce che «è consentito lo svolgimento dei tirocini curriculari esterni se le attività non sono surrogabili da remoto».La decisione «è stata quella di rispettare la libera scelta di aziende e studenti» sottolinea Gilda Rota, responsabile del Career service dell'università di Padova, «e consentire il proseguimento degli stage quando possibile, nel rispetto dei protocolli sanitari». Anche perché un tirocinio a distanza non sempre è un'opzione praticabile: «Pensiamo a un ingegnere che si dovesse laureare senza aver mai visto una fabbrica in vita sua» sottolinea Rota. Oppure a chi studia per le professioni sanitarie: in quei casi il tirocinio a distanza è impossibile. Nel frattempo si sperimentano strade nuove per sopperire alla eventuale cancellazione degli stage. All'ateneo padovano ad esempio è nato per gli studenti di Economia il Virtual Stage, ovvero una piattaforma con corsi online che soppiantano i tirocini, nata «per consentire di laurearsi nelle sessioni di marzo, luglio, e ottobre 2021 senza che gli effetti della situazione sanitaria» si legge nella presentazione «possano rappresentare un ostacolo per l’ottenimento dei 10 cfu legati al tirocinio curriculare obbligatorio». Gli studenti possono così laurearsi senza perdere sessioni per colpa della mancata maturazione dei crediti formativi. Si può scegliere tra tre opzioni: seguire corsi online sulle competenze trasversali, analizzare percorsi professionali per riconoscere competenze di carattere tecnico proprie di alcune professioni, stendere una lettera motivazionale. Esiste anche un altro strumento «aperto a tutte le altre facoltà e che noi utilizzavamo già da qualche anno» dice Rota: una piattaforma «composta da quattordici moduli sulle soft skills che riguardano la transizione verso il mondo del lavoro», anche questa utilizzabile in tempi di Covid per maturare eventuali crediti mancanti. Anche all'università Bicocca la regola è quella di far proseguire gli stage curriculari «in presenza o in smart working» come chiarito sul sito. Mentre per quelli extracurriculari si va avanti «con la modalità a distanza, che è da preferire» evidenzia Vasyl Zhuk del Career service, «lasciando però la possibilità di assistere anche in presenza laddove possibile, e sempre nel rispetto dei protocolli sanitari». Il contraccolpo con la terza ondata di contagi non c'è stato, «anzi possiamo dire di essere tornati con le attivazioni dei tirocini per neolaureati quasi ai livelli pre Covid, con circa 35 nuovi stage attivati a marzo contro i 30 dello scorso anno nello stesso periodo». Identica la linea anche a Bari. Teresa Fiorentino, responsabile del placement, è netta: «Non possiamo permettere che gli studenti perdano ancora opportunità, quindi noi già dallo scorso maggio, almeno per i tirocini extracurriculari ci stiamo orientando sulla modalità mista, combinando il remoto e la presenza» spiega «anche perché le chiusure sono state fortemente penalizzanti e abbiamo avuto molti casi di studenti mai più richiamati per i tirocini una volta sospesi a causa della pandemia». Le Regioni, si sa, vanno in ordine sparso, «non c'è una linea condivisa da Nord a Sud». Il rettore dell'ateneo di Bari a un certo punto aveva perfino vietato i tirocini in presenza per le professioni sanitarie, «salvo poi tornare sui suoi passi, anche perché nel frattempo ci sono state le vaccinazioni», con il conseguente contenimento del rischio di contagio. Così, per andare avanti «noi ci atteniamo al principio per cui ciò non è vietato è consentito, come ad esempio gli stage fuori regione, che stiamo continuando a attivare» prosegue Fiorentino.Quanto a Roma, si legge sul sito della Luiss che «sono da considerarsi sospesi tutti i tirocini curriculari in presenza in corso nelle regioni in zona rossa, salvo poter proseguire nella sola formula a distanza». La zona rossa nel Lazio è stata però confermata fino al 29 marzo. «Da quel momento in poi, con il passaggio in zona arancione, non abbiamo avuto nuove indicazioni regionali circa la sospensione delle attività in presenza, che possono dunque proseguire» dice il Career service.Anche qui nel frattempo è nata un'iniziativa simile a quella di Padova, il Virtual Internship, un tirocinio a distanza che ha coinvolto finora circa 300 ragazzi e 40 aziende. Si tratta di «una opportunità di formazione della durata di cinque settimane dedicata agli studenti dell’ultimo anno di tutti i corsi di laurea magistrale e a ciclo unico» si legge sul sito. Dentro ci sono colossi come Accenture, Coca Cola, Enel, e la società di consulenza EY che fa anche parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. I tirocini virtuali vertono su progetti aziendali. «Un'alternativa al tirocinio curriculare per il conseguimento dei crediti formativi», nell'intento di preservare le opportunità formative per gli studenti nonostante il Covid. Ilaria Mariotti 

Un terzo delle opportunità di stage cancellato dal Covid, finalmente i dati inediti su tutto il 2020

Il Covid ha fatto calare esattamente di un terzo le opportunità di stage. Finalmente la Repubblica degli Stagisti è in grado di pubblicare i dati dell’intero 2020 e fare un confronto con l’anno precedente, per capire quanto la pandemia abbia impattato sui giovani (e meno giovani) e sulle dinamiche della transizione dalla formazione al lavoro.I numeri inediti ottenuti dal ministero del Lavoro raccontano l’andamento del 2020 trimestre per trimestre. Nel trimestre gennaio-marzo, solo parzialmente toccato dalla pandemia, il calo delle attivazioni di tirocini extracurricolari (gli unici monitorati e conteggiati a livello ufficiale) è stato pari a –18%. Poi c’è stato il vero e proprio crollo, in concomitanza con il primo grande lockdown: tra aprile e giugno gli stage in Italia sono calati del 73%. Il trimestre estivo è stato quello della ripresa, del ritorno a una parvenza di “normalità”, e quindi anche gli stage sono ripresi: infatti tra luglio e settembre il calo registrato è stato solo del 12%. E adesso sono arrivati anche i dati dell’ultimo trimestre del 2020, che fotografano una situazione in cui tra ottobre e dicembre 2020 è stato attivato quasi il 26% in meno (per la precisione, –25,7%) di stage rispetto allo stesso periodo del 2019.In numeri assoluti: 234.513 percorsi formativi extracurricolari attivati in tutta Italia nel 2020 a fronte dei quasi 356mila che erano partiti nel 2019. Il calo percentuale è dunque del 34,1%: vuol dire appunto che poco più di un terzo delle opportunità di tirocinio abitualmente disponibili in Italia sono state cancellate dal Covid.E bisogna subito dire che le donne hanno patito di più la riduzione di stage rispetto agli uomini: per loro il numero di attivazioni tra 2019 e 2020 si è ridotto di oltre il 36%, mentre il calo registrato per i maschi è rimasto appena al di sotto del 32%. Nel dettaglio, se è vero che i numeri dell’intero anno non sono disastrosi dal punto di vista del genere – dei 234.513 tirocini partiti nei 12 mesi, 114.304 pari al 48,7% ha riguardato donne, e 120.209 pari al 51,3% ha riguardato uomini – è la tendenza a preoccupare.Primo trimestre 2020, praticamente Covid-free salvo nell’ultimo dei tre mesi (marzo): il calo degli stage c’è ma è contenuto, solo grossomodo un –18%, e lo sentono lievemente più le donne (–18,1%) che gli uomini (–17,6%). Secondo trimestre, arriva la megabatosta, gli stage calano più o meno del 73%, e questa volta le donne sentono la botta ben più degli uomini, con uno “scarto di genere” di ben quattro punti percentuali: 74,7% di tirocini in meno attivati a favore di stagiste, contro il –70,9%  rilevato per i tirocini a favore di stagisti.Lo svantaggio per le donne continua anche nei numeri “in ripresa” del terzo trimestre: tra luglio e settembre il calo medio rilevato è del 12%, ma gli uomini patiscono solo un –10,3%, a fronte di un –13,7% delle donne. Lo “scarto di genere” resta oltre tre punti punti percentuali.E si arriva così al quarto trimestre, quello per cui sono ora disponibili i dati inediti. Qui la disparità di genere si fa clamorosa: a fronte di un –25,7% “generale” ci sono quasi nove punti percentuali di scarto tra le opportunità di stage andate perse per le donne (–29,9%) e quelle andate perse per gli uomini (–21,1%).    La disparità è ancor più evidente se si pensa che lo stage fino al 2019 era stranamente rimasto una “oasi” di parità di genere, con le occasioni equamente distribuite – trimestre dopo trimestre, anno dopo anno – in una misura del 50-50 tra stagisti e stagiste, o al massimo del 49-51 (e quasi sempre in favore delle donne). Nel 2019, per fare un esempio, si erano registrati 179mila stage attivati a favore di donne e poco meno di 177mila attivati a favore di uomini: insomma, parità perfetta. I dati assolutamente inediti arrivati dal ministero permettono anche di avere una qualche idea anche sull’impatto del Covid sull’efficacia del tirocinio come preludio all’assunzione. La probabilità di essere assunti dopo un’esperienza formativa è calata a seguito della pandemia, e sopratutto della crisi economica che la pandemia ha generato? Ovviamente sì.Se al ministero risulta che, delle 355.863 persone che avevano iniziato un tirocinio nel corso del 2019, ben il 43% sia poi stato assunto (nello stesso posto dove aveva svolto il tirocinio o altrove) nel corso dei primi sei mesi dopo la fine del tirocinio, questo dato scende a 17% se invece si considerano le 234.513 persone che hanno iniziato un tirocinio nel corso del 2020.Ma attenzione: questi dati sono da prendere con le pinze perché si riferiscono alle assunzioni avvenute nei sei mesi successivi alla fine del tirocinio. Dunque non bisogna dimenticare che una considerevole fetta dei tirocini attivati nel 2020 è tuttora in corso (basti pensare a quelli attivati a novembre-dicembre), e che gran parte dei i tirocini attivati nel 2020, anche se ormai terminati, non sono però terminati da molto. Per giunta i dati del ministero riportano il tasso di assunzione post tirocinio conteggiando le assunzioni realizzate “entro i sei mesi dalla fine del tirocinio ed entro il 31/12/2020”. Quindi dentro il 17% non ci sono nemmeno, per dire, le assunzioni degli stagisti 2020 realizzate in questi primi tre mesi di 2021. Ciò vuol dire che il quadro potrebbe cambiare molto quando, a fine anno, si potranno tirare le somme sulla sorte delle persone che hanno fatto uno stage cominciato nel 2020, lo hanno svolto, terminato, e rilevare cosa ne è stato di loro nei sei mesi successivi al termine del tirocinio, se sono state assunte o no, e con che tipo di contratto. È molto probabile che il 43% realizzato nel 2019 resterà un miraggio: ma quel che è sicuro è che il dato del 17% è destinato a salire (almeno un po’).L'unico confronto che potrebbe essere considerato calzante, sulla base dei dati a disposizione, è quello tra il tasso di assunzione rilevato per gli stage attivati nei primi tre mesi del 2019 e quello rilevato per gli stage attivati nei primi tre mesi del 2020. In questo caso abbiamo infatti numeri sostanzialmente omogenei, perché è verosimile che, pur con tutti i ritardi e sospensioni/riprese dovuti al lockdown, quasi tutti i tirocini attivati tra gennaio e marzo 2020 siano stati conclusi entro la fine del 2020 (è vero però che per alcuni di essi non c'è stato il tempo di "latenza" dei sei mesi, dunque la confrontabilità dei dati non è proprio perfetta neanche questo caso – ma come si dice: il meglio è nemico del bene).E vediamo allora questi dati del primo trimestre: nel 2019 erano partiti tra gennaio e marzo poco meno di 85mila tirocini. Di essi, secondo il ministero del Lavoro, il 46% ha portato a un contratto di assunzione di un qualche tipo (non necessariamente nello stesso posto di lavoro dello stage, beninteso) nei primi sei mesi dopo la fine dell'esperienza formativa. Nello stesso periodo del 2020 i tirocini avviati sono stati poco meno di 70mila, e solo il 36% ha fatto scaturire entro i sei mesi successivi un'assunzione. Dunque si può dire che, dai primissimi dati, il Covid abbia ridotto di circa un quarto le possibilità di assunzione post stage. Ma è veramente un dato “a tentoni”.Diverso sarebbe il discorso se il ministero avesse fornito i dati relativi alle assunzioni entro un mese dalla fine del tirocinio. In quel caso si registrerebbe l’efficacia immediata dello strumento del tirocinio come anticamera del lavoro (e inoltre si eviterebbe tutta l’incertezza dovuta ai sei mesi di “lasco” nel conteggio dei dati). Ma questo dato a un mese non è disponibile, almeno per ora, e dunque sull’impatto effettivo della pandemia sulle assunzioni post stage resta un punto di domanda.[La foto è di Christian Erfurt, tratta da Unsplash]

Indennità ai praticanti nelle Avvocature di Stato: promessa per legge sei anni fa, ma nessuno l'ha mai ricevuta

I giovani laureati in Giurisprudenza che fanno il praticantato per diventare avvocati devono ricevere una indennità mensile? Da qualche anno sì: è un loro diritto. Tranne in un caso: se svolgono il praticantato presso enti che per qualche motivo sono esonerati dal rispettare questa regola. Eh sì, perché mentre gli studi legali privati sono obbligati a rispettare questo principio (anche se ci sono, in effetti, modi per evitarlo... ma non divaghiamo) c'è chi è dispensato dal farlo. Nello specifico, l'Avvocatura dello Stato. Che quindi può ospitare praticanti senza doverli pagare. Già è triste che non ci sia un obbligo nel pagare i praticanti. Ancor più triste è la vicenda delle indennità mancate. Perché a un certo punto, sei anni fa, qualcuno si era accorto che non pagare i praticanti dell'Avvocatura era ingiusto, e aveva trovato un modo per destinare loro dei soldi. Atti, controatti, regolamenti: ma in sei anni nessuno è stato in grado di passare dalle parole ai fatti. Tanta attesa, e nemmeno un euro nelle tasche dei circa mille giovani che avrebbero avuto diritto a ricevere questa indennità.Proprio ieri un drappello di ex praticanti sarebbe dovuto scendere in piazza a Roma, sotto il ministero della Giustizia, a manifestare contro questa vergogna. Poi, causa contagi Covid tra i gruppi di partecipanti, l'evento è stato annullato. Ma l'iniziativa è stata assorbita in un'assemblea pubblica online, già prevista, che è ancora possibile visionare sulla pagina facebook del Coordinamento giovani giuristi italiani. E a inizio mese un parlamentare, il senatore Nencini, ha depositato un’interrogazione al governo Draghi in cui chiede conto dei 4 milioni di euro di soldi pubblici stanziati a suo tempo per pagare questi giovani, oggi ancora fermi, ed evidenzia come sia «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale vi sia una tale mancanza».Ricapitoliamo la vicenda: da molti anni i giovani possono svolgere il praticantato – gratuitamente – presso l’Avvocatura dello Stato, per un minimo di 20 ore settimanali, rispondendo a un bando di selezione che solitamente richiede una laurea con voto non inferiore a 105-106, votazioni alte a determinati esami, e un’età tra i 24 e i 27 anni.  A partire dal 2013 con il decreto 69 il percorso viene legittimato ai fini dell’accesso al concorso in magistratura. «Questa possibilità ha attirato un maggiore interesse per il tirocinio presso l’avvocatura dello Stato, perché oltre alla pratica forense qualificata avrebbe dato questa possibilità in più», spiega alla Repubblica degli Stagisti Giovanni Antonino Cannetti, presidente del Coordinamento giovani giuristi italiani, associazione nata dall’incontro tra paraticanti ed ex praticanti delle Avvocature dello Stato. L’anno seguente la legge di conversione 114/2014 istituisce anche apposite borse di studio per i praticanti presso l’Avvocatura. E lo fa in un modo particolare. Stabilisce, infatti, che in ipotesi di sentenze favorevoli per le amministrazioni difese dall’Avvocatura, il venticinque per cento del recupero delle spese legali a carico delle controparti venga destinato alle borse di studio per la pratica forense. In poche parole «si accantonava un quarto della somma che fa parte della retribuzione accessoria del personale togato e la si faceva defluire in una sorta di fondo che serviva a finanziare le borse di studio», spiega Cannetti. C’è un problema, però: la legge 114 prevedeva anche che spettasse all’Avvocatura stabilire attraverso un suo regolamento interno le modalità, i tempi e l’erogazione delle borse. Eppure in sette anni non c’è traccia dei criteri per l’attribuzione di queste indennità mensili. Tutto questo nonostante le ripetute istanze presentate dai praticanti delle Avvocature in tutta Italia. Il motivo è facilmente intuibile: il personale togato non vuole affatto rinunciare a quella, seppur piccola, parte della sua retribuzione a favore dei praticanti. E dunque ha bloccato tutto con la tecnica dell' “ostruzionismo”, rallentando fino a paralizzare ogni passaggio e contemporaneamente agendo le vie legali per contestare il provvedimento.Ad oggi nessuno dei praticanti che si sono susseguiti dal 2015 in poi ha mai visto un emolumento. «Abbiamo fatto varie istanze di sollecito: la prima nel 2016 come Coordinamento giovani giuristi italiani al segretario generale dell’Avvocatura dello Stato» spiega Cannetti «facendo presente che la norma prevedeva dal primo gennaio 2015 l’accantonamento e l’erogazione e chiedendo spiegazioni». Il 22 dicembre 2016 l’Avvocatura generale dello Stato risponde formalmente spiegando che «era necessario aprire un capitolo di spesa presso il Ministero dell’economia e delle finanze», spiega Cannetti, per la richiesta di riassegnazione delle somme ai nuovi capitoli di spesa. L’Avvocatura spiega anche che precedentemente sarà necessario fare una verifica contabile delle somme riscosse. Solo a quel punto si potrà determinare a quanto ammonta quel venticinque per cento «dedicato al finanziamento delle borse di studio» e si potranno assegnare grazie alla «definizione di una disciplina specifica» all’epoca ancora in corso. Sono passati altri due anni per avere una risposta a una nuova istanza dei praticanti dell’Avvocatura che chiedevano i tempi di attivazione della procedura di valutazione comparativa per l’erogazione delle borse di studio. Poi il capitolo di spesa è stato approvato: nero su bianco ci sono le quote da destinare a borse di studio per la pratica forense presso l’avvocatura dello Stato, pari per l’anno 2018 a più di 2 milioni 180mila euro – da distribuire per la pratica a partire dal 2015 – e per le seguenti due annualità, 2019 e 2020, un milione di euro ciascuno. Per un totale di stanziamento già disposto con la legge del 2014 di oltre 4 milioni 180mila euro.Il 3 novembre 2018 l’Avvocatura scrive di aver iniziato «l’esame della questione dell’applicazione temporale della norma, nonché dei criteri di accesso alle borse di studio per lo svolgimento della pratica forense che dovessero istituirsi», e fa capire che non c’è alcun termine se non ipotetico entro cui debba provvedere a farlo. «I soldi sono stati accantonati, lo stanziamento è stato previsto fino al 2020 ma l’Avvocatura non ha mai emesso questo regolamento» precisa Cannetti. Per cui non si sa nemmeno alla fine a quanto dovrebbe ammontare questa borsa: se si fosse applicato un criterio simile a quello dei tirocinanti negli uffici giudiziari non sarebbe stato, come prevede la norma, più di 400 euro al mese per 18 mesi per un totale massimo di 7.200 euro a praticante. Ma questo con un criterio ripartito in base all’Isee, altrimenti se la distribuzione fosse stata più ampia, la somma sarebbe stata più bassa. Solo ipotesi, però, non essendo mai stato pubblicato un regolamento sul tema.Non solo, a un certo punto si aggiunge la beffa al danno: a fine 2017, con l’approvazione della nuova legge di bilancio, qualcuno decide di tagliare la disposizione che prevedeva l’accantonamento del venticinque per cento della retribuzione accessoria per le borse di studio che, quindi, «dal primo gennaio 2018 cadono, visto che la norma che le regola non c’è più». Quel venticinque per cento torna a far parte della remunerazione accessoria dell’avvocatura, con il personale togato «che era arrivato a portare il contenzioso in sede Tar, arrivando alla Corte costituzionale, per riavere quella cifra».Ora se da una parte può essere comprensibile che una categoria di lavoratori si mobiliti contro un taglio improvviso del proprio stipendio, è bene precisare che il personale togato non aveva visto tagli sulle mensilità fisse. Aveva subito – in teoria – una riduzione del venticinque per cento della retribuzione accessoria, quindi di quel guadagno aggiuntivo variabile che dipende dalle cause vinte. Ma, ecco, bisogna anche dire che il personale togato dell'Avvocatura è tutto tranne che mal pagato: anzi, l'importo annuo lordo è – o almeno, era una decina di anni fa – di 160mila euro all'anno di media. E dunque quei soldi destinati ai praticanti non avrebbero fatto una differenza così grande nella retribuzione complessiva dei 300 avvocati e 70 procuratori dello Stato. C’è poi un’altra precisazione da fare: la norma di fine 2017 non è retroattiva, per cui se anche dal 2018 l’Avvocatura fosse stata legittimata a non pagare i suoi praticanti, restano i tre anni precedenti per cui c’era una norma in vigore che prevedeva un pagamento e che non è stata rispettata.Per tre anni una legge dello Stato ha stabilito che questi praticanti andassero pagati, lasciando a un organo del nostro ordinamento giuridico il compito di decidere le modalità per distribuire questi rimborsi. In tre anni l’Avvocatura non è stata in grado di produrre questo regolamento e nel frattempo è arrivata una nuova legge che ha soppresso il pagamento (ma non retroattivamente). Eppure passati altri tre anni – in totale sei dall’inizio della storia – non si è ancora stati in grado di produrre un testo per distribuire queste somme – dovute – che sono già a bilancio. «Hanno un preciso vincolo di spesa», eppure sono ancora ferme lì, inutilizzate. Del regolamento non c’è traccia e una delle ultime richieste di accesso agli atti è stata respinta perché «materia potenzialmente oggetto di contenzioso». Il Coordinamento ha fatto anche un esposto alla procura della Corte dei Conti competente per il Lazio, ma non ha avuto risposta.Nel frattempo, oggi, chi sceglie la strada del praticantato presso l’Avvocatura dello Stato non percepisce alcun rimborso spese visto che non c’è una norma che obblighi a farlo. Anche perché, spiega Cannetti, «questo praticantato si muove anche in deroga rispetto alle previsioni e agli obblighi della legge forense. Quindi se negli studi privati dopo sei mesi è possibile pattuire un emolumento dell’attività del praticante, per l’avvocatura dello Stato non è così».Oggi i praticanti tra il 2015 e il 2017 sono abilitati, «alcuni addirittura lavorano come procuratori presso l’Avvocatura». Quelle risorse a loro destinate non sono state ancora distribuite. «Fino al 31 dicembre 2017 c’è anche una violazione della norma applicabile pro tempore. E poi ci sono dei soldi stanziati fino al 2020 per questo scopo, e visto che sono stanziati al di là della previsione e della norma, nulla vieta di destinarli per ciò per cui erano fin dall’inizio destinati. Basterebbe un passaggio formale coordinandosi con gli uffici del Mef e con la presidenza del Consiglio» spiega Cannetti, «se lo volessero non avrebbero difficoltà a erogare le borse fino alla fine dello scorso anno». Eppure, continua, «Qui ancora parliamo del regolamento che disciplina come distribuirle».Sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e nella distribuzione delle borse punta, come detto, anche l’interrogazione del senatore Nencini, che sottolinea il contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale svolto da questi praticanti che hanno dovuto anche sostenere notevoli spese e «chiede di sapere se non si ritenga doveroso intervenire per sollecitare l’assegnazione delle borse di studio», visto che è «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza». Questi giovani non hanno intrapreso vie legali per veder tutelati i propri diritti, nonostante gli estremi per agire in giudizio fossero presenti. «Abbiamo un bel ricordo del nostro praticantato, un’attività che abbiamo svolto con rispetto e non c’è volontà da parte nostra di porre in essere un contenzioso che abbiamo cercato in tutti i modi di risolvere». Per questo hanno cercato di ottenere risposte, senza risultato. La misura, però, ormai è colma. «Il 2021 per noi sarà l’ultimo anno di attesa delle risposte, prima di decidere di intraprendere anche un contenzioso». Marianna Lepore   Foto di apertura: di Sergio D'Afflitto da Wikipedia in modalità Creative Commons