Categoria: Storie

Stagisti col bollino / La testimonianza di Alberto Riva: «Laurea, master e sei mesi di stage: ecco il mio percorso per arrivare al contratto in M&G»

In occasione del primo compleanno dell'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito al Bollino. Di seguito quella di Alberto Riva, oggi dipendente di M&G - Chemtex.Mi chiamo Alberto Riva, ho 28 anni e sono di Arquata Scrivia in provincia di Alessandria. Ho studiato al liceo scientifico tecnologico di Novi Ligure e poi mi sono iscritto ad Ingegneria biomedica a Genova: praticamente non ho neanche preso in considerazione altri corsi di laurea, perché questo sembrava garantire buone possibilità di trovare lavoro una volta terminati gli studi. Negli anni universitari facevo il pendolare, dedicando il tempo libero agli allenamenti legati all’attività ciclistica agonistica – che pratico tuttora. Il mio corso di laurea non prevedeva periodi di stage, tranne il caso in cui la tesi venisse svolta presso qualche azienda esterna. Io l’ho fatta in laboratori dell’università sia per la triennale (voto finale 109/110), sia per la specialistica (107/110). Nel dicembre 2007, tre mesi dopo la laurea, venni a conoscenza del master in Scienza e tecnologia dei polimeri organizzato dal consorzio Proplast ad Alessandria. Prevedeva quattro mesi di lezioni in aula condotte sia da professori che da tecnici con una lunga esperienza nel campo delle materie plastiche, seguiti da tre mesi di stage in aziende iscritte allo stesso consorzio. Non avendo ancora trovato lavoro nel campo biomedico, decisi di presentarmi alle selezioni e fui preso.Il master, che si svolgeva nella sede del politecnico di Alessandria, era finanziato da Proplast e quindi fortunatamente gratuito per i 14 partecipanti. Per quanto riguarda il programma e la didattica penso che fosse organizzato molto bene, meno bene l’organizzazione degli stage in quanto ci ritrovammo con meno aziende ospitanti del previsto – infatti alla fine io venni mandato in stage presso un socio “storico” di Proplast che però attualmente ha come campo principale di ricerca i biocarburanti e non i polimeri: la M&G (azienda leader nella produzione di PET). Mi occupai di ricerca brevettuale sulla produzione di etilen glicole da fonti rinnovabili. Ricevevo un rimborso spese di 450 euro mensili più ticket restaurant. Al termine dei tre mesi di stage legati al master, mi furono proposti altri tre mesi di stage durante i quali iniziai ad occuparmi di argomenti legati al nuovo filone di ricerca intrapreso dall’azienda: la produzione di bioetanolo di seconda generazione come sostituto della benzina. Iniziai così ad occuparmi soprattutto degli aspetti logistico-agronomici e di life-cycle analysis del bioetanolo da biomasse lignocellulosiche. Terminato il secondo periodo di stage nel dicembre 2008, mi furono offerti quattro contratti ponte (sempre presso M&G) di un mese ciascuno tramite agenzia interinale, in quanto c’era stato il blocco delle assunzioni per la crisi; questi mi traghettarono verso un contratto di tre anni. Da maggio 2009 sono assunto come impiegato a tempo determinato: mi occupo di logistica, life-cycle analysis, studi di fattibilità, ambiti nei quali non è strettamente necessario essere chimici o ingegneri chimici. Ci sono aspetti del mio lavoro sicuramente interessanti, essendo legati alla ricerca anche se in un ambito diverso da quello dei miei studi universitari. Non nascondo che a volte questa distanza fra esperienza di studio e lavorativa mi pesa e mi rende difficile il coinvolgimento nelle questioni più tecniche (che rappresentano quelle di maggior interesse per me). Cerco comunque di vedere il lato positivo, la possibilità di allargare le mie conoscenze e lavorare nel campo della ricerca.  Penso che i prossimi due anni saranno importanti a livello di esperienza e nel definire la mia figura all’interno dell’azienda.Uno dei problemi maggiori dell’utilizzo dello strumento dello stage in Italia è legato al fatto che spesso lo stagista viene sfruttato dalle aziende per procurarsi dipendenti temporanei a costi irrisori, senza garantire agli stessi alcuna garanzia per il futuro. Ovvio che in questi casi anche il percorso di crescita che lo stage dovrebbe offrire passa in ultimo piano. Secondo me agli stagisti, perlomeno a quelli che già hanno terminato gli studi, dovrebbero essere riconosciuti sia un rimborso spese sia i contributi come agli altri dipendenti… Ma questo richiederebbe una grande riforma!testo raccolto da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento:- Buon compleanno alla Carta dei diritti dello stagista e al Bollino OK Stage, e avanti tutta per il futuro- Prima assunzione attraverso il sistema degli annunci "protetti" della Repubblica degli Stagisti

Cosimo Beverelli, ex stagista al Wto: «La domanda di tirocinio? L'ho fatta per caso e mi ha portato lontano»

«La domanda di tirocinio al Wto l’ho fatta un po’ per caso. Avevo fatto un colloquio per un lavoro di sei mesi presso un’altra organizzazione internazionale a Ginevra, ma non era andato a buon fine. Visto che ero alla ricerca di una pausa dal PhD prima di iniziare l’ultimo capitolo, ho pensato di fare domanda per il Wto. La scelta si e’ rivelata indovinata: il tirocinio era molto interessante ed è stato molto utile sia per finire il PhD, sia per gli sbocchi lavorativi seguenti». Cosimo Beverelli, 32 anni, è originario di Manfredonia, in provincia di Foggia. Dopo aver studiato relazioni internazionali con specializzazione in economia internazionale all’università di Bologna, nella sede di Forlì, ha conseguito un master in economia all’Universitat Pomeu Fabra di Barcellona e un dottorato in economia internazionale al Graduate institute di Ginevra. Cosimo è sportivo - fa sci, mountain bike e tennis - ma la sua prima passione è l’economia. «Per fortuna si tratta di una passione che posso esercitare ogni giorno sia al Wto, sia all’università di Ginevra, dove ho un contratto come “lecturer”». Dall’aprile del 2009, infatti, Cosimo lavora presso la divisione di ricerca economica dell'Organizzazione per il commercio mondiale, la stessa dove aveva svolto il suo tirocinio tra l’ottobre del 2007 e la fine del gennaio 2008. Com'è andata la selezione per il tirocinio? Avviene per gradi. Tutte le domande vengono prima analizzate dalle risorse umane, poi le migliori application vengono fatte pervenire alla divisione di interesse del candidato, e infine il responsabile seleziona i profili più adatti. Di cosa si è occupato durante lo stage? È stato come se lo aspettava? La maggior parte degli stagisti della divisione di ricerca lavorano come collaboratori al World trade report. Fanno ricerche sulla letteratura esistente, ma anche raccolta ed analisi dati ed analisi econometriche se necessario. Sia nel mio caso, sia nel caso dei tirocinanti che ho visto succedersi da noi, credo che lo stage corrisponda alle aspettative. Quello che colpisce é il fatto che gli stagisti partecipano in modo attivo e significativo alle attività della divisione di ricerca. Questo é importante soprattutto perché i ragazzi possono mettere in pratica le proprie capacità e farsi conoscere.   Ritiene che questa esperienza sia utile? Sicuramente: penso che in generale sia un tirocinio molto formativo anche se ci si ritrova a lavorare su argomenti che già si conosce a fondo. I partecipanti imparano come si lavora in un’organizzazione internazionale, dove sono rappresentate in pratica tutte le nazionalità. Nel mio caso, poi, è stato utile anche per la mia carriera: infatti sono tornato a lavorare al Wto, prima come consulente e poi come membro dello staff, anche e soprattutto grazie alla buona impressione lasciata durante il tirocinio. Com'è la vita a Ginevra? Ginevra é una città interessante, piccola ma con grande spirito internazionale. C’é molto movimento di persone che ci vivono per brevi periodi ed é facile incontrare gente interessante praticamente di tutto il mondo. E poi offre molte attività all’aria aperta, sia d’estate sia d’inverno, avendo il lago ed essendo vicina a moltissime stazioni sciistiche delle Alpi. Qualche consiglio utile? Il tirocinio al Wto é una possibilità che consiglierei ai lettori che abbiano fatto studi di economia, diritto o relazioni internazionali. Rispetto a molti altri tirocini, é pagato - circa 1200 euro al mese - costituisce un buon investimento per la carriera e figura bene sul curriculum vitae. Inoltre, é importante per stabilire e mantenere contatti che possono sempre essere utili, anche per ottenere lettere di raccomandazione quando ci si candiderà per posizioni. Conosco molta altra gente che, partendo da un tirocinio, ha poi continuato con contratti di consulenza. Anche se chiaramente il tirocinio non é condizione necessaria, né ovviamente sufficiente, per conseguire un posto di lavoro stabile al Wto.   Andrea Curiat   Per saperne di più, leggi anche:- Alessandro Fusacchia: «Così, a cavallo dell'11 settembre 2001, lo stage al Wto mi ha cambiato la vita»- Wto, a Ginevra gli stagisti sono pagati 1200 euro al mese (e non serve la laurea). Candidature aperte tutto l'anno

Giovanni Padovani, ex stagista al Parlamento europeo: «Ancora oggi i disabili devono affrontare, oltre alle barriere architettoniche, anche quelle occupazionali»

Ultimo giorno utile per candidarsi a due programmi di stage ben pagati al Parlamento europeo: 140 posti disponibili nell'ambito del programma di tirocini Schuman e sette posti per quello riservato alle persone disabili. Per l'occasione la Repubblica degli Stagisti ha raccolto la testimonianza di Giovanni Padovani.Dopo la laurea in Scienze politiche all'università di Padova, nel 2007 ho partecipato alla prima edizione del progetto di tirocini per persone con disabilità promosso dal Parlamento europeo, dall’inizio di marzo alla fine di luglio, con sede di lavoro a Lussemburgo. Verso la fine del tirocinio mi è stato proposto di rimanere in qualità di "agente contrattuale" e dopo quasi due anni mi trovo ancora qui. La mia giornata-tipo da stagista, non molto diversa da quella di adesso, era di otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì dalle nove di mattina alle sei di sera. Dopo l’iniziale periodo di adattamento, ho potuto svolgere attività molto interessanti: per esempio ho collaborato all’organizzazione di un seminario sull’occupazione di persone con disabilità nelle istituzioni europee. Gli edifici del Parlamento fortunatamente sono perlopiù privi di barriere architettoniche: quando si è verificata una situazione di mancanza temporanea di accessibilità, ho sollevato la questione e le autorità competenti in seno al Segretariato generale si sono mosse con discreta celerità. Dei mesi di tirocinio non vorrei cambiare niente: anche gli errori che ho commesso mi hanno spinto a progredire professionalmente. Mi piacerebbe continuare questa esperienza a Lussemburgo ancora per qualche anno e poi mettere  le competenze acquisite come membro del Comitato giovani dell’European Disability Forum  a disposizione della mia comunità locale e nazionale. Insomma, mi piacerebbe fare politica!Ad oggi, cinquanta persone con le più svariate tipologie di disabilità hanno preso parte ai tirocini presso il Segretariato generale del Parlamento europeo e tutte hanno portato a termine i loro cinque mesi di stage senza difficoltà. In Italia penso che non siano attivi progetti simili nelle pubbliche amministrazioni: ho perciò proposto al comune della mia città, Verona, di lanciare su scala ridotta un’iniziativa simile, e farò altrettanto col Parlamento nazionale e altri organi centrali. Secondo stime europee, circa il 10% della popolazione dei 27 Paesi membri ha una disabilità o una malattia di lungo corso ma sono ancora tanti i pregiudizi e gli stereotipi che precludono un accesso spontaneo di questa specifica categoria al mercato del lavoro. Non è vero, ad esempio, che la disabilità implichi costi supplementari per i datori di lavoro, dal momento che le soluzioni di accessibilità che (raramente) si rendono necessarie, sono economicamente del tutto ragionevoli. Il punto è che non c’è una vera cultura della diversità sul luogo di lavoro, valore che invece molte grandi imprese internazionali hanno fatto proprio, partendo dall’assunto che un’impresa, più rappresentativa è, più clienti raggiunge. Spesso, invece, le assunzioni sono dovute più che altro a obblighi legali da rispettare per evitare sanzioni. Ai giovani disabili italiani, laureati e no, che sentono l'esigenza di impiegare le proprie capacità nella società consiglio di informarsi, chiedere, a volte rompere anche le scatole per raggiungere il proprio obiettivo. Esigere che, in ogni campo, la propria disabilità non sia un ostacolo. Vivere la vita tout court, non fermarsi alle inadeguatezze di un sistema, non adeguarsi a esse, lottare per correggerle. Viaggiare, fare esperienza all’estero, imparare delle lingue, avere una marcia in più rispetto agli altri, con o senza disabilità. Io otto anni fa, a 22 anni, ho subito un'amputazione della gamba destra al livello della coscia. La mia forza credo sia stata quella di non volermi far cambiare la vita da questo evento, continuando, dopo l'inevitabile periodo di riabilitazione, a fare la vita che facevo prima. A neanche due mesi dall'amputazione, ancora senza protesi ma con le stampelle, sostenevo esami a Padova e andavo allo stadio di Verona a seguire le partite. Cinque anni dopo l'incidente, non è stato facile lasciare la mia famiglia, i miei amici, la mia rete di sostegno e partire per vivere, da solo, all'estero. È stata una scelta coraggiosa ma che mi ha ripagato. Consiglio a tutti di provare questa esperienza: se proprio non funziona, si può sempre tornare indietro.testo raccolto da Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Opportunità di tirocinio per disabili al Parlamento europeo: oltre mille euro di rimborso spese, candidature aperte fino a sabato 15 maggio - 140 stage da mille euro al mese al Parlamento europeo: al via il nuovo bando per i tirocini Schuman, candidature aperte fino al 15 maggio- Un lettore alla Repubblica degli Stagisti: grazie a voi ho vinto un tirocinio Schuman al Parlamento europeo

La testimonianza di Carlo: «Sono diventato pubblicista scrivendo gratis: ma almeno le ritenute d’acconto me le hanno pagate»

Mi chiamo Carlo, ho 23 anni e frequento la facoltà di Scienze della comunicazione all’università “La Sapienza”. Concilio lo studio con il lavoro in una copisteria, dove mi occupo dell’impaginazione di un giornale, di cui scrivo anche alcuni articoli. Per entrambe le mansioni sono regolarmente retribuito. Ho un contratto a tempo determinato di 300 euro mensili, che mi permette di pagarmi gli studi. Alla fine del 2008, dopo il classico iter di due anni e circa 90 articoli pubblicati, sono diventato pubblicista presso l’Ordine regionale del Lazio. Ho ottenuto l’agognato “tesserino” lavorando per una testata aziendale, cioè un giornale pubblicato da un’impresa e incentrato prevalentemente su tematiche aziendali, di cui preferisco non citare il nome. La redazione era composta di circa 10 persone, la maggior parte collaboratori. La mia era di fatto una collaborazione a distanza: scrivevo gli articoli da casa e non sono mai entrato direttamente a contatto con l’editore. Diventare pubblicista era per me il modo più semplice e meno oneroso per conoscere un mestiere che mi affascinava fin dai tempi del liceo. Avere il tesserino, poi, non mi avrebbe impedito di svolgere altri lavori. Per certi aspetti, la mia storia non è molto diversa da quella di tanti aspiranti giornalisti: pezzi scritti e non pagati, in barba alla legge, che parla di “attività regolarmente retribuita”. Retribuzione ovviamente certificata, dichiarando il falso, dall’editore nell’attestato richiesto dall’Ordine per l’iscrizione all’albo. A completare la documentazione, la ritenuta di acconto sui soldi che teoricamente avrei dovuto ricevere. Una prassi purtroppo molto diffusa, che colpisce la dignità di chi si avvicina a questo mondo. Tuttavia mi ritengo in qualche modo fortunato. Nonostante tutto, ho avuto dei privilegi in più rispetto a tanti colleghi: un rimborso spese per i miei spostamenti e per alcuni acquisti, come abiti in caso di partecipazione a particolari eventi, e il regolare pagamento dei contributi. Posso assicurare che non è poco: diversi amici e conoscenti hanno intrapreso l’attività giornalistica completamente a spese loro. Che tradotto significa non solo non essere pagati, ma anche versare i contributi di tasca propria, altrimenti niente tesserino. Devo riconoscere, inoltre, di aver avuto l’opportunità di fare esperienza in una realtà stimolante, che mi ha aiutato ad apprendere i trucchi del mestiere e a crescere professionalmente.Il mio racconto lascia qualche speranza in più rispetto a tante altre vicende, ma non basta.Il problema principale è che anche l’editore più onesto è costretto a fare i conti con continui tagli. E a farne le spese sono inevitabilmente i costi materiali e di tempo impiegati per formare e pagare un aspirante giornalista.Il tutto all’interno di un sistema “malato”, che andrebbe abbattuto e ricostruito. A partire da nuove basi: innanzitutto stabilendo come criterio principale per il tesserino il possesso di una laurea o il diploma della scuola di giornalismo, in modo da portare nelle redazioni persone qualificate e non “scrittori ancora da formare”, a costo zero. È fondamentale tutelare la dignità di chi fa parte di questo mondo, sia da apprendista che da professionista. E poi bisognerebbe ripristinare i tariffari minimi dei giornalisti, aboliti nel 2008, e controllare che vengano rispettati: questo permetterebbe a chi scrive di avere la giusta ricompensa per il proprio lavoro.Carlo** Carlo è un nome di fantasia, per proteggere l'identità della persona che ha affidato alla Repubblica degli Stagisti la sua testimonianzaTesto raccolto da Chiara Del PriorePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere stati pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- Da 250 a 500 euro: quanto costa diventare pubblicista e quali sono le altre differenze tra le varie regioni- L'avvocato Gianfranco Garancini: «Chi falsifica la documentazione pur di entrare nell'albo dei giornalisti pubblicisti commetto reati penali»- La testimonianza di Franca: «Dopo una serie di stage logoranti, la scelta di pagarmi da sola i contributi da pubblicista»E anche:- Crisi dell'editoria: per i neogiornalisti il futuro è incerto - Pianeta praticanti: inchiesta della Repubblica degli Stagisti- Praticantato d'ufficio, il calvario di A., giornalista free lance, per diventare professionista- Giornalisti praticanti, intervista a Roberto Natale della Fnsi: «L'accesso alla professione va riformato al più presto»

La testimonianza di Franca: «Dopo una serie di stage logoranti, la scelta di pagarmi da sola i contributi da pubblicista»

Ho 26 anni e il giornalismo è la mia grande passione: compro cinque-sei quotidiani ogni giorno, leggo di tutto e mi informo su qualsiasi argomento. Se potessi lavorare per Report vedrei avverarsi un sogno. Per diventare pubblicista, ho accettato di pagarmi da sola i contributi scrivendo per un blog online con incarichi da freelance ufficialmente retribuiti. In realtà, il mio direttore mi rilascia le ritenute d’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente per scrivere gli 80 articoli in 2 anni richiesti dall’Ordine del Lazio [nell'immagine qui a fianco, l'homepage del sito dell'ordine]. Come sono arrivata a questo punto? La mia storia è semplice: mi sono laureata nel 2007 alla facoltà di Scienze umanistiche della Sapienza di Roma. Avevo già in mente l’obiettivo del giornalismo, ma ho voluto evitare la laurea in scienze delle comunicazioni perché è considerata un po’ un “parcheggio” e perché qui a Roma c’erano già migliaia e migliaia di iscritti con lezioni tenute nei cinema. I miei sono della provincia, quindi ho anche i problemi e le spese di chi vive fuori sede. Dopo la laurea mi sono messa in cerca di annunci da parte di giornali disposti a pagare le ritenute d’acconto per diventare pubblicista. Ho trovato soltanto un quotidiano che però non pagava gli articoli, neanche in nero: ne ho approfittato per fare più o meno un anno di pratica in redazione, a titolo totalmente gratuito, e nel frattempo mi sono cercata uno stage. Sono stata tirocinante in una grande emittente televisiva per circa 6 mesi, dove mi sono occupata dell’ufficio stampa di una trasmissione d’informazione, poi sono stata per qualche altro mese in una radio della capitale, e infine ho iniziato uno stage in un’agenzia stampa. Me ne sono andata subito, però, perché ormai avevo capito l’andazzo ed ero proprio stufa: anche qui facevano moltissima leva sul lavoro dei ragazzi, chiedendoci di lavorare per nove ore al giorno, il tutto senza nessuna retribuzione o rimborso spesa, neanche i ticket per la mensa. La buona notizia è che, grazie ai contatti che mi ero procurata nei mesi di stage, sono riuscita ad avere un contratto a progetto (retribuito!) per fare rassegna stampa. La cattiva notizia è che l’agenzia che mi aveva impiegato, dopo un po’, ha rischiato di fallire e ha dovuto fare tagli al personale. Mi sono ritrovata di nuovo disoccupata, ma nel frattempo avevo preso contatti con il direttore del blog sul quale ancora scrivo. È andata così: ho trovato l’ennesimo annuncio, ho risposto, e il direttore mi ha chiesto di fare un servizio di prova. Sono andata a seguire un evento di cronaca bianca presso il Municipio di Roma, provvista di registratore e pc – il tutto acquistato ovviamente di tasca mia. Ho inviato l’articolo in redazione e il direttore è rimasto contento: “c’è qualcosa da migliorare”, mi ha detto, “però penso che tu possa imparare bene come si scrive di cronaca e politica”. Alla fine l’ho incontrato, il direttore: un ragazzo giovane, ben ammanicato in certi ambienti politici. Mi ha fatto un discorso che in parte capisco anche: per mantenere l’indipendenza del blog, ha rifiutato di avere qualsiasi finanziamento e adesso se la deve cavare con le sue forze. “Quindi, per la pratica da pubblicista non c’è problema, purtroppo però non posso pagarti. Facciamo così: io ti faccio le ritenute d’acconto, e tu mi dai i soldi per pagarle”. Cosa avrei dovuto fare? Ho accettato. Non è che mi aspetti che cambi molto nella mia situazione, una volta diventata pubblicista. Il tesserino rappresenta più un punto saldo, un’ancora simbolica che voglio raggiungere come obiettivo personale. Nel frattempo mi guadagno da vivere come segretaria part-time o come hostess nei ricevimenti: ci sono mesi in cui non ho nessuna retribuzione. Ho, però, il supporto dei miei genitori che ovviamente sono preoccupati per il mio futuro. Cerco di vivere la vita coltivando le mie passioni: sto imparando a usare una macchina da presa, perché credo che dia davvero un valore aggiunto a un giornalista e che un reportage sia in grado di trasmettere fatti ed emozioni in maniera più efficace della semplice carta stampata. Quando ho un weekend libero mi do all’equitazione o al canyoning, una specie di arrampicata al contrario in cui ci si cala da pareti scoscese. E ovviamente penso a come pagare il prossimo articolo che dovrò scrivere. Franca** Franca è un nome di fantasia, per proteggere l'identità della persona che ha affidato alla Repubblica degli Stagisti la sua testimonianzaTesto raccolto da Andrea Curiat Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere stati pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- L'avvocato Gianfranco Garancini: «Chi falsifica la documentazione pur di entrare nell'albo dei giornalisti pubblicisti commetto reati penali»- Praticantato d'ufficio, il calvario di A., giornalista free lance, per diventare professionista

La richiesta di aiuto di Alessandro: «Da Globalpress vaghe promesse e la certezza di dover pagare per un lavoro»

Ho 26 anni e sono nato in Umbria, ma vivo a Roma ormai da molto tempo. Mi sono laureato in Scienze della comunicazione alla Sapienza in giornalismo ed editoria. Quella di provare a entrare nel settore dell'informazione è stata una scelta maturata durante la triennale, in cui ho studiato la comunicazione sotto vari aspetti: media, cinema, tv, marketing... Però all'università tutti i giornalisti più o meno affermati che figuravano tra il corpo docente non perdevano occasione per scoraggiare gli studenti che aspiravano ad una professione nell'informazione: «È un mondo chiuso», ci dicevano, «non arriverete mai, per fare il giornalista ci sono le scuole e anche lì non è detto». Ho ritenuto ugualmente che questa fosse la mia strada e adesso, anche se  sono ancora in cerca di un lavoro nel campo, quantomeno l'ho imboccata! Forse il tempo mi darà ragione, per il momento mi mantengo con lavori saltuari (anche come cameriere) e qualche collaborazione per blog professionali. Scartabellando tra i vari annunci di lavoro a gennaio mi sono imbattuto, sul sito Studenti.it, in quello della Globalpress Italia, dal promettente titolo "La Globalpress Italia cerca giornalisti da assumere in redazione dopo stage". Conoscevo già il nome del service editoriale GlobalPress - Kronoplanet, così come l'omonima agenzia di stampa per gli italiani all'estero e il suo direttore Alfredo Iannaccone, perché avevo incontrato più volte tempo addietro le loro proposte per stage di sei mesi con successiva assunzione, presso la stessa agenzia o presso un'altra di news locali su Roma, Quartierionline. Forse le precedenti selezioni non avevano portato buoni frutti, visto che c'era una nuova offerta. Di nuovo si proponeva uno stage, stavolta però di soli tre mesi, con l'aggiunta di un costo di trecento euro (che io avrei dovuto attingere dai miei risparmi). Ho inviato la mia richiesta di Help alla Repubblica degli Stagisti e ho voluto informarmi ugualmente di persona per fornire la mia testimonianza. Ho quindi inviato una e-mail ad Alfredo Iannaccone, che nell'annuncio veniva segnalato come il responsabile dell'iniziativa: nella sua risposta lui mi ha spiegato chiaramente che la proposta consisteva prima di tutto in tre mesi di intenso lavoro, e non tanto in un corso di formazione. Un tuffo nella pratica giornalistica, con la possibilità di vedere i miei articoli pubblicati e letti da persone importanti. Ha aggiunto che la maggior parte delle “lezioni” ai 20-30 stagisti previsti [ora lievitati addirittura a cento, ndr] sarebbe stata tenuta dai membri della redazione, per spiegare agli stagisti come fare al meglio l'effettiva attività giornalistica, lanci e quant'altro, per tre, quattro ore quotidiane, spesso da casa. E allora, ho chiesto io, i trecento euro a testa? Iannaccone me li ha giustificati come copertura dei costi di qualche lezione tenuta da non meglio precisati giornalisti esterni alla redazione. Insieme alla vaga promessa – per un'esigua e non specificata fetta di partecipanti (uno? di più? a seconda dei risultati) – di una qualche possibilità di inserimento lavorativo. Insomma, sembra che il normale aspetto formativo che qualsiasi stage prevede per definizione, in cui i tutor introducono e seguono i tirocinanti nel lavoro, venga considerato da Globalpress un qualcosa di al di fuori dello stage, ed è quindi venduto a pagamento. Possibile che così spesso in Italia quello che è un lavoro a tutti gli effetti, intenso, prezioso, spesso ingrato, raggiunto a volte faticosamente da laureati stra-competenti, venga liquidato come un favore che l'azienda fa all'aspirante giornalista? In questo modo il tirocinante finisce per pagare il proprio lavoro, imparando non a valorizzarlo ma a svalutarlo. E non è giusto.[ndr: Il nome "Alessandro" è di fantasia. Il lettore ci ha chiesto di proteggere la sua identità]testo raccolto da Andrea Curiat Per saperne di più, leggi anche:- Aspiranti giornalisti, attenzione agli annunci di stage a pagamento in Rete: la richiesta di help di tre lettori- Globalpress, Kronoplanet, Servicepress: radiografia delle società e cronologia degli annunci in Rete- Vito Bruschini, direttore e amministratore di Kronoplanet: «Nessuna promessa di assunzione. I 300 euro che chiediamo ai ragazzi? Soltanto un rimborso spese»E anche:- Stage a pagamento: un lettore chiede «help» alla Repubblica degli Stagisti- Stage al museo con volantinaggio, la richiesta di help di un lettore arrabbiato

Lo stage a Londra di Vincenzo Falconieri: «Sei mesi al centro ricerche alla Queen Mary University con l'Erasmus Placement»

«Dall’università del Salento a Lecce alla Queen Mary University di Londra il cambiamento è stato notevole e i frutti di questo stage li sto vedendo proprio ora che sono tornato a casa. Sono partito per l’Erasmus Placement nel gennaio 2009, durante il mio ultimo anno di ingegneria delle telecomunicazioni, e ho fatto un tirocinio di 6 mesi. La scelta della destinazione è stata concordata con il professore con cui mi sono laureato e mi hanno data massima libertà nella scelta del progetto da seguire. Tutte le idee che avevo in mente prima di partire, però, sono cambiate una volta arrivato a Londra: al centro ricerche sono rimasto entusiasta di un progetto per capire la reazione delle persone davanti ad un’immagine, per capire da cosa si resta più colpiti. Uno studio utile in diversi settori, ma soprattutto nel marketing: è così che si può capire se una campagna pubblicitaria funziona, se il marchio resta impresso, quali colori attirano lo sguardo. Nello specifico, durante lo stage ho lavorato per la messa a punto di un macchinario capace di memorizzare lo sguardo: questo è anche l’argomento che ho scelto per la tesi che sto preparando. Durante i sei mesi trascorsi all’estero non ho mai perso i contatti con la mia facoltà: lo stesso docente che mi ha seguito per la tesi, infatti, mi ha seguito durante il tirocinio per sapere come si stava svolgendo lo stage. Anche a Londra, però, l’ambiente è stato molto stimolante: nei precedenti stage che avevo svolto in Italia, presso la mia università, non avevo sufficiente esperienza e preparazione per poter essere coinvolto a pieno nei progetti, mentre alla Queen Mary University sono arrivato al termine degli studi universitari e con una maggiore consapevolezza dell’utilità di un tirocinio. La carta dell’esperienza all’estero, inoltre, è importante soprattutto quando si ricerca un lavoro: è l’aspetto che più interessa nel curriculum in fase di selezione, sia perché assicura la conoscenza della lingua (in effetti il mio inglese a Londra è sensibilmente migliorato!), sia perché arricchisce la propria preparazione.Poi c’è l’altra parte della medaglia: 600 euro al mese di borsa di studio non sono poche, ma in una città costosa come Londra sono stati sufficienti solo per l’affitto e le spese. Ho trovato una stanza in un appartamento che dividevo con altri otto ragazzi e per me, alla mia prima esperienza come fuori sede, è sembrata una soluzione davvero inusuale!»Testimonianza raccolta da Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Erasmus Placement: per gli studenti universitari tirocini da 600 euro al mese in tutta Europa. Ecco come funzionano i bandi- Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata- Grazie all'Erasmus Placement ho trovato lavoro a Bruxelles: la testimonianza di Nicola Corridone

Grazie all'Erasmus Placement ho trovato lavoro a Bruxelles: la testimonianza di Nicola Corridore

«Bruxelles: la più europea delle città dell’Ue è stata la mia scelta per l’Erasmus Placement. Nella capitale del Belgio si parla francese, lingua che conosco bene, e ci abita gran parte della mia famiglia (mia madre è originaria proprio di Bruxelles dove emigrarono i miei nonni): sono stati questi i motivi alla base della mia scelta per la destinazione del mio stage all’estero. Frequento Economia gestionale dei servizi turistici all'università di Foggia e lo scorso anno ho fatto richiesta per una borsa di studio Erasmus Placement: la mia destinazione doveva essere la sede belga dell’Enit (Ente nazionale del turismo italiano), ma quattro giorni prima della partenza – con già il biglietto aereo in mano e una casa presa in affitto – l’università mi dice che lo stage non si può più fare perché manca la firma della convenzione. Il direttore dell’Enit, dimissionario, aveva dato la sua approvazione ma per correttezza voleva far firmare i documenti al suo successore che, però, ha cambiato regole: per fare un tirocinio all’Enit Italia era necessario sapere il francese e… il fiammingo! Ovviamente io non conosco il fiammingo (e quando sono arrivato a Bruxelles mi sono incontrato con il nuovo direttore per spiegargli che difficilmente in Italia troverà un candidato che sappia questa lingua), quindi in un paio di giorni ho cercato un’alternativa. E sono stato molto fortunato: ho preso contatti con il patronato Enas  (Ente nazionale assistenza sociale) di Bruxelles che assiste gli italiani all’estero per tutti i tipi di documenti, facendo da ponte tra i cittadini e i vari uffici pubblici italiani (anagrafe, Inps, Inail, Agenzia delle Entrate, etc.). Ho ricevuto subito l’ok, l’università ha stipulato velocemente la convenzione e sono partito per il Belgio a febbraio. I sei mesi di tirocinio sono stati molto interessanti: ho seguito in maniera autonoma tutto il lavoro che si svolge all’Enas, in particolare le ricostituzioni pensionistiche, cause di lavoro, pagamento Ici di italiani ormai residenti in Belgio che magari hanno ereditato una casa in Italia, rinnovo dei documenti per chi ha la doppia nazionalità, ma anche assistenza a chi si trova a Bruxelles per turismo. Non sempre è semplice riuscire a risolvere problemi in apparenza semplice, soprattutto quando si deve far capo a più Paesi. Il caso più stravagante è stato quello di un ragazzo albanese, con cittadinanza italiana, residente in Belgio che aveva perso la patente a Madrid: ovviamente nessuno dei quattro Paesi riteneva di poter produrre un duplicato…L’esperienza di tirocinio, primo e unico stage che ho svolto, è stata molto interessante e produttiva: all'Enas mi è stato offerto un posto di lavoro dopo la laurea (discuterò la tesi entro la fine dell’anno) e quindi il mio futuro sarà a Bruxelles, proprio come i miei nonni».Testimonianza raccolta da Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Programma Leonardo, stage in giro per l'Europa dai quindici ai sessant'anni sotto il segno della formazione permanente- Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata

Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata

«Un'esperienza di stage all'estero è importante, ma nel mio caso è stata un’occasione sprecata. Ho fatto l’Erasmus Placement da febbraio a luglio 2009, durante il mio quarto anno di Giurisprudenza all’università di Bologna. Mi sono candidato per un bando già predisposto dall’ateneo: cinque mesi di stage presso uno studio legale a Londra. In particolare, il mio tirocinio si è svolto presso il dipartimento per le compravendite immobiliari internazionali dello studio “The International Property Law Centre LLP", in Aldgate east, vicinissimo alla City. C’erano quasi esclusivamente avvocati italiani e il mio ruolo è stato, essenzialmente, quello di fare fotocopie. Per questo dico che è stata un’occasione sprecata: durante la giornata facevo gli stessi orari dei colleghi, cercavo di essere propositivo, ma di fatto ho svolto solo lavoro di segreteria come gestire le mail e archiviare i documenti. Certo, potevano esserci delle motivazioni: lo studio aveva traslocato da poco da una sede all’altra e io non conoscevo perfettamente l’inglese. Ma questo non è stato soltanto un mio problema, visto che con me c’erano altri due ragazzi italiani (ma di un altro ateneo) partiti con il programma Leonardo che hanno espresso un giudizio altrettanto negativo: il loro tutor, però, è intervenuto facendo un controllo sullo stage, mentre le mie lamentele credo siano cadute nel vuoto.Al ritorno ho spiegato all’ufficio competente della mia facoltà come si era svolto lo stage e la mancanza di un progetto che lo rendesse davvero utile: non è stato preso alcun provvedimento, ma so che in casi simili, con altri studi legali, sono stati interrotte le collaborazioni. L’impressione, infatti, è che cercassero solo persone da far lavorare gratis: cercavano stagisti in continuazione per esigenze non propriamente formative. È un peccato, sia perché si perde del tempo prezioso, sia perché la mia borsa di studio è stata pagata con soldi dell’Unione europea, ovvero nostri. Ogni mese ricevevo 600 euro, sufficienti per pagare l’affitto (di 500 euro) e poco altro. Abitavo vicino allo studio, potendo così risparmiare sui trasporti, mentre non avevo alcun rimborso spese o buoni pasto da parte dello studio, perché non erano previsti neppure per i dipendenti. Inoltre, fuori dall’orario di lavoro, ho frequentato un corso d’inglese per migliorare la mia conoscenza linguistica. L’esperienza a Londra non è stata totalmente negativa, ma se tornassi indietro mi comporterei in maniera diversa: cercherei io uno studio legale da proporre all’università, per essere certo di avere un’esperienza formativa di valore. Nel curriculum il mio Erasmus Placement pesa, è la prima cosa che notano nei colloqui, ma senza dubbio poteva avere un valore maggiore.»Testimonianza raccolta da Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Erasmus Placement: come funzionano i bandi per fare lo stage nei Paesi europei- Grazie all'Erasmus Placement ho trovato lavoro a Bruxelles: la testimonianza di Nicola CorridoreE anche:- Programma Leonardo, stage in giro per l'Europa dai quindici ai sessant'anni sotto il segno della formazione permanente

Alessandro Fusacchia: «Così, a cavallo dell'11 settembre 2001, lo stage al Wto mi ha cambiato la vita»

«Lo stage al Wto? L’ho fatto a cavallo del settembre del 2001 e con il senno di poi posso ben dire che è stato determinante per la mia carriera». Alessandro Fusacchia, classe 1978, reatino, insegna presso l’istituto di studi politici di Parigi. In passato ha lavorato nell’ufficio Sherpa del G8, istituito dalla presidenza del Consiglio dei ministri per preparare il grande summit internazionale del luglio 2009, è stato ghost-writer nel gabinetto del ministro del Commercio internazionale e per le politiche europee, e ancora prima ha svolto un tirocinio presso il gabinetto di Romano Prodi al tempo della presidenza della Commissione europea. Tanto per arricchire il curriculum, tra un’esperienza internazionale e l’altra ha trovato il tempo di scrivere due romanzi: “Niente di personale” e “Avvistamento di pesci rossi in Danimarca”, pubblicati in Belgio dalle Edizioni Biliki. E per ravvivare un’esistenza tanto noiosa, sta pensando di iscriversi a un corso di paracadutismo. «Tutto è cominciato con lo stage al Wto», racconta Fusacchia alla Repubblica degli Stagisti. Come è arrivato allo stage presso il Wto? Mi sono laureato in scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia, quindi lo stage al Wto è stato uno sbocco naturale dei miei studi. Ho deciso di intraprendere questo percorso anche perché Rieti, la mia città di origine, mi andava un po’ strettina: volevo ampliare i miei orizzonti, vedere e conoscere il mondo. Quando ho fatto richiesta per il tirocinio al Wto, non mi sono limitato a inviare il curriculum e a sperare che mi selezionassero. Poiché parlo molto bene il francese, ho inviato una e-mail a uno dei responsabili proponendomi per lavorare in lingua. Fortunatamente, proprio in quel periodo stavano cercando una figura con il mio background e così sono stato selezionato. Qual è stata la sua esperienza di tirocinio? Ho lavorato per un mese e mezzo nella divisione affari giuridici, e per un altro mese e mezzo nella cooperazione tecnica. Durante la prima parte dello stage, ho seguito la parte legale dell’adesione, da parte dei paesi in via di sviluppo, ai corsi di formazione organizzati dal Wto, ovviamente lavorando sotto la supervisione di un tutor. Nella seconda parte, invece, mi sono ritrovato a lavorare nella cooperazione tecnica proprio nel momento in cui la Cina entrava a far parte dell’Organizzazione, dopo anni di contrattazioni. È stato un periodo di lavoro intenso, con professionisti in gamba che stimo moltissimo e che mi hanno insegnato molto. Settembre 2001: un mese difficile, soprattutto per chi lavora nelle istituzioni internazionali… Sì, anche se l’accaduto non ha influito affatto sullo svolgimento dello stage. Ricordo però il giorno dell’attentato: eravamo in una riunione a porte chiuse e il mio diretto responsabile mi passava di tanto in tanto dei bigliettini chiedendomi di preparare vari documenti. Lui aveva ricevuto notizie dall’esterno e su una di queste note mi aveva scritto: aerei si schiantano contro torri gemelle. Gli ho risposto che non avevo ben capito cosa volesse… e lui mi ha spiegato la situazione. Il resto della giornata ce lo siamo preso di vacanza, anche perché non si capiva bene cosa stesse succedendo e il Wto sarebbe potuto  essere un bersaglio per i terroristi. In che modo l’esperienza al Wto è stata determinante per la sua carriera? Nel 2005 sono stato richiamato proprio dal Wto per andare a lavorare per un periodo di 4 mesi a tempo determinato come funzionario. È stato un periodo fondamentale perché pochissimi hanno la fortuna di ottenere un contratto presso il segretariato, anche a breve termine, e quindi l’esperienza ha avuto un peso determinante nel mio curriculum. Consiglierebbe ai ragazzi di presentare domanda per il programma di internship? Sì, assolutamente, a chiunque interessi una carriera internazionale. Gli stagisti al Wto non si ritrovano certo a fare fotocopie, ma vengono ritenuti professionisti a tutti gli effetti e sfruttati al meglio in base alle loro capacità.Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Wto, a Ginevra gli stagisti sono pagati 1200 euro al mese (e non serve la laurea). Candidature aperte tutto l'annoE anche:- Stage al Fondo monetario internazionale, le voci degli «ex»: Elva Bova, la mia esperienza dall'economia dell'Africa a quella dei Paesi arabi- Stage all'Agenzia europea per i diritti, le voci degli «ex»: Emanuele Cidonelli, ecco la mia esperienza a Vienna- Un lettore alla Repubblica degli Stagisti: grazie a voi ho vinto un tirocinio Schuman al Parlamento europeo