Categoria: Interviste

«Garanzia giovani, in Campania non funziona»: la denuncia della Cisl

Molti iscritti, ma meno dei potenziali destinatari, e poche offerte delle aziende, per lo più di basso profilo e poco in linea con le aspettative dei giovani: è ormai certo che la Garanzia giovani in questi primi mesi di applicazione non ha prodotto i risultati sperati. In particolare in Campania - seconda regione per numero di iscritti - dove mancano le offerte ed è assente un processo che premi le aziende che offrono posti di lavoro, in modo da disincentivare la formazione mascherata da esperienza occupazionale. Sono le accuse che la Cisl Campania fa al governo regionale, a cui nei prossimi giorni chiederà un nuovo incontro per capire lo stato reale di attuazione della Garanzia. La Repubblica degli Stagisti ha intervistato Lina Lucci, segretario generale della Cisl Campania dal 2009 e prima donna a ricoprire questo incarico in regione, per farsi illustrare i punti oscuri dell’attuazione della Garanzia. Lucci è stata la più giovane leader regionale della Cisl in Italia, diventando a soli 22 anni la prima responsabile delle donne di comparto per la Cisl funzione pubblica di Napoli presso il comando regione militare sud. Nel 2000 è diventata poi responsabile del dipartimento donne e giovani della Cisl Campania e nel 2005 segretario regionale con delega al mercato del lavoro. Una platea potenziale di circa 400mila persone per la Garanzia giovani in Campania, ma al momento solo 33mila iscritti: come mai?  Lo spiego con due grosse preoccupazioni. La prima è che purtroppo i centri per l’impiego funzionano a macchia di leopardo. È una questione che denunciamo da sempre: sia sul piano nazionale che locale i vari governi che si sono succeduti non hanno mai investito seriamente nei cpi con il risultato che oggi, utilizzando la Youth Guarantee, abbiamo immaginato di potenziare con quelle risorse l’operatività dei centri. La Germania ha 150mila dipendenti nei centri per l’impiego, noi 7mila in tutto il Paese, il che la dice lunga anche sull’approccio dei nostri addetti che non è né quello tedesco, né anglosassone né francese. Negli altri Paesi i dipendenti dei cpi hanno un comportamento di aggressione nei confronti delle imprese, vanno a verificare quali sono i posti vacanti, qual è la domanda dei settori produttivi e su quello costruiscono l’offerta. I nostri addetti ai centri per l’impiego, invece, fanno sforzi enormi perché non hanno risorse per poter andare avanti, proprio perché non ci sono investimenti da parte degli enti pubblici o delle province.E la seconda preoccupazione…È legata al fatto che le aziende sono le grandi assenti. Ora è pur vero che c’è una crisi che morde ai polpacci per non dire alla giugulare ma è anche vero che c’è un vizio a monte da troppo tempo. Abbiamo provato a sollecitare l’assessore Nappi, ma fino ad ora non abbiamo avuto riscontri, perché la programmazione regionale è ancora molto distante dal tenere assieme tutti i soggetti titolati a partecipare al dinamismo del mercato del lavoro. Penso a università, agenzie per l’impiego, scuole, ma anche agli enti bilaterali. Avevamo proposto di tenere dentro questi organismi costituiti da sindacato e associazioni datoriali: purtroppo l’assessore ha condiviso l’idea ma non l’ha concretizzata.  Un dato allarmante è il numero di adesioni delle aziende: in tutto il sud sono disponibili poco meno del 14% delle offerte… Esatto e il più delle volte assumono senza rivolgersi ai centri per l’impiego e questo non agevola il processo di inserimento. Ripeto, credo che la Regione non abbia fatto abbastanza e che l’assessore Nappi debba dare un segnale di discontinuità e recuperare subito evitando di dare queste risorse ai centri di formazione. Perché il dramma della Campania, come di molte altre regioni del sud, è che si continuano a dare soldi agli enti di formazione monitorando poco e pagando tutta l’attività di formazione a processo quindi senza il raggiungimento del risultato. Noi, invece, chiediamo di pagare a traguardo raggiunto. Non basta mettere in formazione qualcuno, se ti impegni a collocare almeno il 10% di quei soggetti che hanno partecipato a corsi di formazione dovrai premiare e quindi pagare l’ente solo dopo che questo è avvenuto. Altrimenti non c’è un risultato in termini di incremento occupazionale né qualità della formazione. È la Garanzia giovani che non funziona e non attira o c’è solo poca conoscenza del programma?C’è un problema enorme nel Paese che riguarda la mancanza di crescita. Siamo in recessione e questo vuol dire che i consumi sono fermi. Il Paese ha perso negli ultimi due anni circa 25 punti di produzione. Voglio ricordarlo, perché significa che si possono destinare risorse all’impresa in termini di incentivi per creare nuova occupazione, o modificare l’articolo 18 come meglio si crede, ma se non ripartono i consumi e l’economia, le aziende continueranno a non assumere. Come Cisl Campania avete intenzione di proporre qualcosa per incentivare l’adesione di aziende e giovani?Intanto, come già detto, chiediamo di considerare anche gli enti bilaterali, presenti nell’artigianato, nell’industria e nel commercio. Poi spingere sui centri per l’impiego: servono persone fisiche che entrino in tutte le aziende e con queste costruiscano un dialogo. Dietro la garanzia giovani ci sono, infatti, misure economiche complicate che innescano un meccanismo di sfiducia tra l’azienda e il livello istituzionale e anche questo incide. Crede che la scarsa adesione al programma dei giovani campani – rispetto ai potenziali destinatari - sia dovuta al fatto che la maggior parte delle offerte sono al nord, quindi comportano spese di viaggio per selezioni e colloqui? Non credo: i giovani campani sono molto dinamici da questo punto di vista e sfidano un po’ la sorte pur di trovare un lavoro. Qualche mese fa ero a Berlino per il congresso internazionale del sindacato e ho avuto il piacere, o meglio dovrei dire il dispiacere, di incontrare molti campani che si trasferivano in Germania per lavorare. Non credo ci sia questo problema di costi. Invece mi preoccupa molto l’assenza di domanda da parte delle imprese. Confindustria avrebbe dovuto presentare un elenco delle aziende destinatarie del programma ma non l’ha fatto. Così oggi mancano all’appello tutte le imprese dell’artigianato o quelle dei servizi.Confindustria come ha risposto alla richiesta Cisl di ricevere questo elenco delle aziende?Non ha risposto, non c’è nulla. Ma non solo a livello regionale. Quando si è iniziato a discutere di Garanzia giovani, la Cisl nazionale aprì un dibattito con le venti regioni per evitare che si procedesse in maniera disomogenea. Abbiamo invitato sia l’onorevole Treu, sia l’allora sottosegretario del governo Letta, Carlo dell’Aringa, e a entrambi io stessa dissi: «Avete intercettato il target di destinazione delle risorse, i giovani, ma come vi ponete rispetto al fatto che mancano le imprese?» Risposero che effettivamente c’era questa grande preoccupazione, perché le indagini Excelsior individuano i settori produttivi in cui c’è una domanda inevasa di lavoro. Ma quelle stesse aziende non si pronunciano sui territori in cui quella domanda è  indispensabile. Questo evidenzia ancora una volta come politica e istituzioni continuino a parlare di cose poco reali. Perciò chiediamo di partecipare alla discussione, perché siamo quelli che conoscono il mercato del lavoro molto meglio di tanti altri tecnici che si sono succeduti negli ultimi governi. Quali sono le risorse ad oggi stanziate per la Regione Campania nell’ambito della Garanzia giovani? Sono tante: 200milioni di euro quelle nazionali e 400milioni messi sul tavolo dalla regione Campania. Il problema non è la disponibilità delle risorse ma capire come evitare che vadano disperse. Chiederemo un nuovo confronto con la Regione per capire qual è lo stato dell’arte e in quell’occasione faremo anche un quadro di quanti sono quelli espulsi dalla Garanzia. Non parlo solo degli under 30 ma anche di quanti fino a questo momento non sono stati presi in considerazione, come gli over 40. È importante spendere queste risorse dando una risposta al Paese, evitando di buttare dalla finestra un bel po’ di danaro.Se i fondi non dovessero essere utilizzati entro i termini prescritti andrebbero irrimediabilmente persi?No, non succederà, per quello che riguarda la mia organizzazione sarò ben lieta di comunicarle che avremo ottenuto il tavolo e riaperto la discussione. Non si può lasciare nulla al caso e esercitare ognuno per la propria parte un ruolo in termini di competenza molto più elevato di quanto fatto fino a questo momento.Oggi se dovesse trarre un bilancio della Garanzia giovani in Campania cosa direbbe? Non ha funzionato e non sta funzionando. Dobbiamo chiamare le imprese a un’assunzione di responsabilità e capire di che cosa hanno bisogno per cominciare ad agevolare questi ingressi nel mercato del lavoro locale. Vale per tutti i settori: la Confindustria, il mondo dell’artigianato, il terziario avanzato, come anche Confagricoltura. intervista di Marianna Lepore

Cambiare l'Italia si può, ecco la ricetta di Alessandro Rimassa

Nella vita pubblica italiana si parla sempre di cambiare l’Italia, ma si illustrano solo idee e mai metodi per mettere in pratica realmente il cambiamento. Prova a farlo Alessandro Rimassa nel suo libro «È facile cambiare l’Italia, se sai come farlo», recentemente pubblicato da Hoepli. Direttore della Scuola di management e comunicazione di Ied, già scrittore, conduttore televisivo e giornalista professionista, Rimassa, 38 anni, è stato anche uno degli autori del bestseller «Generazione mille euro», tradotto in sette lingue e diventato un film. La Repubblica degli Stagisti lo ha intervistato per capire quali siano i metodi per cambiare l’Italia. Com’è nata l’idea di scrivere «È facile cambiare l’Italia, se sai come farlo»?Mi capitava spesso, occupandomi di formazione e consulenza, di trattare all’interno di conferenze o dibattiti alcuni argomenti di cui poi ho scritto nel libro: vedevo che c’erano una serie di temi legati al cambiamento in atto che risultavano interessanti e suscitavano dibattito. Non c’erano però testi di riferimento per chi voleva approfondire queste cose.Dei dieci metodi per lanciare la rivoluzione culturale in Italia elencati nel libro, qual è il più importante? Credo che i più importanti siano il primo e l’ultimo. Non si produce vero cambiamento se non si è in grado di avere una visione di quale può essere il proprio obiettivo e la propria strategia, e quindi senza di questo non si può costruire il futuro di un paese. Dall’altra parte senza la rete e la possibilità di condividere in maniera virale i propri valori e obiettivi, non si riesce a mettere in atto un reale cambiamento.Il primo metodo è costruire una visione: oggi c’è qualche leader politico capace di farlo? Nella storia recente del nostro Paese siamo stati ingannati forse più di una volta da leader che apparentemente avevano una visione: Berlusconi da un lato e Nichi Vendola dall'altro. Oggi la stessa situazione c’è con Matteo Renzi, che per molti è il politico in grado di cambiare davvero il Paese perché sembra avere un’idea di quello che vuole costruire. Sostengo il cambiamento che propone e la proattività che ha nel farlo. Credo però che si debba passare da una fase propagandistica a una concreta di cambiamento del metodo con cui si fanno le cose. Non basta dire partiamo dal basso anziché dall’alto. Il suo quinto metodo per il cambiamento è dedicato alla formazione continua, eppure in Italia è deprimente anche solo guardare ai programmi di aggiornamento professionale organizzati dagli Ordini...Sono un giornalista, così ho deciso di capire come funzionava la formazione continua del mio Ordine e sono agghiacciato. Il giornalismo è in fase di totale rivoluzione e vengono proposti corsi tenuti da persone in pensione da dieci anni. Vuol dire che non si è capito proprio niente. Serve una formazione continua differente, proattiva e che non debba sempre generare un costo da sostenere. Oggi abbiamo n-mila opportunità per aggiornarci: con la lettura, con i corsi online di grandi università che li propongono in maniera gratuita. Credo che il successo personale nel mondo professionale sia legato a una formazione continua, ma sia necessaria un’enorme operazione culturale in questo senso. Spiegare che in un mondo in cui si progredisce solo se si innova, non si sarà mai in grado di innovare se non si continua a studiare.Lei sostiene che bisognerebbe mettere i giovani al centro del sistema: il cambiamento che c’è stato nel parlamento italiano e nel governo Renzi,  i più giovani di sempre, è reale o solo di facciata? È sicuramente un primo passo di immagine, e in un mondo che con l’immagine ha a che fare mi sembra sia importante. Non credo che mettere i giovani al centro del sistema significhi semplicemente sostituire un vecchio con un giovane, non ne faccio una mera questione generazionale. Credo si debbano liberare spazi affinché i giovani possano autoaffermarsi, non che si debbano cooptare giovani in spazi prima occupati da vecchi. Altrimenti ci perdiamo un meccanismo meritocratico che è sostanziale: tra un 60enne bravo e un 20enne non bravo saremmo stupidi a scegliere il secondo. Dobbiamo creare un sistema all’interno del quale i giovani possano mettere davvero in mostra le proprie competenze. Nel libro lei cita una frase di Tito Boeri, «Un Paese che dimostra di non saper investire nei giovani non ha proprio futuro».La frase Boeri l’ha detta quando stavo chiudendo il libro: la condivido totalmente e credo che, da quando ho iniziato a scriverlo con un lavoro di analisi, ricerca e studio due anni fa, qualcosa sia iniziato a cambiare. Stiamo vivendo una fase di cambiamento, basti pensare alle tante startup che nascono, agli spazi di co-working, alle social script, alla diffusione della sharing economy. Tutto questo sta accadendo per volontà di persone che si mettono insieme per farlo accadere. Ma a questa fase dal basso deve unirsene una dall’alto. Chi governa e guida le imprese dovrebbe essere maggiormente protagonista di questo cambiamento.Mario Monti aveva definito i trenta-quarantenni una generazione perduta.Sono parte di quella generazione, avendo 38 anni. Siamo una generazione sfortunata, cresciuta con un modello socioeconomico che pensava di poter continuare a interpretare. Era quello del posto fisso totale: sul lavoro, sulla casa di proprietà, sul matrimonio. Una vita tutta in discesa o quantomeno abitudinaria. Poi mentre entravamo nel mondo del lavoro abbiamo scoperto che quel sistema si stava disgregando. Chi ha vent'anni oggi, invece, lo ha visto disgregarsi quando era piccolo, quindi sa di dover giocare senza regole, o costruendone nuove. Noi siamo più in difficoltà perché ci aspettavamo qualcosa che di fatto non abbiamo trovato. Però dire che siamo una generazione perduta o un esperimento sociale fallito, intanto mi fa pietà che lo dica chi quell’esperimento l’avrebbe portato avanti e, poi, non credo che una società possa progredire lasciando indietro un’intera generazione. Credo, però, che la responsabilità dei 30-40enni oggi sia enorme. Possiamo occupare posti di responsabilità e far progredire questa società, ma dobbiamo farlo in maniera diversa da chi ci ha preceduti: a tempo determinato, in maniera condivisa, senza lasciare indietro nessuno. Se faremo questo, riusciremo a far progredire il Paese e arriverà velocemente lo spazio anche per i più giovani. Se invece faremo i finti incavolati, prenderemo il potere e poi ce lo terremo fino a 70anni allora la colpa della distruzione totale di questo Paese sarà tutta nostra. In un capitolo dedicato alle start up - esplose in Italia negli ultimi tempi – viene evidenziata la mancanza della cultura del fallimento nel nostro Paese. In questo senso stiamo facendo qualche passo avanti?Credo di sì ed è il punto fondamentale. In Italia fallire è considerato un che di personale che ti mette ai margini della società quando, invece, nel mondo anglosassone fallire è una parte del percorso, un rischio che si può correre. Credo che tra i giovani sia più diffusa, ma visto che siamo una società anziana si deve fare ancora tantissimo. Dobbiamo riabituarci a dire che la cosa fondamentale è rischiare, provare, fare, agire: si può anche sbagliare, si fallisce e poi ci si rialza in piedi più forti. In America dicono fail fast, fallisci velocemente, se devi farlo e sei a rischio. Quello di cui abbiamo veramente bisogno è una grande rivoluzione culturale, ma non si fa in tre mesi o due anni: si hanno risultati in 15-20 anni. La cultura del - possibile - fallimento. Una persona che intervistammo pochi mesi fa nella nostra rubrica Startupper ci disse “Fallire è un immane lusso nella vita, ma noi non siamo abituati a farlo”. Di gestione del fallimento parla anche lei.Sì: dobbiamo imparare che la ricerca del successo nel mezzo ha degli ostacoli. A volte si cade e ci si rialza, a volte no e bisogna cambiare strada. Ma il nostro obiettivo deve essere più grande, deve portarci lontano. Il fallimento nel mezzo ci sta tutto. Dobbiamo smettere di aver paura di fallire, perché se hai paura, poi sbagli. Come nel calcio: se vai sul dischetto per tirare un rigore e hai paura, sicuramente lo tirerai male. Se non ce l’hai o hai la giusta dose che diventa adrenalina allora quel rigore lo tiri con tutta la tua convinzione. Chiude il libro una frase di Adriano Olivetti datata 1949. Quanto dista l’Italia di oggi da quella del dopoguerra?Credo che oggi dobbiamo ricostruire una società con al centro l’essere umano e questo non significa negare il successo o la ricchezza. La società teorizzata e tentata da Adriano Olivetti, in particolare poi con il progetto Comunità, sapeva includere e anche premiare i migliori. Mi sarebbe piaciuto che avesse avuto a disposizione l’incredibile potenza della rete, la rapidità, la sua condivisione e collaborazione, perché magari il suo progetto con gli strumenti e la possibilità di contatto tra le persone che c'è oggi avrebbe avuto successo.Ma dovendo trarre una conclusione, è davvero possibile cambiare l’Italia? È chiaro che se non ci provi di certo non ci riesci. Qualche settimana fa ero ospite a Omnibus e un giornalista diceva che fare impresa in Italia è impossibile per la burocrazia, le tasse, il cuneo fiscale. Ho risposto: in Italia c’è una burocrazia folle e un cuneo fiscale insensato. Questa è la situazione, possiamo decidere di non fare impresa o di farla e denunciare la situazione, provando a cambiarla. Le condizioni di base restano, sta a noi decidere cosa fare. Credo sia il momento di provarci e se questo movimento del cambiamento che è in atto prosegue, allora ci saranno condizioni per disegnare un Paese nuovo. Forse non sarà rapidissimo e  semplice, ma dobbiamo intimamente credere che sia davvero facile cambiare l’Italia. Marianna Lepore

Legge elettorale, il giorno degli emendamenti sul voto fuori sede

Il dibattito sulla legge elettorale è al centro della scena politica; ieri è stato il giorno degli emendamenti sulla parità di genere, clamorosamente bocciati alla Camera malgrado l'impegno delle deputate. Tra oggi e domani dovrebbero essere messi ai voti invece gli emendamenti sul cosiddetto "voto fuori sede", per permettere anche a chi è temporaneamente lontano dalla sua residenza di non perdere il diritto di voto. La Repubblica degli Stagisti ha dedicato la scorsa settimana un articolo di aggiornamento a questo tema, citando l'emendamento presentato dal deputato di Scelta Civica Pierpaolo Vargiu e cofirmato da dieci deputati del Partito Democratico, basato sul modello dell’advanced voting. Oggi approfondisce la questione con una intervista a Marco Meloni, deputato Pd da anni attivo sul voto ai fuori sede, primo firmatario di un altro degli emendamenti presentati in Parlamento su questo tema.Il modo più giusto per permettere ai fuorisede di poter votare è quello dell'emendamento proposto dall'onorevole Vargiu?Non credo. Dico però subito che non vorrei che fosse una concorrenza, perché ne ho presentato uno io che riprende una proposta di legge elaborata da noi del Pd ormai quasi un anno fa. Non è che non sia d'accordo con quell'emendamento, semplicemente sono dell'idea che dobbiamo predisporre una norma capace di essere approvata come parere dal governo, trattando quindi con l'esecutivo, e che sia una norma che funzioni: ossia che dia la possibilità di votare ai nostri fuorisede a partire da quelli residenti temporaneamente all'estero – cioè gli studenti e i lavoratori – e al contempo dia certezza del diritto e del procedimento elettorale, e sia realizzabile. Nella nostra proposta il meccanismo sarebbe quello di andare a votare presso le strutture diplomatiche e consolari, essendosi registrati prima. Il voto si proietterebbe sulla circoscrizione di appartenenza. Un meccanismo funzionale e funzionante, che assicura il risultato che vogliamo ottenere. Io considero un po' eccessive le estremizzazioni assolute per cui o si ottiene “tutto”, cioè che anche qualsiasi cittadino domiciliato in un luogo diverso dalla sua residenza in Italia possa votare, oppure è un fallimento. Quest'ultimo meccanismo si presta peraltro a fortissime obiezioni del ministero degli Interni, perché in pratica è un voto per corrispondenza generalizzato. Io credo che ci siano problemi molto seri ad adottare un meccanismo di quel genere proprio per la certezza del processo elettorale: c'è un tema di legalità che è di tutta evidenza, e di complessità organizzativa altrettanto grande.Dunque la sua prima obiezione è legata all'utilizzo del voto per corrispondenza, che al momento è quello che viene utilizzato per gli italiani residenti all'estero iscritti all'Aire; l'altra obiezione è che sostanzialmente la proposta Vargiu, differentemente dalla sua, permetterebbe a una persona domiciliata a Roma ma residente poniamo a Reggio Calabria, di votare a Roma per corrispondenza.Sì. Nella nostra proposta, oltre al cosiddetto "emendamento Erasmus", c'è comunque anche il cosiddetto "Emendamento fuorisede". Nel primo caso è previsto che si possa votare all'estero, non per corrispondenza ma recandosi nelle strutture diplomatiche e consolari con un'urna, con le stesse modalità di segretezza del voto espresso in Italia. Per quanto riguarda invece il voto in Italia, noi lo restringiamo ai fuorisede, nel senso che ci deve essere un albo certo di persone che possono usufruire di quella modalità.Per esempio gli studenti universitari iscritti?Esatto. Si tratta di una categoria più definita. Altrimenti, ripeto, si rischia di avallare un voto per corrispondenza generalizzato, una cosa molto complessa. Io sono residente a Cagliari, oggi sono a Roma, a chi lo dichiaro? Verrebbero messi in forte pressione i principi di segretezza del voto, di regolarità del processo elettorale, di certezza di espressione del voto da parte del titolare del diritto di voto. Secondo me dobbiamo fare le cose giuste e possibili per assicurare da un lato agli studenti e ai lavoratori temporaneamente all'estero e dall'altro ai fuorisede in Italia il diritto di votare. Dico già che sui fuorisede in Italia il parere del governo credo non sarà positivo: ci sono difficoltà di natura organizzativa, logistica e devo dire anche culturale. Ma voglio precisare che la battaglia su cui ci eravamo impegnati lo scorso anno in campagna elettorale è quella per il voto cosiddetto Erasmus, che si estende anche poi ai lavoratori, e io su quella spero che si possa ottenere un risultato positivo.Ha avuto modo di confrontarsi su questo punto con il nuovo ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini?Sì. Lei e il suo ufficio ci hanno assicurato un sostegno, eventualmente anche migliorando il testo secondo le esigenze che sono corrispondenti alla necessità di avere una sorta di albo degli aventi diritto all'esercizio del voto in questa modalità. Sia lei che il ministro delle riforme si stanno impegnando a risolvere delle obiezioni che vengono da altre strutture dello Stato e che lo scorso anno impedirono, come molti ricorderanno, l'adozione della norma prima della campagna elettorale.Si riferisce sopratutto al ministero dell'Interno?Sopratutto degli Esteri in questo caso, per quanto riguarda il voto Erasmus loro sono essenzialmente preoccupati di come assicurare la funzionalità delle strutture consolari, perché secondo questa modalità di voto sarebbero loro i riferimenti organizzativi.Se questa cosa andasse in porto, si procederebbe a una uniformizzazione per cui anche i residenti Aire comincerebbero a dover andare a votare presso le strutture consolari, oppure rimarrebbero comunque due modalità di voto distinte?Resterebbero due modalità distinte, e anche due destinazioni del voto e due sistemi territoriali. Gli iscritti Aire votano e continueranno a votare all'estero per le liste dei residenti all'estero, i temporaneamente residenti all'estero voterebbero nella loro circoscrizione italiana di residenza.A livello parlamentare qual è la sua sensazione rispetto al favore che questi emendamenti trovano?Non so dirlo. Non so quale sia il parere del governo su Vargiu, e voglio ripetere, io non sono contro quell'emendamento. Io voterò a favore del suo e lui voterà a favore del mio, spero bene. Rispetto all'emendamento che ho scritto io, sto chiedendo al governo di dare un parere favorevole. Sull'emendamento Erasmus mi pare che tutti i gruppi - li ho consultati - siano a favore. Sto cercando di fare in modo che questa non sia una battaglia politica da compiere a prescindere dall'esito, ma di raggiungere il risultato massimo possibile, e la possibilità dipende dalla volontà del governo in questo caso. Dal mio punto di vista so che se il governo darà parere favorevole al mio emendamento, tutti i gruppi mi sembra che siano favorevoli e pronti a votarlo, compresi Sel e Cinque Stelle.Ieri gli emendamenti sulla parità di genere sono stati tutti bocciati, qual è la sua posizione?Noi dobbiamo certamente trasferire nella legge elettorale nazionale i principi costituzionali stabiliti dall'articolo 51 sulla parità di accesso alle cariche elettive. Credo che si debba conciliare questo obiettivo con quello di restituire ai cittadini la libertà di scegliere i propri parlamentari. Per me è essenziale che gli uomini e le donne siano messi nelle pari condizioni per competere. Che si sia donna o uomo vale lo stesso, non dobbiamo accontentarci di una parità di genere “concessa”, attraverso la scelta effettuata da un capo partito, ma vorrei pari condizioni per competere. Quindi serve una parità di genere immessa in meccanismi di scelta degli eletti da parte dei cittadini. Imporre per legge un esatto numero di eletti pari di ciascun genere non è sufficiente, è la condizione minima se rimangono le liste bloccate. Siccome per ora ci sono liste bloccate, si può anche richiedere che ci sia una proporzione di uomini e donne nelle liste o fra i capilista. Ma il punto fondamentale è chi decide chi sono le donne. Non conta solo il genere, conta anche la persona. L'importante è costruire meccanismi che portino al risultato. Dove c'è la doppia preferenza di genere (col 50% dei candidati per ciascun genere), le donne sono sempre tra il 30 e il 50% degli eletti, in particolare nelle liste molto piccole. Quindi il risultato sarebbe anche migliore in questo caso, con in più l'enorme beneficio di avere la scelta da parte dei cittadini. La vera battaglia è trasferire nei meccanismi di scelta degli eletti da parte dei elettori le opportunità che consentano di raggiungere il risultato della parità di genere.Si riferisce a stabilire per legge che ciascun partito debba fare le sue primarie, oppure è un invito a Renzi a rivedere l'accordo con Berlusconi rispetto alle preferenze?In entrambi i casi, sia che ci siano le preferenze nelle liste, sia che ci siano primarie statali obbligatorie per legge –  quindi fatte nelle scuole, con le forze dell'ordine, con il ministero degli Interni che vigila – le liste composte al 50% da uomini e donne e la doppia preferenza di genere rappresentano un risultato certamente molto positivo rispetto alla composizione dell'assemblea che viene poi eletta. Ovviamente su questi punti come su altri l'accordo di Renzi e Berlusconi è  drammaticamente carente: e io penso penso che si debba combattere per migliorare la situazione.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Legge elettorale, il voto fuori sede appeso a un filoE anche:- Voto impossibile per studenti Erasmus, la rabbia dei 25mila da Facebook a Palazzo Chigi- Stefano La Barbera: «Con delle semplici mail ci siamo fatti sentire in Parlamento. E in risposta abbiamo ottenuto quattro proposte di legge» - Io voto fuori sede, quando la partecipazione politica passa per la rete

Stage truffa nelle coop sociali, il presidente di Confcooperative minimizza: «È colpa della crisi»

Fare uno stage come domestico presso una lussuosa villa privata e ricevere per il servizio prestato un misero rimborso di 400 euro mensili pagato per giunta con soldi pubblici. Della Regione Lazio, per la precisione - nel caso del tirocinio truffa riportato dalla Repubblica degli Stagisti qualche settimana fa, in cui c'era anche lo zampino di una cooperativa che funge da ente promotore (e a sua volta ci guadagna). A prima vista solo un caso limite di sfruttamento. Invece basta chiedere un po' in giro, fare una piccola ricerca su Google, ed ecco spuntare altri racconti - come questo - molto simili, di altri malcapitati finiti nelle mani di coop dalle intenzioni non proprio cristalline. Sarà per questo che il numero uno di Confcooperative Lazio e vicepresidente nazionale, Carlo Mitra, interpellato dalla Repubblica degli Stagisti per approfondire la questione, non sembra stupirsi - e neppure sbottonarsi - più di tanto. E anzi giustifica il diffondersi del fenomeno come effetto della crisi. Il caso segnalato è un chiaro esempio di utilizzo abusivo dello strumento dello stage. Cosa si sente di dire a questo proposito?Mi pare sin troppo evidente che si tratta di un abuso quello perpetrato per questo stage. Purtroppo la situazione, già grave, con la crisi si è aggravata ulteriormente per tutto il mercato del lavoro. Cresce l’illegalità soprattutto nell'arcipelago dei servizi e cresce l’uso maldestro della cooperativa 'spuria' così come di altre forme di imprese a tempo breve per sfruttare l’impunità. Sarebbe interessante approfondire questo aspetto. Possiamo dire che i casi come quello raccontato sono frequenti, specie a Roma, come afferma anche il ragazzo da noi intervistato?È evidente che nella crisi il mercato del lavoro degrada per un doppio effetto: crescono sia coloro che come direbbe Fassina non fanno il loro dovere 'per necessità' (a luglio 2013 l'ex viceministro parlò di una «evasione di sopravvivenza», ndr) sia i furbi, i quali approfittano dei lavoratori che a loro volta subiscono 'per necessità'. Negli ultimi tre anni le cooperative hanno dato segnali di miglioramento: le nuove costituzioni sono aumentate del 3,6%, i soci cooperatori del 9,9%, gli occupati del 13,4%, il fatturato del 4,1% secondo i vostri dati. Come si spiega questo fenomeno in un momento di crisi come questo?Nascono più cooperative anche come risposta al fatto che non c'è più lavoro inteso come posto fisso, e quindi la tendenza a provare a costruirsi una attività - meglio se insieme ad amici - è una risposta abbastanza immediata e concreta che fa presa sui giovani, donne in particolare. Se prendiamo il solo caso di Roma, vediamo che nascono oltre mille nuove cooperative all'anno anche nella crisi. La cooperativa è sicuramente lo strumento più praticabile per tutta una serie di attività, anche nuove.Secondo lei è facile aggirare la legge per una coop 'malintenzionata'? I controlli degli ispettori del lavoro ci sono?Penso non sia difficile aggirare le leggi per costituire e operare con una cooperativa falsa, come per chiunque voglia fare il furbo nel nostro Paese. Purtroppo lo Stato è assente e debole con i controlli e soprattutto in contesti quali la grande area romana non sono adeguati e efficaci. Abbiamo fatto attivare osservatori in tutte le prefetture per combattere il fenomeno della cooperazione spuria, però i risultati non sono stati soddisfacenti.Qual è il processo ordinario attraverso cui una coop recluta uno stagista? Non c’è un percorso specifico per le cooperative per ingaggiare uno stagista, ma valgono le norme generali. Il problema è che dovrebbe essere definito con maggior rigore il legame tra l'iter scolastico e la attività su cui poi si è impegnati durante lo stage. È vero che molti dei ragazzi che lavorano per le cooperative provengono dal servizio civile? Avete una derivazione apposita - Federsolidarietà - che si occupa esclusivamente della gestione del Servizio Civile.Mi pare una affermazione non corrispondente alla realtà. Gli addetti del sistema cooperativo sono oltre un milione e trecentomila mentre coloro che fanno servizio civile con le cooperative sono solo alcune migliaia [quasi 5mila dal 2001 al 2005 secondo dati pubblicati da Federsolidarietà, ndr]. Come è possibile questa assimilazione? Certamente molti di coloro che fanno il servizio civile presso una cooperativa trovano poi occupazione stabile nella stessa e questo è un fatto positivo.Circa i compiti di un tirocinante-tipo che viene ingaggiato da una cooperativa sociale, è frequente che si tratti di mansioni di basso profilo?Il compito di uno stagista è quello di educarsi al lavoro come tale, alla vita di impresa sociale e di assimilare le attività specifiche della cooperativa. Circa le funzioni si deve sempre capire in quale campo si muove la cooperativa sociale. Certo in queste ci sono tanti compiti 'di basso profilo' - e resta da definire cosia sia il basso profilo - ma non per questo denigrabili. Molti altri sono invece professionalizzanti.Potrebbe chiarire la differenza tra cooperative di tipo A e di tipo B?Le cooperative di tipo A svolgono attività di assistenza socio-sanitaria ai disabili, lavorano spesso con i minori e l’infanzia. Quelle di tipo B sono cooperative di lavoro che operano in tutti i settori ma nel loro esercizio fanno inserimento di persone con svantaggi di vario genere.L'accesso ai fondi regionali è una possibilità di fatto aperta a tutte le cooperative? Oppure ce ne sono alcune più facilitate rispetto alle altre? Ormai è arduo parlare di accesso ai fondi regionali per le cooperative così come per tutte le imprese. Non vi sono più particolari facilitazioni e sempre più si dovrà ricorrere alle risorse dei fondi comunitari attraverso i bandi emanati di volta in volta.Al presidente di Confcooperative la Repubblica degli Stagisti avrebbe voluto chiedere altre precisazioni. Come per esempio se ritengono accettabile che uno stagista reclutato da una cooperativa svolga mansioni da domestico, e dati sul numero esatto di stage attivati annualmente presso le cooperative di tipo sociale (Excelsior Unioncamere ne ha contati 25mila in tutto nel 2012, ma non suddivisi per tipo di impresa) e quelli aggiornati sul servizio civile, che sul sito di Federsolidarietà sono fermi al 2005. Dopo svariati tentativi di approfondimento, le risposte sono arrivate tramite il suo vice, Giuseppe Sparvoli, e non certo sintomatiche di grande trasparenza: «Vi abbiamo già comunicato i dati in nostro possesso come organizzazione di rappresentanza. Possiamo solo rappresentarvi i comportamenti delle imprese cooperative nostre associate, rispettose delle leggi e delle regole comportamentali che derivano dai nostri vincoli statutari». Sulla storia di Marco, stagista domestico per il tramite di una cooperativa, la condanna di Confcooperative non è dunque arrivata. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Stage truffa, il "tirocinante" fa le pulizie in una villa all'Olgiata e a pagare il compenso è la Regione Lazio- La Regione Sardegna promuove stage-vergogna: 10 milioni di euro per tirocini di 6 mesi come inservienti, operai, camerieri. E perfino braccianti agricoli- Zara: per fare il commesso serve lo stage. E così l'azienda risparmia- La Cgil scende in campo per stanare gli sfruttatori di stagisti con la campagna «Non + Stage Truffa»E anche: - In un'inserzione si può celare una vera e propria truffa: quarta puntata della videorubrica per orientarsi nel mare magnum delle offerte di lavoro e stage

La deputata Alessia Mosca: «Lo smart working è conveniente per tutti»

Una delle principali sostenitrici del lavoro "smart", svolto cioè da luoghi diversi rispetto all'ufficio, è la deputata Alessia Mosca. Trentotto anni, lombarda, alla sua seconda legislatura alla Camera, ha presentato insieme a due colleghe (Irene Tinagli di Scelta Civica e Barbara Saltamartini del Nuovo Centro Destra) un progetto di legge "tripartisan" proprio per semplificare la già esistente legge sul telelavoro, oggi molto sottoutilizzato. Perché in Italia, purtroppo, si continua a considerare valido solo l'indicatore della presenza fisica alla scrivania, il "sedere di pietra" sulla sedia, e la maggior parte dei capi ancora considera positivo vedere che i dipendenti arrivano presto e vanno via tardi - come se dal numero di ore e di minuti di presenza in ufficio dipendesse effettivamente la produttività. La filosofia dello smart working va in direzione ostinatamente contraria, mettendo al centro gli obiettivi e provando a costruire un patto di fiducia tra azienda e dipendente, in cui non importa più quanto tempo lavori, o da dove lo fai, bensì quali risultati porti.Onorevole Mosca, la "Giornata del lavoro agile" sperimentata dal Comune di Milano ha coinvolto quasi 6mila lavoratori e quasi 100 fra aziende, cooperative e studi professionali. E' in linea con quanto vi aspettavate? Lo si può considerare un successo?Direi proprio di sì. C'è stata una mobilitazione molto elevata e soprattutto c'è stata una differenziazione di tipologie di lavoratori: questo conferma il fatto che non stiamo parlando di una questione che tocca solo determinati settori o certe tipologie di lavoratori. In realtà il 40% dei lavori possano essere esercitati con questa modalità.Quindi lo smart working non ha dei settori privilegiati per l'applicazione?No, dagli studi su cui noi ci stiamo basando emerge appunto che circa il 40% dei lavori possono essere fatti in smart working. E una percentuale ancora più alta, se non in modo totale, può essere svolta almeno in parte in questo modo: alcuni passaggi della mansione che viene esercitata possono essere fatti da remoto. Il che porta la percentuale a diventare ancora più alta del 40%. E questi lavori quali sono?C'è veramente di tutto. Perfino i mestieri che hanno bisogno della presenza e del contatto diretto poi hanno comunque quasi sempre una parte di lavoro che è gestionale, di archiviazione, di espletamento di pratiche burocratiche. Tutta questa parte può essere fatta in modalità smart. Quindi anche il lavoro che sembra più lontano dal poter essere esercitato in smart working in realtà prevede che ci possano essere come dicevo alcune mansioni che possono essere svolte così. Per non parlare poi di tutti quei lavori di backoffice, tutte quelle innumerevoli attività amministrative che possono essere fatte all'interno delle imprese senza dover per forza essere fisicamente presenti.Quali sono gli aspetti positivi più importanti del "lavoro agile"?Ce ne sono tanti. L'idea nasce da un'esigenza principale: quella della conciliazione, intesa come una maggiore possibilità di far coesistere gli impegni lavorativi con quelli familiari, che si traduce nella necessità di una maggiore flessibilità dell'organizzazione del lavoro. Partendo dal punto della conciliazione però il tema si allarga all'organizzazione del lavoro, alla cultura manageriale e alla cultura organizzativa interna alle aziende e agli studi professionali. Il concetto di lavoro a distanza cambia il rapporto tra imprenditori, dipendenti e manager perché si crea una relazione basata sulla fiducia reciproca e sulla responsabilità, che migliora tra l'altro la produttività. Qui si apre un altro grandissimo tema, quello di come si fa a migliorare le performance, imparando a valutarle in modo diverso rispetto al mero conteggio della presenza fisica sui luoghi di lavoro. Si passa da una valutazione basata sul numero di ore passate seduti alla scrivania a una valutazione dei risultati. Ci sono poi degli aspetti indiretti che però sono altrettanto importanti: una riduzione dei costi aziendali, perché utilizzando lo smart working si ha bisogno di spazi diversi, più piccoli. C'è poi un forte impatto sugli spostamenti, cioè sulla mobilità all'interno delle città. E in più c'è un effetto indiretto che ha un impatto sulle politiche industriali. Una diffusione di questa modalità di lavoro genererebbe anche un impatto molto forte su quelle aziende che producono tecnologia, servizi innovativi, e che quindi sono fornitori degli strumenti che servono per lavorare in questa modalità. E sappiamo che in Italia abbiamo grandi aziende che producono questo, sulle quali si sta puntando, anche in attuazione dell'agenda digitale europea, e che potrebbero beneficiare molto di questo cambio organizzativo. Penso alle aziende che producono software per il lavoro da remoto, sviluppando non solo apparati ma anche applicazioni e programmi che servono a questo scopo. Infine, se si sviluppa questa modalità, nascerà anche un'esigenza dal basso che spingerà perché vengano fatti gli investimenti ulteriori rispetto alle infrastrutture in banda larga. Lo smart working attiva insomma un meccanismo virtuoso che può veramente avere un impatto molto forte.La conciliazione è un tema molto femminile. Realisticamente lei pensa che il "lavoro agile" sia un tema che riguarda entrambi i generi a parimerito, o si tratta di una iniziativa sopratutto per donne?Qui non c'è solo la mia convinzione, ma anche fatti concreti. Noi questa proposta di legge l'abbiamo portata avanti facendo una ampia consultazione, abbiamo sentito anche le aziende private anche pubbliche che applicano già forme di smart working. E abbiamo visto che questa modalità è già nei fatti applicata indistintamente a uomini e donne. Ci sono esempi molto virtuosi di aziende che hanno introdotto questa modalità da qualche anno e dunque possono già presentare dei primi risultati: la soddisfazione del lavoratore o della lavoratrice è massima, a prescindere dal genere. Rispetto appunto alla proposta di legge che con Irene Tinagli e Barbara Saltamartini avete depositato in Parlamento, che tempi si prospettano per l'approvazione?Innanzitutto io sono convinta che uno degli effetti delle leggi debba essere sempre quello di alzare il livello di dibattito su una determinata questione, e fare in modo che il tema venga posto al centro dell'agenda. Questo effetto lo stiamo già ottenendo: tutta la fase di consultazione, la giornata del lavoro agile di Milano, le iniziative che si stanno moltiplicando per parlare di questo tema sono anche un effetto della proposta di legge. Dimostrano che abbiamo toccato un tema che stava muovendosi un po' sottotraccia e che grazie alla legge è potuto diventare "degno" di un dibattito aperto e diffuso. Credo che questo possa già considerarsi un risultato. Per quanto riguarda la traduzione della proposta in legge effettiva, questo dipende ovviamente da tanti fattori che non sono alla nostra portata, e sopratutto da che tipo di andamento avrà questa legislatura. Dato che si tratta di una proposta tri-partisan che gode di un ampio sostegno trasversale, la nostra idea era quella di tentare di agganciarla a un veicolo governativo in modo da farla approvare più rapidamente rispetto a un percorso parlamentare normale, che ha tempi un po' più lunghi. Vedremo.Entrando in alcuni aspetti tecnici della proposta di legge, perché avete previsto che il telelavoro non possa occupare più del 50% dell’orario di lavoro tradizionale?La proposta dice che ci deve essere un accordo tra le parti, dunque tra dipendente e datore di lavoro, su quanto tempo del lavoro può essere esercitato da remoto, in base alle mansioni; perché sappiamo che alcune possono essere svolte di più in questa modalità, altre di meno. Questo rientra negli accordi individuali. Il fatto che sia però stato posto un limite, in modo che non diventi un lavoro da remoto sempre, deriva dal fatto che uno degli aspetti peggiorativi del telelavoro tradizionalmente inteso era la conseguenza della segregazione rispetto a una condivisione di opinioni e rispetto a un nucleo collettivo che comunque è una parte importante del lavoro anche per la carriera, la creatività che può scaturire dallo scambio con i colleghi. La modalità che noi proponiamo nella proposta di legge dunque elimina questo inconveniente del lavoro sempre da remoto, che in effetti può portare con sé aspetti più negativi che positivi.L'obiezione degli uffici Hr in caso la legge dovesse andare in porto sarà sicuramente: troppa burocrazia. Come semplificare le procedure?No no, al contrario, questa normativa semplifica: va proprio nella direzione di semplificare un dispositivo oggi troppo pesante, che è stata una delle ragioni per cui in Italia non è mai decollata questa modalità di lavoro.Quindi i direttori risorse umane possono stare tranquilli?Certo. Il nostro obiettivo è quello di rendere più semplice, fare in modo che le aziende non debbano più impazzire per poter allargare a tutti i propri dipendenti questa modalità di lavoro. In caso andasse in porto, questa legge avrebbe bisogno per essere pienamente operativa anche di un passaggio per la contrattazione nazionale con i sindacati?Per come l'abbiamo pensata, no. Proprio per la tipologia di mansioni che possono accedere a questa modalità, che sono molto diverse le une dalle altre, abbiamo pensato che la legge possa decollare solo se rientra in una modalità di accordo individuale, che quindi riguardi il singolo dipendente e il datore di lavoro. La normativa quadro sul telelavoro - che viene ripresa anche se semplificata in questa normativa - resta, non cancelliamo quello che è esistente: ma lasciamo la flessibilità e la possibilità di accordo tra le parti, singolarmente, per venire incontro alle esigenze specifiche e per fare in modo che questa modalità di lavoro sia produttiva.  Realisticamente, quale percentuale di lavoratori di un'azienda può essere smart e quale invece deve rimanere stanziale?Anche il 100%! Ci sono certi settori in cui anche a tutti i dipendenti si può applicare la tipologia dello smart-working, anche perché vuol dire che il 100% dei lavoratori può lavorare un paio d'ore da casa, o in uno spazio di coworking, e poi arrivare a mezzogiorno per fare la riunione con tutti gli altri colleghi. In modo alternato e flessibile cioè ci sarà chi lavora dal suo posto di lavoro e chi da qualche altra parte.Lei ha deciso di candidarsi alle imminenti elezioni europee. Com'è la situazione a livello europeo? Ci sono paesi con legislazioni interessanti e già operative su questo tema?Sì, noi arriviamo sempre tardi purtroppo. Infatti non è un caso che il discorso della conciliazione in Italia sia quello su cui arranchiamo di più. Innanzitutto c'è un tema strutturale: l'Italia è l'ultimo Paese in Europa per l'attuazione dell'agenda digitale, e questo significa che, banalmente, siamo molto in ritardo sull'accesso alle tecnologie. Questo ha frenato molto la possibilità di utilizzare le innovazioni tecnologiche anche per migliorare l'organizzazione del lavoro. Poi il nostro sistema non ha mai ben accolto il telelavoro, c'era una normativa molto più soffocante e molto più piena di vincoli e oneri dal punto di vista burocratico rispetto a quella di quei Paesi europei dove il telelavoro si è sviluppato di più. Terzo, in Italia abbiamo approfondito poco concetto di flessibilità del lavoro intesa nel senso di flessibilità del luogo. Ci siamo spesso accapigliati su battaglie sulla flessibilità in ingresso e in uscita dal posto di lavoro, invece di concentrarci sulla flessibilità organizzativa e sulla produttività.Intervista di Eleonora Voltolina

Garanzia giovani già a marzo, ma come funzionerà? Lo spiega chi ha scritto il piano italiano

La Youth Guarantee è sempre più vicina. Scombussolamenti politici permettendo, il grande programma che dovrebbe mettere a disposizione dei giovani disoccupati (inizialmente solo under 25, a partire da fine anno anche under 29) nuovi e innovativi servizi per avvicinarsi al mondo del lavoro nel giro di un mese finalmente partirà. A gestirlo finora è stato Daniele Fano, chiamato dal ministro Enrico Giovannini a guidare la sua segreteria tecnica e all'interno della "Struttura di missione" che ha elaborato, con un lungo lavoro di concerto con le Regioni e le parti sociali, il piano italiano della Garanzia giovani. Forse anche per l'imminente cambio di governo, proprio ieri sul sito del Ministero è stato pubblicato il più aggiornato Rapporto sullo stato di avanzamento del progetto. E domani, lunedì 17 febbraio, a Milano la Repubblica degli Stagisti insieme alla Federazione provinciale del Partito democratico organizza un evento pubblico focalizzato proprio sulla Garanzia giovani, per raccontare cosa verrà offerto in concreto, quando e come (qui l'evento su Facebook e qui la locandina). In questa intervista Fano ripercorre a ruota libera i suoi mesi al ministero, anticipando come è stata concepita e come funzionerà la Garanzia; e chiamando alla responsabilità tutte le forze della società civile, per una "rivoluzione culturale" nel campo delle politiche attive per il lavoro.La Garanzia giovani è davvero in partenza?Sì. Noi abbiamo presentato il 23 dicembre alla Commissione europea il piano italiano e all'inizio di gennaio abbiamo avuto il via libera a procedere. Adesso siamo in stretto contatto con la Commissione per la parte operativa del piano, che è nazionale che vede le Regioni come "ente intermedio". Ma "ente intermedio" è una parola di gergo burocratico che non vuol dire "ente subordinato": le Regioni sono autonome nella realizzazione dei propri programmi. Ma questa autonomia regionale si realizza nel rispetto di una serie di paletti, per esempio il piano nazionale stabilisce degli standard di costo, di trasparenza, ed è stato accettato un principio di “contendibilità”, in maniera simile a quel che avviene nel servizio sanitario nazionale, in modo da arrivare una specie di servizio nazionale del lavoro per i giovani. “Contendibilità” vuol dire che un disoccupato calabrese potrà usufruire del servizio di Garanzia giovani facendo un viaggio a Milano e chiedendolo alla Regione Lombardia?Sì, entro certi limiti. Usiamo la metafora dell'autostrada: ci sarà una dorsale informatica comune, una piattaforma domanda/offerta nazionale che comunicherà con tutte le piattaforme regionali, e ognuno avrà una targa con cui viaggiare. Il riconoscimento della targa dovrà avvenire nella regione di provenienza, dopodiché si potrà fruire dei servizi anche nelle altre. Un sistema molto innovativo. La regionalizzazione secondo noi è un elemento di grande forza, perché le Regioni italiane presentano grandi diversità e ciascuna può seguire al meglio i suoi cittadini: ma ci vuole anche un “sistema”.La Garanzia è stata costruita dalla Struttura di missione, istituita con un decreto legge nel 2013 apposta per realizzare le finalità previste dalla Garanzia.Le finalità della struttura di missione in realtà sono più ampie, e sono le politiche attive del lavoro. La Garanzia giovani è il primo argomento affrontato dalla struttura. Se le politiche attive andranno bene per la Garanzia, potremo estenderle ad altri segmenti: per esempio ai beneficiari di ammortizzatori sociali, alle donne, ai lavoratori meno giovani. La struttura di missione è stata istituita dal ministero del Lavoro e ha riunito allo stesso tavolo altre amministrazioni centrali, come i ministeri dell’Istruzione, dello Sviluppo economico e dell’Economia oltre a Regioni, Province e Camere di commercio [ne fanno poi parte anche Isfol e Italia Lavoro, Dipartimento della Gioventù e Inps, ndr]. Sembrerà strano ma questo in Italia non era mai successo: ogni amministrazione andava per conto proprio. La struttura di missione sopravviverà al governo Letta?Non so cosa farà il nuovo governo, ma indipendentemente dalla Garanzia giovani la grande innovazione della struttura di missione ha una ragion d'essere profonda. Dunque alla domanda risponderei con un augurio: che questa iniziativa prosegua e che vengano potenziati  i luoghi in cui possono realizzarsi  le sinergie tra Lavoro e Istruzione, Sviluppo economico, Cultura, Regioni, parti sociali. Del resto anche l'Economist del 18 gennaio scorso, che si apriva con l'immagine inquietante di un tornado che distrugge posti di lavoro,  sosteneva con forza  che nel mondo di oggi le politiche del lavoro, dell'istruzione e dello sviluppo economico devono andare a braccetto. La scommessa è creare nuovi posti di lavoro in una diversità di settori ad "alta intensità di conoscenza" più velocemente di quanto la tecnologia distrugga posti di lavoro nei settori tradizionali. Un obiettivo ambizioso e che si può raggiungere solo attraverso molteplici programmi e attori e che proprio per questo ha bisogno di "cabine di regia".Operativamente quando partirà la possibilità di iscriversi alla Garanzia?Secondo i programmi, così come noi li abbiamo disegnati, dovrebbe partire nel mese di marzo: l'amministrazione ministeriale e le direzioni generali del ministero si stanno occupando a tempo pieno di questo. Il fatto che ci sia un cambio di ministro a questo punto non pregiudica l'attività, ma quali poi possano essere i tempi d'ora in poi non dipende più da noi. Quello che è forse ignoto ai più è che in realtà ci sarebbe già dal 2000 una legge (decreto legge 181/2000) che prevede per i giovani una garanzia di offerta, entro quattro mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, di «iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale». Ma finora è sempre mancata la piena effettività di questa legislazione, no? Sì. Gli europei, con sense of humor, ci chiedono: «Ma come, voi una specie di Garanzia giovani ve l'eravate già inventata nel 2000 e poi non è successo niente?». È vero. E allora noi all'Europa e a voi dobbiamo spiegare il perché.E qual è?Le ragioni secondo me sono due. La prima è che se guardiamo i dati tra il 2000 e il 2007 tanti giovani hanno trovato lavoro: c'era ricambio generazionale, c'era crescita economica seppur modesta e quindi il sistema generava posti di lavoro per i giovani. C'era meno pressione dal lato della domanda.  L'altro punto è che alle Regioni era stata demandata con la revisione del Titolo V della Costituzione la realizzazione di servizi attivi per il lavoro, una competenza nuova che in larga misura ha tardato a realizzarsi. Forse perché le Regioni hanno dovuto affrontare prioritariamente il tema della sanità, che fa la parte del leone della spesa pubblica, a scapito della scuola e dell'occupazione, forse per problematiche di coordinamento con  le Province che hanno la responsabilità dei centri per l'impiego - e alcune hanno lavorato bene. Oggi però tutto è cambiato: il dato sulla disoccupazione giovanile non è più accettabile, ci sono state le riforme del mercato del lavoro, il quadro è diverso. Prima le crisi del lavoro in Italia si risolvevano facendo slittare le persone nella cassa integrazione e poi nella pensione, con i prepensionamenti, e facendo in questo modo posto ai giovani. Una politica non solo passiva ma anche assurda, perché si pagavano le persone perché non lavorassero: un lusso che non ci possiamo più permettere. Per cui le politiche attive sono divenute un imperativo, e noi stiamo correndo per realizzarle. Tanto è vero che proprio per la Garanzia giovani le Regioni si attrezzano, per esempio la Regione Lombardia ha già sviluppato una serie di servizi per il lavoro molto più ricchi dei soli centri per l'impiego, e altre stanno facendo altrettanto. Cito il caso del Lazio: a settembre l'assessorato al Lavoro ha fatto una ricognizione dei centri per l'impiego, ne ha viste le insufficienze, e ha varato una forma di potenziamento dei servizi per il lavoro che poggia anche su delle convenzioni con privati e altri soggetti per arricchire il quadro delle politiche attive. Quindi qualcosa sta succedendo in Italia.Adesso ci arriva 1 miliardo e mezzo per la Garanzia. Abbiamo 567 milioni di euro a titolo di Youth Employment Initiative, cui si aggiungono altri 567 a carico del Fondo sociale europeo e 379 milioni di euro di co-finanziamento nazionale. Si può già dire indicativamente dove andranno questi soldi?La Garanzia giovani non è solo una questione di soldi. È  una riforma strutturale, e in quanto tale ha anche delle componenti che non costano, o costano poco, ma che vanno fatte: come per esempio le sinergie tra istruzione e lavoro, per favorire l'alternanza scuola-lavoro, per promuovere i tirocini curriculari. L'aspetto più importante è che bisogna cambiare mentalità. Poi c'è l'aspetto dei soldi: oggi ci sono, e una parte servirà proprio ad avviare questo sistema regionale e nazionale, per esempio per l'attuazione di una grande dorsale informatica. Ma c'è un principio fondamentale da rispettare: che i soldi debbano andare principalmente ai giovani stessi. E come? In Italia attraverso alcuni percorsi che abbiamo definito insieme alle Regioni. Primo, i contratti, là dove c'è un matching possibile; oppure percorsi di formazione-lavoro o con l'apprendistato o con i tirocini; oppure percorsi di auto-imprenditorialità; oppure ancora attraverso il servizio civile; o infine incoraggiando il ritorno a percorsi di istruzione per i giovani che avessero abbandonato i percorsi scolastici. In sostanza la Garanzia giovani è un programma di occupabilità che mira ad aumentare le competenze e favorire l'incrocio con il lavoro là dove è possibile, e sopratutto spezzare il circolo vizioso che porta ad allontanarsi dal mondo del lavoro e dello studio in maniera irrimediabile. Insomma: ci sono dei soldi, ma non è che 1 milione e 200mila giovani potranno avere i voucher per fare un percorso. Alcuni avranno il voucher. Ma noi pensiamo che oltre ai percorsi finanziati dalla Garanzia giovani ci possa essere un “effetto leva”, una specie di “buona chiamata alle armi” come l'ha definita il ministro Giovannini, in cui ai percorsi finanziati si aggiungano i tirocini offerti dalle imprese, e poi ancora i finanziamenti che la Bei mette a disposizione dei giovani che hanno una vocazione alla auto-imprenditorialità. Oppure altri canali: per esempio il Miur sta valutando la possibilità di una sinergia con il Piano nazionale della ricerca per far passare i dottorati di ricerca dalla Garanzia Giovani. Questo ci riporta al fatto che il successo della Garanzia non dipende tanto dai soldi, ma dal mettere in moto una grande riforma culturale: aumentare l'incontro tra domanda e offerta, aumentare le competenze, metterle in circolo.La "dorsale" informatica per registrare le iscrizioni dei ragazzi che vorranno iscriversi al programma dovrebbe essere Cliclavoro, il portale gestito direttamente dal ministero del Lavoro, giusto?Sì, non entro nei dettagli ma i giovani si potranno registrare direttamente sul portale, poi ci saranno dei passaggi che coinvolgeranno i servizi all'impiego, ci sarà il diritto a un colloquio di orientamento verso i percorsi che ho elencato prima. C'è stato un prodromo fallimentare pochi mesi fa: il sito Cliclavoro è andato “in palla” per tre giorni al momento dell'apertura di un bando per tirocini per laureati delle regioni del Sud.Sì, è vero, ma diciamo che è stato un incidente di percorso, un fallimento buono. Era stato fatto un programma sperimentale sui Neet che ha avuto un successo incredibile, che non era stato messo in conto, e che ci fa capire anche quanto sia delicata la sfida della Garanzia giovani. Risultato: Cliclavoro è stato potenziato. Adesso è in grado di supportare anche migliaia di accessi contemporaneamente?Esatto. Oggi come oggi le dorsali informatiche si potenziano: quando si aumenta il traffico poi magari gli aggiustamenti in corso e i potenziamenti si rendono necessari. Questo è parte del gioco.Per il primo contatto con i giovani nell'ambito della Garanzia giovani verranno istituiti presso i centri per l'impiego degli “Youth Corner”.È meglio parlare di servizi per l'impiego, perché centro si riferisce proprio alla struttura pubblica, ma ormai le Regioni hanno creato delle convenzioni con altri operatori. Per cui è più appropriato parlare in senso più ampio di "servizi". Ma per quanto riguarda specificamente i centri per l'impiego, chi lavorerà negli Youth Corner che verranno creati? Saranno gli stessi dipendenti attuali o ne verranno assunti di nuovi, magari con competenze specifiche?Qui si tocca un punto importantissimo. Questa è materia regionale, che Regioni e province definiscono nel proprio contesto di autonomia. Noi condividiamo con loro la preoccupazione che vi sia negli Youth Corner e più in generale dei servizi di orientamento ai giovani una qualità sufficiente. I centri per l'impiego sono importantissimi ma non sono nati per lo scopo della Garanzia, quindi sicuramente per affrontare questa sfida richiedono di essere rafforzati e ampliati in un concetto di servizi per l'impiego.Faccio la domanda nella maniera più esplicita possibile: il ministero prevede di utilizzare un po' dei soldi della Garanzia per fare assunzioni apposite di personale specializzato da inserire negli Youth Corner presso i centri per l'impiego?Il ministero non lo può fare, perché non è sua competenza: semmai lo dovrebbero fare le Regioni. Può però agire come facilitatore, per concordare con le Regioni le modalità attraverso le quali l'obiettivo di avere gli Youth Corner venga raggiunto. E posso testimoniare che le Regioni si stanno muovendo.Rispetto al denaro che finanzierà la Garanzia giovani sono stati fatti i nomi di alcune realtà, enti pubblici come l'Isfol, oppure Italia Lavoro, che sarebbero in lizza per prendere delle fette di questo finanziamento per svolgere dei servizi di monitoraggio e di altro tipo.A parte il fatto che il monitoraggio e la valutazione sono indispensabili, questo mi sembra molto fantasioso, perché come dicevo il grosso dei soldi va direttamente ai giovani attraverso i servizi, attraverso le Regioni. I bravissimi parlamentari europei che hanno voluto cogliere la grande occasione del bilancio europeo 2014-2020 per pretendere un programma di Garanzia giovani hanno detto "i soldi devono andare ai giovani". E andranno ai giovani. Il problema è farli andare bene. Ed è qui che la stampa indipendente, come la Repubblica degli Stagisti, ha un grande ruolo da svolgere. Perché bisogna che se vengono finanziati dei tirocini, siano dei tirocini buoni, in cui il giovane porta a casa vere competenze. Se vengono finanziati percorsi di formazione lavoro, che il giovane possa scegliere un istituto con insegnanti bravi e buoni sbocchi lavorativi. La grande scommessa è sulla qualità, e questa sfida come ci insegna l'Europa dipende sì dalle amministrazioni pubbliche ma anche dal coinvolgimento delle terze parti, dei giovani stessi, della stampa. Voi dovete indicare ai giovani i buoni centri di formazione: dire per esempio che a Palermo e a Gela ci sono eccellenti centri per chi vuol fare il saldatore subacqueo, oppure che ci sono facoltà universitarie, come chimica, che sono apprezzatissime dall'industria ma che non sfornano abbastanza laureati. Ci vuole qualcuno che faccia il “Tripadvisor” di queste eccellenze. C'è una responsabilità non solo pubblica ma di tutte le componenti della società civile ad aiutare i giovani e le loro famiglie a scegliere bene. Un grande lavoro da fare che ci riporta all'idea che sì, i soldi aiutano, ma se vogliamo che vengano spesi bene ci vuole consapevolezza.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più, leggi anche:- Youth Guarantee ai blocchi di partenza. Giovannini: «Operativi da marzo 2014»- Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee della Repubblica degli Stagisti- Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovaniE anche:- Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro

La Puglia tende la mano ai Neet, l'assessore: «Il progetto Bollenti Spiriti conta sulla Garanzia Giovani»

È stato da poco presentato a Bari il Piano d'azione 2014-15 di Bollenti spiriti, il programma della Regione Puglia per le politiche giovanili. In cima alla lista degli obiettivi c'è aiutare chi si è arreso a rimettersi in gioco, riattivando un indeterminato ma comunque enorme numero di giovani pugliesi che non lavorano né si formano. Alcune idee sono del tutto nuove - istituire una scuola per youth workers, finanziare gruppi autogestiti di Neet, ripensare il Servizio civile - e in attesa che si trasformino in misure dettagliate la Repubblica degli Stagisti ha chiesto anticipazioni all'assessore competente, Guglielmo Minervini, 53 anni, che quasi dieci anni fa, nel 2005, tenne a battesimo Bollenti Spiriti.  Assessore, il Piano lancia una figura professionale nuova: lo youth worker. Chi è? Cosa fa? La letteratura anglosassone definisce il profilo di questa nuova figura sociale, ma noi siamo partiti dall'esperienza: ci siamo accorti che nell'arcipelago dei Laboratori urbani [uno degli assi di azione di BS, che finanzia progetti di recupero e riutilizzo di spazi urbani dimessi, ndr] e in altre esperienze di attivazione, i processi di cambiamento hanno preso forma attorno ad una persona, attorno alle sue energie e al suo carisma. Ci siamo chiesti: questo fenomeno che finora ha avuto una dinamica spontanea è replicabile? Possiamo costruire un contesto in cui far emergere questo carisma, formarlo e poi restituirlo al territorio perché possa diventare fattore di innesco? L'approdo è l'istituzione della scuola Bollenti Spiriti e della figura dell'animatore di comunità. L'orientamento è di collocare la scuola a Taranto, inizialmente con una cinquantina di posti disponibili. In questa fase dobbiamo mantenerci con numeri piuttosto contenuti. Il bando per accedere alla scuola è atteso per le prossime settimane, ma è possibile anticipare quali saranno i requisiti per la selezione? Ci stiamo ragionando. Credo dovranno pesare due ordini di fattori, uno legato alle competenze di base e l'altro legato alle attitudini, alle propensioni. È una figura particolare, che deve sapere agire all'interno di situazione complesse e gestire attività non protette. È un lavoro senza rete, non di cooperazione sociale tradizionale o di gestione di servizi. Si avvicina molto al profilo dei maestri di strada napoletani. Serve una forte propensione per questo tipo di lavoro. Ci saranno limiti anagrafici in basso o in alto? No, non credo. E gli allievi della scuola riceveranno un contributo economico? È un altro punto di dibattito. L'accesso e la frequenza saranno senz'altro gratuite, ma stiamo decidendo se prevedere o no almeno un rimborso spese. Vogliamo che l'elemento dell'investimento formativo sia dominante, e vogliamo evitare che l'eventuale fattore economico sia di incentivo anche per i meno interessati - data anche la disperata fame di opportunità di lavoro, anche nel mondo degli operatori sociali. I ragazzi dove potranno trovare questi animatori? In un luogo sociale: un'associazione, un laboratorio urbano, un centro sociale, una parrocchia... L'elemento dell'informalità è predominante. Il Piano prevede anche un  «bando per far emergere il talento Neet». Cosa ci sarà al suo interno? I 50 youth workers, insieme ad altri, parteciperanno a questo secondo bando, che finanzierà progetti autogestiti da gruppi di ragazzi Neet. Una specie di Principi attivi con Neet, solo che all'interno di questo processo inseriamo l'enzima, ovvero l'animatore di comunità. E il percorso potrebbe non finire con il finanziamento che diamo. Il nostro obiettivo è che, maturato un progetto di investimento, questo possa incrociare le politiche strutturali della regione - i finanziamenti alle microimprese  o alle start up, ad esempio. Parliamo di finanziamenti: di quali risorse gode il Piano d'azione? I canali per quest'anno sono tre: 5milioni 256mila euro provengono dai fondi strutturali europei, 17 milioni dal Fondo per lo sviluppo e la coesione - l'ex Fas - e circa un milione del Fondo nazionale per le politiche giovanili, dal ministero quindi. Questo per partire subito. Perché l'obiettivo che ci riproponiamo è di installare Bollenti spiriti nell'ambito della nuova programmazione dei fondi strutturali, entrando quindi in canali più cospicui di finanziamento come il Fesr e il Fse. Sono previste integrazioni con il piano di attuazione dello Youth Garantee?  Assolutamente sì. In assessorato stiamo ragionando per incrociare i due piani, consapevoli che in Garanzia giovani ci sia bisogno di un approccio ancora più trasversale e integrato. Solo ci auguriamo non ci sia un eccesso di rigidità e direttività da parte del governo nazionale, che si traduce spesso in una certa inerzia di approccio, in politiche piuttosto tradizionali che finora non hanno funzionato. Noi vorremmo introdurre degli elementi di innovazione, anche alla luce dell'esperienza di Bollenti spiriti. Vorremmo portare innanzitutto le nostre buone politiche, che magari potrebbero trovare nelle risorse di Garanzia giovani [1,5 miliardi di euro da dividere tra le regioni, ndr] elementi di amplificazione. Pensa a qualche azione in particolare? I temi importanti sono tre: tirocinio, apprendistato e incentivi alle imprese. Tutti strumenti che finora hanno dato scarsissimi risultati.  È un impianto tutto riverso sull'offerta, che oggi in condizione di crisi è debole. Basta solo lavorare sull'offerta o, come stiamo provando a fare, bisogna lavorare anche sulla domanda, sulla platea di ragazzi? Questo  è il tema vogliamo affrontare, con l'aiuto di Garanzia Giovani. Sperando che il piano sia effettivamente mosso dalla convinzione della sua effettiva incisività, e non solo dal bisogno di mandare un messaggio politico di attenzione al tema.L'iniziativa europea si rivolge ai 15-24enni - almeno in una prima fase. E il piano? Non siamo rigidi su questo, anche perché è un fenomeno molto dinamico. Sono costantemente sollecitato ad allentare sia il limite superiore che quello inferiore di età, ma credo Bollenti spiriti continuerà a muoversi nella fascia tra i 18 e i 32/35 anni. Con questo approccio più flessibile ci si rende ancora più conto di quanto la consistenza del fenomeno sia inquietante. Quale che sia il numero esatto dei Neet, è un fenomeno inquietante [il numero in Puglia è stimabile in 300mila, considerando il segmento ananagrafico indicato (nell'ipotesi più inclusiva 18-35 anni, circa 900mila persone); di questi statisticamente un terzo è Neet, con un tasso di inattività medio non lontano dal 50%, ndr]. Inquietante soprattutto se riguarda i non più giovanissimi, magari anche laureati, alla ricerca della propria indipendenza... Senz'altro. Però alla luce di una macroricostruzione regionale abbiamo scoperto che oggi tanti nostri Neet sono persone che tra i 15 e i 18 anni iniziano ad avere difficoltà a scuola, in molti casi abbandonandola, attratti magari dalla ricerca di un lavoro. Ricerca che procede con scarsi risultati, o nessuno, e porta a un senso di sconfitta intorno ai 25 anni, quando poi matura la consapevolezza che per loro non c'è spazio.Negli anni passati qualcuno ha trovato rifugio nel Servizio civile, oggi pressoché agonizzante. È un'altra misura del piano, ma come pensa potrà aiutare i Neet? Ne abbiamo un'idea molto più snella e flessibile di quella tradizionale, che incontrerebbe una platea molto più ampia di ragazzi. Però innanzitutto ci siamo chiesti di cosa ha bisogno questa generazione quando pensa al Servizio civile. A noi sembra che voglia opportunità di vivere esperienze di responsabilità sociale, di maturare una consapevolezza rispetto al proprio territorio. E allora non è necessario fare esperienze lunghe e concentrate; il Servizio civile si può tradurre anche in un impegno nei soli tre mesi estivi, o nel weekend. E, al pari della matematica e dell'italiano, la sensibilità sociale è bene che diventi un fattore di valutazione formativa. Che tempistiche prevede?  Su questo abbiamo bisogno di trovare le risorse, non ce le abbiamo. Stiamo lavorando con i residui dei fondi appositi - poche centinaia di migliaia di euro - per partire con un esperimento campione, in una città o in un ambito molto circoscritto, iniziando a costruire questo dispositivo di incrocio tra domanda e offerta. Speriamo in una gestione regionale dei fondi dello Youth Garantee. Il piano sembra escludere l'attivazione di stage. Conferma? Sì, nel nostro piano non sono previsti. Però bisogna vedere cosa deciderà Garanzia Giovani.  A proposito, che le sembra della recente legge pugliese sugli stage? Mi sembra che responsabilizzi le aziende e affermi dei principi sacrosanti, tra cui il diritto ad un rimborso per i ragazzi. Ma mi risulta che sul versante opposto stia generando una reazione negativa: le imprese che prima erano disponibili adesso stanno chiudendo le porte. L'idea di prendere giovani preparati, già laureati, piaceva... Come dicevo è possibile che parte dei fondi di Garanzia giovani verranno usati proprio per pagare gli stage alle aziende.Intervista di Annalisa Di Palo [la foto dell'assessore è tratta dall'archivio di BariLive]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Quattro milioni di euro per le idee giovani dei «bollenti spiriti»: riparte in Puglia il bando Principi attivi- Annibale D'Elia: «Principi attivi non è X Factor, la sua forza è la dimensione collettiva»- Leggi regionali sugli stage, la Puglia ha già una bozza: «La approveremo entro luglio»E anche: - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani - Dopo un anno di stop riparte il servizio civile: ma i posti sono solo 15mila  

D'Arrigo, nuovo dg dell'Agenzia giovani: «Migliori condizioni di partenza e più opportunità, ecco i miei obiettivi»

Nei giorni solitamente sonnolenti tra Natale e Capodanno è arrivata la notizia di una nuova nomina: quella del direttore generale dell'Agenzia nazionale giovani, organismo pubblico creato qualche anno fa su input del Parlamento e del Consiglio europeo. L'Ang, dotata di autonomia organizzativa e finanziaria e vigilata dal governo italiano e dalla Commissione europea, ha sede a Roma in via Sabotino e conta ad oggi una trentina di dipendenti - tutti a tempo indeterminato tranne un contratto a progetto, e tutti sotto i cinquant'anni. Trentasette anni, messinese, Giacomo d'Arrigo arriva alla guida di questa Agenzia dopo varie esperienze tra cui quelle di consigliere comunale a Nizza di Sicilia e di coordinatore dell'Anci Giovani, la consulta che riunisce gli amministratori under 35 - una struttura interna all’Anci pensata con l’obiettivo di valorizzare e promuovere i giovani amministratori attivi in tutti i Comuni. Nel 2013 ha anche pubblicato per Marsilio L'Italia cambiata dai ragazzini, già alla prima ristampa. La Repubblica degli Stagisti ha collaborato con d'Arrigo, ai tempi in cui era coordinatore dell'Anci Giovani, alla stesura e approvazione del protocollo per i tirocini di qualità negli enti pubblici; oggi fa il punto con lui sulla nomina e sugli obiettivi che si pone per la gestione dell'Agenzia nazionale giovani.Sorpreso dalla nomina?Sì, non era una cosa che avevo preventivato. La ministra Kyenge ha individuato nella mia persona il profilo che ha ritenuto più adatto per questo ruolo e di questo la ringrazio... e poi il Consiglio dei Ministri ha deliberato. Adesso per quel che riguarda la mia parte, massimo impegno.Dunque è vero che la proposta del tuo nome è arrivata da Cecile Kyenge. Hai avuto modo di collaborare con lei in passato?Sì, è lei che ha la delega alle politiche giovanili ed è lei il ministro a cui l'Agenzia fa riferimento. Non ho mai avuto modo di collaborarci in passato, a questi tre anni che ci sono davanti non dò solo il valore di attività istituzionale ma, per me, anche come un'occasione dal valore umano e personale perchè la ministra ha dimostrato con fatti e comportamenti di essere una bella persona.Quando prenderai effettivo servizio e quali saranno i tuoi primi obiettivi?Effettivo servizio già preso: il 27 dicembre ruolo deliberato e il 30 ero già operativo in ufficio. Obiettivi a breve periodo: fare il punto sulla e con la struttura e predisporre tutte le iniziative per essere pronti in vista della nuova programmazione europea. Obiettivi a medio-lungo periodo: rendere l'Ang una realtà forte, che sia all'altezza delle sfide che ci attendono e che si occupi di politiche pubbliche in favore dei giovani in maniera autorevole ed importante anche al di là delle risorse europee.Cosa porti delle tue esperienze precedenti in questa tua nuova mansione?Diverse cose: grazie all'esperienza di Anci giovane la possibilità di conoscere molto bene problematiche e potenzialità del territorio, di tutto il territorio. Inoltre aver visto il forte protagonismo attivo dei più giovani che oggi sfugge a politica, partiti e istituzioni: la realtà dei giovani presenti nelle istituzioni locali nell'associazionismo e nel volontariato, spesso funge da cinghia di trasmissione tra i giovani attivi, impegnati e propositivi ed i loro coetanei che invece sono fuori, non coinvolti, ai margini e trovano nel disinteresse e dissenso talvolta violento il solo "strumento utile" e che sono invece una parte di giovani importante con cui parlare e da coinvolgere. Questa esperienza mi ha anche offerto uno spaccato di contatti e spunti davvero utili. Infine l'essere amministratole locale ti obbliga a confrontarti con i problemi concreti del quotidiano e con quelli della programmazione delle attività.Per i sette anni 2007-2013 il programma Gioventù in azione ha avuto a disposizione un budget complessivo di 885 milioni di euro, cifra decisa da Parlamento e Consiglio europei. Quale è stata la quota per l'Italia?La ripartizione dei fondi tra Paesi dell'Unione avviene applicando diversi criteri tra questi spiccano quelli demografici. Le risorse finanziarie a valere su Gioventù in Azione sono state complessivamente, per l'Italia, pari a oltre 61 milioni di euro (la quasi totalità, ben oltre 56,7 milioni, per il finanziamento di progetti e solo il residuo per il funzionamento dell'Agenzia) e la percentuale di fondi impegnati negli ultimi quattro anni è stata sempre alta, di fatto 100%. Negli ultimi anni infine, grazie a risorse aggiuntive provenienti dal Fondo per le Politiche giovanili a carico del bilancio dello Stato, è stato possibile finanziare progetti aggiuntivi sempre nell'ambito di attività tipiche di Gioventù in Azione.Cosa è stato fatto dall'Ang nei sette anni appena conclusi con il budget a disposizione?I progetti finanziati dall'Agenzia nel corso del programma Gioventù in Azione 2007-2013 sono oltre 3mila, di questi più di 700 nel 2013. C'è da considerare che l'Agenzia ha iniziato la sua piena operatività solo alla fine del 2007 e che negli ultimi anni il numero di proposte progettuali presentate e approvate ha fatto registrare un forte incremento. Tra progetti già realizzati e quelli in procinto di esserlo sono oltre 50mila i giovani tra i tredici e i trent'anni coinvolti. Bisogna tener conto del fatto che la struttura solo nel 2010 ha consolidato la propria realtà organizzativa. In questi anni, oltre alla gestione del programma Gioventù in Azione, sono state realizzate anche diverse altre iniziative nell'ambito dei compiti istituzionali e in linea con priorità europee per il target di riferimento, tra queste: il NMC - Meeting mondiale dei Giovani; il TNT - Festival dei Giovani Talenti; il progetto Safari Job in collaborazione con Inps, Eurodesk, Web Radio; il SIIG - Sistema Informativo degli InformaGiovani; la Settimana Europea dei Giovani.Quale sarà il budget per i sette anni a venire, 2014 - 2020?Il regolamento istitutivo del programma Erasmus+, che dispiegherà i propri effetti nel periodo dal 1 gennaio 2014 al 31 dicembre 2020, è stato pubblicato un paio di settimane fa sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea e prevede lo stanziamento di un ammontare di risorse finanziarie pari a oltre 14,5 miliardi di euro di cui il 10% dedicato al finanziamento di progetti per la gioventù, con un incremento di oltre il 65% rispetto al precedente settennio. Per il 2014 all'Italia spettano circa 120 milioni di euro per l'intero programma - che viene gestito da Ang, Isfol e Indire - di cui oltre 12 milioni per il "capitolo Gioventù". Secondo quanto previsto dal quadro finanziario pluriennale dell'Ue, il livello di fondi da utilizzare sarà pressoché costante nel periodo 2014-2016 e registrerà un incremento deciso a decorrere dal 2017 e fino al 2020. In più, grazie alle sinergie che l'Ang è chiamata a realizzare con altri interlocutori a livello nazionale ed internazionale, le risorse a disposizione potranno ulteriormente aumentare, sia grazie all'approccio cross-settoriale che i progetti di Erasmus+ dovranno necessariamente avere, sia grazie ai cofinanziamenti con altre fonti finanziarie interne, pubbliche e private, ed internazionali: fondi strutturali, fondi di coesione, altri fondi pubblici e privati che i principi cui si ispira il regolamento del nuovo programma esortano a ricercare ed a porre in atto. Noi faremo la nostra parte, speriamo di trovare buona volontà e la predisposizione di tutti a collaborare.Quali sono le azioni sulle quali vuoi puntare l'azione dell'Ang sotto la tua direzione generale?Innanzitutto bisogna partire da un confronto con la ministra Kyenge che è competente per delega. Ho diverse idee e proposte ma penso che sia un passaggio di correttezza oltre che di sostanza, anche perchè ho già avuto modo di appurare da parte della ministra una attenzione davvero forte verso la realtà giovanile. Posso dire che va allargato il ventaglio delle attività realizzate dall'Agenzia, con collaborazioni e sinergie con  tutte le istituzioni a tutti i livelli ed enti pubblici e soggetti privati, saranno fondamentali per poter consentire all'Agenzia di fare un ulteriore salto di qualità nel panorama delle politiche giovanili e delle politiche pubbliche e iniziative in favore delle giovani generazioni a livello nazionale e comunitario. L'implementazione del Programma Erasmus+ potrà sicuramente costituire lo zoccolo duro su cui impostare una nuova strategia dell'Agenzia come strumento utile per le nuove generazioni, sia tra i più giovani sia tra quanti si trovano nel difficile periodo di transizione tra istruzione e lavoro. L'Ang dovrà rivolgersi ai Neet, cioè i giovani che non lavorano, non studiano e non si stanno formando, provando a dare loro strumenti in più per acquisire nuove competenze legate all'educazione non formale in modo da poter costruire il proprio curriculum in modo nuovo, solido e competitivo come già avviene per i giovani di molti altri paesi europei. Obiettivi che potrebbero essere utili per incrementare il livello di occupabilità e che dovrebbero essere perseguiti sia attraverso l'implementazione di Erasmus+ sia attraverso le sinergie che l'Ang potrà mettere in atto. Nel programma di lavoro che l'Agenzia sta ultimando in questi giorni e che presenterà a breve alla Commissione europea è prevista l'articolazione delle nostre attività in obiettivi a ciascuno dei quali sono legati specifici indicatori di performance ai quali sono stati attribuiti valori da raggiungere sia nel breve sia nel medio-lungo periodo.Per statuto l'Ang deve promuovere la cittadinanza attiva dei giovani, e in particolare la loro cittadinanza europea. Ma in questo momento di forte euroscetticismo i giovani italiani hanno più fiducia o risentimento nei confronti dell'Europa?Io penso che i giovani abbiano più fiducia. Più fiducia di quella che hanno le altre generazioni: sono la parte di popolazione che ha vissuto e vive nel concreto l'Ue. I vantaggi ed il cambio di vita quotidiano che ha determinato, basti pensare all'Erasmus per gli studenti, alla mobilità per il lavoro, alle occasioni di "vivere" le grandi capitali con concerti, mostre e appuntamenti, esperienze che solo diversi anni fa erano da programmare con largo anticipo e che invece oggi, proprio grazie a strumenti e occasioni generate anche dell'Ue, sono all'ordine di ogni giorno. Si tratta delle prime generazioni che hanno conosciuto l'euro come sola moneta; che non hanno soltanto studiato l'Europa ma la vivono direttamente e concretamente.L'Ang si occuperà, sotto la tua direzione generale, anche dei talenti in fuga? Quali sono i punti focali che vedi in questo fenomeno?Pensare globale, agire locale. L'espressione è nota ma penso che aiuti a capire che tipo di impostazione dobbiamo tenere: avere uno sguardo largo sul globale e su ciò che accade nel mondo coinvolgendo i giovani che oggi giustamente si muovono in una dimensione che supera i confini e contemporaneamente determnare condizioni e iniziative perchè il livello locale di ciascuno sia quello in cui ciascuno trovi la propria dimensione concreta. In Italia o meno che sia. Io non sono preoccupato della fuga dei cervelli - in alcuni casi non è un male - quanto del fatto che poi l'Italia possa e debba valorizzare questo patrimonio di risorse umane.L'Ang deve anche occuparsi di stimolare il dialogo tra il mondo giovanile, quello istituzionale e quello delle rappresentanze sociali. Vi occuperete di Youth Guarantee? La Youth Guarantee è uno strumento dalla portata molto ampia: nel nostro Paese il ministero del Lavoro è considerato il centro di competenza primario per l'attuazione di questo strumento. Come previsto dal regolamento istitutivo di Erasmus+ noi seguiremo, insieme alle altre Agenzie, l'attività di promozione e informazione su quella parte di Youth Guarantee che si occupa delle "garanzie finanziarie" per i giovani. Si tratta cioè di fornire strumenti e garanzie per i prestiti a studenti che frequentano corsi di secondo livello, cioè master. Tutti gli studenti di ciascun Paese membro dovranno accedere a questo strumento in modo coerente e non discriminatorio. Sono certo che per realizzare concretamente l'obiettivo ed un servizio ai più giovani, anche grazie all'utilizzo della Youth Guarantee, sarà indispensabile un lavoro di gruppo che coinvolga una molteplicità di attori e rendere efficace ed efficiente la collaborazione già in atto tra istituzioni nel nostro Paese. Più in generale penso che diverse realtà istituzionali e rappresentanze sindacali oggi siano forse al punto di maggior distacco dalle nuove generazioni, rispetto a ciò l'Agenzia dovrà attivarsi per provare a mutare questa situazione ed aumentare il dialogo che non sia però solo qualcosa di formale ma che abbia sostanza e partecipazione.L'Ang si compone di un "Board of directors" e da un "Board of statutory auditors": come sono scelti e qual è l'operatività di questi board?Per un'informazione più completa dico subito che sul sito dell'Agenzia ci sono le descrizioni di tutte le funzioni e le attività di ciascun ruolo, anche in inglese considerato che il contesto di riferimento è quello europeo. Gli organi collegiali dell'Agenzia sono il Board of Statutory Auditors, cioè il Collegio dei revisori e il Board of Directors, cioè il Comitato direttivo. Le norme di funzionamento e i criteri di composizione dei due organi sono direttamente previsti dallo Statuto. In particolare il Collegio dei revisori si occupa dei controlli di regolarità amministrativa e contabile, vigila sulla legittimità e correttezza dell'azione amministrativa, esamina il budget ed il bilancio di esercizio dell'Agenzia. È composto da tre membri, di cui uno designato dal ministero dell'economia con funzioni di presidente; gli altri componenti del collegio sono nominati dal ministero vigilante scelti tra gli iscritti all'albo dei revisori dei conti. Il Comitato direttivo è un organo consultivo che coadiuva il direttore generale e svolge ulteriori funzioni; è composto da tre membri nominati anche questi con decreto del ministro vigilante e scelti tra i dirigenti dell'Agenzia o persone con comprovata esperienza e professionalità nel settore delle politiche giovanili.Il "Board of directors" è attualmente formato da due uomini (Andrea Chirico e Alberto Ribolla) e il "Board of statutory auditors" da tre uomini (Pietro Floriddia, Giovanni Battista Provenzano, Leonardo Quagliata). Nella tua qualità di direttore generale potrai agire per riportare un po' di equità di genere in questi board, o la scelta dei componenti non ha a che fare col tuo ruolo?Come dicevo, la nomina del Collegio dei revisori e del Comitato direttivo è di spettanza del ministro vigilante. Proprio per l'attenzione che so che la ministra Kyenge dedica alla parità di genere immagino che, alla naturale scadenza e nel momento in cui gli organi verranno rinnovati, nell'identificare i nuovi componenti verrà data attenzione a questa tematica nel rispetto di quanto previsto da Statuto e regolamenti dell'Agenzia. Personalmente ho anche l'auspicio che tante ragazze e giovani donne sappiano coinvolgersi nelle attività e nei programmi dell'Agenzia: non si tratta solo di essere presenti nei ruoli di responsabilità ma anche di avere una presenza nel quotidiano di quanto realizziamo e realizzeremo ed esserne protagoniste.Il tuo predecessore è Paolo Di Caro: quali sono gli elementi di continuità che vuoi caratterizzino il tuo mandato rispetto al suo, e quali invece le innovazioni che vuoi portare?Conosco Paolo Di Caro, ha gestito l'Agenzia in una fase importante, la continuità con lui starà nello spirito con cui si è impegnato: al massimo. L'innovazione sarà principalmente legata alla mission complessiva della struttura: andare oltre e diventare soggetto istituzionale delle giovani generazioni, interlocutore da un lato e di proposta dall'altro.Fece scalpore qualche anno fa la pubblicazione dello stipendio di Di Caro in quanto direttore generale dell'Ang: 101mila euro lordi all'anno. Anche tu riceverai questa retribuzione? Pensi di decurtarla o di utilizzarne una parte per qualche progetto in particolare?Per qualcuno sarà una sorpresa ma momento in cui rispondo a questa intervista non so quanto sarà l'importo: non è mai stato oggetto di discussione o trattativa. So che, per legge non stabilita da me, è prevista una indennità. Con molta malafede, scarse informazioni e obiettivi che poco hanno a che fare con l'Agenzia, qualcuno ha fatto circolare cifre e sparato numeri ed altre notizie sbagliate senza verificare o informarsi. Per parte mia indipendentemente da quello che sarà il quantum ho chiesto agli uffici se c'è la possibilità di aumentare al massimo la parte legata ai risultati che si raggiungono ed essere misurato su quelli; oppure se sia possibile destimare in modo automatico e con un meccanismo lecito, una quota a qualche progetto sensibile o speciale. Parliamo di tecnicismi che poco conosco e che stanno dentro leggi e vincoli dovuti a norme di settore e contratto collettivo di lavoro a cui le strutture pubbliche devono attenersi e tenerne conto. Preferisco capire bene prima di sbilancirmi a facili enunciazioni che poi non posso realizzare non per mia volontà.Quale è e quale sarà il rapporto dell'Ang con il Forum nazionale dei giovani?Penso buono, spero buono. So che già oggi lo è, per parte mia farò di tutto per intensificarlo così come anche con tutte le realtà rappresentative di interessi, passioni, aspettative e problematiche delle nuove generazioni."Giovani" è un termine molto generico e molto dibattuto, negli ultimi tempi. Secondo la tua interpretazione, quale deve essere la fascia anagrafica di età dei giovani, e dunque delle iniziative a loro dedicate? 15-24 come suggerisce l'Europa? Oppure fino ai 30, o ai 35?La realtà in cui viviamo e operiamo ha per tanti motivi "allungato" di fatto l'età giovanile. La fascia indicata dall'Europa che pure è "giusta" non tiene conto delle condizioni di contesto in cui si trovano le nuove generazioni e noi oggi dobbiamo essere a sostegno di tutti. Spesso si smette di essere giovani in funzione di regole e condizioni economico-sociali; quello che sono oggi "i giovani" è diverso da quello che erano dieci anni fa o quando sono stati indicati alcuni parametri. Noi dobbiamo fare la nostra parte per cambiare regole, convenzioni, condizione economiche e sociali che hanno allungato l'età dei giovani.Quali sono le priorità che oggi, come neo direttore generale dell'Ang, individui per i giovani italiani?Non è facile rispondere a questa domanda, essere giovani non significa stare in una categoria ma vivere una fase della vita: essi non sono un gruppo statico ma una realtà dinamica, per questo le priorità sono diverse. In generale direi che sui giovani si investe poco; è questa forse la priorità principale da mettere all'altezza degli occhi. Investire su loro sia come soggetti singoli - per esempio con la formazione - sia come realtà collettiva; sulla loro fantasia, sulle capacità da affinare e mettere in campo e più in generale sulle loro aspettative e potenziale che se realizzati rendono migliori i singoli e ci aiutano a rendere migliore anche il nostro Paese. La priorità dovrebbe essere quella di offrire pari condizioni di partenza, di informazione, di formazione, di occasioni per tutti. Ripeto, non di arrivo ma di partenza: poi ciscuno in base alle proprie capacità ed a quello che è in grado di realizzare deve giocarsi la propria partita nella vita e fare il meglio per se stesso puntando in alto. Non individualismo esasperato ma un sano protagonismo dei singoli, troppe volte penalizzati proprio dalla mancanza di condizioni di partenza paritarie.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Comuni, trattate bene i vostri tirocinanti: Anci Giovane e Repubblica degli Stagisti lanciano le linee guida per la formazione di qualità negli enti localiE anche:- Safari Job, luci e ombre dei tirocini riservati ai figli dei dipendenti pubblici

Ichino sui "500 giovani per la cultura": «Il ministero non finga uno stage quando in realtà si tratta di rapporti di lavoro»

Nei giorni scorsi è scoppiata la polemica intorno al progetto "Cinquecento giovani per la cultura" attraverso cui il ministero dei Beni culturali vorrebbe reclutare, a seguito di un bando pubblico, 500 laureati under 35 da impiegare per un anno in attività essenziali per la tutela e la riqualificazione del patrimonio archeologico italiano: inventariazione, catalogazione e digitalizzazione di siti e opere. Peccato però che per questa collaborazione i 500 prescelti non verrebbero assunti con un vero e proprio contratto, ma inquadrati come "in formazione": cioè come stagisti. Ne consegue che non riceverebbero nemmeno una retribuzione con annessi contributi previdenziali, bensì solamente una indennità (tipica appunto dei tirocini), dell'ammontare di 5mila euro lordi per i 12 mesi. Considerando che da bando l'impegno richiesto inizialmente era tra le 30 e le 35 ore settimanali, cioè, ai partecipanti sarebbero venuti in tasca solamente 3 euro al giorno. Ma è dell'ultim'ora un dietrofront del ministero, che giusto ieri ha pubblicato sul proprio sito un decreto direttoriale in cui l'impegno viene drasticamente ridotto: ora si parla di un «monte ore annuo complessivo di 600 ore», equivalenti a 50 ore al mese. Circa 12-13 ore dunque a settimana.Intanto la Repubblica degli Stagisti ha chiesto a Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta Civica, un commento sul progetto e sopratutto qualche suggerimento al ministro Bray per riportarlo in carreggiata, evitando la deriva della "opportunità al ribasso" per i giovani. Professor Ichino, cosa pensa della iniziativa “500 giovani per la cultura”?Ne penso bene, ma a condizione che venga ingegnerizzata in un altro modo. Potrebbe essere un primo esempio di abbattimento del muro che separa la grande domanda di lavoro per servizi latente nel nostro Paese dalla grande offerta. Ma non lo si fa fingendo un corso di formazione quando in realtà occorre un rapporto di lavoro.Come si dovrebbe fare, invece?Si dovrebbero attivare delle forme di collaborazione di utilità pubblica o sociale, liberate dalle rigidità proprie del vecchio impiego pubblico. Nel mio progetto di Codice semplificato del lavoro ne ho proposto un esempio con i nuovi articoli 2131 e 2132: una Regione o un ente locale ingaggia con contratto di collaborazione continuativa e invia in missione presso il soggetto che ha necessità temporanea del servizio, il quale copre una parte del costo, senza vincoli di stabilità né un rigido standard minimo da rispettare. Però almeno si chiama il lavoro con il suo nome.Perché il ministero organizza un programma di 500 stage evitando di chiamarli stage? Disattenzione o tentativo di dissimulazione?Un pizzico di insipienza tecnica, un pizzico di ipocrisia. Il fatto è che lo stage ha un senso come strumento nella fase di transizione dalla scuola al lavoro, a condizione che esso sia concepito e organizzato prioritariamente in funzione dell’interesse del giovane stagista. Qui, invece, l’iniziativa si pone principalmente in funzione dell’interesse pubblico a un servizio qualificato. Lo strumento contrattuale deve essere adeguato a questa funzione effettiva.La prima versione del bando proponeva ad archeologi, archivisti, biblioteconomi anche ultra trentenni un anno di formazione con un compenso di poco superiore ai 400 euro lordi mensili a fronte di un impegno di circa 32 ore settimanali. Ora una seconda versione, tenendo fermo l'inquadramento come "in formazione", ha ridotto di addirittura due terzi l'impegno richiesto, portandolo a un "monte ore annuo complessivo di 600 ore",  vale a dire circa 12 ore settimanali. Che senso ha questo balletto di monte ore? Il senso è evidentemente quello di migliorare la congruità dell’indennizzo rispetto all’orario di lavoro. Forse con una strizzata d’occhio ai giovani interessati, come per dire: “se poi invece di 600 ore ne lavorerai di fatto tre volte tanto, noi non ci offendiamo”.Vede qualche aspetto di analogia con il famigerato caso dei superstage negli enti pubblici calabresi, che dal 2009 si trascina ancora adesso?A ben vedere no, perché lì si è trattato e tuttora si tratta di assistenzialismo puro.Davvero  il ministero non potrebbe procedere con l'utilizzo di forme contrattuali più serie, magari riducendo un po' il numero degli inserimenti? Non c'è ancora per gli enti pubblici la possibilità di assumere con contratti di formazione - lavoro?Se non si esce dai vecchi schemi dell’impiego pubblico, con tutte le sue rigidità e iper-protezioni, temo che una soluzione non la si troverà mai. L’unica soluzione praticabile in tempi brevi, secondo me, è quella del progetto di cui ho parlato sopra.È corretto dal punto di vista della normativa sulle assunzioni negli enti pubblici ciò che il ministro ha prospettato per quanto riguarda il prosieguo di questa iniziativa per i più meritevoli? Cioè: il ministero nel 2015 potrebbe davvero decidere una serie di criteri sulla base dei quali selezionare un certo numero di ex partecipanti e immetterli in ruolo, senza bisogno di un ulteriore concorso? Oppure una prospettiva del genere ha già in sé il germe dei ricorsi?Nulla vieta di pensare a futuri concorsi, nei quali l’avvenuto svolgimento di una collaborazione fuori ruolo costituisca titolo per un punteggio differenziale.Cosa  si potrebbe fare, secondo lei e Scelta civica, per rilanciare l'occupazione nel campo della cultura e in particolare della archeologia e della conservazione dei beni culturali?La cosa più importante sarebbe uno sforzo di progettazione strategica e l’attivazione di strumenti capaci di attrarre su questo terreno risorse private, essendo purtroppo chiara, almeno nell’immediato, l’insufficienza di quelle pubbliche. In attesa che questo piano determini la possibilità di incrementare fortemente la domanda di lavoro in questo settore secondo le forme ordinarie, occorre adottare misure come quelle delineate nel progetto di cui ho parlato prima, per rendere possibile un incontro tra domanda di servizi e offerta, altrimenti impossibile. Ma va detto che l’offerta disponibile non è solo quella giovanile.A cosa  si riferisce?Anche tra i cinquanta-sessantenni e le donne di tutte le età esiste una riserva di cervelli e bracci colossale, oggi inutilizzata, che occorre valorizzare.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Gli archeologi insorgono: «Stage di 12 mesi a 3 euro all'ora, il bando del ministero "500 giovani per la cultura" è inaccettabile»

Blocco delle candidature al bando di stage per Neet, il ministero: «Troppi accessi, non ce lo aspettavamo»

Giovani aspiranti stagisti che non riescono a candidarsi a un bando pubblico appena aperto che promette 3mila tirocini pagati (dallo Stato) 500 euro al mese, e che affollano i social network in cerca spasmodica di indirizzi mail e numeri di telefono a cui chiedere informazioni. Un sito ministeriale che diventa irraggiungibile. La rabbia che fa esplodere ogni genere di dichiarazione e dall'altra parte una calma (forse troppa) attività per riparare i guasti e far ripartire il sistema. Ė la cronaca dei primi giorni di candidatura per il progetto Neet destinato ai giovani laureati disoccupati e inoccupati tra i 24 e i 35 anni di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Dopo tanta rabbia il sistema è tornato per quasi tutti alla normalità. Per capire quali siano stati i problemi delle ultime 48 ore la Repubblica degli Stagisti ha intervistato Grazia Strano, 50 anni, direttore generale mercato del lavoro del Ministero del Lavoro.  Cosa è successo? Ė crollato tutto: viaggiavamo su un portale con un valore medio di visite giornaliere di 8327 e siamo passati a 67488 visite che hanno fatto scoppiare qualsiasi cosa. La causa è stato un accesso al portale molto forte perché, nonostante le nostre comunicazioni, si è creata un'aspettativa da clicday che in realtà il bando non ha. Non è che se ti prenoti prima hai sicuramente il tirocinio. Anzi le aziende continuano ancora a inserire i tirocini, c'è tempo fino al 31 dicembre. Probabilmente la situazione dal punto di vista sociale abbastanza difficoltosa ha creato questo effetto clicday. Addirittura siamo arrivati a un momento vicino mezzogiorno in cui c'erano 300 utenti al secondo. Il sito ora sembra funzionare ma c'è ancora chi ha problemi nel caricamento del curriculum, come mai?Stiamo monitorando la situazione e rispondendo alle domande dei candidati. C'è un problema di cache: quando si fanno delle operazioni su un sito il computer registra delle cache, se ci sono queste il pc non riesce più a fare quelle operazioni. Stamattina una ragazza dell'help desk aveva lo stesso problema, ha provato a togliere le cache, ha rifatto tutto il giro e c'è riuscita. Adesso la procedura sta andando, infatti stiamo rispondendo alle persone di provare a fare questa modifica sulle singole impostazioni personali. Ma il portale non è mai andato così veloce, dal lato tecnologico i malfunzionamenti sono stati tutti rimossi. E stiamo rassicurando che non c'è un clic day, quindi chi si è candidato stamattina non è indietro rispetto a questa notte. C'è questo timore nelle conversazioni facebook, ma non è così. Come mai in questi giorni i giovani scrivevano «nemmeno oggi siamo riusciti ad accedere alla pagina di front office», «ho cliccato nella casella di adesione al progetto Neet ma dopo mi è apparsa la scritta “spiacenti si è verificato un errore”», e a tutte le domande spesso venivano date informazioni con il contagocce e le uniche risposte erano «siete in tanti, portate pazienza» …Le spiego. Ieri pomeriggio, intorno alle 2, il malfunzionamento era dovuto al traffico. Quando abbiamo rimosso tutti i malfunzionamenti, non me la sono sentita di dare una comunicazione diversa da quella. Stamattina invece stanno rispondendo alle persone che hanno problemi direttamente, perché da noi la procedura funziona dappertutto: simuliamo l'attività e da noi funziona. Quante persone lavorano sul progetto Neet dentro Cliclavoro tra redattori, programmatori etc? In redazione ci sono cinque persone e un programmatore.Il ministero vuole dire qualcosa ai giovani coinvolti in questo disservizio? Avremo un incontro nel pomeriggio e decideremo se fare un comunicato. Al momento la cosa che mi sento di dire è di rassicurare che il malfunzionamento c'è stato, dovuto a un sovraccarico di natura tecnologica. Ma non c'è nessuna graduatoria di precedenza per cui sia i ragazzi sia le aziende continueranno a candidarsi, quindi il progetto procede nel tempo e cercheremo costantemente di interagire con tutte le persone che hanno problemi.Avete avuto problemi simili per altri progetti così importanti?Al portale è la prima volta che capita. Ma c'è stato un effetto annuncio che ha provocato un escalation di cui non siamo stati consapevoli. Effettivamente non avevamo percepito l'effetto annuncio, perché si sviluppava in un arco di tempo molto vasto, tanto è vero che per le aziende non è successo. Ci sono state 5mila candidature diluite nel tempo, non c'è stato il clicday delle aziende che hanno cliccato tutte insieme.Ha parlato di oltre 67mila accessi, ma quanti avevate preventivato di ottenere all’apertura del bando?Avevamo il numero delle candidature delle aziende e quando abbiamo visto che non c'era stato nessuno scossone, non ci siamo allarmati. Il 23 non appena abbiamo avuto il primo malfunzionamento, nonostante nelle pubbliche amministrazioni non sia facile intervenire, siamo comunque riusciti a implementare la server farm. Tanto è vero che dal 25 sera il portale già andava velocissimo. Chi aveva fatto queste stime di accesso? La direzione generale, me ne prendo personalmente la responsabilità.Perché in più di 48 ore non sono riusciti a risolvere il problema?Il problema è stato completamente risolto da un punto di vista tecnologico. Probabilmente sono problemi personali, perché la procedura a noi funziona. Il ministero prenderà provvedimenti nei confronti dei responsabili di questo disservizio? Il ministero sta facendo un'analisi tecnica per capire se ci sono responsabilità rispetto ai livelli di servizio che avevamo previsto nei contratti. In quel caso saranno previste le penali e prenderemo dei provvedimenti. L'analisi interna è stata già avviata la sera stessa del malfunzionamento. Nelle pochissime risposte che venivano date sulla pagina facebook o twitter di Cliclavoro si ricordava sempre ai giovani che “non c’era fretta nella registrazione”: ma invece la Cgil Sicilia denuncia che ci sono state aziende che in due giorni hanno già fatto i colloqui e scelto i tirocinanti. E' vero? E se sì, com'è possibile?Che è vero lo so quanto lei, dai giornali. Stiamo cercando di verificare, se ciò fosse vero prenderemo gli opportuni provvedimenti. Stiamo valutando anche con Italia Lavoro e con gli organi di vigilanza per capire qual è l'eventuale sanzione applicabile.Chi è che ha deciso di usare Cliclavoro per queste candidature? Era già stato usato per bandi simili? Il portale  è sempre stato utilizzato per ricevere le candidature, l'anno scorso è stato utilizzato per quelle del progetto Job of my life. E' uno degli scopi del portale che mette a disposizione i servizi per l'incontro tra domanda e offerta.E Italia Lavoro paga un obolo a Cliclavoro per questa prestazione? No, non c'entra niente, Cliclavoro è un servizio gestito dal ministero del lavoro, Italia lavoro è la nostra agenzia che ci supporta nel fare incontrare la domanda e l'offerta di tirocini.Essendo un bando pubblico, non sarebbe stato più corretto bloccare tutto, controllare l’efficienza del sistema, e riaprire le candidature solo quando poteva essere accessibile a tutti evitando discriminazioni?Ci siamo posti anche questa problematica, non la riteniamo almeno ad oggi opportuna anche perché non ci sono problemi di precedenza. Seimila cittadini hanno aderito al progetto, che va avanti fino al 31 dicembre, se ci fosse stato il clicday, io stessa l'avrei interrotto perché se non posso permettere allo stesso tempo a tutti di candidarsi è chiaro, ma visto che non c'è questa problematica ad oggi non lo riteniamo opportuno.E nel caso in cui dovessero arrivare altre denunce come quella avanzata da Cgil Sicilia?Allora valuteremo in questi giorni.Marianna Lepore Per saperne di più leggi anche:- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?- Tirocini per laureati, Cliclavoro in down per i troppi accessi: non si parte proprio col piede giusto...- Emergenza Neet, all’Europa i giovani che non studiano e non lavorano costano 2 miliardi di euro a settimana