Categoria: Interviste

Ti pago in nero o “in visibilità”, anche no: una cooperativa contrasta le storture del mondo dei freelance

Dieci anni fa ha deciso di fare fagotto della sua laurea specialistica in relazioni internazionali e di lasciare l'Italia, destinazione Bruxelles. Lì Chiara Faini, classe 1982, è approdata a SMart, una cooperativa nata in Belgio con lo scopo di aiutare artisti e freelance a rendersi autonomi nel proprio lavoro tramite servizi di contrattualizzazione e garanzie di pagamento, oggi presente in diversi Paesi europei. Nel 2015, dopo quattro anni trascorsi come project manager, Chiara è stata incaricata di portare SMart in Italia e così è tornata a vivere qui, tra le sedi di Milano e Roma, per esportare il modello belga nel suo stesso Paese. La Repubblica degli Stagisti l'ha incontrata per farsi raccontare dei risultati raggiunti finora; oggi, dalle 10 alle 13, il team sarà alla Fondazione Feltrinelli di Milano per partecipare ad una tavola rotonda a tema "Il nuovo lavoro autonomo e la rappresentanza moderna".   SMart offre sostegno ad artisti e freelance di ogni genere fornendo le tutele del lavoro dipendente, ma consentendo l'autonomia del lavoro in proprio. Il format si sta rivelando vincente anche da noi, ma quali sono le difficoltà del meccanismo?In Italia c’è una frammentazione degli strumenti contrattuali che rende il nostro lavoro più  complicato, perché qui ci sono otto tipologie diverse di contratto a fronte di 600 affiliati, mentre in Belgio, ad esempio, per 72mila iscritti ce ne sono solo due. Inoltre, c’è un problema di mancato riconoscimento della professionalità dei lavoratori a cui ci rivolgiamo, così l'economia informale, il lavoro nero, il fenomeno del “ti pago in visibilità” e del “poi ci mettiamo d’accordo” fanno sì che queste persone abbiano più difficoltà a lavorare in maniera professionale. C’è anche tanta sfiducia nei confronti del sistema, perché le persone faticano a convincersi che dichiarando il proprio lavoro e pagando tasse e contributi stiano al tempo stesso facendo qualcosa per tutelarsi. A livello di progetto, poi, c’è una normale questione di crescita e di sviluppo degli strumenti di gestione.SMart collabora con diverse realtà nel panorama artistico e professionale dei lavoratori autonomi, tra cui Acta, l'associazione nazionale dei freelance. Com'è il vostro rapporto con loro?Con Acta combiattiamo la stessa battaglia. C’è una simbiosi a livello di progettualità politica, perché loro si occupano a livello lobbistico di battaglie in termini di diritti e del riconoscimento di nuove forme di lavoro, mentre SMart lo fa in un approccio più pratico. Insieme organizziamo sportelli dove eroghiamo diversi tipi di informazioni e di servizi agli artisti, cerchiamo di organizzare e presenziare ad eventi e di sostenerci l’un l’altro.In Belgio, SMart ha segnato una svolta significativa nel trattamento dei bikers, i fattorini in bicicletta, che notoriamente godono di tutele bassissime...Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 a Bruxelles ne sono arrivati qualche centinaio chiedendo di lavorare con noi, ma li pagavano così poco che non sapevamo cosa fare. Quando il numero è aumentato, però, ci siamo interfacciati con i due principali committenti belgi, Deliveroo e TakeItEasy, proponendo loro di gestire questi lavoratori attraverso una piattaforma online che consentiva una serie di semplificazioni nella gestione pratica dei fattorini. In cambio, sono stati introdotti uno stipendio orario invece che a chiamata, la regola della durata minima del turno di 3 ore e alcune assicurazioni complementari sugli strumenti di lavoro di queste persone, come il telefono e la bici. Ad ora, SMart ne gestisce oltre 500 in Belgio, e inoltre ha contribuito al pagamento degli stipendi e dei contributi di molti di loro quando una di queste aziende è fallita, coprendo un valore di 350mila euro.In Italia si sono presentate situazioni simili?Di recente siamo stati recentemente contattati da un gruppo di una ventina di ciclisti che vorrebbero gestirsi in maniera autonoma, ma non sappiamo ancora se lavoreremo con loro. Sicuramente, comunque, ci fa piacere essere stati intercettati anche da figure al di fuori del settore dello spettacolo dal vivo. SMart è nata per gli artisti, ma la sua forza è quella di rivolgersi ad un “nuovo modo di lavorare”, indipendentemente dal settore specifico, e quindi di tutelare una classe di lavoratori crescente.A breve sposterete la sede di Milano alla Fabbrica del Vapore: che cosa bolle in pentola?Sicuramente il trasferimento della sede di Milano è un grosso passaggio per noi in termini strategici, sia perché programmiamo di strutturare uno sportello multidisciplinare per i nostri soci, allargando la nostra collaborazione con le realtà presenti su Milano, sia perché Fabbrica del Vapore è un contesto di grande fermento culturale che ci posiziona al centro di tanti progetti. In più, collaboriamo con la Festa della Musica di Torino, abbiamo una partnership importante con Artisti 7607, che si occupano di tutela dell'immagine degli artisti, e puntiamo a far crescere l'aspetto della formazione su temi come il diritto d'autore e la negoziazione dei propri prezzi. Il prossimo evento in programma, il 13 e 14 maggio, sarà una formazione di crowdfunding culturale organizzata presso Mare Culturale Urbano, dove si parlerà degli ingredienti essenziali in una campagna, dai social network al budgeting. Intervista di Irene Dominioni

«Saltate senza paura e siate resilienti», un consiglio ai giovani

«Pensa alla vita come ad un carrello della spesa: tu arrivi al supermercato con la lista, ma a volte ti dimentichi qualcosa di cui invece hai bisogno, e torni indietro. Altre volte butti dentro una cosa per un meccanismo di acquisto compulsivo, perché sei affamato o goloso. Ci sono poi gli acquisti “inutili” mentre sei in coda alla cassa, oppure le cose che ti ritrovi nel carrello per un errore del vicino e che tu invece non compreresti mai». Questa è la metafora con cui Francesca Maria Montemagno definisce la resilienza, quell'elasticità che consente di “assorbire gli urti senza rompersi”, di superare i periodi di difficoltà della vita e caratteristica fondamentale per muoversi al meglio nel mondo del lavoro. Montemagno, 42 anni, imprenditrice ed esperta di comunicazione, è una campionessa in questo campo e per questo la Repubblica degli Stagisti l'ha intervistata, raccogliendo qualche prezioso consiglio da dare ai giovani sul tema del lavoro e del futuro. Di recente, Montemagno ha partecipato al dibattito “Future Uploading” sul tema del futuro e dell'innovazione, discutendo i takeout di Davos 2017 insieme a Paolo Gallo, HR director del World Economic Forum. Dopo un'esperienza di 15 anni nel campo della comunicazione aziendale e del marketing, dal 2012 Montemagno si occupa di Smartive, società che ha contribuito a fondare,  dedicata ad accompagnare le aziende nei propri percorsi di trasformazione digitale. È presidente dell’associazione Pari o Dispare, influencer per Oxfam Italia e consulente nei  progetti di open data dell’assessorato alla Partecipazione del Comune di Milano. C’è un risultato di cui va più fiera?Probabilmente l'idea di aver fatto qualcosa che a distanza di anni viene considerato valido, basato non solo sulla competenza ma anche sul sentire che la accompagna. E il mio percorso oncologico: sono riuscita a conciliare la mia crescita con un incarico impegnativo, e tutto quello che ho vissuto in quel periodo è qualcosa che mi ha portato a quello che ho oggi.Non sono pochi i giovani scoraggiati, quelli che tendono a lasciarsi andare per la difficoltà di trovare lavoro e rischiano di avere più difficoltà a rialzarsi dopo una caduta. La resilienza si può imparare?Sicuramente ci sono persone che hanno una più naturale attitudine, ma secondo me si può imparare. Se tu affronti la difficoltà, l'imprevisto, come qualcosa che può capitare, a quel punto sei più predisposto a mettere in campo le energie per superarlo. Ma davanti all’ennesimo “no” bisogna fermarsi e pensare se si è sbagliato qualcosa. A volte si arriva ai colloqui con dei preconcetti sbagliati, oppure si affrontano uno dietro l'altro senza metterci un'anima, ma secondo me devi credere che, con un po' di intelligenza e volendo una cosa, ci possano essere gli spazi. D’altro canto, anche il tessuto aziendale fa fatica ad avere una bussola. Le aziende più illuminate, oggi, sono quelle che hanno messo le persone in una posizione centrale e si distinguono nell'acquisizione dei talenti. Bisognerebbe andare a cercare quel tipo di struttura aziendale, che permette non solo di inserirsi ma anche di creare un'aspettativa di crescita, perché non si tratta soltanto di conquistarsi un lavoro.Tanti giovani collezionano esperienze lavorative diversissime tra loro, vuoi per difficoltà di trovare un impiego e precarietà, vuoi perché in fondo ciascuno procede per tentativi nella costruzione del proprio percorso professionale. Come si fa a costruire un puzzle a partire da tutti questi pezzi, valorizzando la diversità delle esperienze, senza lasciarle scollegate tra loro?A volte non si riesce, e a quel punto bisogna avere il coraggio di fermarsi. Non si nasce direttore di funzione o “head of”, lo si diventa, e per farlo certe esperienze bisogna portarle a casa. Quando vedo ragazzi che si fanno grandi problemi ad apportare il cambiamento e a seguire un’attitudine, mi viene da sorridere. Tra i 25 e i 30 anni i salti si devono fare, ci si deve concedere il lusso di poter cambiare e di non precludersi, perché l’opportunità arriva oggi. La realtà può portare a compiere scelte non sempre coerenti, ma si deve cercare di alimentare un percorso mantenendo fede all’obiettivo e a una certa qualità. Mi auguro anche che chi si occupa di selezione possa iniziare a valutare l'importanza della versatilità della persona, che all’estero è molto apprezzata. Una volta, chi si occupava di risorse umane lo faceva in aziende dove si offrivano posizioni a tempo indeterminato: ecco, se oggi chi affronta il colloquio e il cambiamento lavorativo deve mostrarsi flessibile, forse altrettanto dovrebbero fare le persone preposte alla selezione.Tra i tanti fattori che possono condizionare il percorso di una persona, a volte ci sono anche i problemi personali. Nel Forum della RdS, qualcuno ha chiesto se sia opportuno parlarne neo colloqui: può servire a motivare determinate scelte di studio o lavorative o a motivare interruzioni o periodi di pausa?Va fatto con sobrietà. È giusto segnalare un evento che ha portato a riconsiderare o ha richiesto un rallentamento, ma mantenendosi ad un livello più alto, senza dover condividere sentimenti. Io ho parlato della mia malattia con i miei collaboratori, perché secondo me è giusto che gli altri ti conoscano come persona, altrimenti non dovremmo riportare nient'altro che competenze.Le soft skills sono oggi per un giovane un asset sempre più cruciale, al di là delle competenze tecniche. Esiste un modo per comunicare al meglio se stessi per come si è, senza apparire?Le soft skills sono centrali, perché svolgere un ruolo in azienda richiede una competenza ma sempre di più anche una visione a 360 gradi. Ti aiutano a relazionarti, a cambiare punto di vista, a cogliere i messaggi di persone diverse...dall'altra parte, il miglior personal branding è quello basato su un equilibrio: non mi devo vergognare di comunicare ciò che so fare e ciò che mi viene meglio, ma non bisogna mai scadere nell'auto celebrazione, perché diventa noiosa e non produttiva. È giusto farsi notare e apprezzare, senza aver vergogna di chiedere dello spazio, e mostrare di aver fatto e pensato per ottenerlo. Bisogna avere sicurezza in ciò che si è, senza sconfinare in comportamenti autocelebrativi o presuntuosi. Nel momento in cui ti proponi è perché ti stai mettendo in gioco. Dietro al personal branding deve esserci la sostanza, altrimenti si è solo un personaggio, e quello non arriva da nessuna parte.Per quei giovani che decidono di avviare un’impresa credendo profondamente nel proprio progetto: l’io personale e professionale dovrebbero rimanere distinti o coincidere?Quando fai startup c'è un momento in cui tutte le energie devono essere focalizzate su quell'idea, devi dare il massimo e anche fare qualche rinuncia. Va detto che non è facile,  ma bisogna anche essere capaci di conservare degli interessi, senza perdere il contatto con ciò che ci circonda. L'ecosistema e il network vanno vissuti, ci vuole circolarità.La trasformazione digitale nelle aziende va di pari passo con la diffusione di una "cultura digitale" nella società. Esiste un'opportunità che accomuna questa rivoluzione con la tematica della parità di genere?Se penso a certe aree del Paese o periferie, sicuramente il digitale offre diversi strumenti e l'empowerment viene facilitato. A questo però bisogna unire tanta consapevolezza, perchè altrimenti è facile che possa prendere una piega indesiderata. Io sono convinta che il digitale possa aiutare, che possa offrire delle opportunità di specializzazione e di verticalizzazione per le donne e che possa aiutarle ad avvicinarsi ad ambiti di cui potevano avere poche informazioni.  Anche in termini di campagne di sensibilizzazione può aiutare a lanciarle più facilmente, ma poi viene richiesta consapevolezza, responsabilità e gestione della “propria impronta digitale”. Il digitale moltiplica sia le opportunità sia le criticità e la rete accomuna sia le persone costruttive sia quelle con altre intenzioni.Intervista di Irene Dominioni

Statuto del lavoro autonomo, cosa cambia per i freelance? «Per la prima volta siamo considerati lavoratori»

Il lavoro autonomo si presenta sempre più come alternativa a quello dipendente, soprattutto in Italia. Secondo il 50esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis, riferito ai dati del 2016, su 100 italiani laureati circa 20 svolgono professioni in modo autonomo, contro i 13 della Germania, i 9 della Francia e gli 11 della media europea, e per ogni 100 lavoratori autonomi tra i 15 e i 74 anni, in Italia ci sono 16 professionisti – contro i 14 della Germania, i 12 del Regno Unito e 2 in media in Europa. Se si parla di giovani, poi, secondo gli ultimi dati del 2015 il nostro Paese è in testa alla classifica per quota di lavoratori indipendenti under 35: 941mila italiani, seguiti da 849mila inglesi e solo 528mila tedeschi. Per una fascia di lavoratori che va ingrossandosi sempre più, occorrono quindi nuove e più mirate tutele. Così anche il Senato entro metà aprile dovrebbe dare ufficialmente il via libera allo Statuto del lavoro autonomo, che punta a regolamentare meglio il settore attraverso una serie di importanti interventi, dalla tutela dei tempi di pagamento alla deducibilità delle spese di formazione, l'aumento del periodo di maternità da 3 a 6 mesi, la sospensione dei versamenti previdenziali e l'equiparazione della degenza domiciliare a quella ospedaliera nei casi di malattia grave. La Repubblica degli Stagisti ha intervistato Anna Soru, presidente di Acta, l'associazione nazionale dei freelance, per individuare i punti salienti e le criticità del testo della legge, con particolare riferimento alla condizione giovanile.Siete soddisfatti dello statuto?Noi lo rivendichiamo come un nostro successo perché ha accolto molte delle nostre richieste e perché la sua impostazione riguarda tutto il lavoro autonomo professionale, senza distinzioni tra ordinistico e non ordinistico e tra economicamente dipendente e non. Per la prima volta veniamo considerati dei lavoratori e non dei venditori di servizi, e ciò testimonia un passaggio culturale importante. Si è finalmente accettata l'idea che il lavoratore autonomo è un lavoratore con un potere contrattuale asimmetrico rispetto al committente, e per questo è necessario introdurre anche delle norme di base di tutela. In questo senso va considerata la norma sui tempi di pagamento e soprattutto la norma sulle clausole vessatorie, quelle che permettevano ai due contraenti di accordarsi per tempi di pagamento superiori ai 60 giorni, che da ora non valgono più.Quali sono gli scogli ancora da superare?Se venisse approvato così com'è, lo statuto in ogni caso prevederebbe alcuni miglioramenti sulle tutele, per esempio il passaggio dei congedi parentali da tre ai sei mesi, il fatto che non sarà più necessario astenersi dal lavoro per avere diritto all'indennità di maternità, il fatto che nelle situazioni di malattia grave l'indennità domiciliare viene equiparata a quella ospedaliera, il che significa che è pagata di più e per un periodo di tempo molto più lungo (180 giorni anziché 61), e ancora la possibilità di rinviare i pagamenti dell'Inps sempre in caso di malattia grave. Lo statuto non ha accolto l'emendamento che prevede la delega al governo per aumentare le tutele, quindi alcuni altri provvedimenti non passerebbero subito, però ci sono degli spazi per poter intervenire ulteriormente, sia sulla maternità, sia sulla malattia.Come è stata coinvolta Acta nella discussione per la stesura?Sin dalle prime bozze dello statuto abbiamo dato i nostri pareri e contributi e siamo stati molto ascoltati, anche se non tutto quello che abbiamo chiesto l'abbiamo ottenuto. Per esempio, chiedevamo che nelle cause tra lavoratore e impresa o tra lavoratore e amministrazione intervenisse il rito del lavoro e non il rito ordinario, perché nel caso in cui il committente non paga, per esempio, il rito ordinario è molto più lento e questo rende molto meno efficace la norma, ma la richiesta non è passata. Speriamo di poterci arrivare successivamente, così come anche per alcune nostre richieste sulle tutele che non sono state accolte.Quanto è durato l'iter dello statuto del lavoro autonomo?Possiamo dire che è partito nell'estate del 2015. Anche se è chiaro che questo non risolve tutti i nostri problemi, è un passo avanti molto importante, sia per la nuova impostazione, sia perché ci porta una serie di nuove norme che concretamente potranno migliorare la nostra situazione: mi riferisco a quelle sulle tutele, ma anche a una norma importantissima, che è la deducibilità totale delle spese di formazione. In questo modo si prende atto che per noi gli investimenti principali non sono quelli in attrezzature o capannoni ma quelli in formazione.In Italia c'è un grandissimo numero di lavoratori autonomi giovani: quanti secondo voi si sono dati alla libera professione per scelta e quanti per mancanza di opportunità e per sfiducia?Secondo me c'è una terza categoria, ed è quella di chi non necessariamente sceglie di essere autonomo, ma sceglie un lavoro che può essere svolto solo con modalità autonome: pensiamo a tutte le professioni legate al web, ma anche alcune vecchie professioni, come il traduttore. Sulla base dei dati dell'Istat sembra che il lavoro autonomo corrisponda in gran parte ad una scelta, però è vero che esistono delle situazioni di scorrettezza e alcune di queste situazioni sono presenti in attività regolate dagli ordini. Il caso dei medici e degli infermieri, ad esempio, è paradigmatico: ci sono situazioni assolutamente assurde di medici che lavorano a partita IVA per ospedali, ma facendo il lavoro di corsia. Purtroppo la pubblica amministrazione dà il cattivo esempio. Secondo voi lo statuto del lavoro autonomo tutela i giovani?Lo statuto non nasce per i giovani, però il fatto che si crei un ambiente con qualche tutela e diritti in più va a favorire soprattutto i lavoratori autonomi più deboli, e quindi è un elemento di vantaggio anche per loro. Tommaso Nannicini, economista della Bocconi ed ex consigliere di Matteo Renzi, ha proposto di ridurre la pressione fiscale sui più giovani, facendo pagare a loro un po' meno tasse e spostando di più il peso sulle generazioni più anziane. Lei come la vede?Io sono un po' scettica su questo tipo di intervento, perché spesso finisce per essere sfruttato a vantaggio del committente. Ci sono già regimi fiscali che favoriscono, ad esempio, i giovani che avviano un'attività, e il loro effetto complessivo a mio parere è stato quello di favorire un abbassamento dei compensi. Dal momento che i committenti sono perfettamente coscienti dell'esistenza di questi regimi agevolati, li sfruttano per pagare di meno, oppure il giovane professionista fa prezzi più bassi perché sa di pagare meno tasse. E uno dei problemi che noi riscontriamo è che, finito il periodo di agevolazione, molti si ritrovano a non riuscire a stare più sul mercato. Credo che il cuneo fiscale vada abbassato, e semmai si debba intervenire per alzare la no tax area in generale, in modo che ne fruiscano un po' tutti, e crescentemente di meno all'aumentare del reddito, in modo da intervenire in maniera più armonica. Da un punto di vista femminile, oltre alla maternità esistono anche altri ostacoli peculiari per le lavoratrici autonome?A parte ciò che attiene alla sfera della maternità, per il resto non credo ci siano grandissime differenze tra lavoro autonomo professionale femminile e maschile. C'è una prevalenza di uomini in questo tipo di lavori, ma la presenza femminile sta aumentando ed è elevata soprattutto in termini di lavoro autonomo non professionale: per molte è una scelta proprio perché permette maggiore flessibilità nella gestione del lavoro di cura. Comunque, se si interviene per dare maggiori tutele in generale al lavoro autonomo, senza distinzione tra uomini e donne, si favorisce anche il lavoro femminile, che si presenta così come un'opzione più interessante e favorevole di quanto non lo fosse in passato. Se prima si doveva scegliere tra flessibilità e tutele, ora è più facile avere entrambe.Di recente avete sviluppato una partnership con Smart, organizzazione che tutela i freelance e gli artisti. Quali sono i vostri obiettivi con loro?La nostra collaborazione con Smart nasce dal fatto di avere obiettivi e modalità d'azione molto coerenti tra loro, perché entrambi cerchiamo di trovare delle soluzioni pratiche per supportare i freelance e, nel loro caso, anche i lavoratori dello spettacolo. Quando ci siamo conosciuti non sapevamo neppure come avremmo collaborato, stanno emergendo con l'andar del tempo delle nuove aree di collaborazione, però stiamo già facendo insieme alcune iniziative, come lo sportello informativo. Smart offre i suoi servizi anche ai freelance, quindi possono interessare molti dei nostri iscritti, c'è fiducia reciproca e contiamo di sviluppare altre iniziative. Intervista di Irene Dominioni

La politica fa bene ai giovani? Rispondono due assessori comunali under 35

La politica, per i giovani italiani, è una giostra che gira male. Da qualche anno a questa parte, vuoi per la crisi e le misure di austerità che hanno marginalizzato da un punto di vista sociale ed economico le fasce più giovani della popolazione, vuoi per la mancanza di un reale impegno da parte della classe politica nel prendersi carico dei loro interessi, la partecipazione giovanile alla vita politica del Paese sta diminuendo sempre di più. In questo contesto di crescente insoddisfazione e precarietà, l’attivismo politico può però aprire delle porte e magari perfino avere un’utilità in termini professionali? La Repubblica degli Stagisti l’ha chiesto a due tra i più giovani assessori in due diversi comuni italiani sopra il milione di abitanti, eletti alle amministrative di giugno 2016: Lorenzo Lipparini, 34 anni, assessore alla Partecipazione, cittadinanza attiva e open data nella giunta di Beppe Sala al comune di Milano, e Alessandra Clemente, 29 anni, nominata dal sindaco Luigi De Magistris assessore per i giovani del comune di Napoli. Lipparini è stato segretario dell'associazione Enzo Tortora Radicali Milano, ha lavorato a Bruxelles e Strasburgo nello staff dei deputati del Partito Radicale al Parlamento europeo ed è tra i fondatori del comitato MilanoSìMuove per la qualità dell'ambiente e la mobilità sostenibile nel capoluogo lombardo. Alessandra Clemente è stata attivista presso organizzazioni contro le mafie, tra cui l'associazione Libera e lo sportello di ascolto Antiracket di Napoli, e promotrice di iniziative e progetti destinati ai giovani attraverso la fondazione Onlus che ha fondato in memoria di sua madre, Silvia Ruotolo, rimasta uccisa in un raid di camorra.Quando e come è iniziata la tua attività politica?Lipparini: È dal 2000-2001 che ho iniziato a fare attivismo politico. Per me questa passione è nata al liceo con le esperienze di politica studentesca, che ogni tanto vengono abbandonate con il passare dell'età, ma secondo me invece tenere fermo il punto e continuare a organizzare attività sulle politiche e sull'interesse per la politica nelle sue tante sfaccettature è importante.Clemente: Io ho iniziato con un’esperienza di tipo tecnico nel 2013, non avevo preso parte alla campagna elettorale e non ero vicina a nessuna realtà politica, facevo parte di un’associazione ed ero una studentessa e una praticante avvocato. Il salto di rottura degli schemi tradizionali è stato proprio quello di immaginare alla guida di questo assessorato una ragazza di 25 anni, neolaureata in giurisprudenza, da sempre impegnata nella città. Il disimpegno dei giovani in politica sembrerebbe dovuto alla sensazione diffusa di non poter fare la differenza, la disillusione nei confronti delle istituzioni e la sfiducia verso la possibilità di mantenere le promesse fatte. Perché, allora, fare politica? Clemente: In questo momento storico, per noi giovani scegliere un percorso politico è un gesto di coraggio, di sacrificio, ma è l’unica carta che conosco per provare a cambiare in modo significativo le cose, soprattutto se senti che i contesti tradizionali non ti appartengono.Lipparini: Oggi i comuni e le amministrazioni farebbero fatica a lavorare e promuovere iniziative politiche senza il supporto della società civile, quindi questo primo passo è molto importante perché ci consente di avere un ruolo da protagonisti, indipendentemente dal fatto che poi questo si concretizzi in un riconoscimento dell'impegno all'interno di un ruolo istituzionale.In che termini può essere utile un’esperienza di attivismo politico a livello personale?Clemente: L’associazionismo, così come le esperienze di formazione, l’esperienza all’estero, la coltivazione della dimensione dello sport e del volontariato, danno le soft skills necessarie per l’affermazione di una donna e un uomo nella dimensione pubblica: il saper parlare in pubblico, saper gestire i gruppi, gestire l’ansia, saper cadere e rialzarsi, applicare il valore aggiunto di lavorare in gruppo e non in modo individuale.Lipparini: Sicuramente, se fatto sul territorio e in modo applicato e serio, è un modo di entrare in contatto con tantissime persone. È un moltiplicatore di opportunità nel momento in cui garantisce l'accesso alla conoscenza di tantissimi attori. Incontrare persone, promuovere iniziative, è un pretesto eccezionale per avvicinare persone attive e specializzate nei vari temi e un modo per conoscere le opportunità che arrivano da questi mondi. Quindi anche per farsi conoscere e apprezzare, per dimostrare di essere capace e di saper fare nel proprio lavoro, nell'organizzazione di eventi e di campagne. Può essere anche un volano per farsi le proprie esperienze e trovare contatti utili nel mondo del lavoro. Fare attività politica può aprire delle porte in termini lavorativi?Lipparini: Credo che non debba mai essere considerata come un lavoro o come opportunità di inserimento in dinamiche che moltiplicano le aspettative di carriera. È innanzitutto una passione, una cosa che deve fare piacere e che uno può coltivare ai lati della propria attività. La via rapida del lavoro con le istituzioni o in politica non è produttiva, sono esperienze che possono arrivare con la facilità con cui possono interrompersi, e quindi è bene che siano vissute come un luogo in cui uno mette al servizio le proprie competenze. Clemente: Il giovane che si avvicina alla politica perché pensa che possa dargli uno sbocco occupazionale resterà frustrato. Il percorso politico deve essere fatto di generosità, dove tu dai senza chiedere nulla in cambio, e più sei generoso più generosità ti verrà corrisposta. La tua vita economica deve essere sostenuta da altro.È giusto inserire nel curriculum le esperienze di attivismo politico? Lipparini: Mettere a curriculum un'esperienza da attivista politico, per chi dovesse essere esterno a tutta questa realtà, può aprire a tutta una serie di pregiudizi o di negatività che è da gestire in modo sapiente. Vale la pena segnalare le attività istituzionali più significative, fatte con organismi ed enti pubblici; molto di meno tutto quello che viene prodotto da organizzazioni che fanno dell'agire politico la propria ragione sociale.Clemente: Credo che se un datore di lavoro si trova a leggere in un curriculum insieme ad un’esperienza all’estero che c’è stata la militanza in un movimento politico o l’appartenenza ad una associazione, è sicuramente un valore aggiunto, perché l’elemento caratteriale credo faccia la differenza anche nel mondo del lavoro, e fare politica può darti un bel carattere, perché devi metterti in discussione con tante persone.Secondo uno studio del 2014, non è vero che i giovani si disinteressano alla politica, ma piuttosto che le loro forme di attivismo si discostano da quelle classiche di partiti e governi. I social sono il loro canale di comunicazione: nonostante solo il 27% dei giovani in Italia utilizzi Internet per contattare e interagire con le autorità pubbliche (a fronte di una media UE del 52%), più che altrove leggono e condividono sul web opinioni su argomenti politici e sociali (25% in Italia, 18% in Europa). Nuovi media e social network sono i nuovi canali di comunicazione politica? Lipparini: La tecnologia ci aiuta sempre di più, perché attraverso l'attivazione anche online di strumenti di partecipazione popolare ci dà la possibilità di rendere tutto molto più rapido, meno burocratico, più facile e quindi meno riservato a una fascia di tecnici e politici esperti di queste procedure. Per fare qualche cosa di utile anche per i più giovani, l'utilizzo delle nuove tecnologie può rendere più fruibili gli istituti più antichi, come i referendum o le petizioni, che hanno sempre seguito delle procedure ormai un po' polverose, e che oggi possono avere smalto, interesse e praticità. Clemente: Senza i social io non sarei esistita. Siamo la generazione del pollice, bisogna essere sugli schermi degli smartphone. A Napoli, i servizi cittadini per i giovani sono tutti veicolati attraverso i social. Quando facciamo i corsi di formazione, tutti ci dicono che ne sono venuti a conoscenza tramite Facebook e tutti rispondono che non credevano che sarebbero stati selezionati. È una generazione che cresce con l’incubo dei raccomandati, dove le poche opportunità disponibili sono appannaggio di pochi privilegiati. Noi abbiamo provato, attraverso una comunicazione trasparente e l’utilizzo corretto delle email e dei social, di incoraggiare la partecipazione mettendo il merito nelle procedure amministrative.La politica è un posto per i giovani? Clemente: A Napoli lo sta diventando e lo è diventato. Nel 2013 io ero l’unica under 30 all’interno dell’amministrazione comunale. Dopo le elezioni di giugno, l’età media si è abbassata del 30 per cento. Dei consiglieri comunali a Napoli, che è una città faticosa e non facile, un quarto sono giovani come me sotto i 35 anni, sia nella maggioranza sia nell’opposizione. I numeri crescono nei 10 consigli municipali, quindi Napoli racconta un protagonismo dei giovani anche nella politica. L’Europa è un buon palcoscenico per l’impegno politico giovanile?Lipparini: A Bruxelles, da piccolo prototipo di società civile europea, dove gli internazionali costituiscono la maggioranza della popolazione, i protagonisti sono decisamente le persone più giovani, che scelgono di approdare lì per lavorare nelle istituzioni europee. L’età media molto bassa della popolazione del funzionariato europeo rende soprattutto il Parlamento molto stimolante, dove ci sono tantissime opportunità, grande mobilità e dove l’importante sono le proprie capacità e non sempre solo il curriculum politico. Un laboratorio interessante che conferisce un bagaglio di conoscenze molto internazionale e utile anche se uno vuole rimanere a lavorare in ambito internazionale.Cosa farai dopo l'assessore?Lipparini: Ero un libero professionista, e conto di rientrare a svolgere attività di consulenza per il terzo settore e per le aziende.Clemente: Io sono avvocato, è quello per cui ho studiato ed è la professione che amo, per cui non penso di cambiarla. Intervista di Irene Dominioni

«Più che una chance, lo stage in Tribunale è stato una perdita di chance»

Una laurea in legge, un titolo di avvocato, poi la decisione di lasciare l’Umbria e spostarsi a Vicenza dove per qualche anno ha fatto consulenza specifica nell’ambito di proprietà intellettuale. Poi motivi personali la costringono a tornare in Umbria e reinventarsi, aderendo a un tirocinio promosso dalla Provincia per un bando di “tirocini di qualità” che, grazie a fondi europei, rilasciava un attestazione di apprendimento con il profilo di funzionario giudiziario con un’entrata mensile di 800 euro. Nel suo caso specifico l'ente ospitante era la corte di appello di Perugia e l'obiettivo dello stage - come da bando - era «l'apprendimento della procedura civile in relazione alle attività di cancelleria civile». È così, con «un tentativo di reinventarmi nel mio territorio dove la mia specializzazione non serviva» attraverso un percorso in linea con i suoi studi, che Maria Teresa Biscarini, 46 anni, è entrata a far parte del gruppo dei “tirocinanti degli uffici giudiziari”. Occupandosi all'interno dell'ufficio del tribunale civile di Perugia «dei vari adempimenti d'ufficio, quali richiesta di certificati, sollecito deposito, integrazione dei documenti» raggiungendo un'approfondita conoscenza della procedura civile «attraverso l'esame e lo studio degli atti contenuti nei fascicoli di cognizione ordinaria e volontaria giurisdizione e le attività relative e conseguenti», come recita il primo attestato del bando provinciale e pressoché allo stesso modo le successive attestazioni in cui promotore era diventato il ministero della giustizia. Ma con il decreto del 20 ottobre 2015 dell’ufficio del processo, che ha ridotto drasticamente i posti, in tutta Italia i tirocinanti sono stati all’improvviso dimezzati. E Biscarini è rimasta fuori.   Partiamo da questa scissione: nel bando per il 2016 per i tirocini negli uffici giudiziari il ministero ha messo a disposizione solo 1.502 posti su un bacino di almeno 2.500 stagisti. Come mai c’erano meno posti? Ovviamente non lo so. Partimmo con un numero superiore ai 3mila ed eravamo rimasti circa 2.500. Credo fosse un discorso di smembramento di un gruppo. Ci siamo sempre chiesti: se doveva essere la prosecuzione di un maxi tirocinio, per quanto anomalo, come mai non seguire le “direttive” di sempre di coinvolgere tutto il comparto, suddividendo poi per l’intero numero a seconda dei fondi a cui potevano accedere? Non so dare una risposta. Posso dedurre che c’era l’intenzione di portare avanti un gruppo.Quali sono state le regioni più colpite?Presumo la Calabria, perché sono stati assegnati solo 23 posti a fronte di un numero tra i 600 e i 700 tirocinanti. Ho seguito più che altro la situazione umbra, la mia regione. Qui sono risultate “selezionate” 26 persone tra la provincia di Perugia e quella di Terni a fronte di circa 50: un 50% dunque.E in base a cosa è stata fatta questa selezione? Il mio profilo, come tutti quelli umbri, è un po’ diverso dalla media. Venimmo selezionati con un iniziale bando della provincia del 2011 con riferimento a specifici titoli di laurea. Li chiamarono “tirocini di qualità” su stanziamento di fondi europei con un’attestazione finale di apprendimento con il profilo di funzionario giudiziario per i laureati in legge e funzionario contabile per quelli in economia e commercio. La specificità che riguarda l’Umbria è questa: l’intento iniziale era avere una documentazione da spendere all’interno di concorsi o nella pubblica amministrazione o nel comparto giustizia. Abbiamo avuto punteggi, c’erano criteri di valutazione e di priorità. Per esempio io sono risultata tra i primi perché ero già over 40 e si dava priorità alle persone a rischio esclusione del mondo del lavoro. Poi la presa in carico del ministero della Giustizia ha un po’ omogeneizzato tutta la platea a livello nazionale, indipendentemente dai percorsi precedenti.Quando avvenne la presa in carico del ministero della giustizia?Il tirocinio da regionale diventa di portata nazionale nel 2013, con una durata di 220 ore. Possiamo definirlo tirocinicidio, dura da anni. Qui i pagamenti erano orari, poi diventati a corpo, cioè cumulativi. Gli ultimi colleghi rientrati nell’ufficio del processo hanno una “borsa lavoro” di 400 euro. Tornando alla sua domanda, come fu fatta la selezione del decreto del 20 ottobre 2015, lì intervengono le dolenti note perché non è una selezione comprensibile.Perché? Partiamo dai dati documentali: il decreto ministeriale 20 ottobre 2015 che va letto in parallelo con il provvedimento 3 novembre 2015 e le avvertenze tecniche per l’impostazione della domanda. Incrociando i documenti si ha il quadro. Prendiamo dal bando gli articoli 3, requisiti, e 5, criteri di priorità. Prendiamo questi perché non ci sono “criteri di valutazione”. Ma i requisiti all’articolo 3 si dà per scontato che siano una conditio sine qua non per partecipare. E a parte quello di aver svolto tutti i tirocini pregressi, gli altri erano di condotta morale. Allora vediamo i criteri di priorità. Qui si parla di aver maturato esperienza negli uffici giudiziari del distretto interessato, perché noi dovevamo scegliere fino a un massimo di 4 distretti, il secondo era la minore età anagrafica, il terzo essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di scuola media superiore. Come abbiano applicato mixando i requisiti e i criteri  di priorità io non lo so. Non è mai stato attribuito un punteggio specifico, ci sono solo elenchi nominativi. Non so nemmeno in quale posizione sono finita tra gli esclusi.Quindi nel 2016 lei non ha svolto alcun tirocinio presso gli uffici giudiziari? No, perché non ero rientrata nella selezione. Ci era stato ventilato un percorso parallelo con il coinvolgimento delle regioni, che non si è mai verificato a livello di stato centrale. Quindi alcune regioni sono state più virtuose che hanno preso in carico gli esclusi, altre no. Ci era stato assicurato che non saremmo stati lasciati da parte. Ma il semplice fatto che non se ne parli più mi fa pensare che c’è l’intento di dimenticare.Al bando avete partecipato tutti e circa 2.500 tirocinanti per 1.502 posti ma alla fine hanno firmato il patto formativo solo 1.115: lei sa perché in 400 hanno rinunciato? Non ho accesso alle carte quindi non lo so. Ma credo non siano arrivati a meta, per usare gergo sportivo. So per certo che sono rimasti dei posti vacanti che potevano essere coperti con un bando successivo, che comunque avrebbe lasciato fuori qualcuno. L’articolo 12 del decreto ministeriale 20 ottobre 2015 preannunciava infatti l’emanazione di un successivo bando, laddove non tutti i posti fossero risultati coperti dalle prime chiamate.Personalmente cosa ha fatto nel 2016, una volta conclusa l'esperienza di tirocinio? Ho cercato di restare a galla con realtà di supporto allo studio che mi mantenessero nello stato di disoccupazione. Perché se veniva emanato un nuovo bando e magari io ero disposta a fare un trasferimento era necessario mantenere lo status di disoccupazione. Quindi mi sono dovuta barcamenare con quello che ho trovato. L’attesa del bando, mai arrivato, mi ha obbligata a non accettare anche la minima offerta di lavoro. Nel frattempo avevamo anche scoperto che il trasferimento, per i tirocini fuori regione, non sarebbe stato lungo nel tempo perché c’era la possibilità di accorpare le ore - e quindi lavorare appoggiandosi da parenti o facendo il pendolare una sola settimana al mese, situazione assolutamente gestibile.A proposito dell’articolo 12 del bando del 2015, mai applicato: diceva che i posti non assegnati sarebbero stati oggetto di nuova procedura disposta con successivo decreto. Avete chiesto spiegazioni? C’è stato un question time del 13 luglio 2016 presentato dall’onorevole Mottola al ministro della Giustizia: faceva presente la non attuazione, citando l’articolo 12 e il comparto degli esclusi. Ma nella risposta del ministro non c’è alcun riscontro. Oltre a chiedere ragione della mancata emanazione del bando, si chiedeva anche che fine avessero fatto i fondi esplicitamente stanziati. Ma il ministro ha risposto partendo da quelli che sono entrati nell’ufficio del processo. Un chiaro segnale, secondo me, di voler abbandonare gli altri tirocinanti. Poco prima, a giugno, tramite iniziative di colleghi, sono stata coinvolta in un incontro con il sottosegretario Migliore e anche in quel contesto venne chiesto se sarebbe stato emanato in un momento successivo un nuovo bando che avrebbe dato continuità, se pur anomala, distorta e beffarda, a questi percorsi che si proiettano in avanti con dei punteggi per il concorso per assistente giudiziario. All’inizio Migliore sembrò possibilista, poi guardò meglio le carte e disse che eravamo fuori tempo per applicare il bando.E alla fine i tirocinanti inclusi nella proroga avranno sei punti aggiuntivi nella fase finale del concorso per 800 assistenti giudiziari, mentre voi esclusi solo uno?Esatto. Certo prima bisogna superare tutte le altre prove preselettive: siamo arrivati al limite delle 400mila domande per 800 posti. Chi ha fatto parte dell’ufficio del processo - un percorso durato un anno, anche se non continuativo - avrà sei punti. E teniamo conto che non è chiaro nemmeno il livello di partenza perché non si è capito neanche da bando se questo diploma era un requisito imprescindibile o meno. Sembra di no, visto che in tanti non ce l’hanno. La beffa, pure per loro, è che pur avendo sei punti aggiuntivi per il concorso non hanno il diploma quinquennale per parteciparvi. È difficile comprendere il progetto, se c’è.Quando ci saranno aggiornamenti sul concorso? Febbraio è la deadline che attendiamo per capirne di più. Ma la nota dolente è la proroga dei tirocini. Certo è uno sfruttamento, non penso lo si possa definire diversamente, ma dà un senso di continuità a un percorso che altrimenti non avrebbe un minimo di senso.Lei ora cosa pensa di fare?Attendo: nuovi passaggi ministeriali per capire meglio e la pronuncia del Tar. È stato inoltrato un ricorso a questo bando, per tutta una serie di elementi non comprensibili che sono in spregio ai principi di par condicio e trasparenza. È un’iniziativa dei colleghi campani, un’impugnazione per far decadere il bando laddove si fossero individuati gli elementi che non ne consentissero una chiara interpretazione del perché di quelle graduatorie ed esclusioni. Ma arriverebbe tardi, perché il primo tirocinio nell’ufficio del processo è già finito e ora c’è addirittura il secondo.In questi anni cosa si aspettava: di essere assunta  o prorogata a tempo indefinito?Sicuramente non mi aspettavo questo exitus. Credo fosse legittimo attendersi una qualche progettualità da parte del ministero della giustizia che ci ha richiamato a partire dal 2013 per ben cinque volte collocandoci nel medesimo ufficio, con medesime mansioni. Anche perché negli anni il mantenimento dello status di disoccupazione è diventato sempre più stringente e la non cumulabilità con altri percorsi di lavoro o tirocinio ci ha richiesto una sorta di esclusiva, che poteva far pensare a una valorizzazione nel tempo. E non si può neanche parlare di "capitalizzazione" della formazione raggiunta. Il mio caso è simile ad altri: nonostante una laurea magistrale, titoli specialistici, master, abilitazioni e formazione sul campo non sono stata inclusa nell'ufficio del processo e mi è stato assegnato solo 1 punto, in un concorso con 400mila domande.Pensa che la “formazione” che lo Stato le ha offerto in questi anni sia servita a qualcosa? Visti gli ultimi accadimenti penso che più che una chance, come l’ha definita in più occasioni il ministro, sia stata una perdita di chance, che giuridicamente vuol dire correre dietro a un progetto che forse si poteva pensare il ministero avesse con questa reiterazione dei tirocini. Forse c’è stata una perdita di tempo, di energie e di risorse per un servizio che è stato reso e che oggi risulta arenato. Nel nostro caso siamo sospesi in un limbo e siamo anche dimenticati dagli organi di stampa. Ed è molto svilente pensare di investire in uno studio e in una formazione quando i risultati sono questi. Intervista di Marianna Lepore

“Lasciate che i giovani vengano al sindacato”, il nuovo corso della Cgil di Milano per creare un mix generazionale

Il primo lavoro di Massimo Bonini, vent'anni fa, è stato in un call center. In quell'azienda, nel giro di poco, è stato eletto delegato sindacale, e lo è rimasto per tre anni. Poi è diventato funzionario nella Filcams, la sigla sindacale del commercio. Dopo qualche anno è entrato nella segreteria, ha seguito prima il settore della grande distribuzione e poi quello del turismo, fino a diventarne segretario generale. Pochi mesi dopo, a dicembre 2015, è stato eletto alla guida della Cgil di Milano. Abbiamo spulciato la sua relazione programmatica a sette mesi dalla sua elezione (su Linkiesta in contemporanea le risposte sull'attualità e la politica), chiedendogli di spiegare ai lettori della Repubblica degli Stagisti le sue dichiazioni su giovani e lavoro.«Credo in un mix generazionale ma quello che chiedo a chi ha più esperienza è di fidarsi della capacità di lettura dei più giovani». Si sono fidati e hanno votato lei. Se lo aspettava?È successo tutto rapidamente, quindi non c'è stata una vera presa di coscienza, prima, di quello che stava cambiando. È una decisione dell'intero gruppo dirigente, che prima di andare alla votazione ha ragionato insieme alla Cgil nazionale di come avviare una fase di rinnovamento, e si è caduti sul mio nome; io credo anche per la provenienza, quella del mondo del terziario e commercio – la categoria che è la fotografia della città, quella ha interpretato meglio il cambiamento di questi anni. Dal punto di vista dell'elezione noi siamo un po' complicati: la Cgil nazionale fa una proposta all'assemblea della Camera del lavoro, in quel caso c'è sempre un solo nome; poi le regole prevedono che qualcun altro si possa candidare in alternativa. C'è una fase di ascolto da parte di quelli che noi chiamiamo “saggi”, che ha dato esito positivo, e il voto ha confermato. La sorpresa c'è stata nel senso che nel giro di una settimana, questo sì è inusuale, è arrivata la candidatura, la proposta e il voto; generalmente si sa un bel po' prima chi deve prendere il posto di comando. Ha detto che, se eletto, avrebbe avuto bisogno di un «periodo di apprendistato». Come sta andando? Penso bene, ma non vorrei peccare di immodestia. I percorsi di carriera in un'organizzazione grande come la nostra sono complicati. Un conto è gestire una categoria come la Filcams, anche se la più grande d'Italia – 26mila iscritti, non c'è nessun'altra che ha quei numeri! Era già una macchina complicata di suo. Però passando da una categoria alla Cgil, che è la confederazione, i problemi si allargano: hai più rapporti con la politica esterna, ti devi occupare di tanto altro, di previdenza, servizi interni, di come offrire servizio al pubblico; è un ruolo meno contrattuale, più gestionale e politico. Nessuno nasce imparato, la complessità della macchina andava studiata. Io sono molto abituato a lavorare in squadra: intendere così l'apprendistato è più semplice.«Faremo probabilmente cose strane, apparentemente bizzarre o poco istituzionali». Cos'ha fatto finora di bizzarro?Per esempio, abbiamo tentato di cambiare l'armamentario musicale che accompagna i nostri cortei. A volte criticati, abbiamo introdotto qualche musica un po' fuori dai classici schemi dei canti di popolo di sinistra dei lavoratori – che vanno benissimo in alcuni momenti, ma ci vuole anche un po' musica brillante! Oppure, quando facciamo iniziative come il 1° maggio, chiamare gruppi di giovani a gestire l'intrattenimento musicale. Se portiamo gli Inti Illimani non siamo aggregativi verso le nuove generazioni: ammiccano molto bene agli over 60, forse anche a me perché li ho conosciuti nella mia giovinezza, ma con loro i ventenni di oggi non si agganciano! Altra cosa: abbiamo fatto una iniziativa di presentazione della Carta dei diritti in un pub. In maniera fresca, senza i soliti discorsi polpettoni, in cinque parole abbiamo spiegato perché eravamo lì, la Carta dei diritti tra una birra e l'altra, musica col dj set, cinque minuti su cosa sono i voucher – che secondo noi sono il fenomeno negativo del momento – e poi il banchetto di fianco per raccogliere le firme: abbiamo raccolto quelle di tutti i presenti. Il mondo è cambiato, ci piaccia o no. Oggi conta molto il livello comunicativo – anche qui, ci piaccia o no: dobbiamo cambiarlo. Per coinvolgere più giovani.Sì, io arrivo dalla Filcams, una categoria che ha lavorato tantissimo con i giovani. Tant'è che oggi lì segretario generale e segretario organizzativo, il numero uno e il numero due della categoria, hanno meno di quarant'anni. Abbiamo fatto investimenti su ragazzi e ragazze under 30, in aziende tradizionali come i supermercati abbiamo lavorato sui delegati giovani, sugli iscritti giovani, che poi hanno anche interagito in modo diverso con l'organizzazione: non a caso, è diventata la categoria più giovane, più aggregativa, quella con più iscritti in Camera del lavoro e in tutta Italia. Spazi ce ne sono.«Nella contrattazione è necessaria una maggiore coerenza con le parole d’ordine che lanciamo soprattutto in tema di giovani e solidarietà generazionale: dai contratti aziendali fino a temi generali come ad esempio quello delle pensioni».  Intende facendo un po' più l'interesse dei giovani precari e un po' meno quello dei pensionati?No, la divido: contrattazione e pensioni. Contrattazione: negli ultimi 30 anni abbiamo agito in una contrattazione di difesa e di difesa generazionale. Traduco: quando tu fai una trattativa complessa ti trovi di fronte a delle scelte, per fare un accordo devi accettare delle mediazioni. Nelle aziende, nel corso degli anni, abbiamo fatto accordi che hanno diversificato il salario. Negli anni Novanta, nei luoghi di lavoro sindacalizzati dove si contrattava, si consolidò il “premio”, che andò a finire in una voce di salario fisso. Cosa è successo quando è arrivata la crisi? Le aziende chiamavano e dicevano: se a tutti i dipendenti diamo 300 euro, o ai nuovi assunti gliene diamo 100 o altrimenti cancelliamo il contratto aziendale. Il sindacato scioperava, però poi faceva l'accordo. Preferendo scaricare su chi viene dopo...Quindi in alcune buste paga degli anziani c'erano...300 euro, in quelle dei più giovani 100. Poi siamo arrivati al disastro di questa crisi, che ha creato 300 e zero. Nei luoghi di lavoro tradizionali ci sono – a parità di livello, di lavoro, di paga – trattamenti diversi. La mia domanda è: se noi come Cgil lanciamo la parola d'ordine “giovani, giovani, giovani”, nei luoghi di lavoro com'è che gliela spieghi, visto che ogni volta fai accordi che li penalizzano? Li ho firmati anch'io questi accordi, non voglio scaricare le responsabilità sui sindacalisti anziani. Però dico: riflettiamo, cambiamo. Sulle pensioni è analogo. La Cgil e il sindacato in generale parla di pensioni per quelli che ce l'hanno e per quelli che ci stanno per arrivare, ma mai per quelli che se la devono costruire. La Cgil potrebbe aprire un fronte sulle pensioni che verranno erogate tra trent'anni?Vorrei che già da oggi, quando si va davanti al governo, la Cgil si sieda al tavolo dicendo “Voglio parlare anche della pensione dei giovani”.Mi piace questo. Ma non accadrà.Noi abbiamo specificato al governo la richiesta di affrontare la discontinuità contributiva. E lì ci occupiamo anche, in larga parte, di giovani. Giovani lavoratori, punto: il subordinato ha i suoi bei problemi, così come ce li ha l'autonomo. Lo diciamo da questo territorio dove c'è il più alto turn-over: tre milanesi su dieci cambiano spesso contratto di lavoro. I contributi faranno una fine tragica.Perchè saranno spezzettati.Perché tra un contratto e l'altro, passassero anche solo 15 giorni – il problema è che parliamo di mesi – quando tu arriverai all'età fatidica, over 60 ovviamente, forse anche 65, ti troverai di fronte a una gruviera: mancheranno un sacco di contributi.In alcuni casi vengono accreditati i contributi figurativi, quando si riceve la Naspi per esempio.Sì, però poi ci sono altri casi. Ecco la nostra contestazione al Jobs Act: dicono di essersi occupati di tutti i lavoratori, ma non è vero. Nel turismo il lavoratore stagionale non ha la copertura della Naspi piena. Siamo in estate: pensiamo alla riviera romagnola, alla riviera toscana, a tutti i luoghi turistici del nostro paese. Quante centinaia di migliaia di persone sono coinvolte? Abbiamo sollecitato il governo, non ci ha mai dato retta. Oppure: nei supermercati il rapporto tradizionale è il part-time, ma non per scelta – perchè li costringono. È più semplice fare i turni part-time, son due mezze giornate.Però sono lavoratori che magari vorrebbero avere un full-time.Tutti vorrebbero il full-time! È chiaro che il part-time lo vuoi quando sei studente, o per un rientro morbido al lavoro dopo la maternità, o per esigenze temporanee di vita, motivi di salute magari. Lì invece entri col part-time da giovane, in quel momento ti accontenti. Dopodiché arrivi a 35 anni e ti dici “ma c'ho ancora il part-time, dove vado?”. Per esempio qui a Milano, dove uno stipendio a part-time è 550 euro al mese, 600 se va bene con le maggiorazioni, un affitto costa 700 euro. Fine dei giochi.Quali sono le «domande scomode, ragionamenti che di primo acchito ci fanno anche inorridire» che vi pongono i più giovani quando riuscite ad avvicinarli?Nel corso della mia breve carriera ne ho viste di cotte e di crude, magari più di quelli che sono qui da quarant'anni. In quel passaggio mi riferivo a un caso “divertente” che mi è capitato di gestire. In una grande azienda di abbigliamento ci troviamo di fronte a 700 contratti a chiamata – sui quali la Cgil aveva fatto “le macumbe”, cercando di contrastarlo, in qualsiasi tavolo sindacale. A qualsiasi azienda che diceva “contratto a chiamata” rispondevamo “per noi non esiste: non trattiamo”. Il risultato è che poi... le aziende fan quel che vogliono. Io seguivo il turismo, e il contratto a chiamata sfido chiunque a dire che non serva in un ristorante o in un albergo.Però in un'azienda di abbigliamento...No, non servono a niente, certo. Però ci siamo trovati di fronte 700 ragazzi e ragazze, studenti, che ci dicevano “mi raccomando, noi non ti stiamo chiedendo di trasformarci a part-time. Ti stiamo chiedendo di tenere questo contratto, regolamentandolo meglio”. E perché a loro piaceva il contratto a chiamata?Perché il part-time è un contratto molto rigido: l'orario dev'essere quello, dev'essere rispettato, se l'azienda vuole cambiarlo tu devi dare il consenso. Nella loro vita, nella loro visione moderna – tutti con meno di 25 anni, una visione che non è neanche la mia che ne ho 42 – “io voglio la flessibilità, voglio un po' fare quello che voglio: e il contratto a chiamata me lo permette”. Ecco perchè siete inorriditi: non ve lo sareste mai aspettato, che piacesse.Eh no. La Cgil aveva di fronte due strade per affrontare quel caso, quella tradizionale e quella di opportunità. Quella tradizionale era andare di fronte a questi 700 e dire “vabbè ragazzi, noi siamo la Cgil, non riconosciamo quel contratto, andremo dall'azienda combattendo per farvi assumere tutti quanti a part-time”. Risultato: portavamo a casa 5 o 10 tessere e dopo qualche anno non avevamo più neanche quelle. L'altra strada è stata quella di dire: “va bene, parliamo. Iniziamo una serie di assemblee, studiamo la materia, iniziamo a dialogare con l'azienda, vediamo di mettere a posto problemi che avete sugli inquadramenti” – perché c'erano anche persone assunte, con inquadramenti sbagliati, paghe sbagliate. Insomma, cose che non funzionavano. Lavorazioni nuove, mai viste in una catena di abbigliamento, che abbiamo dovuto contrattare, a patto che si regolamentasse un minimo il fatto che tutti avessero il diritto di accedere a quel contratto, dandi a tutti le stesse opportunità.Chiamando i 700 a rotazione.Perfetto. L'azienda aveva un'organizzazione del lavoro non completamente tradizionale; cioè figure che non erano quelle del classico commesso, non mettevano a posto le magliette, erano più persone di immagine. Ci siamo dovuti inventare il livello di inquadramento di queste persone, combattendo contro la Cgil che ci diceva “voi non potete fare una roba del genere”. E noi abbiamo detto “Cinque tessere o trecento?”. Beh noi siamo per le trecento, siamo andati avanti, e ora là c'è un'azienda americana sindacalizzata, che parla con il sindacato, che ha migliorato le condizioni delle persone: abbiamo iniziato un dialogo inaspettato con l'azienda ma sopratutto coi giovani. Ancora una volta è stata un'occasione di dire “forse ogni tanto vale la pena ascoltare”.Vale la pena “inorridire”!Eh sì!L'ultima domanda è su due parole che invece nella sua relazione programmatica non c'erano: «studenti» e «stagisti». Eppure la Lombardia è la Regione che da sola ospita un sesto degli stagisti di tutta Italia, e Milano è la capitale degli stagisti. Non è importante che un sindacato si apra anche a loro?Sì. I temi mancavano per ottimizzare i tempi: siccome il difetto dei sindacalisti è quello di parlare per ore, uno degli elementi di innovazione è che la mia relazione è durata 15 minuti, quindi tutto non ci stava. Noi il tema ce l'abbiamo sotto osservazione. Sugli studenti arriva adesso l'alternanza scuola-lavoro, con un po' di ritardo cominciamo a orientarci, a studiarla. Poi tutto il tema degli stagisti ce l'abbiamo nel mirino, abbiamo chi se ne occupa. Io sono uno che ha sempre detto che la Camera del lavoro deve essere aperta a tutti coloro che lavorano: questo è un cambio culturale che va di pari passo con la Carta dei diritti. Gli stagisti sono un po' un ibrido, ma noi parliamo con gli studenti e dunque dobbiamo parlare anche con chi si trova in questa situazione ibrida, a volte – anzi: spesso – illegittima, anomala... Lo stagista che infila le scatolette nel supermercato, come può esistere?A noi della Repubblica degli Stagisti non piacciono gli stage nella grande distribuzione.Infatti noi li abbiamo sempre combattuti: siamo intervenuti, li abbiamo sistemati. Non c'è un solo accordo che parli di stage con la grande distribuzione; ci sono accordi di rientro, ovviamente, perché quando ce ne accorgiamo interveniamo. Il problema poi non sta nelle grandi realtà aziendali, ma nel piccolo. Se parliamo di commercio, nei negozietti si trova di tutto: ma chi fa i controlli? Il sindacato non è una guardia, anche perché in quei negozi lì noi non ci entriamo, il lavoratore è da solo, non ha protezioni. Io agisco con l'assistenza, ma posso metterla in campo nel momento in cui il lavoratore esce da quel negozio, non ha più il lavoro, e allora viene da me.Se uno stagista si trova in difficoltà può bussare alla porta della Camera del lavoro?Assolutamente sì. Noi abbiamo assistenza legale; se poi fosse uno stagista che sta dentro un'azienda in cui noi siamo presenti è tutto molto più facile, allertiamo le nostre categorie, i delegati aziendali ad aprire il confronto con l'azienda. E poi siamo aperti al confronto di idee, all'interlocuzione con la Repubblica degli Stagisti. Potrebbe essere bello trovarci ogni tanto e confrontarci su quello che pensiamo noi, che magari a volte non è completamente tarato. Avere l'aiuto e il contributo di chi si occupa tutti i giorni di queste cose per noi è un valore. Intervista di Eleonora Voltolina

Colloquio in Mercer, istruzioni per l'uso

La nuova puntata di “Colloquio, istruzioni per l'uso!” ha come protagonista la società di consulenza Mercer Italia, che dall'inizio del 2016 fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti; ai tirocinanti offre un rimborso spese di 500 al mese, senza differenziare tra stagisti extracurricolari e curricolari; e lo stage nella maggior parte dei casi un'anticamera dell'assunzione, dato che oltre il 90% si trasforma in contratto (Mercer infatti è una delle aziende che hanno ricevuto nel 2016 l'AwaRDS per il miglior tasso di assunzione post stage – nella foto, con il direttore della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina durante la premiazione). A raccontare come funziona il processo di recruiting è Sabina Possenti, dal 2009 responsabile delle risorse umane in Mercer dopo un inizio di carriera nel gruppo Gruppo General Electric, dove ha ricoperto il ruolo di HR Manager per GE Money Bank e GE Information Services.Quali sono i profili che ricercate maggiormente nella vostra azienda?La nostra ricerca si orienta sui laureati in varie discipline, da quelle economico-statistiche, a quelle umanistiche (psicologia del lavoro e dell’organizzazione, o altre). Spesso negli ultimi anni abbiamo inserito anche giovani che dopo la laurea hanno orientato il loro percorso nella direzione del Capitale Umano attraverso master dedicati, così come abbiamo inserito laureati di eccellenza, best-in-class nelle facoltà di elezione.Come funziona in generale il vostro iter di selezione?Mercer Italia è una multinazionale, ma viste le dimensioni operative in Italia – circa 60 dipendenti – riusciamo a valutare tutti i CV ricevuti all’indirizzo italyhr [chiocciola] mercer.com  oppure all’indirizzo generico mercer.italy [chiocciola] mercer.com, sia che rispondano ad un annuncio pubblicato sul sito, sia che si tratti di candidature spontanee. L’iter comprende colloqui in lingua italiana ed inglese, personali e /o telefonici, con i responsabili di funzione e con le risorse umane, ma anche una fase di assessment vera e propria, presso la nostra sede, per valutare le competenze del candidato ed il suo potenziale. Per i giovani neolaureati in particolar abbiamo implementato un format standard che prevede l’Assessment Center. Ovvero, dopo il prescreening dei CV, ed un colloquio telefonico per valutarne la capacità linguistica e la motivazione, piccoli gruppi di candidati vengono convocati nella stessa giornata, per essere sottoposti a colloqui individuali, a test logici, a prove scritte di verifica delle attitudini gestionali e di problem-solving, e ad una prova di gruppo che consente di valutare le dinamiche di interazione con gli altri. In una società di consulenza è cruciale essere preparati a lavorare insieme!Preferite i cv nel formato standard “europass” o apprezzate i cv personalizzati?Il formato è indifferente, purché il candidato fornisca tutte le informazioni utili a ricostruire il suo percorso, mostri chiarezza e pulizia formale, ed eviti grossolani errori di grammatica, nella versione italiana o inglese. La sciatteria non è mai un buon biglietto da visita; la sintesi può esserlo. Com'è organizzato il vostro ufficio HR per la parte recruiting?Noi siamo una società che si occupa di consulenza sui temi del Capitale Umano. Per missione aiutiamo le società clienti ad indentificare il talento e farlo crescere. Per questo motivo la funzione HR nel selezionare un candidato si appoggia ai colleghi che giornalmente si occupano di assessment per identificare tra i candidati chi sia maggiormente adatto per la posizione corrente e per la crescita futura, attraverso strumenti più sofisticati rispetto al colloquio one-to-one.Il primo colloquio che fate è di gruppo o individuale?Il primo colloquio face-to-face di solito avviene con il futuro responsabile del candidato, è in lingua italiana e ha l’obiettivo, in un’ora circa, di valutare le competenze a svolgere il ruolo. Per i profili più junior/stage peseranno maggiormente, rispetto alle competenze tecniche, il “fit” rispetto al ruolo, anche in termini di comportamenti ed aspirazioni.Quanti colloqui in totale, individuali ed eventualmente di gruppo, di solito deve sostenere un candidato per arrivare alla meta? Almeno tre. Due all’interno della funzione, con coloro che affiancherà a vari livelli, ed uno con le risorse umane. Mercer è una multinazionale americana, quindi la padronanza della lingua inglese è un must. La responsabile HR è madrelingua e pertanto in grado di vagliare questa competenza a vari livelli.Usate i canali dei social network per entrare in contatto con giovani candidati? Noi abbiamo un account Twitter attivo e monitorato. Apprezziamo molto che i candidati decidano di seguirci per iniziare a conoscere meglio la nostra realtà. Pubblichiamo anche attraverso tweet i nostri job-post, che reindirizzano al nostro sito.Avete un sito “lavora con noi” attraverso cui raccogliete i cv degli aspiranti candidati in un vostro database? La sezione careers del sito Mercer Italia è disponibile, ma come detto non escludiamo di prendere in considerazione le candidature spontanee, anche quelle pervenute attraverso il passaparola tra i dipendenti. Crediamo infatti fermamente che se un dipendente ci segnala il profilo di un amico al tempo stesso stia dichiarando al suo network la sua soddisfazione di lavorare in Mercer, ed a noi che stima tanto questa persona da volerlo al suo fianco per fare crescere il business di cui anche lui è parte.Ricercate anche profili tecnico scientifici?Come detto, per la specificità del business, cerchiamo laureati e candidati in possesso di titoli superiori, ma ci fa piacere ricevere candidature di donne titolate anche in facoltà tradizionalmente maschili. Sto pensando a donne laureate in statistica, da inserire come data analyst, in ingegneria, o donne attuario.
Vi sono delle qualifiche che ricercate nei candidati ma che faticate a trovare?Se parliamo di candidati junior le principali caratteristiche che cerchiamo sono quelle personali di proattività, flessibilità, capacità di lavorare in squadra in modalità multitasking, e soprattutto grande passione per questo mondo e voglia di imparare.Qual è l'errore che non vorreste mai veder fare a un candidato durante un colloquio?Un candidato che dimostri di non avere idea di cosa sia o faccia Mercer non fa buona impressione. Di sicuro se affronta un colloquio senza avere approfondito a sua volta di cosa si occupa la società per la quale sta applicando non dimostra reale interesse. In fasi storiche come questa nessuna società può permettersi di portare  a bordo un candidato non sufficientemente motivato non solo rispetto al contenuto del lavoro ma anche rispetto all’organizzazione, ai suoi valori ed alla sua cultura. Come date i vostri feedback? I tempi nella gestione delle candidature possono variare, ma cerchiamo di essere sempre puntuali nel fornire un riscontro, soprattutto nei confronti di coloro che hanno affrontato un iter di più colloqui come sopra descritto.Se lo stage viene attivato e dà esito positivo, qual è poi l'iter contrattuale che solitamente proponete al giovane?L’obiettivo di Mercer è identificare e far crescere i talenti. Guardando all’ultimo anno, il 90% dei neolaureati è stato assunto a tempo indeterminato dopo uno stage di sei mesi. Chiaramente ciò dipende dal periodo e dal contesto, oltre che dalle capacità del candidato. La procedura di selezione per posizioni di stage e posizioni di lavoro è la medesima, articolata su più colloqui con logica matriciale rispetto alla posizione che il candidato dovrà ricoprire ed al suo livello nell’organizzazione. Per posizioni più senior cambia solo il numero di colloqui precedenti all’ingresso e mix di conoscenze e capacità richieste.

Sicilia, con Garanzia Giovani i tirocini aumentano del 714%: «ma su 52mila stagisti solo 6mila assunzioni» denuncia la Cgil

In Sicilia tra il 2014 e il 2015 il numero degli stage extracurriculari attivati è aumentato del 714%. La spiegazione va ricercata nel programma Garanzia Giovani e in altre iniziative finanziate con fondi pubblici con l'obiettivo di fermare l'emorragia di occupazione giovanile. Ma siamo davvero sicuri che il tirocinio sia sempre la miglior soluzione? Non ne è del tutto convinto Andrea Gattuso, responsabile Politiche giovanili della Cgil Sicilia e da qualche mese eletto nel consiglio direttivo del Forum Nazionale Giovani, all'interno del quale ha appunto le deleghe ai temi del Lavoro, del welfare e dello sviluppo economico.Come valutate questo +714%?Che ci fosse un'impennata nel numero di tirocini attivati ce lo aspettavamo, a ottobre 2015 risultavano attivati oltre 47mila tirocini a valere sul programma Garanzia Giovani, se consideriamo che nel 2014 i tirocini attivati erano stati 6.349 ci rendiamo conto che senza Garanzia Giovani il trend sarebbe rimasto più o meno uguale. La valutazione che diamo non può essere positiva perché in moltissimi casi i tirocini di Garanzia Giovani sono stati utilizzati per "regolarizzare" rapporti di lavoro in nero pre-esistenti o per mascherare lavoro vero e proprio di cui le aziende hanno usufruito gratuitamente. Questo enorme iniezione di manodopera giovane e gratuita ha drogato il mercato del lavoro rendendo qualsiasi altro rapporto di lavoro sconveniente rispetto al tirocinio. L'assenza di una normativa regionale – da noi da tanto tempo proposta e invocata – e i pochi controlli hanno fatto il resto.Realisticamente, quante probabilità hanno i 52mila siciliani che hanno svolto nel 2015 questi tirocini extracurriculari di essere assunti? Il tessuto produttivo siciliano ha la capacità di assorbire almeno una parte di loro offrendo un lavoro stabile?In assenza di una ripresa dell'economia dell'isola e di investimenti pubblici per aziende siciliane sarà difficile procedere a nuove assunzioni, lo dice lo stesso rapporto sulle comunicazioni obbligatorie: la Sicilia è l'unica regione – insieme a Molise e Valle D'Aosta – che nel 2015 segna un -1,1% di rapporti di lavoro attivati rispetto all'anno precedente. Se un'azienda non aumenta la produzione o la vendita, se è più alto il numero di aziende che chiudono rispetto a nuove aperture, le imprese non hanno motivo di assumere nuovo personale nè tantomeno i soldi per pagarlo... A meno che non lo possano fare gratuitamente, come è successo con Garanzia Giovani.Al termine dei tirocini, gli incentivi economici all'assunzione hanno funzionato? Siamo a giugno 2016, dunque i tirocini del 2015 si sono ormai conclusi da molti mesi: avete dei dati sull'esito occupazionale?Gli incentivi previsti nel programma Garanzia Giovani che complessivamente, dopo varie rimodulazioni, sono pari a 28 milioni di euro sono finora stati utilizzati per oltre il 90%. La Regione dopo aver diffuso notizie trionfalistiche, da noi smentite con i dati reali, non si è più spinta a rilasciare dati sul numero delle trasformazioni dei tirocini in rapporti di lavoro. Secondo le nostre stime sono circa 6mila i partecipanti al programma Garanzia Giovani che sono stati assunti attraverso gli incentivi ma non sappiamo nel dettaglio con quale tipo di contratto nè tantomeno quanti di questi sono giovani che hanno svolto il tirocinio.Confrontando i dati del numero dei tirocini con le risorse del Bonus occupazionale di Garanzia Giovani la percentuale comunque, nella migliore delle ipotesi, non raggiunge il 10%.Che voi sappiate, ci sono dati approfonditi sulle tipologie di soggetto ospitante dove questi 52mila tirocinanti sono andati a fare lo stage?La Regione Siciliana fino a gennaio 2016 ha diffuso i dati relativi ai tirocini attivati per settore economico: dei 47.569 tirocini attivati con Garanzia Giovani il 27,6% è nel commercio, il 14,6 nel settore dell'alloggio e ristorazione, il 10,4% nel manifatturiero, l'8,3% negli studi professionali, il 6,5% nelle costruzioni. Più o meno il dato rispecchia quello che è il tessuto produttivo siciliano fatto in larga parte da aziende del commercio e dei servizi in generale. Ovviamente il settore dei servizi e del commercio è anche quello dove è più alta la precarietà del lavoro e dove contano di più le tendenze stagionali. Nel settore pubblico – non compreso in Garanzia Giovani – nel passato si è fatto ricorso all'attivazione di stage ma il trend si è abbassato negli ultimi anni e risulta comunque marginale rispetto al settore privato.In Sicilia la Cgil monitora come un watchdog i tirocini, avete anche pubblicato una guida per aiutare gli stagisti a conoscere i propri diritti e doveri.Sì, ci occupiamo del fenomeno dei tirocini da ormai tanti anni e siamo stati i primi a renderci conto che dell'importanza di questo strumento di politica attiva anticipando l'esplosione del fenomeno negli ultimi anni. Nel 2011 abbiamo promosso una legge d'iniziativa popolare per regolamentare i tirocini in Sicilia raccogliendo più di 13mila firme, ma purtroppo siamo ancora senza una regolamentazione. Rispetto alle altre organizzazioni la Cgil possiede un attivo Dipartimento Politiche Giovanili che negli anni ha costruito un network di sportelli sul territorio ed ha acquisito un esperienza notevole sul mondo dei tirocini, siamo sempre stai sul pezzo anticipando spesso i cambiamenti e le dinamiche sull'universo tirocini, adesso siamo fieri di essere un punto di riferimento per gli stagisti siciliani ai quali forniamo informazioni e assistenza e con i quali portiamo avanti battaglie contro le inefficienze e le tante problematiche. Siamo stati i primi a denunciare gli abusi dovuti alla mancanza di un regolamentazione, abbiamo pubblicato una guida per gli stagisti, abbiamo fatto emergere il disagio sul ritardo dei pagamenti delle indennità e sul malfunzionamento el programma e siamo orgogliosi di essere diventati un punto di riferimento per tanti ragazzi. Cosa sta succedendo ora con Garanzia Giovani in Sicilia? L'onda anomala si è subito fermata?Nel 2016 non è stato attivato nessun tirocinio a valere su Garanzia Giovani in quanto le risorse sono state completamente utilizzate e gli ultimi tirocini sono stati attivati nell'ottobre 2015. Non abbiamo dati sul primo semestre 2016, i tirocini in corso fino a marzo sono stati più di 20mila ma sicuramente il numero delle attivazioni è stato basso. Nel secondo semestre 2016 saranno attivati circa 2mila tirocini del famoso Piano Giovani – quello del click day del 2014 – e partiranno i tirocini del programma Botteghe di mestiere promossi da Italia Lavoro. L'enorme numero di tirocini attivati nel 2015 ha però contribuito a far conoscere lo strumento del tirocinio a un grande numero di aziende e quindi prevediamo che il numero dei tirocini attivati, fuori dai programmi di politiche attive, sia destinato a salire. Il tirocinio è ormai in Sicilia uno strumento conosciuto e continuerà ad essere utilizzato, per questo continueremo a vigliare sulla corretta applicazione e a chiedere una regolamentazione regionale. Parliamo di tirocini anche nella nostra "Carta dei diritti universali del Lavoro" che in tutta Italia sta raccogliendo centinaia di migliaia di firme e nel rinnovo dei contratti collettivi la Cgil, in un'ottica di inclusività, sta provando a inserire anche la regolamentazione dei tirocini nei diversi settori economici.Intervista di Eleonora Voltolina

Colloquio in OneDay, istruzioni per l'uso

Questo nuovo appuntamento con la rubrica «Colloquio istruzioni per l'uso!» è dedicato a OneDay, che è entrata a far parte dell'RdS network l'anno scorso. L'azienda è sviluppata intorno a Scuolazoo, nata nel 2007 come blog e poi cresciuta al punto da diventare, oggi, uno dei siti più conosciuti dagli studenti italiani e dar vita a un vero e proprio Gruppo. Accanto a ScuolaZoo ci sono infatti ZooCom, agenzia di comunicazione social & field, e SGTour, tour operator specializzato nella creazione e nell’organizzazione di pacchetti viaggio per community e gruppi. OneDay nasce per essere incubatore di startup ad alto potenziale per replicare il successo avuto con ScuolaZoo. A raccontare come funziona il processo di recruiting è l'HR manager Isabella Boioli, 31 anni, approdata in OneDay nel 2015 dopo un'esperienza di cinque anni in un'azienda del settore biomedicale.Quali sono i profili che ricercate maggiormente? Per la natura del nostro business ricerchiamo profili digital native da declinare nei diversi ruoli e funzioni aziendali. Cerchiamo profili prettamente tecnici, dal web designer al full stack, e/o verticali sui vari settori aziendali: editoria, turismo, online media, comunicazione. Profili inerenti al mondo social e digital – social media, copywriter, web content, e-commerce – e profili di staff, dall’HR al Finance.  In tutte le ricerche non ci poniamo il paletto della laurea come requisito di accesso in termini di istituto o voto di laurea: la passione per il modo digital e social e l’essere unconventional la fanno da padrone, unito ovviamente ad un solido background culturale ed alla curiosità ed alla voglia di imparare ciò che ancora non si sa.Come funziona in generale il vostro iter di selezione?Dopo aver ricevuto le candidature, o fatto uno scouting attivo, il primo step per coloro che sono stati reputati interessanti sulla carta è la richiesta di un video di presentazione. Lo reputiamo un interessante strumento di screening per testare creatività, voglia di mettersi in gioco e reale interesse verso la nostra realtà: elementi imprescindibili per lavorare in OneDay Group. Secondo step è il colloquio conoscitivo con l’HR che a volte, per ottimizzare i tempi, è in parallelo con quello più tecnico con il manager di linea. Per determinati tipi di ruoli, prima del colloquio HR, prevediamo un colloquio di gruppo in cui sottoponiamo delle prove pratiche ai candidati selezionati.Preferite i cv nel formato standard “europass” o i cv personalizzati?Assolutamente personalizzati! Al giorno d’oggi il mero cv racconta veramente poco di una persona e delle sue potenzialità: il formato europeo “uccide” ogni tipo di libertà e creatività. Un cv personalizzato sicuramente ci permette di iniziare a conoscere un po’ meglio chi si sta approcciando alla selezione.Com'è organizzato il vostro ufficio recruiting?Al momento l’ufficio HR è composto da due persone, un HR Manager ed un HR Assistant: siamo un’azienda in crescita e sicuramente crescerà proporzionalmente anche la struttura dell’ufficio stesso. Cerchiamo di occuparci in autonomia delle selezione aperte, ma all’occorrenza chiediamo supporto anche a società di selezione.Prima faceva riferimento a colloqui di gruppo: come si svolgono?Al momento facciamo questo tipo di colloqui principalmente per figure molto junior, coinvolgendo dalle 5 alle 10 persone alla volta. Si inizia con una presentazione dell’azienda e successivamente si passa alla presentazione dei candidati ai quali, al momento dell’invito a colloquio, è stato chiesto di preparare una presentazione in ppt di se stessi. Successivamente si sottopongono prove pratiche da svolgere in gruppo che possono essere dedicate sia all’area delle competenze soft che hard.E il colloquio individuale?Può essere più incentrato lato soft skill qualora sia fatto solamente con la funzione HR o, per ottimizzare i tempi, anche tecnico se si riesce a coniugare in un unico step anche il colloquio con il manager di linea. Di solito la durata è di circa 60 minuti che possono aumentare, o diminuire, a seconda dell’interesse reciproco. Per figure specifiche – in particolar modo per la parte di tour operator – parte del colloquio è anche in lingua inglese. In totale sottoponiamo un candidato a un numero di colloqui variabile tra uno e tre, a seconda della seniority e della possibilità di accorpare uno o più step.Svolgete parte dei colloqui anche in una lingua straniera?In parte i colloqui vengono effettuati in inglese, anche se per la natura del nostro business non sempre è una competenza strettamente necessaria – ad eccezione della parte di tour operator. Per le posizioni all’interno del tour operator è gradita la conoscenza di una seconda lingua oltre l’inglese, preferibilmente lo spagnolo.Apprezzate le autocandidature?Sì, sono ben accette! A volte per la natura della nostra realtà e della nostra cultura aziendale, sono più importanti le persone delle competenze. Di conseguenza siamo aperti ad incontrare candidati interessati alla nostra realtà a prescindere dalle posizioni attualmente aperte. Il nostro sito ha una sezione dedicata ed anche nelle nostre pagine Linkedin vi è l‘invito a contattarci. I canali dei social network sono importanti per entrare in contatto con giovani candidati: per determinate figure in ambito social, va bene anche Facebook.Avete anche un sito “lavora con noi”?Si, con una pagina dedicata. Naturalmente per comodità di consultazione preferiamo che le candidature – o autocandidature – arrivino tramite l’application form del sito stesso dove, oltre alla raccolta dei dati anagrafici e l’upload del cv o portfolio, vi è anche uno spazio dedicato per far si che i candidati possano esprimersi liberamente. Per il discorso fatto prima, qualora arrivino candidature via mail, ovviamente verranno considerate al pari della altre.Ricercate anche profili tecnico scientifici? Sì, prettamente in ambito IT e digital, anche se queste figure sono meno facilmente raggiungibili di altre. Per la natura del nostro business non ricerchiamo invece profili con un background scientifico. Qual è l'errore che non vorreste mai veder fare a un candidato durante un colloquio?Anche se banale, è il fatto di arrivare impreparato a colloquio rispetto l’azienda, il suo business, la sua storia ed i suoi competitor. Al giorno d’oggi sono tutte informazioni facilmente reperibili su internet e non informarsi può essere sintomo di poco interesse e proattività.Come date i vostri feedback?Se la persona ha affrontato un solo colloquio e l’esito non è positivo, tramite mail. Se la persona ha affrontato più colloqui tramite una telefonata. In ogni caso ci teniamo a dare un feedback a tutti i candidati. Le tempistiche possono variare: dalle due settimane ad un mese abbondante. Dipende unicamente dalla selezione in corso. Se lo stage viene attivato e dà esito positivo, poi solitamente proponiamo o un contratto di apprendistato o un inserimento a tempo indeterminato. Tendenzialmente non ci sono differenze tra l'iter di selezione e le modalità di colloquio per selezionare uno stagista e l'iter per selezionare invece una persona da inserire direttamente con contratto: la differenza sta solamente nel numero di colloqui che la persona deve affrontare. Nella nostra ottica inserire una persona di potenziale in stage è tanto importante quanto inserire una persona più senior direttamente con un contratto.

Velocizzare i colloqui con il design thinking: innovazione vantaggiosa non solo per i candidati, ma anche per le aziende

Una declinazione del “design thinking” applicata alle procedure di recruiting, che ha permesso qualche tempo fa alla società di consulenza Bip di organizzare un evento all'università di Trento, valutando in una sola giornata 28 giovani e scegliendone immediatamente 9, già inseriti in stage nei giorni successivi. Il progetto è stato realizzato da Angelo Proietti, ingegnere 45enne che in Bip ricopre il ruolo di partner. Laureato in Ingegneria informatica alla Sapienza di Roma, dopo aver cominciato la sua carriera in Andersen Consulting, ha proseguito in PricewaterhouseCoopers e poi IBM Business Consulting fino ad approdare, nel 2005, in Bip. Specializzato nell'ambito telecomunicazioni e media, segue abitualmente progetti che riguardano il governo della tecnologia – strategia, architettura, sourcing, vendor management, gestione delle IT factory. Alla Repubblica degli Stagisti Proietti ha raccontato com'è nata l'idea dell'“exponential recruiting” e quali sono i vantaggi non solo per i ragazzi – che vedono velocizzato tutto l'iter di selezione e ottengono tempestivamente un feedback sull'esito del colloquio – ma anche per l'azienda.Come dove e quando ha scoperto per la prima volta il “design thinking”? Lo scorso settembre, durante un bootcamp alla d.School di Stanford. L’idea di andare a studiare il metodo di Stanford la devo ad uno dei nostri amministratori delegati, Fabio Troiani, che mi ha chiesto di esplorare il metodo di David Kelly – il fondatore di Ideo nonché della d.School – e confrontarlo con i nostri approcci di progettazione. E l' “exponential recruiting”?Questa è una idea maturata insieme ad Alberto Gennari, fondatore di Weone, che collabora con Bip in progetti ad alta complessità organizzativa. Posso dire con orgoglio che il format originale è nostro: la metodologia di “exponential recruiting” è tutta italiana ed è appunto il frutto della collaborazione tra Bip e WeOne. Abbiamo cioè usato il metodo del Design Thinking per progettare l’“exponential recruiting”. Qual è stata la sua esperienza a Stanford?Stanford è di per sé un completo cambio di paradigma rispetto al nostro approccio all’apprendimento: la D-School è addirittura innovativa rispetto a Stanford, molto ispirante per il modo di lavorare. Alla d.School hanno un mantra, “Show don’tell”, ed è quello che stiamo cercando di fare applicando il Design Thinking ad ogni occasione di progettazione: e il recruiting è stata una ottima occasione di sperimentazione. Quali sono i vantaggi?Personalmente ne vedo due fondamentali. Il primo deriva proprio dal Design Thinking: durante la sessione di “Exporecruiting” noi presentiamo l‘azienda,  simuliamo dei casi,  facciamo domande che fanno vivere da subito al candidato l’approccio Bip alla professione del consulente. Al contempo sviluppiamo una idea molto più chiara del suo potenziale in una situazione molto realistica. Proviamo a far vivere la consulenza invece di raccontarla o farcela raccontare, show don’t tell! Il secondo vantaggio è la velocità, per Bip e per i candidati. In un solo giorno Bip riesce a vedere, valutare e selezionare un numero cospicuo di candidati, in un solo giorno il candidato passa dal primo contatto all’offerta di stage. Che peso ha la “osservazione empatica”? Cosa si riesce a percepire, dei candidati, di più rispetto a una normale procedura di colloquio?In un colloquio tradizionale cerchiamo di osservare lo standing del candidato e le sue capacità di ascolto, problem solving e comunicazione. In un colloquio esponenziale, agli elementi tradizionali si aggiungono la collaborazione in team, la presentazione in pubblico, l’accelerazione e soprattutto l’imprevisto. Certamente questa modalità veloce di recruiting va a vantaggio dei candidati, perché riduce a zero tutta la parte di ansia dell'attesa per il “verdetto finale”. Ma dal punto di vista dell'azienda invece fare tutto velocemente è davvero conveniente? Non c'è il rischio di prendere abbagli?Le decisioni di recruiting devono essere prese in modo razionale e sulla base del massimo di informazioni possibili sul candidato. Tali informazioni derivano principalmente dall’esposizione che il candidato ha con noi – HR e manager – e questa esposizione nell’“exponential recruiting” è di 4 ore verso 5 persone, noi recruiter: quindi  l’equivalente di venti colloqui tradizionali a due! L'“exponential recruiting” è una metodologia di recruiting particolarmente adatta per il settore della consulenza?Io credo sarebbe adatta anche ad industrie più tradizionali, e la proporrò certamente anche ai miei clienti. In particolare l' “exponential recruiting” è progettato in modo da stimolare i candidati a far emergere la propria creatività. Dunque nel campo della consulenza non bisogna essere solo rigorosi e quadrati, ma anche creativi?La creatività è uno dei fondamenti dell’innovazione, senza creatività non sarebbe possibile inventare nulla di nuovo ed il mondo non progredirebbe. David Kelley nel suo libro “Creative Confidence” afferma che è innata in tutti noi: io credo che per i consulenti dovrebbe averla come ossessione per aiutare i nostri clienti migliorare sempre di più. Creatività e rigore non sono in antitesi – anzi, i più grandi artisti sono molto rigorosi. Pensi ad esempio a Michelangelo che da scultore ha creato il più grande affresco di sempre: lo ha potuto fare non solo perché era un genio, ma perché ha rigorosamente cercato la perfezione nei metodi e materiali di lavoro.Intervista di Eleonora Voltolina