Lavoro, crisi, neet: il Rapporto Giovani rivela cosa pensano gli under 30

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 12 Nov 2014 in Interviste

Cosa pensano i giovani italiani? In quali valori credono, come affrontano la vita, lo studio, le tappe verso l'età adulta? Cosa pensano della situazione politica ed economica? Vanno a votare? Hanno fiducia nelle istituzioni? Come vivono la precarietà? Che rapporto hanno con le loro famiglie d'origine, quanto a lungo restano dipendenti da mamma e papà, come vivono la questione dell'autonomia? La Repubblica degli Stagisti ho ha chiesto ad Alessandro Rosina, docente di Statistica all'università Cattolica di Milano e tra i coordinatori del “Rapporto giovani”, un monitoraggio che da due anni fotografa in maniera approfondita e costante la situazione giovanile in Italia. Concentrandosi sul tema più scottante: il lavoro.

Il Rapporto Giovani è forse la più imponente ricerca sui giovani italiani mai effettuata. Quanto impegno comporta, in termini di risorse umane, di strumenti di ricerca e anche di fondi economici, realizzare un progetto del genere?
L’indagine è iniziata nel 2012 su un campione di 9mila giovani. Si tratta della più ampia e solida rilevazione sulla condizione dei giovani in Italia. L’impegno in termini di risorse è stato molto consistente. Il progetto è partito dall’Istituto Toniolo ma per continuare ha avuto il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo. I risultati sono stati subito incoraggianti consentendo di fornire un quadro empirico approfondito e dettagliato della condizione delle nuove generazioni in Italia che ha aiutato a sgomberare il campo da molti stereotipi e far emergere sia aspetti positivi sia criticità emergenti.

Dopo la prima ampia rilevazione avete ricavato un panel di 5mila giovani. Per quanto tempo seguirete queste persone?
Dopo il ritratto sulla condizione dei giovani abbiano deciso di proseguire costituendo un panel di 5000 intervistati, rappresentativi della popolazione italiana nella fascia 18-29 anni, da seguire nel tempo con l’obiettivo di arrivare a monitorare l’evoluzione della loro vita fino ai 35 anni di età. Ogni anno viene effettuata una rilevazione principale che aggiorna caratteristiche, progetti di vita e comportamenti. Nel corso dell’anno vengono poi realizzate cinque rilevazioni più leggere di approfondimento su temi di attualità - l’ultima sulla Garanzia giovani, la prossima su Expo.

Con quale periodicità l'Istituto Toniolo pubblica gli aggiornamenti del Rapporto Giovani?

Con cadenza annuale esce un volume edito da il Mulino. Il primo è stato pubblicato nel 2013 con il titolo “La condizione giovanile in Italia - Rapporto giovani 2013”. E’ in uscita, alla fine di questo mese, il Rapporto giovani 2014. Vengono, poi, durante l’anno pubblicati approfondimenti attraverso ebook liberamente scaricabili dal portale unitamente a schede e commenti su dati direttamente di interesse per il dibattito pubblico. Ogni mese si svolgono diversi eventi in giro per l’Italia di presentazione dei dati e dei temi trattati, promossi da scuole, realtà associative, istituzioni pubbliche. Il prossimo appuntamento è quello del 15 novembre al Future Forum di Udine.

Rispetto al tema del lavoro - uno dei sei che il Rapporto indaga in profondità - emerge che tra chi ha un impiego solo il 20% ne è pienamente soddisfatto, mentre oltre il 25% è poco o per nulla soddisfatto. I giovani accettano spesso lavori lontani dalle proprie aspettative: alcuni potrebbero erroneamente considerare positivo questo risultato, una prova che gli italiani non sono "choosy" come qualcuno diceva.
Si, questo è uno dei vari luoghi comuni che, con dati alla mano, abbiamo sfatato. In risposta alle difficoltà che attraversa il nostro paese e alla crisi economica, è in crescita la disponibilità dei giovani ad adattarsi e fare un lavoro anche non pienamente in linea con le proprie aspettative. Due giovani su tre dicono che più che piangersi addosso ed aspettare grandi cambiamenti dall’alto, bisogna rimboccarsi ancor più le maniche.

C'è poi l'aspetto del salario: secondo il Rapporto un giovane su due si adegua a un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato. I casi sono due: o i giovani italiani si aspettano stipendi molto più alti di quello che realisticamente dovrebbero sperare, oppure sono sottopagati…
"La seconda che hai detto". Stiamo preparando un’analisi dettagliata su questo tema. Quello che emerge è che, quando ancora stanno studiando, le aspettative sul salario che pensano arriveranno a percepire a 35 anni sono del tutto ragionevoli. Via via che poi si confrontano con quanto offre il mercato del lavoro aggiustano progressivamente al ribasso il tiro accettando remunerazioni che spesso non consentono una piena autonomia. Ricordiamo poi che ci sono vari studi che mostrano che chi decide di andare all’estero si trova a percepire in media un salario del 50 percento più elevato.

Una quota molto alta di giovani, il 47%, si adatta a svolgere un’ attività che non è coerente con il suo percorso di studi. Questo è un fallimento del nostro sistema scolastico e universitario, o è una conseguenza normale della crisi? Negli altri Paesi lo scollamento tra le materie studiate e il lavoro svolto è simile o minore?

Alla base di tutto questo c’è una conclamata incapacità del sistema paese di valorizza il capitale umano specifico delle nuove generazioni. A tre anni dal diploma o dalla laurea la quota di occupati è di 20 punti percentuali sotto rispetto alla media europea. Quindi se in positivo i giovani stanno adattandosi sempre di più, c’è però anche il rischio di trovarsi poi intrappolati su percorsi professionali dequalificanti. Anche qui vari studi mostrano che chi ha alte qualifiche, quando va all’estero riesce molto di più a trovare un lavoro soddisfacente e in linea con i suoi studi.

Secondo il vostro Rapporto quasi il 50% dei giovani si dichiara pronto ad andare all’estero per migliorare le proprie opportunità di lavoro: attraverso la rilevazione riuscite a separare chi se ne va per libera scelta da chi parte sentendosi "costretto" a farlo?
Anche qui sono in corso analisi più approfondite e dettagliate su questo tema. Possiamo però dire che rispetto agli altri paesi è più alta da noi la quota di chi si sente “costretto” ad andare all’estero per mancanza di adeguate opportunità nel luogo di origine.

Come valuta quel 20% che dichiara di non essere disposto a trasferirsi?

Non positivamente. La mobilità per studio o per lavoro è comunque un fenomeno positivo perché consente di arricchire formazione, competenze, fare esperienze e aprirsi al mondo. I giovani devono essere disposti a muoversi per cercare le opportunità migliori anche lontano da casa. Ma allo stesso tempo l’Italia deve diventare un luogo più attrattivo, che consenta con la stessa facilità ai giovani sia di andare che di tornare.

Nella sezione dedicata al lavoro c'è anche il non-lavoro: il problema dei Neet. Voi affermate che i giovani che non studiano e non lavorano sono oltre il 20% degli under 30: questo deriva dal vostro campione o dai dati Istat?
L’universo dei Neet è molto sfaccettato. Ci sono quelli che cercano lavoro, ma anche chi sta facendo un’attività che non risulta ufficialmente come lavoro. Ci sono poi coloro che non lo cercano secondo gli stringenti criteri Istat e Eurostat ma sarebbero subito disponibili a lavorare. Ci sono poi, infine, anche gli scoraggiati, soprattutto dopo essere diventati disoccupati di lunga durata. Quel 20% è il dato della nostra indagine che comprende chi non studia e dichiara di non fare alcuna attività remunerata.

Rispetto ai Neet il Rapporto Giovani lancia un allarme preciso: questi giovani inattivi sono più demotivati e disillusi rispetto ai propri coetanei, vedono il futuro pieno di rischi e sono meno in grado di progettare positivamente il proprio futuro. La politica finora non sembra aver affrontato in maniera efficace questo problema: quali sarebbero le politiche da implementare anche in Italia per ridurre significativamente il numero dei Neet?
Per ridurre il numero di Neet bisogna agire sia sullo stock, ovvero su chi si trova già da tempo in tale condizione e fatica ad uscirne, sia sul flusso, ovvero sui neo entranti nel mercato del lavoro dopo la conclusione del percorso formativo. Nel primo caso servono azioni che contrastino lo scadimento sia delle competenze che delle motivazioni, oltre a solidi strumenti di accompagnamento al reingresso nel mondo del lavoro. Qui il ruolo dei servizi per l’impiego, da rilanciare con il Piano “Garanzia giovani” finanziato dall’Europa, è cruciale. Nel secondo caso servirebbe un più stretto rapporto tra scuola e aziende sia per potenziare le competenze direttamente spendibili sul mercato del lavoro sia per favorire un orientamento efficace. Molto di più bisognerebbe inoltre fare, a partire dalle ultime classi delle superiori, per promuovere lo spirito di intraprendenza e la cultura del fare impresa. I giovani sono un terreno fertile. Con stimoli e strumenti adeguati, la voglia di fare e di mettersi in campo con le proprie idee può dare ottimi frutti.

Intervista di Eleonora Voltolina

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