Categoria: Approfondimenti

Enit, nessuna prospettiva di lavoro per gli stagisti

Gli enti pubblici che ospitano stagisti sono numerosi e l’Enit non fa eccezione. Da oltre dieci anni l’agenzia nazionale per il turismo offre l’opportunità di svolgere un’esperienza formativa presso la sua struttura. Quanti tirocinanti ci sono, come vengono reclutati e quali sono le principali mansioni ricoperte da uno stagista Enit? Dopo la segnalazione di Giuseppe P. e Laura F., la Repubblica degli Stagisti ha deciso di chiederlo a Corradina Caruso, responsabile per la parte tirocini dell’ufficio gestione e sviluppo delle risorse umane dell’ente. «Nel corso del 2010 la nostra struttura ha ospitato undici tirocinanti», un numero significativo se si pensa che  i dipendenti che attualmente lavorano per  Enit sono 91. Gli stagisti arrivano da tutte le università italiane. La selezione avviene di solito attraverso la diffusione di annunci su pagine e bacheche degli uffici stage degli atenei: «Ci appoggiamo alle università, che pubblicano nei loro siti le nostre richieste. Gli avvisi sono rivolti generalmente a laureati e la scelta si basa su alcuni criteri, come l’attinenza alle materie istituzionali dell’Enit del corso di laurea frequentato, il voto di laurea, la conoscenza delle lingue straniere. Oltre, ovviamente, all’esito del colloquio conoscitivo». Una volta selezionati, le aree in cui vengono collocati principalmente gli stagisti sono due: «Di solito vanno a operare o nell’ufficio stampa oppure nell’ufficio programmazione e comunicazione, dove vengono coinvolti nello studio dei mercati turistici». Queste attività, a detta della Caruso, dovrebberio sempre essere svolte sotto la responsabilità e il controllo del titolare dell’ufficio competente: «Gli stagisti sono seguiti dal responsabile dell’ufficio in cui effettuano il tirocinio» assicura la Caruso. Di fatto, però, secondo la testimonianza di Giuseppe e Laura, pur essendoci formalmente un responsabile, capita che gli stagisti vengano abbandonati a loro stessi, senza precise direttive sul lavoro da compiere. Una critica sulla quale Corradina Caruso preferisce non pronunciarsi. E per quanto riguarda il rimborso spese? «Viene erogato un emolumento pari a 8,90 euro lordi giornalieri», pari a poco meno di 180 euro al mese. «Ma solamente a chi svolge un tirocinio di durata superiore ai sei mesi». Ecco perché Giuseppe e Laura non hanno ricevuto un euro: il loro tirocinio è durato “solo” sei mesi, non abbastanza per avere diritto a un rimborso. La responsabile del personale dell’Enit ribadisce, infine, che lo stage presso l’ente è un’esperienza priva di prospettive di lavoro future: «Questo è un ente pubblico non economico e perciò le assunzioni possono avvenire solo mediante concorso». Gli aspiranti stagisti sono avvisati: chi decide di effettuare un tirocinio presso l’Agenzia nazionale per il turismo sappia che nella maggior parte dei casi non percepirà alcun rimborso spese, e che alla fine del percorso non vi saranno sbocchi occupazionali.Chiara Del PriorePer saperne di più su quest'argomento, leggi anche:-  «Il nostro stage all'Enit, un'esperienza fallimentare»: le testimonianze di due lettori- Al via i tirocini al Senato, ma con rimborsi bassissimi:da 250 a 500 euro al mese. Pari allo 0,015% del bilancio di Palazzo Madama- Salgono a duecento le firme a sostegno della proposta della Repubblica degli stagisti che gli stage negli enti pubblici valgano punti per i concorsi  

I laureati italiani fotografati da Almalaurea: sempre più disoccupati e meno retribuiti

Ancora brutte notizie per i neolaureati italiani: l'altroieri Almalaurea ha diffuso gli ultimi dati sull’occupazione dei laureati del quinquennio 2005-2009, esaminati in un campione di 40mila giovani a uno, tre e cinque anni dal titolo. E purtroppo non c'è da stare allegri.Alla conferenza di presentazione del XIII Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, presso la sede della Crui a Roma, Andrea Cammelli – direttore di Almalaurea – ha snocciolato una copiosa mole di numeri che non fa che confermare quanto si sospettava: la crisi economica ha colpito i laureati italiani più che mai, anche se questo elemento non è sufficiente da solo a giustificare la contrazione di occupazione e buste paga. «Tali difficoltà sono il prodotto di tempi più lunghi», precisa Cammelli. Il dato principale è infatti una progressiva perdita di posti di lavoro sia per i laureati di primo livello che per gli specialistici, confermata dall’altra parte da una crescita della disoccupazione: per fare un esempio, se il 77% dei laureati di primo livello del 2007 risultava occupato a un anno dalla laurea, per quelli del 2009 la percentuale scende al 71%, e lo stesso vale per gli specialistici, occupati per il 37% contro il 45% del 2007. Una riduzione che si rispecchia nelle percentuali della disoccupazione, passata per i laureati ‘brevi’ dall’11 al 16% e raddoppiandosi per gli specialistici. Di pari passo diminuisce la stabilità del lavoro, aumentando il modello atipico e l’attività non regolamentata, così come il peso del portafogli, con un calo delle retribuzioni che raggiunge il 10% per i laureati specialistici rispetto ai fratelli maggiori del 2007. Un fenomeno che però fa registrare un lieve miglioramento rispetto al 2009, come dimostrerà la documentazione completa che sarà pubblicata giovedì. Si può dunque ancora considerare la laurea come strumento che garantisce maggiore occupabilità? Secondo Cammelli sì, perché nonostante la progressiva erosione del loro potere d’acquisto e dei posti di lavoro, i laureati italiani risultano comunque pagati di più nel lungo periodo. Il fatto che i diplomati abbiano remunerazioni più cospicue all'inizio è perché questi entrano prima nel mercato del lavoro, restando però ancorati a una stessa posizione per il resto della vita lavorativa. Come sempre poi, sono le facoltà scientifiche come Medicina ed Economia a restare in testa quanto a garanzie di occupabilità, contro alle sempre meno spendibili Giurisprudenza e Biologia. Mentre persiste il blocco dell’ascensore sociale, per cui i figli della borghesia continuano a guadagnare di più rispetto ai figli di operai, a cui la mancanza di una rete di relazioni sociali di spicco preclude l’accesso alle posizioni lavorative migliori. Un dato importante anche quello degli stage: crescono in maniera esponenziale i tirocini maturati durante il percorso di studi raggiungendo il 49% per i laureati specialistici e il 60% quelli di primo livello. Nel 2001 erano meno del 20%. A detta di Cammelli, si tratta di un dato positivo, di «un segnale evidente di convergenza tra mondo del lavoro e dell’università. Un potente strumento», che nel 7% dei casi offre maggiori possibilità di lavoro. Forse ancora troppo poco. Anche se Luigi Frati, rettore dell’università La Sapienza, intervenendo alla conferenza fa sapere che attuerà un provvedimento per cui gli stage faranno punteggio alla laurea in base al giudizio dato dal datore di lavoro, allo scopo di sensibilizzare l’imprenditoria sul valore di questa esperienza. L'Europa invece resta un traguardo a cui puntare per il numero dei laureati, nel nostro paese pari al 20%: ancora molto lontani dall’obiettivo del 40% stabilito dalla Commissione europea e che si somma agli scarsissimi investimenti sia pubblici che privati in istruzione e ricerca (che ci fanno guadagnare gli ultimi posti in classifica rispetto ai principali competitors). Numeri che smontano la tesi di chi sostiene che il problema in Italia siano i troppo laureati. Infine un trend preoccupante: le immatricolazioni sono in calo del 5% nelle università pubbliche, nonostante l’aumento dei diplomati (che solo nel 62% si è iscritto nel 2010 all’università contro il 66% del 2009). Una sfiducia nella formazione che preoccupa Andrea Lenzi, presidente CUN: «Oggi abbiamo meno studenti e quindi avremo meno laureati. Questo è certamente un grave danno anche di fronte ad un presente e soprattutto ad un futuro basati sulla conoscenza dove la capacità d'innovare è diventata motivo di sopravvivenza per i paesi industrializzati». L’unica speranza di adeguarci a un’Europa più avanzata anche in termini di laureati è dunque non smettere di studiare.   Ilaria Mariotti   Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - I giovani secondo Pier Luigi Celli? Una «generazione tradita». Di cui continuano a parlare soprattutto i vecchi - Michel Martone: «Il Contratto porta in tv la vita vera di chi cerca lavoro»        

«Non è un paese per bamboccioni», un libro per chi è stufo di piangersi addosso

C’era una volta Mark Zuckerberg, e la geniale invenzione di Facebook che  a 23 anni lo rese il più giovane miliardario al mondo. Una storia capitata – come sempre, si dirà – negli States. Ma siamo sicuri che solo l’America sia l’eldorado dei giovani vincenti? Agli italiani sull’orlo di una crisi di nervi perché l’estenuante ricerca di un lavoro non produce risultati potrebbe piacere un libro appena uscito: si chiama Non è un paese per bamboccioni (Cairo Editore)  e gli autori sono Matteo Fini e Alessandra Sestito, due trentenni rispettivamente di Milano e Lecce, che hanno raccolto le storie di undici giovani tra i venti e quarant’anni riusciti nell’intento di realizzare un sogno. Il loro. Proprio in questo sta la forza dei racconti, non ordinarie storie di una gioventù italiana le cui aspettative sono state bruciate dalle politiche delle generazioni precedenti: qui non c’è spazio per la lamentela e il piangersi addosso. I percorsi di Federico Grom, Riccardo Moroni, Gianluca Petrella, Laura Torresin hanno un minimo comune denominatore: non solo il successo ottenuto a suon di sacrificio e impegno, ma anche lo spirito d’iniziativa, la voglia di fare, la passione e l’entusiasmo. Proprio quello che spesso viene meno in chi si scontra quotidianamente con il precariato o la disoccupazione, e vede la vita scorrere inesorabilmente davanti a sè senza poterla fermare e condurre dove si vuole. Così, con buona pace di quella definizione che nel 2007 fece arrabbiare  i giovani italiani tacciati di 'bamboccionismo' perché giudicati incapaci di (e non impossibilitati a) emanciparsi, Fini e Sestito ribaltano la questione, senza soffermarsi a sindacare sulle colpe dei padri o sulla mancanza di prospettive della maggior parte dei figli. Nel libro si parla di giovani che non hanno trovato la strada spianata da raccomandazioni o scorciatoie di varia natura, ma che semplicemente si sono imposti con idee innovative, fantasia e coraggio, coronando i loro progetti grazie a una buona dose di fatica e intraprendenza. Certo l’aiuto c’è stato, quello di qualcuno più grande di loro, un qualche mentore di passaggio che li ha spinti nella direzione verso cui già erano diretti, piuttosto che ostacolarli – o peggio – scoraggiarli dicendo che non ce l’avrebbero fatta. Con un linguaggio adrenalinico e uno stile asciutto, le storie vengono snocciolate tra stralci di vita capaci di trasmettere carica e positività. Con passaggi come questo: «Un po’ è anche colpa tua. Devi vincere la pigrizia, armarti di volontà, crederci. Anche rischiare un po’. Con giudizio, con studio, con pianificazione e strategia. Ma devi osare, magari sganciarti dalla famiglia che ha un’attività già avviata, sicura, per iniziare una cosa tua che ti cresca tra le mani». È una parte dell'episodio sul carwasher, Riccardo Moroni, che ad appena 22 anni e con un mutuo di 700mila euro si lancia in un’impresa di autolavaggi che poco a poco conquista la sua città – Lurago d’Erba – fino a piazzarsi anche altrove, puntando tutto sulla qualità del prodotto, come la spumosissima schiuma che ammalia i bambini. C’è poi la minestra perfetta della cuoca Laura Torresin, nata nel 1979 a Treviso, che dalle uova fritte cucinate in un chiosco australiano passa a una grande scuola di cucina e finisce a rappresentare l’Italia in uno dei concorsi più prestigiosi al mondo. E ancora: i gelati di Federico Grom e Guido Martinetti, due under 30 torinesi, che trasformano la passione per il gelato in un fiorente business internazionale investendo 120mila euro (di cui 60mila in prestito); gli orologi di silicone del marchio Too Late nati da un’idea di Alessandro Fogazzi, classe 1980, che sull’onda di un’ispirazione ne compra mille pezzi per 20mila euro al Moma di New York; il ContactLab di Massimo Fubini, che inizia in uno scantinato di Milano (facendo fruttare 5 milioni di vecchie lire di risparmi) e finisce a dirigere una società di sessanta persone; la proteina scoperta da Ruggiero Mango, fondamentale nella prevenzione del rischio di infarto. Ma ci sono anche le storie dei pluripremiati Gianluca Petrella, astro nascente del jazz, quella dell’italoafricano Fred Kuwornu, quarantenne, autore di un cortometraggio proiettato in tutto il mondo, del manager 29enne Giampiero Traetta, di Sara Caminati che si è inventata il lavoro di curatrice dell’immagine dei vip sul web, e dell’operatrice umanitaria Selene Biffi che dal computer della sua cucina, con i 150 euro regalati dal padre, ha creato un corso online per formare volontari su come migliorare le condizioni di vita delle popolazioni povere. Sono tutti dei fenomeni questi ragazzi? Forse qualcuno, ma non è stata questa la chiave del trionfo. Ce l’hanno fatta perché si sono lanciati in un’idea in cui credevano, e non si sono risparmiati nel perseguire un obiettivo che alla fine è arrivato, aprendo le porte del futuro. Una possibilità che solletica in tempi in cui nessuno è disposto a dare credito alle nuove generazioni, in cui sembra che per loro non ci  sia spazio. Ma forse, a volte, bisogna andarselo a prendere questo spazio.     Ilaria Mariotti   Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Career Day Cattolica, esce il nuovo numero del freepress Walk on Job dedicato a giovani e lavoro - Peter Pan non per scelta ma per forza - L'Italia è un paese per vecchi che parlano di giovani  

I giovani secondo Pier Luigi Celli? Una «generazione tradita». Di cui continuano a parlare soprattutto i vecchi

La provocazione fa passare meglio certi messaggi. Lo sapeva bene Pier Luigi Celli quando nel novembre 2009 ha affidato alle colonne di Repubblica una lettera aperta diretta al figlio Mattia, allora studente di ingegneria al secondo anno di specialistica. «Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai». Da cui, a malincuore, l'invito: laureati e lascialo, vai a lavorare all'estero. Che venendo dal direttore generale della Luiss, docente universitario, lunghi anni di top management alle spalle in aziende come Rai, Eni, Enel, Omnitel, Wind, Hera, e Unicredito Italiano, aveva un valore tutto particolare. E apriti cielo: 2500 commenti alla pagina web dell'articolo, reazioni discordi ma tutte accalorate dal mondo della cultura e delle istituzioni, Presidente della Repubblica compreso; grande dibattito mediatico - presto esauritosi. Arrivò anche la risposta pubblica di Mattia Celli, che concordava ma rimandava la decisione al dopo laurea.Ad un anno di distanza il direttore, classe 1942, torna nero su bianco a rompere il «silenzio quasi assordante» sul tema della transizione dall'università al lavoro con «La generazione tradita», sottotitolo Gli adulti contro i giovani (Mondadori). Il punto di partenza è quella lettera, ma si tratta di un pretesto. Diversamente da ciò che fanno intuire i toni audaci della copertina, la provocazione si diluisce in una lunga riflessione - posata, a tratti digressiva, punteggiata di echi filosofici e letterari -  sulla fotografia sbiadita che per i giovani è oggi l'Italia: un «Paese in cui l'uso discrezionale delle regole sembra virtù sociale emergente di chi "sa stare al mondo"»; senza opportunità, rissoso, individualista. Vecchio. E proprio sui "grandi" pesa secondo Celli il fardello della colpa: eroici nel Sessantotto, fiaccati negli anni Settanta, arresi negli Ottanta, hanno consegnato alle nuove generazioni una società normalizzata sul ribasso, dove concorrere solo per una «competizione mediocre» in cui la scelta cade tra accontentarsi, subire o partire. «Un lavoro qualsiasi diventa spesso l'unico approdo, qualunque sia il pegno da pagare», mentre loro, gli adulti, rimangono avidamente aggrappati a poltrone più o meno strategiche, dalla politica, all'università, all'impresa. E allora la diffidenza è legittima, se a parlare è un settantenne che di poltrone strategiche ne ha occupate, e ne occupa,  molte. Celli è cosciente del rischio di risultare «patetico», o ipocrita, ma si assolve nella convinzione di farlo con il  «rispetto che si deve a chi ha ereditato, senza averne colpa, situazioni che noi stessi abbiamo contribuito a creare, e che ora siamo così inclini a giudicare». Un velato mea culpa insomma, non si sa se e quanto di circostanza. Il problema che pone è comunque tangibile e grave, e si può scegliere di tenere lì l'attenzione, più che su chi lo denuncia.Pochi i numeri, e già noti: nel 2010 un terzo della popolazione 15-29  anni è senza lavoro; nel 2009 le assunzioni a tempo indeterminato segnano meno 30%, rimpiazzate da stage e contratti atipici, mentre i licenziamenti per il 90% hanno interessato i posti a tempo determinato, avverando l'equazione flessibilità uguale precarietà. Due milioni e mezzo di disoccupati in Italia e il 60% di loro ha meno di 34 anni. Dati da leggere sullo sfondo di una crisi economica che ha solo inasprito una situazione già compromessa, diventando spesso pretesto.A compensare cifre preoccupanti ci sono idee belle e condivisibili: il ritorno al dialogo, alle virtù civili dimenticate - responsabilità, rispetto, dignità, coraggio - l'invito a guardare ai giovani con «generosità e lungimiranza»,  a riconsegnare loro la scommessa di un futuro rubato. Come farsi perdonare?, si chiede l'ultimo capitolo. Aiutandoli, creando già nell'università le condizioni per intraprendere un «apprendistato esperenziale» che integri le nozioni universitarie con le nozioni di vita, con un occhio di riguardo per l'imprenditoria e l'innovazione, sul modello di progetti come Italia Camp. Perché in quella lettera, e nel libro, «l'obiettivo era arrivare a una reazione che impegnasse a restare, nonostante tutto». E a combattere. I vecchi guerrieri, però, forse dovrebbero farsi da parte: e lasciare - non solo a parole ma anche nei fatti - spazio ai giovani.Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Caro Celli, altro che emigrare all’estero: è ora che i giovani facciano invasione di campo e mandino a casa i grandi vecchiE anche:- Disoccupazione giovanile, la vera emergenza nazionale: l'SOS di Italia Futura e le interviste a Irene Tinagli e Marco Simoni - Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud- L'Italia è un paese per vecchi che parlano di giovani- Claudia Cucchiarato, la portavoce degli espatriati: «Povera Italia, immobile e bigotta: ecco perché i suoi giovani scappano»

Basta davvero un clic per trovare lavoro? Il Ministero investe 400mila euro in un nuovo portale per l'impiego

Chi è in cerca di occupazione oggi lo fa innanzitutto sul web. E proprio il Ministero del lavoro lo scorso 22 ottobre ha lanciato Cliclavoro, il nuovo sito governativo che si presenta - secondo l'intuizione che fu già della legge Biagi - come luogo «aperto, trasparente e democratico» per l'incontro tra domanda e offerta occupazionale. Un tentativo già fatto a partire dal 2006 con la Borsa continua nazionale del lavoro, riuscito in realtà solo in parte: troppo spezzettate le competenze in materia di lavoro, troppo difficile convincere tutti i soggetti coinvolti ad accettare una sola tecnologia standard.Difficoltà subito evidente se già dal 2007 il ministero si è messo in moto per gettare le basi di quello che oggi è Cliclavoro, accumulando voci di spesa  per circa 400mila euro a fine 2010, come spiega alla Repubblica degli Stagisti Daniele Lunetta della Direzione per l'innovazione tecnologica. Con l'intenzione di non ripetere gli errori del passato: il sito infatti è strutturato come una piattaforma in cui i dati locali vengono convogliati «attraverso nodi regionali federati che sfruttano l’interoperabilità del sistema» precisa il direttore generale Grazia Strano, «e non attraverso portali regionali cloni di quello centrale», come avveniva appunto con Borsa Lavoro.Possono entrare nel sistema soggetti sia pubblici sia privati: cittadini e aziende, innanzitutto, «che partecipano direttamente e volontariamente». Poi i centri per l'impiego - 500 in tutta Italia -  ma anche le agenzie per il lavoro, «operatori che, autorizzati dal ministero, hanno il compito di operare sul mercato anche attraverso l’interconnessione a clic [la possibilità di scambiare dati con i siti governativi, ndr], come previsto dalla legge 183/10, il cosiddetto Collegato lavoro. La stessa norma obbliga le università a pubblicare i curricula dei laureati» ma l'intento è quello di rendere disponibili anche quelli dei neodiplomati. Il tutto gratuitamente, anche per le agenzie private - uno stuolo di 25mila.E, a proposito di agenzie, ecco un'altra differenza con Borsa Lavoro: se prima erano queste a fornire le offerte di occupazione, ora è il motore di ricerca di Cliclavoro che le scova nel web, scandagliando i circa 200 siti web che si sono, per legge, allacciati al portale. Ed è su uno di questi siti che verrà ridiretto con tutta probabilità chi prova a candidarsi per una posizione (e può capitare di incappare in annunci scaduti). Infatti per il momento centri per l'impiego e università hanno lasciato poche tracce di sè. In Puglia ad esempio sono 14 i centri per l'impiego su un totale di 44 che hanno effettuato l'accesso al portale ad un mese dal suo lancio, ed è solo in fase di avvio la collaborazione tra Ministero del lavoro e Soul, il Sistema di orientamento universitario al lavoro che raduna le otto università laziali - Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre da sole contano quasi 180mila iscritti. Per la condivisione dei database insomma i tempi si prevedono lunghi.Passando alle novità: una sezione dedicata ai concorsi pubblici (per il momento solo un link alla Gazzetta ufficiale, ma si punta alla possibilità inoltrare le candidature direttamente da Cliclavoro); una banca dati di percettori di sostegno al reddito, che se assunti sono “vantaggiosi” per il datore di lavoro dal punto di vista fiscale; la partecipazione di Eures, la rete di servizi per l'impiego della Commissione europea. Il tutto supportato da un'operazione di comunicazione ad ampio raggio che apre ai social media (Facebook, LinkedIn e Twitter, più un blog dedicato), prevede sezioni di interazione con gli utenti (come quella "Sondaggi", in verità ancora poco fornita) e fornisce mappe per raggiungere centri, agenzie e luoghi di lavoro. Mentre si attende a breve il lancio dell'applicazione smartphone per la fruizione mobile del sito. A gestire i contenuti del portale è una redazione di cinque persone, giornalisti ed esperti di comunicazione e informatica, tutte «di età massima 30 anni» che fanno base in una delle sedi romane del ministero, racconta alla Repubblica degli Stagisti la caporedattrice Maria Chiara Grandis. Un altro piccolo team si occupa invece dei tre social network dedicati.Secondo le anticipazioni di Grazia Strano, la redazione si occuperà presto anche di stage: previste delle sezioni ad hoc, «indipendentemente dalla natura e dalla eventuale retribuzione». Verranno pubblicate cioè offerte di tirocini che prevedono rimborso spese accanto ad offerte senza emolumento, in strutture sia pubbliche che private. Ne saranno felici gli utenti: il 41% di loro, emerge da uno dei minisondaggi lanciati a novembre dal sito, pensa che tirocinio e apprendistato (che sono comunque strumenti molto diversi) siano molto utili per l'inserimento lavorativo; più moderato - «utile, ma non abbastanza» - il 29% degli intervistati. Per il momento, stando ai dati ufficiali aggiornati al 21 gennaio, l'accoglienza è stata ottima: 250mila visitatori unici, 300mila curriculum depositati, 16mila posti di lavoro a disposizione. E quasi 4mila contatti tra lavoratori e datori di lavoro, ma per monitorare con precisione il successo del sito - in numero di assunzioni - dal prossimo anno i dati di Cliclavoro saranno incrociati con quelli delle comunicazioni obbligatorie, con le quali per legge i datori di lavoro devono rendere nota l'assunzione di personale - e proprio attraverso il portale.Un progetto che promette molto insomma, e con la speranza che mantenga si può intanto riflettere su come, per dirla con le parole del docente di Diritto del Lavoro Vito Pinto, «i servizi per l'occupazione sono l'olio per il motore, ma innanzitutto serve il motore».Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Disoccupazione giovanile, la vera emergenza nazionale: l'SOS di Italia Futura e le interviste a Irene Tinagli e Marco Simoni- Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud- Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?

Le domande personali in sede di colloquio non sono lecite: lo dicono il Codice delle pari opportunità e la Costituzione

Prosegue «L'avvocato degli stagisti», rubrica della Repubblica degli Stagisti curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini, avvocati dello studio legale Ichino Brugnatelli. Basile e Passerini approfondiscono di volta in volta casi specifici sollevati dai lettori. La domanda stavolta è stata posta dalla lettrice Beatrice attraverso il wall del gruppo Repubblica degli Stagisti su Facebook.«Durante un colloquio mi hanno chiesto se convivevo e se avevo un fidanzato: volevano accertarsi io non avessi in progetto di creare una famiglia. Come comportarsi in questi casi? È legale che i selezionatori pongano domande riguardanti sfere così private?»Domande tanto personali come quelle rivolte alla lettrice possono rappresentare non solo una indebita intromissione nella sfera privata del soggetto, ma anche una forma – più o meno celata – di discriminazione nell’accesso al lavoro o, come in questo caso, nell’accesso a un’iniziativa formativa. Sotto il profilo giuslavoristico tali tipologie di indagine possono configurare a tutti gli effetti un vero e proprio comportamento illecito. Infatti, anche ai tirocini formativi e di orientamento – benché non costituiscano rapporti di lavoro – è applicabile l’articolo 27 del decreto legislativo 198/2006 (il cosiddetto «Codice delle pari opportunità»), il quale stabilisce espressamente che: «[1]. E' vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale. [2]. La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive;b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.[3]. Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonché all'affiliazione e all'attività in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni».  In applicazione dei principi di parità e di uguaglianza di opportunità tra uomini e donne, contenuti nell’articolo 37 della Costituzione («La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al-la madre e al bambino una speciale adeguata protezione») la norma detta precisi limiti all’autonomia privata del datore di lavoro nell’organizzazione dell’impresa, vietando qualsiasi discriminazione per ragioni di genere in materie fondamentali quali l’accesso al lavoro e le iniziative in materia di orientamento e formazione. Tale norma prevede possibili deroghe solo per mansioni di lavoro particolarmente pesanti, individuate attraverso la contrattazione collettiva, o qualora – nei soli settori della moda, dell’arte e dello spettacolo – l’appartenenza ad un determinato sesso sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione. Non riteniamo, dunque, che domande del genere di quello evidenziato dalla lettrice possano essere legittimamente poste all’aspirante stagista. La violazione delle disposizioni dell’articolo 27 del Codice delle pari opportunità è tra l’altro espressamente sanzionata dalla legge, con un’ammenda di importo molto significativo. Inoltre, la persona che si ritiene discriminata – o, per sua delega, le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, la consigliera o il consigliere di parità provinciali o regionali territorialmente competenti – può proporre dinnanzi al Giudice del Lavoro un particolare procedimento speciale d’urgenza; il Giudice, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la discriminazione può ordinare all’autore del comportamento denunciato la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti, e, se richiesto, può anche condannare l’autore del comportamento illecito al risarcimento dei danni subiti dalla persona discriminata.Sergio PasseriniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Repubblica degli Stagisti ha una nuova rubrica: «L'avvocato degli stagisti» curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini dello studio Ichino Brugnatelli- Una neolaureata chiede all'avvocato degli stagisti: «Prendo solo 400 euro di rimborso spese: posso pretendere almeno che mi vengano dati i buoni pasto?»- Posso fare uno stage se sono titolare di partita Iva? Risponde «l'avvocato degli stagisti», la nuova rubrica dedicata agli aspetti giuridici dello stage- Uno studente dell'alberghiero chiede: «È legale che io debba pagare 150 euro per fare uno stage?». Risponde l'avvocato degli stagisti

Quanti stagisti può ospitare un'azienda? Tutti i talloni d'Achille della normativa

Il punto di riferimento normativo rispetto agli stage, anche se a livello locale sono spuntate negli ultimi anni alcune leggi regionali, resta principalmente il decreto ministeriale 142/1998. Questo testo prevede pochi paletti fondamentali che dovrebbero regolare l'utilizzo dello strumento dello stage, volto esclusivamente - almeno nelle iniziali intenzioni del legislatore - «a realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro nell'ambito dei processi formativi» e «agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro».Rispetto al numero di stagisti ospitabili, già nell'articolo 1 di questo decreto viene esplicitato che «i datori di lavoro possono ospitare tirocinanti in relazione all'attività dell'azienda, nei limiti di seguito indicati: a) aziende con non più di cinque dipendenti a tempo indeterminato, un tirocinante; b) con un numero di dipendenti a tempo indeterminato compreso tra sei e diciannove, non più di due tirocinanti contemporaneamente; c) con più di venti dipendenti a tempo indeterminato, tirocinanti in misura non superiore  al dieci per cento dei suddetti dipendenti contemporaneamente».Sembra tutto chiaro, eppure questa disposizione ha un grande tallone d'Achille. Anzi, tre.  Per prima cosa, malgrado sia espressamente specificato che si parla solo di dipendenti a tempo indeterminato, molte imprese scelgono di fare le "finte tonte" e conteggiano ai fini della proporzione tutto il loro organico, ricomprendendo anche i collaboratori con contratto a progetto, i giovani in apprendistato, talvolta perfino i freelance. Capita quindi che piccole imprese - agenzie pubblicitarie, redazioni giornalistiche, società di consulenza... - che hanno solamente due-tre dipendenti a tempo indeterminato si sentano in diritto di ospitare cinque-sei stagisti alla volta, come se avessero sessanta dipendenti, perchè magari in organico hanno una decina di impiegati a tempo determinato, una ventina di cocopro e altrettanti collaboratori a partita Iva.Un altro aspetto problematico è quella parolina, «contemporaneamente», che non lega il limite numerico all'anno solare (es. 2010, 2011...) bensì all'hic et nunc. Per com'è scritta la norma, infatti, non si possono ospitare più di tot stagisti contemporaneamente: ma nulla vieta di ruotarli in continuazione. Con il risultato che un'azienda con cento dipendenti in un anno potrebbe prendere non solo dieci stagisti (che corrisponderebbero appunto al 10% del suo organico) ma addirittura fino a quaranta: basterebbe che avesse l'accortezza di far durare gli stage tre mesi e di sostituire immediatamente gli stagisti in scadenza con nuove leve. Non capita, purtroppo, così raramente.Infine un ultimo aspetto da segnalare è che vi sono aziende che hanno un certo organico, di cui però una percentuale rilevante ha mansioni operaie: ha senso che quei dipendenti vengano considerati nel computo? Poniamo il caso di una fabbrica con 2mila dipendenti, di cui 500 con mansioni impiegatizie e 1500 operai. Ha senso che quest'azienda possa ospitare fino a 200 stagisti all'anno? Siccome gli stagisti non vengono destinati alla catena di montaggio o alle officine - almeno, lo si spera - potenzialmente negli uffici potrebbe crearsi una situazione assurda con 500 dipendenti e 200 stagisti! Qui il buon senso suggerirebbe due soluzioni: diminuire la proporzione percentuale  tra numero di dipendenti a tempo indeterminato e numero di stagisti, riducendola per esempio dal 10% al 5%, oppure specificare che nel computo non potranno essere conteggiati coloro che svolgono mansioni di fatica.In ogni caso, il tallone d'Achille più significativo rispetto a questo punto della normativa - anzi, della normativa nel suo insieme - è che non è prevista alcuna sanzione per le eventuali violazioni. Detto in parole povere, si parla di teoria: in pratica oggi se un'azienda supera i paletti che il dm 142/1998 pone, ospitando più stagisti del consentito, anche in caso di ispezione e di accertamento della violazione rischia poco o nulla. Non sono infatti previste né sanzioni pecuniarie né ripercussioni di altro tipo. Per raddrizzare il sistema ci sarebbe bisogno di cominciare a bacchettare le imprese che non si comportano bene. La proposta della Repubblica degli Stagisti è quella di differenziare tra violazioni gravi e violazioni lievi: per le prime, come ad esempio l'utilizzo dello stagista come dipendente, dovrebbe scattare la trasformazione dello stage in apprendistato; per le violazioni lievi potrebbe invece essere prevista come punizione la sospensione della facoltà di ospitare stagisti per un certo periodo di tempo, per esempio 12 o 24 mesi. Ma per introdurre queste migliorie ci vuole la volontà politica di proteggere gli stagisti e sanzionare le imprese che li sfruttano.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Quanti stagisti può prendere un'azienda? Tanti, anzi: troppi- Aziende senza dipendenti: è possibile lo stage? Regione (e provincia) che vai, risposta che trovi- Normativa sugli stage, la Repubblica degli Stagisti vigila: un caso di illegalità «sventato» grazie alla segnalazione di un lettoreE anche:- Stage e tirocinio sono la stessa cosa?- Posso fare uno stage se sono titolare di partita Iva? Risponde «l'avvocato degli stagisti», la nuova rubrica dedicata agli aspetti giuridici dello stage- Intervista a Paolo Weber: «Gli ispettori a Milano vigilano anche sugli stage, ma quanto è difficile»- Tanti stage impropri, nessuna segnalazione agli ispettori. Perché? Due testimonianze- «Non abbiamo ispettori da mandare nelle aziende»: parla il responsabile dell'ufficio stage dell'università Cattolica

Indagine Excelsior, focus Tirocini / A sorpresa le regioni che assumono più stagisti sono Lazio, Basilicata e Campania

Se lo status di stagista è simile dalle Alpi agli Appennini, le condizioni e sopratutto le prospettive offerte mutano in maniera significativa da territorio a territorio. La Repubblica degli Stagisti avvia da questa settimana una ricognizione approfondita della parte dell'indagine Excelsior di Unioncamere dedicata ai tirocini nelle imprese private, per tracciare una mappa dettagliata della condizione degli stagisti italiani regione per regione.In generale, è bene tenere a mente che «la maggioranza assoluta di tirocinanti e stagisti entrati nelle imprese nel 2009 (oltre il 52%)» si legge nel documento «ha svolto la propria esperienza formativa in imprese al di sotto dei 10 dipendenti»: quindi nelle microimprese. E questa categoria purtroppo è anche quella che offre meno sbocchi lavorativi al termine dell'esperienza formativa: la percentuale di assunzione dopo lo stage nelle aziende di quel tipo infatti si ferma a 9,2%, due punti e mezzo sotto la - già bassissima - media generale (11,6%).Le 322mila persone che hanno fatto esperienze di stage nelle imprese private italiane nel corso del 2009 sono distribuite per la maggior parte al nord: gli stagisti delle regioni del nord-ovest (Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria) e quelli delle regioni del nord-est (Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna) sommati insieme sono circa 193mila, pari al 60% del totale. «Circa sei tirocinanti su dieci sono entrati in imprese localizzate nel Nord-Italia, quattro in tutto il resto del paese». Il restante 40% si sparpaglia infatti nelle regioni del centro (Toscana, Umbria, Marche e Lazio) e del sud (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna). Il Trentino Alto Adige è il più trainee-friendly: «con 39 stagisti ogni 1.000 dipendenti è la regione in cui le imprese sono le più disponibili a integrare la formazione scolastica», mentre all'estremo opposto c'è la Campania, «nelle cui imprese lo stesso rapporto è pari appena al 17 x 1.000». Alle spalle del Trentino in graduatoria si trovano Umbria, Sicilia, Puglia, Basilicata e Molise. La sorpresa è che Lombardia e Lazio figurano in fondo alla lista, poco distanti dalla Campania: la Lombardia per la precisione detiene la terz’ultima posizione, il Lazio la quintultima. E questo benché si tratti di regioni, sottolineano i ricercatori di Unioncamere, «la cui struttura produttiva parrebbe particolarmente indicata ad accogliere tirocinanti e stagisti». Eppure in termini assoluti la Lombardia è la regione con il numero più alto di tirocinanti: 61.800, di cui 21.700 solamente a Milano e provincia. Come mai allora nell'altra classifica si pone così in basso? Perché in Lombardia hanno sede tante aziende, tantissime, molte di più che in altre regioni. E quindi, facendo la proporzione con il numero delle imprese del suo territorio e di conseguenza del numero dei dipendenti, emerge che potrebbe accogliere molti più stagisti. «La presenza di alcune situazioni favorevoli anche nel Mezzogiorno è confermata dal fatto che tra le prime dieci province in base al valore del rapporto stagisti/dipendenti, quattro appartengono all’Italia Sud-insulare: Agrigento, Vibo-Valentia, Ragusa, Oristano» scrivono i ricercatori di Unioncamere: «tra le dieci province meno favorevoli all’inserimento di tirocinanti e stagisti troviamo invece, a conferma del dato regionale visto sopra, sia Milano, sia la nuova provincia di Monza e Brianza».Un aspetto molto importante è poi quello della percentuale di assunzione dopo lo stage. A livello generale il dato medio rilevato da Excelsior è 11,6 contratti ogni cento stage: ma ci sono luoghi in cui va meglio e luoghi in cui va peggio. La regione messa meglio è il Lazio, con una percentuale di assunzione dopo lo stage quasi doppia rispetto alla media (18,4%), rincorsa a sorpresa dalla Basilicata, che ha assicurato ai 2.470 che hanno fatto tirocini nelle sue imprese nel corso del 2009 una prospettiva di essere assunti pari al 15,5%. Seguono a breve distanza Campania (15,2%), Abruzzo (14,9%) e Liguria (14%). Le tre regioni dove invece in assoluto conviene farsi meno illusioni sono il Trentino Alto Adige (solo 6,6% di assunzioni al termine dello stage), la Sicilia (7,7%) e la Valle D'Aosta (8,5%). Si può però ipotizzare che questo dato, almeno per quanto riguarda la prima e la terza delle regioni citate, sia spiegabile con la maggior propensione ad accogliere stagisti giovanissimi, studenti delle superiori inseriti in progetti della cosiddetta «alternanza scuola-lavoro» che altrove stentano a decollare. Questi giovani hanno solitamente tra i 16 e i 18 anni e devono ancora completare il ciclo formativo, pertanto è naturale che non vengano assunti al termine dello stage. A livello di province, Viterbo detiene il primato: lì il 25,7%, cioè oltre uno stagista su quattro, ottiene un contratto; seguono Matera (22,8%), Ascoli Piceno (20,2%), Roma (19,8%), a parimerito in quinta posizione Crotone e Pescara (entrambe con una percentuale di assunzione dopo lo stage pari a 18,8%), e finalmente una provincia del nord, Gorizia, con 16,2%. La provincia che offre le prospettive di inserimento lavorativo peggiori è invece Agrigento, dove vengono assunti solamente 2,8 stagisti ogni cento. Poi a parimerito Bolzano e Foggia con 4,5%; risalendo la classifica si incontrano Macerata (4,9%), Bergamo (5,4%) e Vicenza (5,6%).Un sistema quindi a macchia di leopardo, refrattario alle generalizzazioni, anche perché molti enti locali hanno negli ultimi anni messo in atto politiche di sostegno all'assunzione dei tirocinanti, prevedendo per le aziende incentivi economici. La presenza di programmi del genere in una determinata regione o provincia possono mutare anche significativamente, per un determinato anno, il risultato di percentuale di assunzione dopo lo stage. Si pensi solo ai programmi Les4 di Promuovi Italia e di Italia Lavoro, che per il triennio 2009 - 2012 prevedono quasi 200 milioni di euro in questo senso per le regioni del Mezzogiorno. Sarebbe quindi interessante aggiungere, nelle prossime edizioni dell'indagine Excelsior, una specifica indicazione rispetto a questo, chiedendo alle aziende non solo quanti stagisti hanno assunto o prevedono di assumere (e a questo proposito i ricercatori di Unioncamere precisano che «l’11,6% degli stagisti dell’anno sono stati assunti o le imprese hanno comunque dichiarato l’intenzione di procedere alla loro assunzione: dati “certi”, non di previsione, rilevati a consuntivo nell’indagine del 2010»), ma anche se effettuando queste assunzioni hanno potuto utilizzare incentivi messi a disposizione da enti pubblici. Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche gli altri due approfondimenti sul Focus Tirocini dell'indagine Excelsior:- Calano gli stagisti nelle grandi imprese, crescono nelle piccole- Stagisti in hotel, bar e ristoranti: se 55mila all'anno vi sembran pochiE anche:- Corsa agli stage, la crisi mette un freno. Primi dati del nuovo Rapporto Excelsior: 322mila tirocinanti l'anno scorso nelle imprese private italiane- In tempo di crisi i tirocini aumentano o diminuiscono?- Uno stagista su cinque è in Lombardia, uno su quindici a Milano: anteprima dal dossier Formazione dell'indagine Excelsior 2010

Chiarito il giallo sui maxi stage siciliani. La Regione ammette: «Le borse lavoro non saranno 8.400 ma 700»

Gli stage finanziati dalla Regione Sicilia non saranno 8.400, bensì «circa 700». A undici giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del contestato bando a favore di categorie svantaggiate, arriva finalmente la smentita dell'assessore regionale alle Politiche sociali, Andrea Piraino. Che chiarisce il primo dei punti oscuri rilevati dalla Repubblica degli Stagisti a proposito dell’iniziativa siciliana: ovvero l’insufficienza delle risorse stanziate (sei milioni e mezzo di euro) per finanziare 8.400 borse lavoro della durata di un anno, ciascuna del valore di 500 euro mensili. Bastava infatti un rapido calcolo per rendersi conto che per realizzare un simile intervento di milioni ne sarebbero serviti oltre 50.Un particolare del tutto trascurato nel mare di polemiche che hanno fatto seguito alla diffusione della notizia e attirato sulla giunta Lombardo le critiche dei ministri Raffaele Fitto e Renato Brunetta, che hanno parlato di «misure poco opportune dal punto di vista finanziario». Il chiarimento sul numero dei «beneficiari finali» delle borse lavoro è arrivato ieri con una nota diffusa da Andrea Piraino al termine dell’incontro con i rappresentanti del mondo del lavoro e delle imprese siciliane. Convocati appositamente per approfondire i termini dell’avviso pubblico «per la concessione in via sperimentale di contribuiti agli organismi del terzo settore». Già perché il bando in questione non è rivolto direttamente agli stagisti, bensì a enti no profit specializzati in progetti a sostegno dell’occupazione. Il ruolo che questi soggetti dovranno svolgere una volta incassati i fondi regionali resta uno dei tanti interrogativi insoluti sull’iniziativa. Nel bando non viene infatti specificato se saranno gli stessi enti no profit a selezionare gli stagisti e se questi ultimi presteranno servizio all’interno di queste organizzazioni o altrove. La Repubblica degli Stagisti ha ripetutamente chiesto all'assessore Piraino di rispondere a queste domande, ma per il momento l’assessore ha preferito declinare, limitandosi ad un comunicato alla stampa dove si legge che «Questo sostegno non potrà in alcun modo trasformarsi in nuovo precariato, in quanto le pubbliche amministrazioni non hanno alcun ruolo nel percorso previsto». Un passaggio, quest’ultimo, poco rassicurante, proprio perché sembrerebbe escludere l’impegno della Regione ad effettuare una selezione trasparente degli stagisti secondo precisi criteri di valutazione. E un fatto che sarebbe tanto più grave tenuto conto che i destinatari finali dell’iniziativa sono persone in condizioni di estremo svantaggio sociale, come membri di famiglie prive di reddito, senza fissa dimora, vittime di abusi o giovani sottoposti a procedimenti giudiziari. «Fasce deboli che senza un sostegno»  sottolinea l’assessore «non avrebbero alcuna possibilità di avvicinarsi al mondo del lavoro». Certamente vero, ma il punto è che lo stage  non può essere in alcun modo assimilato ad un intervento di tipo assistenziale, come si può facilmente dedurre dal decreto ministeriale 142/98 che in Italia regola l’uso  di questo strumento. Dell’errore sembra essersi reso conto lo stesso governatore Raffaele Lombardo che con un video diffuso nei giorni scorsi sulla questione si è reso disponibile «a fare un passo indietro». Ma per il momento il bando, con scadenza il prossimo 31 gennaio, resta in piedi, nonostante le proteste dei sindacalisti e dei rappresentati delle associazioni imprenditoriali, che nell’incontro di ieri hanno ribadito la richiesta di ritiro o quantomeno di modifica. In tal senso l’unica apertura concessa dall’assessore è stato l’impegno «a recepire le indicazioni operative emerse dal confronto, attraverso la definizione di specifiche linee guida per l’attuazione dell’avviso». Non è mai troppo tardi. Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Lo strano caso delle 8.400 borse lavoro finanziate dalla Regione Sicilia: se lo stage diventa una misura di intervento sociale da 50 milioni di euroE anche:- In Calabria il Consiglio regionale attiva i «superstage» - I superstagisti calabresi a Pietro Ichino: «Ci aiuti a farci assumere»- Dopo la Calabria anche in Basilicata piovono i «superstage»

Libri sui giovani: il quotidiano La Repubblica consiglia quelli scritti dai vecchi, la Repubblica degli Stagisti risponde col suo controelenco di autori under 40

Il controelenco dei libri importanti per capire la situazione dei giovani oggi in Italia, elaborato da Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- Generazione mille euro, di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa, Rizzoli 2006 (Gli autori hanno oggi rispettivamente 36 e 35 anni. Al momento della pubblicazione del libro, poi diventato bestseller, ne avevano poco più di trenta)- L’Italia spiegata a mio nonno, di Federico Mello, Mondadori 2007 (Federico Mello ha 33 anni, ne aveva 30 quando ha pubblicato il libro. Oggi è il responsabile della pagina Mondo Web sul Fatto Quotidiano)- Generazione Tuareg. Giovani flessibili e felici, di Francesco Delzìo, Rubbettino 2007 (Delzio, classe 1974, è oggi a 36 anni executive vice president del gruppo Piaggio)- Curriculum atipico di un trentenne tipico, di Fabrizio Buratto, Marsilio 2008 (Buratto ha 37 anni ed è un giornalista freelance)- La fuga dei talenti, di Sergio Nava, San Paolo 2009 (Sergio Nava, classe 1975, lavora a Radio 24 dove cura  tra le altre cose la rubrica settimanale «Giovani Talenti»)- Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce, di Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina, Marsilio 2009 (Alessandro Rosina, docente di Demografia all'università Cattolica di Milano, ha 40 anni; Elisabetta Ambrosi ha 35 anni, ha lavorato a lungo per la rivista politica «Reset» e oggi scrive come freelance)- Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi, di Claudia Cucchiarato, Bruno Mondadori 2010 (Claudia Cucchiarato, 31 anni, si racconta qui in un'intervista alla Repubblica degli Stagisti)- La Repubblica degli stagisti. Come non farsi sfruttare, di Eleonora Voltolina, Laterza 2010 (Eleonora Voltolina, 32 anni, ha fondato e dirige il sito Repubblica degli Stagisti)- Non siamo figli controfigure, di Benedetta Cosmi, Sovera 2010 (Benedetta Cosmi ha 27 anni, è consulente comunicazione alla finanziaria Regione Lombardia e alla Felsa Cisl e giornalista freelance)- Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi, di Marco Iezzi e Tonia Mastrobuoni, Laterza 2010 (Tonia Mastrobuoni ha 39 anni e scrive sul quotidiano Il Riformista; Marco Iezzi ha 41 anni ed è un economista)L'elenco «originale» proposto da Repubblica, il 6 gennaio 2011 alle pagine 36 e 37, come corredo all'articolo «Giovani, perchè le nuove generazioni sono rimaste senza futuro» di Benedetta Tobagi (con i contributi «Ragazzi per sempre» di Aldo Nove e «L'invenzione sociale» di Marino Niola):- La generazione tradita, di Pier Luigi Celli, Mondadori 2010 (Celli, 68 anni, è direttore generale dell'università Luiss di Roma)- Giovani e belli, di Concetto Vecchio, Chiarelettere 2009 (Concetto Vecchio ha 40 anni e scrive sul quotidiano La Repubblica)- L'invenzione dei giovani, di Jon Savage, Feltrinelli 2009 (Savage, classe 1953, è uno scrittore inglese)- Avanti giovani, alla riscossa, di Massimo Livi Bacci, Il Mulino 2008 (Livi Bacci ha 74 anni, è un docente di statistica e senatore del Partito democratico. All'epoca della pubblicazione del libro aveva 72 anni)- Storia dei giovani, di Patrizia Dogliani, Bruno Mondadori 2003 (l'autrice, classe 1955, insegna Storia contemporanea all'università di Bologna)- Paideia. La formazione dell'uomo greco, di Werner Jaeger, Bompiani 2003 (Jaeger - nato nel 1888 e morto nel 1961 - scrisse Paideia nel 1934, a 46 anni)- Età e corso della vita, a cura di Chiara Saraceno, Il Mulino 2001 (La Saraceno, una delle più importanti sociologhe italiane, compirà quest'anno settant'anni. Al momento della pubblicazione di questo libro ne aveva 60)- Giovani. Sfida, rivolta, speranze, futuro, di Vittorino Andreoli, Bur 1999 (Andreoli, famoso psichiatra, ha 70 anni. Al momento della pubblicazione del libro citato ne aveva 59)- L'immagine dell'uomo, di George L. Mosse, Einaudi 1997 (Nato nel 1918 e morto nel 1999, lo storico Mosse è stato uno dei maggiori studiosi del nazismo. Ha pubblicato questo libro quando aveva quasi ottant'anni)- Contro i giovani, di Tito Boeri e Vincenzo Galasso, Mondadori 2009 (gli autori sono due economisti: Boeri, classe 1958 e Galasso, classe 1967)- Giovani e società, di Maurizio Merico, Carocci 2004 (Merico, classe 1973, è ricercatore all'università di Salerno)- Il secolo dei giovani, a cura di Paolo Sorcinelli e Angelo Varni, Donzelli 2004 (gli autori sono due docenti dell'università di Bologna: Sorcinelli vi insegna dal 1978, Varni - classe 1944 - dal 1986)- Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, di Philippe Ariès, Laterza 2002 (Nato nel 1914 e morto nel 1984, lo storico medievalista Ariès pubblicò questo saggio nel 1960,  a 46 anni)- Giovani senza tempo, a cura di Alessandro Dal Lago e Augusta Molinari, Ombre Corte 2001 (gli autori sono due docenti dell'università di Genova: Dal Lago è nato nel 1947, e aveva quindi 54 al momento della pubblicazione di questo libro; Molinari è nata nel 1949 e ne aveva 52)- Storia dei giovani, a cura di Giovanni Levi e Jean-Claude Schmitt, Laterza 2000 (gli autori sono due docenti: Levi, classe 1939, insegna all'università di Venezia, e aveva 55 anni al momento della pubblicazione della prima edizione di questo libro, nel 1994; Schmitt, classe 1943, insegna all'École des hautes études en sciences sociales dal 1983)- Il mondo giovanile in Europa tra Ottocento e Novecento, a cura di Angelo Varni, Il Mulino 1998 (v. sopra)- I giovani in Europa dal Medioevo a oggi, di Michael Mitterauer, Laterza 1991 (Mitterauer, nato nel 1937, insegna all'università di Vienna)- I giovani e la storia, di John Randall Gillis, Mondadori 1981 (Gillis, professore emerito di Storia a Berkeley, pubblicò questo saggio nel 1975)Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'Italia è un paese per vecchi che parlano di giovaniE leggi anche gli altri editoriali di Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- Gioventù di nuovo in primo piano: dalla copertina del Time alle piazze italiane- Umberto Veronesi, la fatica delle donne e dei figli suoi: ma in verità sono i figli di nessuno che fanno una fatica bestiale per emergere- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero- L'intramontabile Marcello Lippi e la disfatta ai Mondiali: c'è bisogno urgente di un ricambio generazionale- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari- Sanremo e l’arte del finto rinnovamento: spazio ai giovani (vedi Valerio Scanu) a patto che abbiano dietro un grande vecchio (vedi Maria De Filippi)