Categoria: Approfondimenti

Garanzia Giovani in Italia esiste ancora?

Garanzia Giovani esiste ancora? Sì e no. Il programma, avviato giusto giusto un decennio fa con fondi europei con l’obiettivo di “garantire a tutti i giovani al di sotto dei 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale”, è stato rifinanziato nel 2016. Poi nell’ottobre del 2020, post crisi dovuta alla pandemia Covid, c’è stata una Raccomandazione del Parlamento europeo per sollecitare i Paesi coinvolti nell’attuazione del programma, tra cui l’Italia, ad attuare una Garanzia Giovani rafforzata a partire dal 2021. L’obiettivo è sempre quello di fornire un’opportunità qualitativamente valida di occupazione, formazione permanente, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall’inizio della disoccupazione a tutti i giovani questa volta di età inferiore ai 30 anni. L’età è stata innalzata perché nel frattempo la pandemia ha fatto rialzare le percentuali di neet in Europa.La Garanzia Giovani poteva attuarsi attraverso varie modalità eppure, secondo quanto confermato dalle informazioni che la Repubblica degli Stagisti ha ottenuto dalle singole regioni, quasi ovunque nel corso degli ultimi due anni – e anche nei precedenti otto – ha avuto un unico significato, tirocinio. Tranne in Puglia dove la percentuale di formazione erogata è stata molto alta, in quasi tutte le altre regioni più della metà delle misure è consistita in stage. Eppure la Garanzia prevedeva molte misure: l’orientamento, la formazione, l’accompagnamento al lavoro, ma anche l’apprendistato, declinato nelle sue tre modalità, i tirocini, il servizio civile, e il sostegno all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità.Ora il programma, quantomeno in Italia, è giunto quasi al capolinea: verrà, infatti, inglobato e in pratica sostituito da Gol. Anzi, per esempio in Lombardia questo avvicendamento è già avvenuto. Qui, infatti, i percorsi previsti dal piano di attuazione pon iog si concludono entro il 31 luglio, ma visto l’avvio del nuovo programma nazionale “Giovani, Donne e Lavoro” per il periodo 2021-2027, «Regione Lombardia ha garantito continuità nelle politiche rivolte ai giovani» ammettendo destinatari tra i 16 e i 30 anni nel programma Gol a partire dal 21 aprile, quando i «giovani interessati a un percorso di politica attiva possono aderire al nuovo programma a valere sul Pnrr tramite il portale regionale», come spiega alla Repubblica degli Stagisti Paola Antonicelli, dirigente dell’unità operativa Mercato del Lavoro della Regione Lombardia.In Puglia, invece, regione che pure faceva parte dell’asse della Garanzia dedicato alle regioni meno sviluppate o, come il caso pugliese, in transizione, era possibile per alcune misure innalzare l’età dei destinatari delle misure dai 30 ai 35 anni. Per questo motivo l’assessore al lavoro Sebastiano Leo  ha innalzato ad aprile l’età dei destinatari della Garanzia pugliese fino ai 35 anni e ampliato le modalità applicative della formazione fino al 50 per cento a distanza. Questo per consentire anche il raddoppio della capienza per numero di frequentanti. E ha prorogato la scadenza delle attività al 30 settembre.Sempre in vista del programma Gol, la Campania ha, invece, sospeso da qualche settimana la misura 3 della Garanzia Giovani, in attesa del decreto regionale che ufficializza tutti i servizi previsti all’interno del Programma Gol, arrivato pochi giorni fa.Le motivazioni che hanno consentito l’innalzamento dell’età ai 30 anni per la Garanzia Giovani sono le stesse che per le regioni del Sud Italia hanno consentito un ulteriore allargamento del bacino fino ai 34 anni. È il caso dei residenti in Abruzzo,  Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia che, grazie all’iniziativa Asse 1 bis, rivolta alle persone che risiedono nelle regioni meno sviluppate e in transizione  del Paese, possono accedere al programma anche senza aderire formalmente e se si sta frequentando un corso di formazione o istruzione. Ogni regione poteva organizzare, coordinare e gestire le iniziative sul suo territorio attraverso i centri per l’impiego e gli enti privati accreditati. Come si vede dagli altri due approfondimenti della Repubblica degli Stagisti con i dati ottenuti dalle Regioni sui partecipanti alla Garanzia, il numero totale di percorsi attivati, principalmente tirocini, non corrisponde mai alle adesioni registrate. E soprattutto nel corso del 2023 le attivazioni sono state bassissime, con una fase due che raramente ha visto il volo. Ogni regione, poi, potendo liberamente pianificare le attività, ha avuto modo di attivare alcuni percorsi e chiuderli in tempi diversi. Per alcune, infatti, sono state chiuse le adesioni alle attività già da inizio maggio, mentre altre hanno i percorsi in pieno svolgimento e qualcuna ha prorogato i termini – è il caso non solo della Puglia ma anche dell’Abruzzo, che ha posticipato i termini della presa in carico al 31 dicembre, e della Calabria, che per alcuni avvisi permette la conclusione entro fine ottobre.Secondo i dati pubblicati a fine maggio dall’Agenzia nazionale politiche attive per il lavoro (Anpal) – che pur interpellata più volte dalla Repubblica degli Stagisti non ha mai risposto alle richieste dei numeri – relativi all’attuazione della Garanzia nel periodo 2014-2022, il numero maggiore di registrazioni proviene dal Sud, che praticamente raddoppia nord ovest, nord est e centro. E tranne che nella fascia dai 25 ai 29 anni, le adesioni sono sempre più numerose dei maschi.Sempre Anpal, che gestisce il programma Garanzia Giovani, ha recentemente comunicato l’aumento dell’importo delle indennità di tirocinio extracurriculare per gli stage extracurriculari e per quelli in mobilità nazionale e trasnazionale. A partire dalla mensilità successiva al 25 maggio, l’importo delle indennità per i tirocini in svolgimento è aumentata da 300 a 500 euro. Il documento, a firma del dirigente Pietro Orazio Ferlito, precisa che la rimodulazione vale per tutti i soggetti anche disabili e/o svantaggiati. Questo significa, quindi, che «la soglia massima dell’indennità mensile a carico del Pon Iog è pari a 500 euro».Insomma gli ultimi anni non sono stati felici per la Garanzia che, compiuti i dieci anni, ormai volge al termine. Dopo il calo di registrazioni e avviati a una misura avuto nel 2020 causa pandemia, non c’è mai stata una  vera e propria ripresa visto che già nel 2021 le cifre non hanno mai raggiunto quelle di due anni prima.Ultima questione che potrà essere valutata solo a chiusura completa, sarà la capacità italiana di spendere, e di conseguenza investire sui giovani, tutte le risorse avute dall’Unione europea. Perché i dati precedenti non sono entusiasmanti. Da un’inchiesta del Sole24Ore, infatti, risultava che a inizio anno l’Italia non avesse speso circa 8 miliardi di fondi europei della precedente programmazione europea 2014-20: e se non verranno usati entro quest’anno andranno persi. Di questi 8 miliardi, 2,8 erano dell’Iniziativa occupazione giovani, in cui rientra la Garanzia, e l’Italia al 31 dicembre ne aveva spesi solo 1,8 miliardi. I risultati finali si avranno tra sei mesi, quando si scoprirà se le politiche dell’ultimo anno saranno riuscite a invertire la rotta. Marianna Lepore Foto di apertura di Werner Heiber da Pixabay

Apprendistato, contratto giusto per i giovani: perché alcune aziende lo amano (e troppe altre invece no)

Quando si parla di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani si parla quasi sempre di tirocinio, un periodo di orientamento e formazione che consente di muovere i primi passi in contesti lavorativi, ma che di fatto non è un vero contratto di lavoro. Per quanto negli ultimi anni nella regolamentazione degli stage si siano fatti importanti passi avanti anche per quanto riguarda il rimborso spese, esiste un vero contratto fatto apposta per i giovani, ma spesso dimenticato: l’apprendistato. Il governo Meloni sembra voglia rilanciarne l’uso, ma è presto per dire come andrà a finire – e del resto non è la prima volta che la politica annuncia di voler battere questa strada, ma la realtà è che finora nessun governo è riuscito a lanciare veramente questa  tipologia contrattuale. Partiamo dai numeri: poiché l’ultimo rapporto di monitoraggio Inapp – Inps è stato pubblicato nel luglio 2022 e analizza i dati del triennio 2018 – 2020, e il prossimo non sarà reperibile prima di qualche mese, per avere un’idea dell’andamento dell’apprendistato negli ultimi anni si possono analizzare i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps. Nel corso del 2022 ci sono state 350.883 assunzioni in apprendistato in tutta Italia, con un picco di oltre 37mila nel mese di settembre. Le donne che sono riuscite ad accedere a questo contratto sono state meno della metà, solo 140mila. La Regione in cui l'apprendistato viene più utilizzato è la Lombardia – lo scorso anno ne sono stati attivati oltre 68mila – seguita a distanza dal Veneto con quasi 42mila e dal Lazio con poco più di 38mila. Fanalini di coda Valle d’Aosta e Molise, con rispettivamente poco più di 1.100 e 643 nuovi apprendistati.Il dato totale di nuovi apprendisti è in crescita di circa mille unità rispetto al 2019, un incremento pressoché irrisorio (lo zero virgola qualcosa in più) ma quantomeno è stato recuperato il crollo di attivazioni subito  nei due anni pandemici, 2020 e 2021, quando il totale era stato rispettivamente di 241mila e 316mila. Se il numero totale di attivazioni è stato fortemente segnato nel biennio Covid, non è successo altrettanto per quanto riguarda le trasformazioni (ma è più corretto dire “prosecuzioni”) in un contratto a tempo indeterminato: il trend è in crescita dal 2018 e lo scorso anno ha visto quasi 113mila apprendisti firmare per il posto fisso, di cui 22mila in Lombardia, 14mila in Veneto e circa 11mila sia in Emilia Romagna che in Lazio.Quando si parla di apprendistato si fa riferimento a un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato disciplinato dal decreto legislativo numero 81 del giugno 2015 che identifica tre tipologie: apprendistato “per la qualifica e il diploma professionale” (o “di primo livello”), apprendistato “professionalizzante” (o “di secondo livello”), e apprendistato “di alta formazione e ricerca” (o “di terzo livello”). A ognuno di questi corrispondono finalità e, in parte, target differenti. L’apprendistato di primo livello è per i giovani dai 15 ai 25 anni compiuti ed è finalizzato a conseguire un diploma professionale o di istruzione secondaria superiore o il certificato di specializzazione tecnica superiore in ambiente di lavoro. L’apprendistato di secondo livello è diretto, invece, ai giovani dai 18 ai 29 anni compiuti con lo scopo di apprendere un mestiere o conseguire una qualifica professionale. L’apprendistato di terzo livello ha come target anagrafico lo stesso di quello secondo livello, ma la finalità è il conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca. Ma le tre tipologie esistono solo in teoria. Nei fatti, il 90% dei contratti di apprendistato attivati ogni anno in Italia è di secondo livello (anche detto “di mestiere”). L’apprendistato di primo livello, detto “duale” o anche “per il diritto/dovere di istruzione e formazione” e destinato sopratutto ai minorenni, e quello di terzo livello, detto “alto apprendistato” e destinato a studenti universitari e dottorandi, sono praticamente inesistenti. Poiché l’Osservatorio nazionale sul precariato dell’Inps non ha i numeri disaggregati, per capire il “peso” dei tre differenti tipi bisogna leggere il rapporto Inapp – Inps del luglio 2022, riferito al periodo 2018 – 2020,  segnato dalla pandemia. Con una premessa, questo rapporto non calcola i rapporti attivati in un anno in numeri assoluti, ma fa riferimento sempre e solo al «numero medio annuo di rapporti di lavoro in apprendistato, quindi include anche i rapporti di lavoro attivati negli anni precedenti ma che perdurano» in un dato anno, in questo caso «nel 2020», come precisa alla Repubblica degli Stagisti il coordinamento statistico Inps: «I due aggregati sono stati elaborati in periodi differenti risentendo, quindi, di un diverso aggiornamento degli archivi di riferimento». Questo dovrebbe, quindi, spiegare perché da questo rapporto – prendendo il 2020 – ci siano 531mila apprendistati di cui più della metà, (circa 306mila) nel nord Italia e solo 100mila al Sud. Così come risulta anche dati Istat, anche nel 2020 è la Lombardia la regione con più apprendisti, quasi il 19 per cento a cui seguono Veneto, Emilia Romagna e Lazio. L’età media degli apprendisti è di 25 anni.Il dato più interessante è quello sulla tipologia più utilizzata: praticamente nove attivazioni su dieci sono di apprendistato professionalizzante, che quindi è il più sfruttato in maniera uniforme sul territorio. La principale attività economica in cui viene attivato è quella del commercio all’ingrosso e al dettaglio, cui segue il settore manifatturiero. Quasi inesistente l’apprendistato di terzo livello, per cui il numero di rapporti è di 1.227 nel 2020 – anche se si può specificare che si tratta dell’unica tipologia a mostrare una crescita rispetto all’anno precedente. Il decreto Lavoro del governo Meloni approvato in Consiglio dei ministri lo scorso primo maggio introduce delle novità per l’apprendistato, anche se quella più rilevante – la cancellazione del limite di età dei 29 anni per i contratti di apprendistato di secondo livello nel settore turistico e termale – nella versione definitiva della normativa non ha più trovato spazio. Assumere apprendisti fino a 32 anni è, invece, già una possibilità in Campania dal 2012 per disoccupati di lunga durata.  Le modifiche introdotte dal Decreto Lavoro riguardano gli incentivi a favore delle imprese che decidono di attivare un contratto di questo tipo. L’articolo 10 prevede, infatti, che i datori di lavoro privati che assumono beneficiari dell’assegno di inclusione anche con un contratto di apprendistato abbiano «l’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro nel limite massimo di 8mila euro su base annua» e per un periodo massimo di 12 mesi. Non solo, l’articolo 27 comma 3 estende nei limiti delle risorse anche alle assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante un incentivo, a domanda, per i datori di lavoro per un periodo di 12 mesi «nella misura del 60 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per le nuove assunzioni dal primo giugno al 31 dicembre 2023». Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza  prevede misure per rilanciare l’apprendistato, con un cospicuo investimento destinato a rafforzare anche l’apprendistato duale o di primo livello: 600 i milioni di euro previsti dal piano per il periodo 2022 – 2025, per il finanziamento di percorsi formativi per giovani dai 17 ai 25 anni.Dopo i primi 120 milioni di euro distribuiti alle Regioni lo scorso anno, a inizio maggio è stata stanziata una nuova quota di risorse del Pnrr, pari a 240 milioni, per favorire il finanziamento di percorsi formativi nel sistema duale. Quota ripartita tra le Regioni che devono poi attivare percorsi di questo tipo. Per questo motivo l’utilizzo dell'apprendistato di primo livello risulta piuttosto frammentato sul territorio, a causa anche della scarsa uniformità e coerenza delle politiche regionali in materia di promozione di questa tipologia contrattuale, spinta più nel Nord Italia che nel resto del Paese.Alle agevolazioni introdotte dal decreto Meloni e dal Pnrr si aggiungono poi le classiche già in atto da anni. Ovvero, ad esempio, la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante relativo al contratto collettivo nazionale di riferimento o il fatto che l’apprendista non rientri nei limiti numerici presi in considerazione da alcune leggi per l’applicazione di specifiche normative.Ma perché le aziende attivano contratti di apprendistato e cosa ne pensano? In Marsh Italia questo è il contratto privilegiato e «ideale» per i giovani: «Proponiamo di solito un percorso di stage a cui segue un apprendistato, perché comprende tutta una parte di formazione», spiega Mariangela Petrera, Lead Hr manager di Marsh Italia. «Durante l’iter di selezione tante volte ci troviamo davanti a ragazzi giovanissimi che poco conoscono il nostro settore, quello dell’attività di brokeraggio. Quindi per noi è essenziale che ci sia la formazione, perché dall’università difficilmente riescono ad arrivare già con un’idea chiara, con una preparazione. Così l’apprendistato dà a loro sicurezza, perché è equiparabile a un tempo indeterminato e per noi è importante perché abbiamo al nostro interno quelle competenze che ci consentono di formarli».Punta molto sull’apprendistato anche Bene Assicurazioni, che ha utilizzato sia quello di primo livello che di secondo. «Abbiamo sperimentato quello di primo livello nell’ambito del progetto “Fœrmati in Bene” che vuole creare beneficio sociale e ambientale, contrastando il fenomeno della dispersione scolastica», spiega Stefania Chiarelli, responsabile amministrazione del personale nell’ufficio People Management: «Abbiamo selezionato sette giovani che avevano abbandonato gli studi superiori e realizzato un percorso di alternanza scuola lavoro. Per noi un’esperienza di successo perché al termine sono stati tutti confermati in azienda. La formula che più utilizziamo, però, è l’apprendistato di secondo livello: dal 2021 siamo già a trentatré contratti di apprendistato attivati, dieci nei primi mesi di quest’anno, quindi su un totale di 98 dipendenti oggi 28 sono in apprendistato. E intendiamo sperimentare anche quello di terzo livello». Apprendistato che in Bene «rappresenta la forma contrattuale naturale per chi, al termine di uno stage in azienda, dimostra motivazione e potenzialità per poter proseguire un percorso di crescita professionale». Una forma contrattuale che non ha elementi negativi: «per noi è un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti».E tra le aziende dell'RdS network ce ne sono alcune che utilizzano addirittura il rarissimo terzo livello: «La formula dell’Alto apprendistato è sicuramente vincente, con vantaggi per tutti: prima di tutto per i beneficiari, che possono combinare l’ingresso immediato nel mondo del lavoro con una modalità che li accompagna a specializzare ulteriormente la loro preparazione», spiega Roberta Morici, responsabile dei programmi di formazione di Cefriel che in partnership con Bip ha creato il master in Cloud Data Engineer che prevede per i partecipanti l'assunzione in alto apprendistato. Perché, invece tante aziende non amano l’apprendistato? Probabilmente perché non ne conoscono tutti gli aspetti positivi: «È una questione di conoscenza e di cultura. L’apprendistato porta con sé una serie di vantaggi notevoli ed è un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti», osserva Chiarelli, notando come spesso sia mal visto anche dai giovani per i quali è «ritenuto un contratto di “serie B”». Un problema anche culturale che forse ora potrebbe cambiare e attirare le aziende non solo dall’avere sgravi economici ma anche dalla possibilità di veder crescere qualcuno all’interno dei propri uffici. Marianna Lepore   Foto di apertura: di Drazen Zigic da FreepikFoto a sinistra: di pressfoto da Freepik

Occupazione, il programma Gol è aperto anche ai giovani: come funziona e cosa offre

Il programma Gol è per l'Italia una (ennesima) occasione finanziata con fondi europei per rilanciare il mercato del lavoro: «Un'ottima opportunità» la definisce Francesco Maresca, responsabile del settore Lavoro della Provincia di Varese, «soprattutto per le fasce più deboli della popolazione». I beneficiari del programma da quattro miliardi per la formazione inserito nella missione cinque del Pnrr sono infatti le categorie di lavoratori che rischiano di non riuscire più a immettersi nel mercato del lavoro: tre milioni di disoccupati da profilare, formare e reinserire in una posizione lavorativa.Nello specifico, come spiegato sul sito dell'Anpal, l'agenzia incaricata di monitorare il programma, la platea è composta da sei gruppi. A gestirli «sono centri per l'impiego e soggetti sia pubblici che privati accreditati» spiega Maresca. Non ci si deve iscrivere ad alcunché insomma, bensì rivolgersi ai centri per l'impiego. Ogni regione ha modalità proprie di accesso, a seconda dei piani di attuazione del programma. Possono farlo primi su tutti i beneficiari di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, chi per intenderci sia ad esempio in cassa integrazione. Specifica il sito che «si tratta dei lavoratori per i quali sia prevista una riduzione superiore al cinquanta per cento dell'orario di lavoro, calcolato sui dodici mesi». A seguire chi beneficia di ammortizzatori sociali, ma non ha un rapporto di lavoro attivo. I disoccupati in buona sostanza, che percepiscano Naspi o Dis-Coll. A seguire i destinatari del reddito di cittadinanza. Ci sono poi altri tre gruppi. Quelli definiti lavoratori fragili o vulnerabili, quindi i Neet, le donne in condizione di svantaggio, le persone con disabilità e i lavoratori over 55. E poi i disoccupati senza sostegno al reddito, che siano per esempio disoccupati da almeno sei mesi o autonomi che abbiano cessato la propria attività. Infine i cosiddetti working poor: chi, pur con un impiego, percepisce un reddito inferiore secondo la disciplina fiscale alla soglia di incapienza. Gol non offre solo formazione e «sarebbe riduttivo pensarlo» evidenzia Maresca alla Repubblica degli Stagisti. I percorsi possibili sono infatti «suddivisi in cinque livelli, tutti differenti tra loro». Il primo è per il reinserimento lavorativo, quindi per chi è già pronto al lavoro «e ha semplicemente bisogno di assistenza». In quel caso si offrono servizi di orientamento e intermediazione con le aziende. «Solo questi occupano la metà dei beneficiari». E sono soprattutto «soggetti che hanno perso il lavoro ma sono facili da reinserire». Li si aiuta «a fare un bilancio di competenze e a redigere il curriculum».All'altra metà della platea si rivolgono invece i veri e propri «corsi di formazione» specifica Maresca. A volte «si tratta di riqualificare, oppure di proporre tirocini». Un secondo percorso prevede l'aggiornamento professionale per i lavoratori più lontani dal mercato del lavoro «ma con competenze spendibili» si legge sul sito di Anpal. Ci sono poi la riqualificazione, 'reskilling', «per lavoratori lontani dal mercato e competenze non adeguate ai fabbisogni richiesti». A questi si offre, chiarisce il sito, «una formazione professionalizzante più approfondita». Il percorso quattro, «lavoro e inclusione», si apre per «bisogni complessi, cioè in presenza di ostacoli che vanno oltre la dimensione lavorativa». In questi casi, come già accade per il Reddito di cittadinanza, si attivano i servizi sociali. Infine, il livello cinque, dove c'è la «ricollocazione collettiva» per le crisi aziendali. Qui si avvia «la valutazione delle chances occupazionali basandosi sulla specifica situazione aziendale, per individuare soluzioni idonee». Se sulla carta c'è tutto, ora toccherà attuare il programma. Le criticità ci sono, in particolare riguardo la capacità di far partire la mole di corsi di formazione richiesta: lo ha sottolineato Milena Gabanelli su La7 poche settimane fa e lo ammette anche lo stesso Maresca: «Il problema è reale, ma non bisogna esasperare le cose e soprattutto capirne le ragioni». Il responsabile Lavoro di Varese fornisce lo stato dell'arte attuale sulle scuole di formazione che interverranno in Gol. E anticipa che ci vorrà tempo: «È come buttare acqua in abbondanza su una terra resa arida da anni di siccità». La terra si è indurita «e non assorbe immediatamente».Secondo i dati nell'ambito del programma «ci sono al momento 800mila patti di servizio personalizzati sottoscritti». Ed è stata rilevata «la necessità di formare nell’immediato almeno 160mila persone». Nei prossimi mesi «ci saranno da attivare corsi per altre 320mila persone e per tutti gli ex beneficiari del Reddito di cittadinanza che per mantenere il beneficio dovranno frequentare corsi». Nel frattempo le nuove società accreditate alla formazione sono 1.463 (di cui 207 in Lombardia), su un totale in Italia di oltre 12mila. Il tempo stringe e purtroppo, sottolinea Maresca, «non è detto che la capacità erogativa di corsi di formazione di tutto il territorio nazionale sia adeguata». In Lombardia si è a buon punto «per un programma che è partito ufficialmente solo a giugno 2022 e si estenderà fino al 2025». Nella regione i corsi attivati viaggiano tra il 30 e il 40 per cento del totale. Mentre specificamente nella provincia di Varese «sono stati avviati 152 corsi per 1.082 persone, di cui 383 hanno concluso il percorso».Il secondo problema sarà far combaciare i corsi con le esigenze delle imprese. Varese sta facendo scuola: «Abbiamo svolto un report sul bisogno formativo locale mediante interviste a 250 aziende e 250 lavoratori» spiega Maresca. La direzione intrapresa è infatti quella di attivare corsi tagliati su misura per le aziende. «Delle academy aziendali di ingresso per specifici mismatch» specifica, come per esempio «un corso per addetti alla macelleria richiesto dalla grande distribuzione». Personale «che non riuscivamo a reperire con il servizio di preselezione dei nostri centri per l’impiego». Il corso è adesso attivo «e presumo che i discenti saranno tutti assunti» conclude Maresca. Che poi sarebbe l'esito auspicato per tutti i fruitori di Gol. Ilaria Mariotti 

Riqualificazione professionale, dall'Europa quattro miliardi per Gol: come li userà il governo?

Nelle maglie del Pnrr c'è un progetto passato forse un po' sotto traccia: si tratta di Gol, acronimo di 'Garanzia di occupabilità per i lavoratori', inserito nella Missione 5 del piano. Ideato per essere – almeno nelle intenzioni – un punto di svolta nelle politiche attive per il lavoro. Il finanziamento è infatti di quelli che possono fare la differenza: 4,4 miliardi di euro da spendere tra il 2021 e il 2025. Per intendersi, il triplo rispetto ai fondi di Garanzia Giovani (circa un miliardo e mezzo).Il programma Gol «prevede percorsi di accompagnamento al lavoro, di aggiornamento o riqualificazione professionale» spiega il sito di Anpal, l'agenzia deputata al suo monitoraggio, «nel caso di bisogni complessi, quali quelli di persone con disabilità o con fragilità». Con il meccanismo di sempre in questi casi: presa in carico da parte di centri per l'impiego e stipula di 'patti' per aggiornare le competenze e riqualificarsi. La formazione dovrebbe consentire a chi è fuori dal mercato del lavoro di reinserirsi. E qui sta il punto centrale: non vi è una categoria in particolare di beneficiari. La platea comprende fasce trasversali che vanno da lavoratori con ammortizzatori sociali a persone con disabilità, over 55, madre single, Neet, percettori del reddito di cittadinanza. «Nel momento in cui è stato lanciato (il decreto è del novembre 2021, ndr), si è pensato a una riforma strutturale per le politiche attive» spiega alla Repubblica degli Stagisti Cristina Tajani, già direttrice Anpal e consigliera del ministro del Lavoro all'epoca del governo Draghi, oggi docente al Politecnico di Milano: «Voleva essere una misura onnicomprensiva, che ne tenesse dentro altre come Garanzia Giovani ad esempio». Stessa cosa per il reddito di cittadinanza: Gol poteva diventare una spalla di questo, «inserendo i beneficiari come sottocategoria all'interno del programma per gli aspetti legati alla formazione». Secondo Tajani la direzione intrapresa era quella giusta: «Una misura ombrello per offrire ai più fragili formazione e accompagnamento al lavoro». Una operazione di grande portata da svolgere non solo con le agenzie private («nulla in contrario al loro coinvolgimento, anzi sono favorevole alla complementarietà tra pubblico e privato» sottolinea la docente), ma anche con i centri per l'impiego, nel frattempo a loro volta sottoposti a una riforma per potenziarne le attività. Ai fondi di Gol si abbinano infatti 600 milioni di euro per il rafforzamento dei Centri per l’impiego (di cui 400 già in essere e 200 aggiuntivi). Mentre al governo c'era Mario Draghi «la riforma dei cpi era in corso, al netto delle difficoltà delle varie regioni che non riuscivano a metterla in atto»: in Sicilia per esempio, «dove non si erano ancora attivati per i concorsi». Ma «avevamo un monitoraggio, si era arrivati a reclutare poco più di 4mila addetti rispetto a un obiettivo che era di 11mila» ripercorre Tajani. Il problema è che «di tale avanzamento si sono perse le tracce». Così come «non è chiaro quale sia l'orientamento del governo su Gol. Anche nel decreto Lavoro del primo maggio non si spende una parola sul tema». A mancare secondo Tajani «è un disegno complessivo, restando quindi la grande incognita di come si raccorderanno le riforme intraprese con gli impegni europei già assunti». Perché Gol è di fatto attivo. Anche se con operatività a macchia di leopardo, dovendo essere attuato dalle singole regioni.Stando all'ultimo monitoraggio, che risale al marzo di quest'anno, «l’annualità 2022 si è conclusa con il conseguimento del target Pnrr concordato con la Commissione europea, relativo al raggiungimento di 300mila beneficiari e pari al 10 per cento del totale previsto per il Programma al termine del 2025». Con differenze però sostanziali tra le regioni: nell’ultimo mese di osservazione, si legge ancora, «il tasso di crescita dello stock dei presi in carico varia da valori minimi per le regioni Lazio (5,4 per cento) e Sardegna (9,5 per cento), a valori superiori al 15 per cento nelle regioni Marche, Sicilia e Veneto, fino a raggiungere il valore massimo per la provincia autonoma di Bolzano (17,8 per cento)». Dove più dove meno, il piano avanza. Anche perché, si legge sul sito del governo, «elemento costitutivo della riforma, da cui dipendono i finanziamenti Ue, è la definizione di milestone e target». E i primi due sono stati centrati. Il Milestone 1, spiega il documento, consisteva nell'entrata in vigore dei decreti interministeriali per l’approvazione di Gol entro il 2021. Il secondo invece l'adozione di piani regionali e il raggiungimento di almeno il dieci per cento dei beneficiari complessivi entro il 2022. La sfida saranno i successivi target. Si richiedono almeno tre milioni di beneficiari di Gol entro il 2025, di cui almeno il 75 per cento donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30, lavoratori over 55. Di questi almeno 800mila coinvolti in attività di formazione. Non solo, ma 300mila dovranno essere dentro programmi per il rafforzamento delle competenze digitali. E infine il target 3: almeno l’80 per cento dei cpi in ogni regione che entro il 2025 dovrà rispettare gli standard definiti quali livelli essenziali in Gol. Traguardi ambiziosi, di cui bisognerà mostrarsi all'altezza. Ilaria Mariotti 

Quando le aziende scommettono sul Southworking, così si combatte la disoccupazione al Sud

Lavorare al Sud, anziché dover emigrare al Nord. Ma senza necessariamente cambiare datore di lavoro. Il southworking è una pratica di cui si intravedevano i prodromi già prima della pandemia, e che dopo lo shock del Covid non si è più arrestata. Niente spese di affitto insostenibili in città dove il soggiorno in una stanza si porta via una parte sostanziosa dello stipendio, ma un lavoro da casa, grazie alle tecnologie digitali che lo rendono possibile. E le aziende stanno cominciando a cogliere l'opportunità. La multinazionale della consulenza Bip lo scorso autunno ha aperto una sede a Palermo. Una sfida che non significa isolare chi lavora da sedi lontane, ma anzi sfruttare il potenziale presente in loco. «Non si penalizza chi è operativo da Messina o da Palermo rispetto a chi è a Milano» ragionava Nino Lo Bianco, presidente della multinazionale e siciliano doc, intervenendo a novembre scorso in una trasmissione di Class CNBC: «Perché anche chi è al Sud è connesso con altre squadre che stanno portando avanti progetti internazionali, negli Usa come in Spagna, non limitandosi alla realtà locale». Sono state assunte settanta persone, di cui la maggioranza neolaureati dell'università di Palermo e del dipartimento palermitano della Lumsa. Ma «l'obiettivo è raddoppiare gli assunti entro primavera» fa sapere Lo Bianco. Lo stesso sta accadendo in un'altra big della consulenza, EY, che già prima della pandemia aveva deciso di potenziare la propria sede di Bari, trasformandola in un hub. «Il primo collega della sede di Bari è stato assunto nel 2019 e nel 2020, dopo un anno di pandemia, eravamo a 200» commenta Francesca Giraudo, EY Europe West Business talent leader. La questione meridionale è però ancora tutti lì, da risolvere. L'occupazione italiana è tornata a livelli pre-pandemia, ma non nel Sud. Secondo i dati del rapporto Svimez 2022 dello scorso novembre, nel 2021 il tasso di occupazione giovanile nazionale si è attestato attorno al 41 per cento, sotto di 15 punti rispetto alla media europea. Nel Mezzogiorno lo stesso tasso era del 29,8 per cento. Messina e Palermo, secondo Eurostat, detengono il primato di disoccupazione giovanile, con venti punti in meno di occupati rispetto alle altre zone d'Italia. Guardando ai Neet, su circa tre milioni di under 35 che non lavorano né studiano, oltre la metà (1,6 milioni) sono meridionali. Il Sud resta insomma una terra carente di lavoro e ancora inesplorata per gli investimenti delle aziende. E per cambiare direzione servono nuove opportunità. Per EY «l'obiettivo è arrivare a assumere 1.500 persone nel medio periodo». E un occhio di riguardo dell'azienda – «dove oltre la metà della popolazione aziendale è donna» – sarà per il bilanciamento di genere. Ci saranno iniziative specifiche «come il Talent on tech» racconta Giraudo «volto a promuovere e valorizzare il talento delle colleghe».E l'impatto non si limita a dove lavoreranno le persone, ma si allarga anche al come lavoreranno. La missione di Bip, specifica Lo Bianco, è «aiutare il territorio a crescere e a attrarre investimenti che possano portare innovazione, sostenibilità e sviluppo». L'ufficio non sarà infatti utilizzato dai soli dipendenti di Bip, «ma aperto alla città». Sulla stessa linea è anche il pensiero di Giraudo di EY: «Per noi southworking è un concetto limitato». Si punta a «avere una maggiore variabilità di profili e di background e a creare legami positivi – oltre che investimenti economici – nel territorio». Il Sud va concepito come «hub di talenti» perché finora è stato «poco valorizzato nel contesto socio-economico italiano». Risorse umane che andranno spese non solo nell'economia locale ma «da connettere con il resto d’Europa e del mondo, creando un circolo positivo di competenza e crescita economica». I vantaggi viaggiano su due binari. Da un lato per le persone, «che hanno la possibilità di restare nel proprio territorio di origine senza sostenere i costi di trasferimento e le spese tipiche delle grandi città» sottolinea Giraudo; oppure fare ritorno nella loro Regione natale dopo aver passato anni al Nord. Il vantaggio per le aziende è di «poter attingere al migliore talento, ovunque esso sia». E poi la produttività perché, prosegue la manager, «la capillarità sul territorio permette una più alta attrattività nei confronti dei talenti, una maggiore fidelizzazione e vicinanza con il cliente e con le esigenze locali». Non è una scelta «sentimentale» ragiona Lo Bianco, che date le sue origini ha comunque un pezzo di cuore in Sicilia, ma «strategica: il Sud è un bacino di risorse da arruolare». Serve però un cambio culturale perché a essere carente nel Meridione «è la preparazione al lavoro», in aggiunta al divario digitale. Le aperture di uffici al Sud sono infatti frutto dello smart working, senza il quale, afferma Lo Bianco, «sarebbe impensabile il southworking». Il Pnrr ci dovrà mettere del suo per favorire iniziative analoghe e creare adeguate infrastrutture informatiche. Il piano approvato lo scorso anno per un totale di 222 miliardi «prevede la destinazione del 40 per cento circa delle risorse complessivamente considerate al Mezzogiorno» spiega una nota sul sito della Camera, «in attenzione al principio della coesione sociale e del riequilibrio territoriale». L'importo è di circa 82 miliardi, e le missioni da compiere saranno diverse. Tra queste c'è la digitalizzazione, il fulcro per portare investimenti e posti di lavoro: in modo che altre aziende possano scommettere sul Mezzogiorno, come hanno fatto Bip e EY.

Stage, e dopo? Le voci di tre aziende che fanno un contratto al 90% dei loro tirocinanti

«Tanti saluti e arrivederci»: era più o meno così che terminavano quasi tutti i tirocini extracurriculari fino a non molti anni fa, quando non esisteva ancora alcuna normativa nemmeno sul rimborso spese mensile – oggi obbligatorio – e le aziende non si facevano troppi problemi a sfruttare questa abbondante manodopera (o “cervellodopera”) di stagisti senza offrire nessuna prospettiva.La Repubblica degli Stagisti si è battuta per anni per rendere il tirocinio extracurriculare effettivamente propedeutico all’assunzione e non l’inizio di una serie infinita di stage o contratti atipici. Ma i numeri non sono confortanti, come la nostra inchiesta del 2021 ha raccontato: i dati del ministero del Lavoro dimostrano che nel 2019 solo il 43 per cento dei circa 356mila tirocini attivati è sfociato in un contratto di lavoro, e a questa percentuale si arriva conteggiando le assunzioni anche molto dopo la conclusione dello stage (fino a sei mesi dopo!). Per di più, di questi assunti solo poco più di uno su dieci è a tempo indeterminato: la stragrande maggioranza a tempo determinato, il che include anche i “contrattini” di pochi mesi.Non tutto è fosco, però, perché ci sono aziende virtuose che da tempo hanno deciso di intraprendere un’altra strada: offrire stage con buoni rimborsi spese e con concrete possibilità di assunzione, come esplicitato nella Carta dei diritti degli Stagisti che la Repubblica degli Stagisti ha stilato nel 2009.  È il caso per esempio di T4V, BIP e Marsh che nel corso del 2021 hanno assunto oltre il novanta per cento dei propri stagisti e per questo motivo hanno ricevuto un premio, uno degli “AwaRdS” che dal 2014 la RdS assegna durante il suo evento annuale “BestStage” alle aziende del suo network che si distinguono, in questo caso, per il “miglior tasso di assunzione post stage”.«I nostri stage sono da sempre finalizzati all’assunzione anche perché offriamo un percorso di formazione fin dai primi giorni di tirocinio» spiega Monica Cremaschi, Talent manager di Trust4Value, società di consulenza Ict entrata a far parte del network della Repubblica degli Stagisti proprio nel primo anno della pandemia Covid, nel 2020. Nel 2021 T4V ha assunto oltre il 90 per cento dei 14 stagisti accolti. «Durante i colloqui cerchiamo di indagare le motivazioni e le aspettative per il futuro degli aspiranti tirocinanti, raccontando anche i progetti e la cultura aziendale».Anche in Marsh gli stage non sono fini a se stessi «ma fanno parte di un programma strutturato di inserimento di neolaureati nato nel 2009, Grow Our Own» racconta Mariangela Petrera, Lead Hr manager di Marsh Italia. L’azienda lo scorso anno ha assunto oltre il 90 per cento dei quasi 90 stagisti accolti: un vero e proprio exploit nella performance di assunzione post stage, già successo nel 2015 e nel 2019. «Col tempo il programma è stato allineato alle nostre esigenze di mercato e aspettative del business e dei neolaureati. Nel 2013 lo abbiamo rivisto e inserito un altro percorso Professional graduate per selezionare profili più tecnici per l’area di brokeraggio assicurativo e consulenza dei rischi». Anche il numero di inserimenti è cambiato negli anni e dai 10 circa dell’inizio «siamo arrivati a inserire negli ultimi due anni un centinaio di graduate per anno. L’obiettivo ora è consolidare questo numero. Il nostro livello di assunzione di neolaureati è un pilastro importante nella strategia aziendale in ambito people».Stesso tasso di assunzione altissimo in Bip: degli oltre 300 stagisti accolti nel 2021 oltre il novanta per cento è stato assunto, probabilmente perché «dedichiamo moltissima cura al processo di hiring, sia nella fase di screening che nelle fasi di selezione successive», riflette Elena Pozzi, Employer branding senior expert di Bip: «Cerchiamo di conoscere chi abbiamo di fronte, di approfondire le sue competenze tecniche ma anche di capire le sue aspirazioni e desideri. Ci sforziamo di identificare il candidato ideale per la corretta attività e creiamo il giusto match tra aspettative, capabilities ed esigenze interne per non incorrere in sorprese al termine dello stage, così la persona potrà proseguire la collaborazione con un contratto a tempo indeterminato». Perché offrire proprio questo tipo di inquadramento? «Perché è la proposta più apprezzata dai nostri candidati e, quando le condizioni lo permettono, siamo ben felici di formalizzarla. Investire a lungo termine sui giovani significa scommettere su di loro, sulle loro potenzialità e sulla loro voglia di mettersi in gioco».Il contratto a tempo indeterminato è quello offerto al termine del tirocinio anche da T4V, «perché è molto allettante per i giovani e ultimamente è anche la tendenza del mercato» osserva Cremaschi, che aggiunge anche come sia «determinante per un giovane sapere di avere un’alta probabilità di essere assunto al termine dello stage. La sicurezza di avere una prospettiva a lungo termine permette di lavorare e progettare anche con più serenità».«La maggior parte dei giovani che fanno un percorso di stage in Marsh Italia sono molto molto giovani. Conoscono poco il nostro settore anche perché non ci sono percorsi accademici o universitari che preparano all’attività di brokeraggio. Per questo motivo dopo lo stage proponiamo un contratto di apprendistato che comprende anche tutta la parte di formazione, per noi essenziale», spiega Mariangela Petrera: «Diamo una sicurezza in più a questi giovani perché terminato il tirocinio firmano un contratto equiparabile al tempo indeterminato, ma con al suo interno un piano formativo». Tecnicamente, peraltro, il contratto di apprendistato dal punto di vista del diritto del lavoro è già un contratto a tempo indeterminato: ha solo la particolarità di permettere la risoluzione “ad nutum”, cioè senza bisogno di motivazione o accordo, allo scadere – ma altrimenti si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità.Circa il 60 per cento di nuove assunzioni in Marsh è di under trenta: «Abbiamo degli obiettivi sfidanti di business e preferiamo inserire neolaureati perché al nostro interno abbiamo le competenze che ci consentono di formare queste persone», aggiunge Petrera: «Quando selezioniamo uno stagista pensiamo già a qualcuno che possa rientrare nel nostro Graduate Program. Per noi è un investimento non solo economico, ma di tempo e impegno. Questi giovani talenti nella fase di selezione incontrano anche gli amministratori delegati di Marsh Italia in un colloquio finale dedicato. E poi c’è tutto l’investimento legato alla formazione, in aula, virtuale, on the job. L’obiettivo è far crescere le persone dall’interno».L’investimento fatto sui giovani viene poi nel lungo tempo ripagato perché sono gli stessi ex stagisti che, nel tempo, attirano nuove leve in azienda, grazie al passaparola, alla condivisione dell’esperienza positiva avuta e della buona notizia dell’assunzione post tirocinio. «Molte candidature ci arrivano grazie ai graduate stessi» conferma Petrera: «Nel momento in cui un giovane sta facendo questo programma e si trova bene, lo racconta ad amici e conoscenti. Questo si unisce alle tante attività di employer branding che per noi sono essenziali visto che il nostro settore fra i giovani è poco conosciuto. Ed essere presenti sulle pagine della Repubblica degli Stagisti rientra proprio nelle attività che danno visibilità al nostro percorso e ci aiutano ad attirare quanti più giovani possibile».L’alto numero di giovani nelle nuove assunzioni caratterizza anche Trust4Value: «Quasi la totalità dei nuovi assunti ha meno di trent’anni, arrivano direttamente dalle università o da corsi di formazione» precisa Monica Cremaschi. «Hanno modo di crescere, concretizzare le competenze e cominciare a mettersi in gioco». E una volta dentro, possono dare inizio a una carriera brillante visto anche il forte turn over che caratterizza il settore e «la richiesta in ambito Ict che è sempre altissima».In Bip i giovani under 30 rappresentano circa il settanta per cento delle nuove assunzioni. «In generale ricerchiamo sia neolaureati che persone con esperienza. Ai più giovani offriamo un percorso di crescita e formazione continua con la guida dei nostri professionisti, dove ciascuno può vedere valorizzato il proprio contributo e spirito di iniziativa», spiega alla Repubblica degli Stagisti Elena Pozzi, specificando anche come per loro sia sempre più importante «presentarci come Best Employer of Choice: offriamo ai nostri giovani un contesto di crescita meritocratico, dinamico e in continua evoluzione, in cui il singolo è libero di esprimere le proprie idee e potenziale e dove il lavoro di squadra è fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo comune».Elemento sicuramente importante nel rapporto tra le aziende e i giovani è quello relativo alla trasparenza – essere chiari sulle opportunità offerte, i benefit inclusi e soprattutto le prospettive future, anche la retribuzione. «Da sempre evidenziamo, anche negli annunci, che i nostri stage sono finalizzati all’assunzione», conferma Cremaschi di T4V: «La trasparenza è alla base della fiducia reciproca fra l’azienda e il dipendente, attuale o futuro». Concetto ribadito anche da Petrera di Marsh Italia: «Puntiamo sulla trasparenza con il candidato. Già durante l’iter di selezione raccontiamo quali sono gli step sia dal punto di vista contrattuale sia retributivo, spieghiamo che il programma prevede delle rotation e che avranno un tutor e un mentor. Spendiamo tanto tempo a raccontarglielo perché vogliamo ci sia coerenza tra quello che stiamo cercando e le loro aspettative. È importante che ci sia una performance positiva per andare avanti e questo è un approccio culturale che abbiamo sia con lo stagista sia con il manager».Essere trasparenti, creare un rapporto di fiducia tra l’azienda e gli stagisti, investire su di loro garantendo anche una altissima probabilità di inserimento lavorativo è, dunque, possibile. E può essere un amplificatore naturale delle buone pratiche di un’impresa, e aiutarla a diventare sempre più conosciuta e apprezzata dai giovani.Marianna LeporeFoto di apertura di Tumisu da Pixabay Foto in evidenza di mohamed_hassan da Pixabay

Legge di Bilancio, ecco le misure per i giovani: ma in realtà “non sono idonee” ad aiutarli nel mercato del lavoro

La prima legge di Bilancio del Governo Meloni è realtà. Dopo le promesse elettorali è arrivato il momento di capire quanto è stato messo concretamente sul piatto a favore dei giovani e dell’occupazione. La Repubblica degli Stagisti ha analizzato le indicazioni contenute nella Finanziaria che riguardano più da vicino il mondo del lavoro giovanile commentandole con Aurora Notarianni, avvocata giuslavorista e direttrice dell'ufficio Direzione e Amministrazione dell'associazione forense AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani)Proroga dell'esonero contributivo per le assunzioni di under 36 Per tutto il 2023 passa da 6mila a 8mila euro annui per ciascun lavoratore l’esonero contributivo per le assunzioni di giovani under 36, donne e beneficiari del reddito di cittadinanza. Requisiti fondamentali sono non aver compiuto il 36esimo anno di età e l’assenza di un precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso datore. L’impiego può essere sia part time che full time, mentre lo sgravio non vale per l’esecuzione di prestazioni occasionali e per il lavoro intermittente o a chiamata. «Il legislatore riconosce l’esonero nella misura del 100% per un periodo massimo di 36 mesi, nonché di 48, in caso di assunzioni o trasformazioni nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna» specifica Notarianni: «L’agevolazione è riconosciuta al datore di lavoro che, nei sei mesi precedenti o nei nove mesi successivi all’assunzione o alla trasformazione, non abbia proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o a licenziamenti collettivi nei confronti di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica nella stessa unità produttiva».Sempre rispetto a questo tema, «con l’obiettivo di incentivare l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, sono state confermate le misure già previste per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli con età inferiore a quarant’anni, prevedendo, per i nuovi iscritti alla previdenza agricola sino al 31 dicembre 2023, l’esonero dal versamento del 100% dell’accredito contributivo presso l’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e i superstiti, per un periodo massimo di ventiquattro mesi».Voucher Una delle misure più discusse riguarda i cosiddetti “voucher”. I buoni lavoro erano stati cancellati nel 2017 dal Governo Gentiloni e successivamente tornati nella veste di “Libretto famiglia” , utilizzato per pagare baby sitter, colf e badanti e piccoli lavori domestici. Con la nuova legge di Bilancio ricompaiono nuovamente, utilizzabili per pagare prestazioni di lavoro occasionali in alcuni ambiti, come quello dell’agricoltura o dei lavori domestici. Nel dettaglio, il limite massimo di compensi erogabili arriva a 10mila euro annui rispetto ai 5mila previsti per il Libretto famiglia. Inoltre possono fare ricorso ai voucher anche le aziende fino a 10 dipendenti. Il tema come sempre ha scatenato un ampio dibattito tra chi li vede come un buono strumento di contrasto al lavoro nero e che ne teme gli abusi per mascherare altre tipologie di rapporto di lavoro. Agevolazioni acquisto prima casa Sono state prorogate al 31 dicembre 2023 tutte le disposizioni relative al bonus per l’acquisto della prima casa, destinato ai giovani che non hanno compiuto il 36esimo anno d’età e che presentano un’ISEE inferiore a 40mila euro.Agevolazioni per l’assunzione di percettori del Reddito di Cittadinanza Previsto l'esonero totale (nel limite di 8mila euro) per le assunzioni a tempo indeterminato e le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2023, di beneficiari del Reddito di Cittadinanza. La misura, fortemente voluta e sostenuta dal Movimento 5 Stelle, è stata una delle più centrali dapprima in campagna elettorale e poi negli ultimi mesi, alla luce della prevista abolizione del rcd a partire dal 2024.Incremento dell'assegno unico e universale per i figli a carico Dal primo gennaio 2023 è stabilito un incremento del 50% dell'assegno unico per le famiglie con figli di età inferiore a un anno, e per i figli con una età compresa da uno a tre anni per le famiglie con tre o più figli e con Isee fino a 40mila euro. Prevista anche una maggiorazione del 50% dell'assegno unico per le famiglie con 4 o più figli. Sono confermate e rese strutturali le maggiorazioni dell'assegno unico per ciascun figlio con disabilità a carico senza limiti di età.Congedo parentale Fissato un ulteriore mese di congedo parentale facoltativo retribuito all'80%, fruibile sia dalle madri sia dai padri fino al sesto anno di vita del bambino. «L’incremento del congedo parentale, così come le misure relative all’assegno unico, pur non indirizzate direttamente ai giovani, mirano senz’altro a garantire una migliore conciliazione dei tempi vita-lavoro» rileva Notarianni.Il giudizio dell’AGI Analizzando nel complesso le principali novità che riguardano più da vicino i giovani, Notarianni sottolinea un punto specifico che penalizza l'apprendistato: «Pur ritenendo di accogliere favorevolmente le misure descritte, in una prospettiva di maggior tutela delle giovani lavoratrici e dei lavoratori nutro qualche perplessità in merito a un punto in particolare. Mi riferisco alla conferma dell’impossibilità di accedere alla misura dello sgravio del 100% nei casi in cui l’assunzione a tempo indeterminato consegua alla conclusione del periodo di formazione nell’ambito del contratto di apprendistato. Incentivare con tale misura, anche in percentuale di poco inferiore, la prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione, infatti, sarebbe stato senz’altro uno strumento utile per garantire ai giovani un avanzamento nell’ambito del mercato del lavoro, coerentemente alla crescita della professionalità acquisita con il contratto di apprendistato».Su cosa si deve lavorare ancora quindi? «Osservando le misure da una prospettiva di maggior ampiezza, ritengo che rappresentino uno strumento inidoneo a produrre, nel lungo periodo, un correttivo al funzionamento del mercato del lavoro nell’ambito del quale i giovani si muovono» dice Aurora Notarianni. Bisogna dunque provare ad andare oltre, puntando a soluzioni più ampie rispetto ai singoli interventi relativi agli sgravi fiscali per chi assume: «Non credo che le misure adottate siano in grado di funzionare in assenza di un ripensamento complessivo del sistema, che deve orientarsi ben oltre la mera riduzione del costo del lavoro. Bisogna puntare a valorizzare la professionalità dei giovani, a garantire loro l’adeguatezza dell’inquadramento contrattuale alle esperienze professionali e formative pregresse, nonché a riconsegnare un’idea di lavoro che non appaia inconciliabile con le proprie personali scelte di vita».Chiara Del Priore

Trasformare i limiti in un vantaggio, la “ricetta Edge”

È possibile partire da uno svantaggio, da un proprio limite e, nonostante tutto, trasformarlo in un valore aggiunto? Sì, se si sa come farlo. Laura Huang, lo racconta dettagliatamente nel suo libro Edge, Come trasformare i limiti in punti di forza, Francoangeli editore, partendo dalla sua storia. «Il mio lavoro mi ha aiutato molto a comprendere il mio percorso: figlia di immigrati di umili origini, per anni sono stata sottovalutata, ostacolata, limitata in qualche modo. Oggi insegno ad Harvard» scrive Huang «e ho il privilegio di poter condividere tutto ciò che ho imparato su come sia possibile costruirsi un vantaggio». Per farlo l'autrice, 43enne di origine taiwanese, racconta tante storie – partendo dalla sua personale – per far capire come sia importante «raccogliere le percezioni altrui, le attribuzioni e gli stereotipi, che puntano a relegare a una condizione di inferiorità, e trasformarli in uno strumento da impiegare a proprio favore». Il libro, però, ci tiene a precisare, «non parla di come “fregare il sistema”, né propone metodi furbetti per aggirare l’ostacolo. Piuttosto mostra come sfruttare la vostra personalità e i vostri punti di forza, persino le vostre debolezze, per costruirvi un vantaggio unico».Per farlo bisogna partire dalle basi e ricordarsi che «il duro lavoro è fondamentale, ma ci sono anche molti altri fattori», spiega alla Repubblica degli Stagisti Laura Huang. «È importante per i giovani avere un mentore o uno sponsor che li sostenga davvero. E ricordarsi che sono due cose diverse. Il mentore è qualcuno che ti dà dei consigli, ti aiuta rispondendo alle domande, lo sponsor è, invece, chi ti promuove, chi fa il tuo nome tra i suoi contatti, qualcuno che parla dei progetti su cui hai lavorato. Ci sono un sacco di cose che ognuno può fare per ottenere un vantaggio ed essere sicuri che il duro lavoro che sta facendo funzioni realmente. Nel mio libro descrivo varie strategie, suggerimenti e know-how pratico per far capire come comportarsi».Il fulcro è, infatti, mostrare come è possibile creare valore (enrich), incantare (delight) e guidare (guide) gli altri nel proprio percorso, basato sull’impegno (effort). Quattro concetti chiave che costituiscono l’essenza del libro e che, tramite le iniziali di ognuna, danno anche il titolo al volume. «Per creare valore intendo come ognuno capisce i propri punti di forza e di debolezza e sottostima alcuni punti di forza. Correggere la concezione dei propri meriti. Capire la percezione che gli altri hanno sul proprio conto, il proprio merito. Per incantare intendo come si fa, appunto, a entusiasmare qualcuno, che sia un cliente, un fornitore o un capo: due persone diverse possono avere entrambe lo stesso merito, allora perché una è percepita come più forte o migliore?» chiede Huang. E la risposta è appunto: per la sua capacità di incantare.E poi c’è il concetto di guida: «Come è possibile guidare gli altri verso quelle percezioni che possono avere un valore», e infine lo sforzo, inteso come duro lavoro. «Ricordiamoci, però, che a volte questo non basta», sottolinea Huang alla Repubblica degli Stagisti.Il libro è diviso, appunto, in quattro parti: nella prima si dimostra come la base per costruirsi un vantaggio sia la capacità di creare valore per chi ci circonda, nella seconda l'autrice parte dall'aneddoto del suo incontro con Elon Musk per spiegare come per mostrare il proprio valore sia necessario che gli altri “aprano la porta”, ma si debba poi agire autonomamente per catturare l’attenzione del proprio interlocutore e mostrare il proprio potenziale. La terza parte del volume si focalizza su come acquisire la facoltà di guidare i contesti in cui ci troviamo, perché «quando riusciamo a interpretare come ci vedono gli altri, abbiamo la capacità di guidare e reindirizzare questa percezione, andando a influenzare il modo in cui gli altri colgono il valore che possiamo creare». Mentre l’ultima parte è dedicata all’impegno, che può rafforzare il vantaggio costruito, ricordandosi che è fondamentale imparare a individuare le percezioni degli altri e capire come operano.Ma in sostanza cosa dovrebbero fare i giovani per riuscire a partire con il piede giusto nel mercato del lavoro? «Nella mia esperienza da docente penso che per i giovani sia veramente importante sentire che possono intraprendere la strada scelta». risponde Huang: «Quello che veramente li ostacola e impedisce loro di avere successo è sapere di voler andare dal punto a al punto b, ma non conoscere come fare per iniziare. Molto spesso la sfida più grande è proprio quella – iniziare – e per loro è difficile avere speranza quando vedono un obiettivo così distante. Quindi bisogna aiutarli e indicare loro i primi due passi da fare. A quel punto saranno in grado di avere molti approcci diversi rispetto a quello che stanno per fare».Metodi e strade “diverse” per fare le cose, tanto più evidenti quando si parla di donne e uomini soprattutto nelle materie Stem. «La prima cosa da fare è capire se si ha una passione per questo tema o no. Dopo di che ci sono molti modi diversi di essere interessati a una cosa e di affrontarla, e va benissimo così. Quello che le ragazze e le donne possono fare per non farsi intimidire è trovare un modo per esaltare qualcosa che è veramente interessante». Huang, a sua volta madre, per la figlia ha creato qualche anno fa una serie di libri illustrati dal titolo “The Princess Heroes Books”, che raccontano la storia di una principessa che di volta in volta è paleontologa, chimica, astronoma, ingegnera, veterinaria, imprenditrice: proprio nell'ottica di lanciare alle bambine il messaggio di non farsi intimidire dai mestieri “da maschi”, e di non sentirsi obbligate, di converso, a perdere la propria “principessitudine” per poterli fare. «L’origine di alcuni degli stereotipi che vediamo nelle materie Stem» aggiunge la docente «sta nel fatto che ci si aspetta che tutti siano esperti allo stesso modo, che studino le stesse materie con lo stesso metodo: quando ci sono invece molti approcci diversi per esaminare qualsiasi materia, comprese quelle Stem».Che le donne siano spesso sottovalutate proprio in quanto donne e che questo avvenga spesso da parte di persone over 60 e uomini è un dato di fatto, ma anche qui Huang è convinta che «sia importante capovolgere queste avversità a proprio favore». Il primo passo da fare è capire quali sono «quelle due tre cose che rendono uniche, concentrarsi su questo e sui propri punti di forza». Nel libro è citato uno studio di Tara Sophia Mohr dal titolo “Why women don’t apply for jobs unless they’re 100% qualified” (che in italiano sarebbe: “Perché le donne non si candidano per un lavoro a meno che non siano qualificate al 100 per cento”) in cui si osserva come molte persone, nella stragrande maggioranza donne, che cercano un impiego sono convinte di non essere abbastanza qualificate per la posizione offerta e finiscono per non candidarsi anche quando quella posizione potrebbe essere giusta per loro. «Quello scritto nell’articolo è vero e l’ho verificato nella mia ricerca» conferma Huang: «Se per un’offerta di lavoro sono richieste dieci qualifiche, gli uomini si candideranno pur avendone solo due o tre, diranno “Certo ho esperienza nelle vendite” anche se questa esperienza non è propriamente qualificata. Le donne, invece, penseranno “anche se ho otto o nove  requisiti c’è ancora qualcosa che non ho” e non si candideranno». Insomma ruota tutto intorno alla percezione delle proprie competenze, che poi è quello che consente alle persone di avere successo nel lavoro: «È importante essere in grado di pensare alle proprie qualifiche e parlarne in modo tale da far capire di essere adatti a quel tipo di lavoro. Il motivo è semplice: molte volte chi scrive la descrizione di un’offerta di lavoro lo fa senza sapere esattamente cosa vuole. Non sanno quale tipo di persona vogliono assumere. Per questo motivo, se si hanno anche solo un paio di requisiti è importante imparare a valorizzarli in funzione di quel lavoro». A una donna che di merito ha scritto e parlato tanto (per esempio negli articoli “We Ask Men to Win & Women Not to Lose: Closing the Gender Gap in Startup Funding” - “Chiediamo agli uomini di vincere e alle donne di non perdere: colmare il divario di genere nel finanziamento delle startup”  del 2017, o “Mitigating Malicious Envy: Why Successful Individuals Should Reveal Their Failures” - “Mitigare l’invidia maligna: perché le persone di successo dovrebbero rivelare i loro fallimenti” del 2019) non si può non chiedere cosa ne pensi dell’aggiunta di questa parola al nuovo ministero dell’istruzione italiano, appena ribattezzato “dell'istruzione e merito”, appunto. «Bisogna ricordarsi che con questa parola si intendono molte cose diverse e che quando parliamo di meritocrazia non facciamo riferimento solo alle caratteristiche di questa parola, ma a quello che consente alle persone di capire chi le ha. E credo che in questo senso “Edge” incorpori realmente tutti gli elementi per capirlo: la capacità di creare valore, di incantare, di guidare gli altri verso i propri meriti e di impegnarsi nel fare le cose» osserva Huang: «Penso che il fatto che questo governo abbia aggiunto la parola “merito”» al nome del ministero «non sia necessariamente un problema, anzi può essere un vantaggio. Se riusciamo a capire qual è la tradizione del merito, e come muoverci pensando al merito».Marianna Lepore 

Un tablet per i sottotitoli delle lezioni all'università, Pedius aiuta gli studenti sordi

Nel mondo ci sono decine di milioni di sordi; decine di migliaia sono solo in Italia, e solo il tre per cento di loro si laurea, contro il 25 generale. Nessuno però aveva mai pensato a come migliorare le loro possibilità di studio, per esempio nel seguire una lezione universitaria. L'idea è venuta a Pedius, una ex startup e oggi oggi piccola azienda grazie a risorse che garantiscono «un orizzonte di sostenibilità più ampio», come racconta il fondatore Lorenzo Di Ciaccio. Pedius ha creato uno strumento utilizzabile dalle persone sorde mentre assistono a una lezione universitaria. Studenti che possono fare estrema fatica, avendo deficit di udito, a seguire le parole del docente.Un problema accentuato dalla pandemia e dai collegamenti da remoto che ne sono scaturiti. Così nel 2022 sono stati lanciati quindici dispositivi speciali per l'università La Sapienza di Roma: «La nostra app è inserita su tablet che sono collegati al microfono dei professori; mentre questi parlano, genera sottotitoli in tempo reale», spiega alla Repubblica degli Stagisti Di Ciaccio, ingegnere ex consulente informatico e volontario della Caritas diventato poi imprenditore sociale. Il progetto è nato grazie a un bando pubblico: «Il Servizio disabili dell'ateneo ha individuato noi come interlocutori per fornire un sostegno agli studenti sordi». È partita poi una gara pubblica «attraverso cui è stata acquistata la licenza del software da parte dell'università». In questo modo gli studenti «possono usufruire del servizio in modo gratuito». La collaborazione con La Sapienza è iniziata l'anno scorso «e il modello in futuro sarà implementato». L'obiettivo, prosegue il fondatore, «è creare una sorta di realtà aumentata che evidenzi i punti più importanti delle lezioni», semplificando dunque l'attività di prendere appunti. Un metodo «non solo per disabili» ma valido per tutti, dato che per accedervi basta l'acquisto della licenza software. Il sistema è sbarcato già anche all'estero, «all'università di Hong Kong e di Hannover in Germania». Mentre l'attività di Pedius, che conta 40mila utenti sparsi in 14 paesi del mondo, prosegue anche nel suo filone principale, quello della comunicazione telefonica per persone sorde. L'ispirazione per far telefonare le persone sorde era nata in Lorenzo Di Ciaccio nel 2012 dopo aver visto in tv «la storia di un ragazzo sordo, Gabriele, che aveva avuto un incidente automobilistico a Roma e non era riuscito a contattare l'ambulanza». Una vicenda che, racconta lui, «che mi è sembrata assurda, con tutta la tecnologia che avevamo!». Di lì l'idea un'applicazione per consentire ai sordi di chiamare via telefono, e poi la messa a punto nel 2013 di Pedius che funziona «come Whatsapp, ma invece di inviare un messaggio fa partire una chiamata». In realtà «le persone sorde con una giusta logopedia possono parlare, quindi possono decidere con Pedius di scrivere o anche di parlare al telefono, oppure di utilizzare una voce artificiale, e dall'altra parte la persona farà lo stesso, o scrivere o parlare, e quindi vedere il suo messaggio trascritto». Il problema che si poneva all'inizio era però come rendere sostenibile il progetto. L'obiettivo di Di Ciaccio era «realizzare quello che mi piaceva fare con il volontariato... ma dovevo anche portare a casa la pagnotta!». I primi due anni dopo l'avvio della startup, ammette, «siamo stati senza stipendio perché tutto quello che avevo era stato investito per lanciare l'azienda e i primi stipendi sono stati per i collaboratori». La questione era anche l'importo da chiedere ai clienti, in questo caso portatori di disabilità. «Non volevamo che il servizio fosse percepito come un'elemosina, al contrario: la decisione era di trattare gli utenti come clienti a tutti gli effetti». Il servizio prevede infatti venti minuti al mese di chiamate gratuite, per il resto si paga come se fosse un abbonamento telefonico. «Il prezzo è basato sul mercato: la nostra visione, anche se impopolare, era quella di creare vera uguaglianza, e quindi applicare prezzi di mercato». Le aziende hanno iniziato a mostrare interesse – prima Enel, poi anche Banca d'Italia e Acea. Pedius aiuta le imprese a rendere più accessibili i propri servizi di assistenza clienti, come i call center nei casi di problematiche da risolvere, e in più abilita servizi specifici per l'inclusione dei dipendenti aziendali affetti da sordità.Il momento decisivo è stato però, racconta l'imprenditore, all'inizio, «quando lavoravamo con un modello beta e una comunità di cento persone sorde. Una di loro si chiamava Monica, «aspettava un bambino, si è sentita male e grazie a quella versione iniziale di Pedius è riuscita a chiamare il suo medico». Tutto è finito bene, «lei ci ha scritto una mail bellissima, che abbiamo stampato in ufficio, per ringraziarci. Per noi è stato come ricevere il primo stipendio». Nell'ambito dell'imprenditoria sociale la tecnologia, dice Di Ciaccio, «non viene mai usata per scopi unicamente commerciali» e il traguardo primario non è il profitto bensì «massimizzare l'impatto». Non a caso Pedius, che ha la sede principale a Roma, ha appena aperto una sede operativa a Hong Kong. «Un terzo della popolazione sorda del mondo vive in Cina, eppure non ci sono tanti strumenti per i sordi come per esempio negli Stati Uniti». Investendo negli States i vantaggi sarebbero stati maggiori, ma se si va nella direzione dell'impresa sociale «si deve essere sostenibili e al contempo rifiutare compromessi in conflitto con i principi che si portano avanti». Non guardare insomma solo ai possibili guadagni, bensì al beneficio della collettività: in questo caso, quella cinese. Ilaria Mariotti  

Parlamento, le ultime elezioni hanno decimato i «paladini» degli stagisti: pochi sono stati rieletti

L’attenzione ai giovani e al lavoro è da sempre un tema ricorrente nelle campagne elettorali. In riferimento all’ultima, sono stati tanti i proclami da un po’ tutti gli schieramenti: alcuni esponenti del centrodestra, cioè della coalizione risultata poi vincente, avevano proposto di rilanciare il contratto di apprendistato e di rendere le norme sui tirocini più stringenti, per evitare abusi. Il centrosinistra si era spinto sul campo dei tirocini in modo più dettagliato, con la propostra PD di obbligo di compenso per quelli curricolari, attualmente non previsto, e di abolizione degli stage extracurricolari, tranne quelli stipulati nei 12 mesi successivi alla laurea. Anche il Movimento 5 Stelle aveva parlato nel suo programma del riconoscimento di un compenso minimo per i tirocinanti e del computo dei periodi di tirocinio a fini pensionistici.Chiuse campagna elettorale e urne, da un paio di mesi l'Italia ha un nuovo Parlamento e un nuovo Governo. Ma cosa è rimasto dell’attenzione ai giovani e in particolar modo agli stagisti? Riavvolgiamo il nastro.A maggio di quest’anno era stato elaborato un testo unico riguardante i tirocini curriculari, ossia quelli effettuati durante il periodo universitario. Il testo era frutto della sintesi di cinque proposte presentante a partire dal 2018 da altrettanti esponenti politici: Massimo Ungaro (Italia Viva), Rina De Lorenzo (Liberi e Uguali), Manuel Tuzi (Movimento Cinque Stelle), Niccolò Invidia (Movimento Cinque Stelle) e Rosa Maria Di Giorgi (Partito Democratico). La proposta era focalizzata sull’eliminazione della gratuità per questo tipo di stage e la garanzia di massima trasparenza rispetto al ricorso ai tirocini. La proposta a prima firma Massimo Ungaro, nel 2018 deputato PD, era stata sostenuta anche da Chiara Gribaudo, 41 anni, piemontese, già allora deputata e oggi rieletta nelle file del Partito Democratico, vicepresidente della Commissione Lavoro, da sempre attenta ai temi del lavoro giovanile. Il testo, alla cui stesura aveva contribuito anche la Repubblica degli Stagisti, proponeva un rimborso spese minimo di 350 euro per i tirocini curriculari. Gribaudo si era fatta anche promotrice nella scorsa legislatura di una proposta relativa all’apprendistato, rafforzandone il ruolo come strumento principale di accesso dei giovani al mondo del lavoro.Con la nuova legislatura però qualcosa si è bloccato, in quanto molti dei «paladini» dei diritti degli stagisti non sono stato rieletti – a partire dagli stessi promotori del testo unico. Nessuno dei cinque, infatti, siede attualmente in Parlamento. Non si tratta tuttavia degli unici politici che in questi anni si sono battuti a favore degli stagisti. Durante la pandemia il tema del sostegno economico agli stagisti che, causa Covid, avevano perso la propria fonte di reddito era stato al centro del dibattito parlamentare, con un emendamento sul tema nell'ambito del cosiddetto Decreto Rilancio. L'emendamento era stato sostenuto, oltre che dalla prima firmataria Chiara Gribaudo, anche da Massimo Ungaro, da 14 deputati del PD, da Alessandro Fusacchia che allora sedeva nel gruppo misto, da Riccardo Magi di PiùEuropa e Carmela Grippa ed Elisabetta Barbuto del Movimento Cinque Stelle. L'emendamento proponeva di mettere cento milioni a disposizione delle Regioni, per consentire il supporto economico agli stagisti impegnati in ciascun territorio. L'emendamento, soprattutto per un tema di costi, non è stato poi inserito nel Decreto, a seguito del parere negativo espresso in fase di discussione.Anche in questo caso, i parlamentari che si erano dimostrati attenti alle istanze degli stagisti non sono stati premiati dalle urne: oltre a Ungaro, non sono stati rieletti in Parlamento neppure Alessandro Fusacchia, Riccardo Magi, Carmela Grippa ed Elisabetta Barbuto. Per quanto riguarda il PD, dei 14 deputati che avevano sostenuto quel particolare emendamento, ne siedono attualmente in Parlamento solo tre, ossia Debora Serracchiani, Matteo Orfini e Lia Quartapelle Procopio. Chi sarà in Parlamento, adesso, a dar voce alle istanze e a lottare per aumentare i diritti degli stagisti?Chiara Gribaudo, che come visto è tra i pochi "sostenitori degli stagisti" riconfermati in Parlamento, ha fatto il punto della situazione con la Repubblica degli Stagisti: «Al momento mi risulta che la mia sia la sola proposta depositata che da un lato riprende il lavoro che avevamo interrotto con la caduta del governo Draghi e dall’altro prova a dare risposte ancora più coraggiose e puntuali rispetto ai problemi che ci sono stati posti dai rappresentanti delle generazioni più giovani. Il loro precariato è una delle emergenze più gravi di questo Paese e per questo abbiamo previsto dei limiti temporali ben precisi per l’attivazione e la durata dei tirocini, che in ogni caso dovranno prevedere un rimborso spese che consenta a tutti di svolgere questo tipo di esperienza. L’obiettivo ultimo è quello di limitare anche l’uso dei tirocini extracurricolari a favore dei contratti di apprendistato».Il riferimento è alla proposta di legge depositata alla Camera lo scorso 15 novembre sui tirocini curricolari ed extracurricolari per l’orientamento e la formazione dei giovani. L'iter di discussione della proposta al momento non è ancora stato avviato. Secondo Gribaudo il rischio è che questi temi non ricevano la giusta attenzione da parte della nuova maggioranza politica: «Più che per la mancanza di promotori, temo una minore attenzione per un problema di maggioranze politiche. Poco prima che cadesse il governo Draghi, in  Commissione Lavoro e Cultura stavamo votando un testo base il più possibile unitario ma, nonostante lo sforzo dei relatori, la destra compattamente votava contro il rimborso spese e un’indennità minima e voleva allungarne la durata invece che ridurla. Quindi il problema è che oggi quelle forze sono maggioranza in Parlamento e nelle commissioni, per cui dall’opposizione sarà comunque difficile portare avanti queste battaglie se non costruiremo una forte alleanza anche fuori dalle aule parlamentari». Gribaudo rinnova il proprio impegno a occuparsi di questi temi: «Continuerò a battermi, come ho fatto in questi anni, per provare a ricordare ad una classe dirigente spesso di tutti i colori politici che deve iniziare a vedere e riconoscere le esigenze delle generazioni più giovani. Penso alla fatica fatta per inserire la “Dis-coll”, l’indennità di disoccupazione delle collaborazioni,  alle dimissioni in bianco, alle tante battaglie sul lavoro autonomo che troppo spesso si conducono quasi in solitaria. Cosi come mi impegnerò per favorire un’occupazione di qualità per giovani e donne, che più di altri pagano sempre il prezzo delle crisi». Al momento quindi tutto è in standby: quello che rimane di anni di dibattiti è una proposta di legge e un numero limitato di esponenti politici che ha già dato prova di avere a cuore i diritti degli stagisti. Ma chissà, tra i nuovi eletti vi potrebbero essere nuovi interlocutori attenti a questi temi.Parallelamente, come si sta muovendo il Governo? Se «Largo ai giovani» era uno dei punti del programma di Fratelli d’Italia, al suo interno la parola tirocinio non era mai stata menzionata. Gli stessi giovani, dati alla mano, tuttavia hanno dimostrato di aver dato fiducia al centrodestra: il 23% dei giovani della fascia d’età 25-34 anni ha votato Fratelli d’Italia, arrivando quasi al 40% se si considerano anche gli altri partiti della coalizione. Al momento la nuova legge finanziaria parla di agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato per chi ha contratti a termine e in particolare per le donne under 36. Nulla nel dettaglio sul fronte tirocini.Sembrano dunque altri i temi prioritari; un'impressione confermata dalle scelte di questi primi mesi di legislatura. Sarà impresa ardua riportare in primo piano il tema degli stage e più in generale dei giovani, provando magari a fare rete anche fuori dal Parlamento? La Repubblica degli Stagisti monitorerà con attenzione il cammino dell'unica proposta di legge per ora presentata.Chiara Del Priore