Categoria: Interviste

«Per garantire a tutti 600 euro al mese bastano 18 miliardi di euro all'anno»

Seicento euro al mese assicurati dallo Stato a tutti coloro che ne hanno bisogno, indipendentemente dall'età e dallo status, senza limiti di tempo, senza obbligo di cercare lavoro. Una proposta che la rete «Intelligence Precaria» e il docente universitario Andrea Fumagalli hanno lanciato calcolandone sostenibilità, costi e finanziamenti: il progetto è stato anche pubblicato nei Quaderni di San Precario. Fumagalli, 53 anni, attualmente professore associato di economia politica all’università di Pavia, membro del network UniNomade e vicepresidente del Bin-Italia (Basic Income Network), è uno dei principali esperti di reddito minimo garantito in Italia. La sua proposta è quella di introdurre nel nostro Paese un «reddito di base incondizionato», in modo da assicurare a tutti i cittadini al di sotto della soglia di povertà un reddito. Nell'idea sviluppata da Fumagalli questa misura sostituirebbe tutte le altre forme di welfare attualmente esistenti in Italia - via dunque indennità di disoccupazione, cassa integrazione, mobilità - molto costose ma incapaci di raggiungere tutte le persone bisognose di sostegno. Tutti i Paesi che fanno parte dell’Unione europea, ad esclusione di Italia, Grecia e Ungheria, riconoscono ai cittadini una qualche forma di reddito minimo garantito. Quante persone ne beneficiano, in media, in ogni Paese?Normalmente la percentuale varia da un minimo del 6% a un massimo del 20% di popolazione in età lavorativa in base alle modalità di intervento statale. In Italia, secondo la nostra statistica, i beneficiari sarebbero intorno agli 8 milioni e mezzo, circa il 14% della popolazione.Quanto costerebbe alle casse dello Stato la manovra che proponete?Il costo da sostenere per garantire un reddito mensile di 600 euro, cioè 7.200 all’anno, non si discosterebbe di molto da quanto il Paese spende ora per i vari ammortizzatori sociali. La popolazione italiana residente è di poco meno di 60 milioni. Secondo la Commissione d’indagine sull’esclusione sociale - CIES il numero dei poveri relativi è pari a 7.810.000, con un’incidenza del 13,1%. La soglia di povertà relativa è di circa 600 euro al mese. Di contro, i poveri assoluti sono tre milioni, con un reddito inferiore a 385 euro al mese. Coloro che hanno una situazione reddituale inferiore del 10% alla soglia di povertà relativa sono 2.384.000; coloro a cui manca un 20% per arrivare sempre alla soglia di povertà relativa sono invece poco più di due milioni. Dei restanti tre milioni e mezzo di poveri relativi, 328.000 si collocano in un intervallo di reddito inferiore dal 35% al 20% alla soglia di povertà relativa. Tutte queste categorie sono coloro a cui spetterebbe il reddito minimo garantito?Sì. Partendo da tali dati e ipotizzando che le quattro classi di reddito individuate presentino una distribuzione omogenea, ne consegue che ai residenti con povertà (-10%) la somma che manca alla soglia di povertà relativa di 7.200 euro all’anno è pari a 360 euro; ai residenti con povertà (-20%) la somma mancante è 720 euro; a coloro con una povertà inferiore del 35%, la somma mancante è di 1.980 euro; e alla classe più povera in media mancano 4.890 euro annui. Perciò la somma lorda necessaria per arrivare sul territorio nazionale a garantire a tutti un reddito di base di euro 7.200 all’anno è, secondo i dati Istat, di 17 miliardi e 996.820 euro.Diciotto miliardi di euro insomma. Non poco.Il costo attuale del welfare, nella sua totalità, copre redditi anche superiori ai 600 euro al mese. Non sono disponibili dati completi, ma dalla banca dati Inps sulle indennità di disoccupazione e l’uso della cassa integrazione si può desumere che lo stato spenda un totale di 15,5 miliardi di euro. Il costo reale dell’introduzione di un reddito di base incondizionato di 600 euro mensili risulterebbe quindi pari a 20,7 miliardi, meno i 15,5 miliardi che già spendiamo, ovvero a un aumento di budget di 5,2 miliardi di euro. Si tratta di una spesa del tutto abbordabile: problema non è dunque di sostenibilità economica, ma di volontà politica.Cinque miliardi di euro non sono comunque pochi. Come si concilia questo coi tempi di crisi e di riduzione della spesa pubblica?Al fine di finanziare il RBI sarebbe auspicabile la separazione tra assistenza e previdenza, ovvero tra fiscalità generale a carico della collettività e contributi sociali, a carico dei lavoratori e delle imprese (Inps). In altre parole, la somma che finanzia il RBI non deve derivare dai contributi sociali, ma piuttosto dal pagamento delle tasse dirette e dalle entrate fiscali generali dello Stato, relative ai diversi cespiti, che sono i valori materiali e immateriali facenti capo ad una proprietà, di reddito - qualunque sia la loro provenienza. Occorre poi costituire un bilancio autonomo di welfare definendo un bilancio suo proprio, dove vengano contabilizzate tutte le voci di entrata e di uscita, ovvero le fonti di finanziamento e le voci di spesa. E infine bisogna ridefinire a fini fiscali il concetto di attività lavorativa. Per un trattamento fiscale e contributivo omogeneo dovrebbero essere considerate come prestazioni lavorative, oltre a tutte quelle subordinate e parasubordinate, anche quelle che sono oggi soggette ad un trattamento fiscale in quanto considerate attività di impresa.Concretamente dove si possono recuperare i fondi?È necessario procedere al riguardo ad una riforma del sistema fiscale, per renderlo adeguato alle nuove forme di produzione. I criteri sono due: progressività forte delle aliquote e tassazione omogenea di tutti i redditi. Si rende necessario così un sistema fiscale, compatibile con lo spazio pubblico e sociale europeo, capace di cogliere i nuovi cespiti di ricchezza e tassarli in modo progressivo. Ed è proprio coniugando principi equi di tassazione progressiva e relativa a tutte le forme di ricchezza a livello nazionale ed europea con interventi sapienti sul piano della specializzazione territoriale che si possono reperire le risorse necessarie per far sì che i frutti della cooperazione sociale e del comune possano essere socialmente ridistribuiti.Perchè avete considerato un reddito di base di 600 euro? Non è certamente una cifra con cui al giorno d'oggi una persona si possa mantenere...Il limite dei 600 euro mensili è quello della soglia di povertà relativa. Nel nostro studio, abbiamo considerato anche per un  valore del RBI maggiore del 20% della soglia di povertà relativa. In ogni caso, il livello di "reddito di base" è oggetto di contrattazione, con l'unica condizione che sia sempre espresso in termini relativi. Ciò infatti consente che ad ogni anno la soglia di reddito da raggiungere si alzi, aumentando così il numero dei possibili beneficiari.Il ministro Elsa Fornero ha dichiarato più volte di voler lavorare all'introduzione di una qualche forma di reddito minimo, a patto che sia inserito «in un pacchetto più ampio» di misure. Il ministro l’ha detto ma si è subito tirata indietro dicendo che non ci sono fondi.Nel nostro Paese esistono provvedimenti simili al riconoscimento di un reddito minimo garantito?In realtà no. Per previdenza sociale in Italia si intendono due forme di cassa integrazione, quella a carico dell’Inps e quella in deroga pagata dalle regioni con fondi europei; il sussidio di disoccupazione che si attiene a una legge fatta e mai variata dal dopoguerra e a cui ha i requisiti per accedere circa un inoccupato su quattro; infine c’è l’Indennità di mobilità, che regola i licenziamenti collettivi e che ha parametri ancora più stretti del precedente.Quindi voi proponete di eliminare tutte queste forme per introdurre l’RBI. Perché nessuno ci ha mai pensato prima?La discriminante è certamente politica. Chi è contrario sono imprenditori e sindacati. I primi perché per loro la cassa integrazione è una valvola di flessibilità e in questo modo i costi ricadono sull’Inps, se si eliminasse i costi di eventuali licenziamenti cadrebbero direttamente su di loro. Per quanto riguarda i sindacati loro gestiscono le casse integrazioni e questa è l’unico compito che permette loro di mantenere una rappresentanza politica fondamentale.Pensa che sarebbe opportuno porre un limite temporale alla fruizione del reddito minimo garantito, come per esempio la income-based jobseeker's allowance inglese che si può percepire solamente per sei mesi? No. Secondo me il reddito di base incondizionato dovrebbe avere i seguenti parametri: essere individuale e non legato alla famiglia, non avere limiti di età, etnia, religione, essere incondizionato ad esclusione del livello di reddito.Intervista di Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Reddito minimo garantito: ce l'hanno tutti tranne Italia, Grecia e Bulgaria- Reddito minimo garantito, parte la raccolta firme della Cgil per ripristinare la legge sperimentale in Lazio. Con due ombre: il costo spropositato e il rischio di assistenzialismoE anche:- Pietro Ichino: «Bisogna rompere i tabù e introdurre anche in Italia il salario minimo»

E se Steve Jobs fosse nato a Napoli? Essere «affamati e folli» a volte non basta

Da poche righe buttate giù su un blog a un libro. «Se Steve Jobs fosse nato a Napoli» (pubblicato poche settimane fa da Sperling & Kupfer) è la storia amara di due giovani napoletani e della loro voglia di affermarsi, frustrata da un contesto ostile, che non dà spazio a chi è «affamato e folle», ma non ha le condizioni materiali «giuste». La Repubblica degli Stagisti ne ha parlato con l’autore, Antonio Menna, 44 anni, giornalista e collaboratore di quotidiani come Il Mattino e Liberazione, lucano di  nascita ma napoletano d'adozione. Menna aveva già scritto due romanzi: nel 2007 «Cocaina e cioccolato» e nel 2009 «Baciami molto». Tutto è partito con un post, pochi giorni dopo la morte di Steve Jobs. Da qui il successo sul web e poi il libro. Com’è nata quest’idea?Quando Steve Jobs è morto la Rete è stata travolta dall'emozione e sono stati rilanciati molti dei suoi interventi. Uno di questi era il famoso «siate affamati, siate folli», pronunciato agli studenti di Stanford. Questa espressione mi ha un po' irritato. E, per reazione, mi sono chiesto se sia davvero così. Davvero bastano carattere e tenacia per farcela? Davvero le condizioni esterne non contano nulla? Ho provato a collocare Jobs in un altro posto e in un'altra epoca. Avere vent'anni a Napoli nel 2011. Che cos'avrebbe fatto? Ne è nato un racconto di due paginette che ho pubblicato sul mio blog. Pensavo lo leggessero i soliti cento frequentatori. Invece quel post è esploso: il contatore delle visite dopo appena due ore era già impazzito. È stato un contagio velocissimo. Ho condiviso il post sulla mia rete social e dopo un po' mi sono accorto che veniva condiviso a sua volta dai miei amici e dagli amici degli amici. Una moltiplicazione pazzesca che ha portato in 24 ore il blog ad avere 200mila lettori. Nel giro di una settimana, siamo arrivati a più di mille commenti e 10mila condivisioni su Facebook e Twitter. Il mio blog, in quei tre giorni, è stato il più visitato al mondo sulla piattaforma di Wordpress: ne hanno parlato tv e giornali nazionali e stranieri. In quei giorni mi è venuto in mente che quel post poteva essere la traccia su cui scrivere un romanzo. Le avventure di questi due ragazzi di vent'anni, dei Quartieri Spagnoli di Napoli, che hanno un’idea straordinaria e provano a realizzarla, inciampando in mille ostacoli. I protagonisti del libro sono giovani, provengono da famiglie modeste e sono dei Quartieri Spagnoli. La scelta non è casuale. In un contesto economicamente più «solido» e in un’altra zona di Napoli, l’esito della storia sarebbe stato diverso? Io penso di sì. In Italia se nasci «male» sei condannato. Nascere male significa non avere reti di protezione. Da noi contano le famiglie, i circoletti, le cricche. Se sei un talento libero, fuori da circuiti amicali e familiari sei spacciato. In questo senso, la famiglia dove nasci, il luogo dove cresci, i circuiti sociali dove ti inserisci sono, purtroppo, determinanti. I gruppi dirigenti, ogni tanto, su base familiare o di appartenenza, prelevano un giovane e lo ammettono al tavolo. Nella scelta però preservano loro stessi, quindi selezionano quello più ubbidiente, possibilmente quello che non può minacciare la loro leadership. Al talento libero, autonomo, brillante, non resta che cercare da una parte di apparire meno di quello che è, e dall'altra di trovarsi una protezione. I protagonisti del mio libro sono di famiglie semplici. I Quartieri Spagnoli provano a tenere i ragazzi sotto scacco. Ma i due sono tutt'altro che scugnizzi, furbi e bulli, come si potrebbe immaginare, o come un certo colore su Napoli ci ha sempre restituito. Sono ingenui, creativi, attraversati perfino da un sentimento di giustizia. Uno non penserebbe mai di trovarli lì, ai Quartieri Spagnoli. Eppure ci sono. Come ce ne sono tanti nella realtà. Il contesto però non li aiuta. Anzi, per un tragico paradosso, sembra allearsi coi peggiori, e quasi divertirsi a ostacolarli. I due si scontrano con lo scetticismo, la difficoltà a ottenere finanziamenti dalle banche, i tempi burocratici e, non ultimo, la camorra. C’è qualcosa che influisce più di tutto? I ragazzi attraversano una «via crucis». Nella vita reale magari te ne può capitare una oppure due. Nel libro invece le racconto tutte: mi interessava fare una sorta di viaggio nei problemi, nei punti di blocco del nostro sistema. Dal credito, che nessuno fa a chi non ha garanzia, alla burocrazia, che è stracolma di norme confuse, alla corruzione, soprattutto quella minima dei cinquanta euro da parte dei pubblici uffici, che logora il sistema economico. Fino alla camorra, tratto che caratterizza tipicamente l'ambientazione napoletana. Sono tappe di un calvario che un giovane senza protezioni attraversa di sicuro in un Paese come il nostro, in particolare in una realtà come meridionale. E ciascuna di queste tappe rappresenta un problema da risolvere, se vogliamo far decollare il nostro Paese. Verso la fine del libro scrive: «Puoi essere affamato e folle quanto vuoi, ma se nasci nel posto sbagliato, ti rimangono la fame e la follia, e niente più». Ma si intuisce che i due amici non perdono la speranza. È possibile trovare una strada diversa? Io ho scritto un libro problematico sull'Italia e su Napoli. Ma non voglio che il messaggio sia distruttivo e disperato. C'è chi ce la fa anche in Italia, e anche a Napoli. Il fatto è che si pagano costi altissimi, e che tutte queste difficoltà disperdono risorse, energie, talenti, e allontanano investimenti. Il problema quindi è quello che si muove intorno. Le opportunità a Napoli, ma per certi versi in tutto il Paese, sono poche e questo condiziona molto - soprattutto tra i venti e i trent'anni, quando ti affacci sul mercato del lavoro. Se non si affrontano questi nodi è inutile parlare di speranza. Ai ragazzi che mi chiedono un consiglio io dico che chi ha la possibilità fa bene ad andare via. Le condizioni per realizzare se stessi fuori dai soliti circuiti familistici e amicali, in Italia e al Sud, non ci sono.In questo periodo si sono moltiplicate le polemiche sul posto fisso. Secondo una ricerca i giovani sono anche disposti a guadagnare meno pur di conquistarlo. Che ne pensa?I protagonisti del mio libro sono due amici non perdono mai la speranza perché, in fondo, la nostra forza è il capitale umano. Abbiamo persone straordinarie, su cui dobbiamo investire. Le condizioni esterne sono decisive per la realizzazione di sé. Questa è una riflessione da fare, in un tempo in cui si tende a colpevolizzare paradossalmente chi non riesce. Quante volte abbiamo sentito che si è precari perché non si è capaci? Che si fallisce perché non si ha abbastanza talento? Quante volte ancora dobbiamo sentir parlare di bamboccioni, di sfigati, di fannulloni? I protagonisti del libro dimostrano che non sono loro il problema. E che chi tende a colpevolizzarli fa solo un'operazione di spostamento della responsabilità. La colpa è delle generazioni precedenti, che hanno costruito un'Italia bloccata. E oggi se la prendono con chi ne paga il prezzo. Ecco perché mi scaglio contro il consiglio retorico, fondamentalmente privo di senso, di Jobs - che andava certamente bene per gli Usa ma non per l'Italia. Certo, contano la determinazione, la grinta, la personalità. Se hai talento ma non hai il carattere per provarci fallisci in partenza. Ma basta il carattere? Bastano le qualità interiori? No. Questo vuol dire che è solo colpa del contesto? No. Ognuno di noi ha le sue responsabilità. Ma dico basta alla retorica del «se vuoi fortemente una cosa, la ottieni». A volte, e in certe città, con il mondo che ti gira intorno ostinatamente al contrario, se vuoi fortemente una cosa, probabilmente diventi solo pazzo.Chiara Del PriorePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno due milioni i giovani all'estero- «Non è un paese per bamboccioni», un libro per chi è stufo di piangersi addosso- L'Italia è un paese per vecchi che parlano di giovani

Ventenni e riforma del lavoro, parla l'ideatore della lettera a Monti

Dalle pagine del Corriere della Sera la lettera aperta dei 19 ventenni che chiedono al governo Monti di fare presto con la riforma del lavoro e di creare un sistema più favorevole e meritocratico per l'occupazione giovanile è rimbalzata su giornali, siti web e televisioni. Una grande attenzione mediatica alimentata anche da  contro-lettere, ironia, dietrologia su chi siano - e che mire abbiano - i promotori di questa fortunata iniziativa. La Repubblica degli Stagisti ha raggiunto al telefono il ragazzo che  l'ha materialmente ideata, scrivendo la prima bozza e coinvolgendo gli altri firmatari: Antonio Aloisi. Ventidue anni, classe 1989, originario della provincia di Lecce, Antonio studia Giurisprudenza alla Bocconi; pochi mesi fa è stato anche eletto rappresentante degli studenti nel consiglio di amministrazione dell'ateneo.   Tutti parlano della vostra lettera. Sì... Devo essere sincero, non ci aspettavamo tutta questa eco. Ma com'è nata l'idea? Semplicemente chiacchierando e discutendo con tanti ragazzi della mia età, non solo bocconiani, sia fisicamente sia virtualmente. È emerso in maniera dirompente il fatto che nonostante posizioni politiche di partenza e provenienze geografiche differenti, su questo tema la pensavamo tutti allo stesso modo. Eppure questa opinione largamente condivisa era di fatto sottorappresentata. Abbiamo voluto tirare fuori queste idee, dare visibilità a questa posizione.Molti si chiedono come siate riusciti a far pubblicare la lettera dal Corriere.Nessuno di noi ha parenti che ci lavorano, lo giuro. Controllate pure. Abbiamo semplicemente mandato il testo della lettera tramite email. Io poi sono un follower di De Bortoli su Twitter, come tanti altri: non c'è davvero nulla di più. Lo ripeto, si tratta di un'iniziativa spontanea. Neanche volevamo firmarci, perché siamo convinti che le nostre identità singole contino marginalmente. Non vogliamo far nascere un forum, un account twitter, un blog. Non vogliamo candidarci a nulla. La cosa importante è che tantissima altra gente abbia poi sostenuto la lettera: per noi è stato quasi un sollievo, oltre che una soddisfazione. Vi è arrivata addosso anche una pioggia di critiche.Le nostre richieste e proposte hanno creato dibattito, e naturalmente ci sono posizioni contrastanti. Va bene così: per noi il più grosso risultato raggiunto è che dei 20-30enni si siano potuti pronunciare su una materia che li riguarda direttamente. Non puntiamo nè al plebiscito nè alla singola gloria personale. Hanno detto che non siete rappresentativi, che siete solo 19. Perché non avete cercato di raccogliere un numero più elevato di firme?Non avevamo e non abbiamo i mezzi per ottenere un consenso largo. Io - non lo dico per purezza, ma come dato di fatto - non appartengo a nessun gruppo studentesco che abbia un network in tutto il Paese. Era materialmente difficile contattare centinaia o migliaia persone, e poi ci avremmo messo troppo tempo. Il grande network per fortuna si è formato a posteriori. E immediatamente si è formata anche una pattuglia di detrattori che vi ha accusato di essere tutti iscritti a università private.Per smentire queste voci basta fare un check online. Alcuni firmatari sono studenti di licei pubblici, una a Napoli frequenta quello dove si diplomò Giorgio Napolitano, un'altra il Massimo di Palermo. Altri sono iscritti a università pubbliche, e poi c'è anche chi - come me - frequenta un'università privata. Non c'è nulla di male.Vi hanno accusato anche di essere tutti di destra.Io non mi sento nè di destra nè di sinistra, non ho mai avuto tessere di partito, le uniche tessere che ho nel portafoglio sono il badge dell'università e la carta fidaty dell'Esselunga. Hanno scritto che un altro dei firmatari, Piero Majolo, scrive sul mensile dei giovani della PdL: in realtà lui mi ha detto di aver scritto sì e no un paio di articoli per il giornaletto di questa associazione, e poi di essere stato messo alla porta.Di te in particolare hanno detto che sei un figlio di papà.  [Aloisi senior è stato consigliere regionale in Puglia dal 1996 al 2005, capogruppo di Forza Italia e vicepresidente del consiglio regionale, ndr].Su questo sono mortificato, mi spiace. Sono passati anni dall'esperienza in consiglio regionale di mio padre, e comunque: che c'entra? Su questi temi lui non la pensa assolutamente come me, anzi scherzando al telefono mi ha detto che mi scriverà una contro-lettera. Un'altra riflessione: nel testo c'è scritto che vorremmo che venissero ridotti i privilegi alla generazione che è venuta prima di noi. E mio padre è del 1955!Dite che volete la flessibilità. Ma siete consapevoli del labile confine che in Italia separa flessibilità e precarietà? Eccome. Ci hanno preso per fessi, lo scarto tra intenzioni e pratica è formidabile. La flessibilità è una sorta di cartonato verbale che hanno usato i vari esponenti che si sono susseguiti al governo: classi dirigenti votate alla conservazione che ci hanno regalato quello che abbiamo ora. Bisognerebbe ridisegnare un'impalcatura normativa in cui trovassero difesa le esigenze dei giovani. Non mi sembra un'eresia, bensì una proposta di buon senso. Vorrei che i legislatori spostassero l'asse del privilegio al merito.Credete molto in questo governo.La nostra è un'apertura di credito, aspettiamo che arrivi qualcosa di concreto. Del resto tutto il Paese è abbastanza orgoglioso e concorde nel tributare una forma di consenso al premier Monti. Avete anche parlato di articolo 18...No!Beh sì. Quando scrivete «Non ci scandalizza che si cominci a ragionare del cosiddetto "motivo economico o organizzativo per il licenziamento", nell'ottica di una intelligente spinta riformatrice», è chiaro che state parlando di articolo 18. La verità è che l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori non riguarda nessun giovane. Il buonissimo e stimatissimo Gino Giugni ha fatto cose encomiabili, ma che non riguarderanno mai me nè i miei coetanei. Perché a noi fanno contratti a progetto: io ne ho avuti già due. E certo ai cocopro non si applica la protezione dell'articolo 18 - che peraltro nei modelli diffusi a livello mondiale non c'è.Insomma dite: perché in tutto il resto del mondo l'articolo 18 non esiste, e noi dobbiamo farci le barricate?Premettendo che non mi entusiasma il trapianto con rischio di rigetto, dico solo che in altri Paesi il mercato del lavoro funziona meglio. Nessuno è allegro di mandare la gente a spasso: però altrove i legislatori hanno elaborato forme serie e intelligenti di diritto del lavoro, sgravi fiscali che rendono appetibili i licenziati e facilitano il ricollocamento, ammortizzatori sociali, servizi di outplacement adeguati. Non è un discorso di monotonia del posto fisso, ma altrove funziona meglio. Per quanto non stia certo nell'articolo 18 il nucleo della nostra proposta, bisogna ammettere che fuori dall'Italia il sistema è più snello. E poi la mobilità stessa dovrebbe essere basata sul talento, sul merito.A Sky Tg 24 Pomeriggio, mentre si parlava di voi, a un certo punto è andato in onda l'sms di un telespettatore: «Il lavoro è un diritto, la carriera è merito». Che ne pensi?Ti rispondo con una domanda: tu nella redazione della Repubblica degli Stagisti assumeresti mai qualcuno che non conosce la grammatica o che non sa trovare la notizia?Certo che no.Bene. Se assumessimo come prospettiva quella del telespettatore, staresti negando un diritto a un cittadino! Ed è chiaro che non è così. Non mi pare blasfemo coniugare diritti e merito. Del resto l'articolo 3 della Costituzione dice che bisogna «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Ora bisognerebbe impegnarsi per rimuovere questi ostacoli a livello generazionale.Avete anche posto il problema della rappresentanza. Chi ha titolo per parlare a nome dei giovani?Direi non il sindacato, data la composizione anagrafica dei suoi iscritti: perché giustamente un'associazione fa la volontà degli associati, quindi in questo caso di 50-60enni e pensionati. Più che stabilire chi ha titolo di rappresentare i giovani, io dico che è importante che le idee dei giovani emergano e arrivino al tavolo del governo. Ci sono però anche tanti giovani, dentro e fuori dal sindacato, che la pensano in maniera diversa da voi.Grazie a dio ci sono diversi pensieri! La pretesa unità non è possibile, la stessa Fiom dissente dalla linea della Cgil, molti esponenti del PD sono in disaccordo con le prese di posizione del responsabile Economia del partito. La nostra proposta vuol essere solo un suggerimento di prospettiva, per ripensare e ridisegnare un modello di mercato del lavoro. Una prospettiva generazionale, perché devono aumentare tutele e garanzie per noi giovani: su questo siamo tutti d'accordo.Se sull'obiettivo c'è accordo, vi sono però modi molto diversi di arrivarci: voi proponete di innovare il diritto del lavoro, altri propongono di tornare all'indeterminato per tutti. Quale posizione ha più seguito? Non sono Mannheimer, non so se la nostra posizione sia maggioritaria o minoritaria! Nessuno ha dati statistici per dire chi prevalga. E poi le posizioni non sono solo due: probabilmente sono mille. Qualcuno resterà deluso, magari quel qualcuno sarò io e chi la pensa come me: ma l'importante è che l'esecutivo faccia una scelta, e la faccia in fretta.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più, leggi anche:- Chi ha paura del contratto unico? Panoramica dei vantaggi della flexsecurity per i giovani italiani- Per rifare l'Italia bisogna partire dal lavoro e dalle retribuzioni dei giovaniE anche:- Elsa Fornero, ritratto del nuovo ministro del Lavoro: avanti con il contratto unico e il welfare per i precari- Il neopresidente del consiglio Mario Monti in Senato: «Risolvere il problema dei giovani è il fine di questo governo»- Antonio De Napoli convocato oggi da Mario Monti in rappresentanza dei giovani italiani

Campus Mentis, D'Ascenzo: «Facciamo orientamento, non placement»

Fabrizio D’Ascenzo, ordinario di Economia all’università La Sapienza, è anche direttore del centro di ricerca ImpreSapiens, che gestisce l’iniziativa Campus Mentis avviata dal ministro Giorgia Meloni nel 2009 (allora si chiamava «Global Village Campus») con un evento sperimentale a Pomezia. L’anno successivo le tappe diventarono tre – Pomezia, Catania, Abano Terme – con un coinvolgimento di circa 1.500 ragazzi («al lordo di chi non si presenta senza nemmeno avvisare, purtroppo»). Ora Campus Mentis è inserito nel pacchetto «Diritto al futuro»: nel 2011 sono già stage realizzate due tappe (Milano e Abano), la prossima è in calendario per fine febbraio a Napoli. Impresapiens è un centro di studi universitario, trasversale a più dipartimenti e facoltà, che riunisce venti professori più una dozzina di collaboratori. Nel 2009 e 2010 ha ricevuto dal ministero l’incarico diretto annuale per la realizzazione di Campus Mentis; nel 2011 invece l’incarico – sempre con la formula dell’assegnazione diretta – è diventato triennale, con un appalto di 1.489.500 euro per un arco temporale di 32 mesi.La Repubblica degli Stagisti ha voluto cogliere l'occasione del "caso Avec", l'azienda che ha utilizzato la mailing list di giovani raccolta a Campus Mentis per veicolare un'offerta commerciale, per fare il punto con D'Ascenzo sull'organizzazione e le criticità.Professore, come monitorate che le imprese che partecipano a Campus Mentis non usino l’evento per vendere i propri prodotti, invece che offrire opportunità di lavoro?La nostra finalità è offrire un'ampia platea di imprese a disposizione dei ragazzi. Una volta che veniamo a conoscenza di soggetti che se ne "approfittano" cerchiamo di prendere i nostri provvedimenti: per avere un ritorno, consultiamo anche più volte i partecipanti.Come? Via email, normalmente a un anno dalla loro partecipazione al Campus: un tempo ragionevole per capire che cosa stanno facendo.Però per altri versi meno ragionevole: una storia come quella svelata dalla Repubblica degli Stagisti, relativamente a un'azienda che voleva vendere stage all'estero a pagamento, a distanza di un anno potrebbe sfuggire. Questo è vero. Noi facciamo il contatto a distanza di un anno per capire cosa stanno facendo a livello lavorativo, per il placement. Tuttavia il nostro primo obiettivo non è il placement, è l'orientamento al lavoro.Non è un po' tardi per fare orientamento al lavoro su gente che è già laureata, magari da tempo?Le università hanno degli uffici placement che su certi aspetti francamente non completano la preparazione: per esempio non insegnano come si fa un curriculum vitae. Noi cerchiamo di offrire altri elementi a completamento, per irrobustire il bagaglio dei ragazzi. Se dicessimo "Vi faremo trovare lavoro" saremmo dei venditori di fumo: il punto fondamentale, che a volte non viene compreso e che alcuni ragazzi forse non vogliono capire, è che noi gli mettiamo a disposizione delle opportunità, non certezze. La  finalità è permettere ai ragazzi di incontrare congiuntamente nello stesso luogo e in un periodo di tempo limitato una pluralità di aziende.Però se il fine è mettere in contatto una pluralità di aziende in un tempo limitato con un gruppo di giovani che stanno cercando lavoro, non è un po' ipocrita dire che Campus Mentis non è un career day?È evidente che questi ragazzi sono alla ricerca di lavoro. Ma noi ci rivolgiamo prevalentemente a neolaureati: anche se poi non possiamo escludere coloro che sono laureati da più tempo, perché sarebbe iniquo.Dunque Campus Mentis è più efficace sui neolaureati: cioè da quanto?Da poco: diciamo nei primi sei mesi. Però, essendo una iniziativa per tutti, ci sono anche persone laureate da più tempo, che magari qualche lavoro lo hanno fatto già. Ma è giusto che sia così: forse non avevano trovato quello che stavano cercando.O forse avevano trovato un lavoro temporaneo e poi gli è scaduto il contratto.Può essere anche questo, capita. Questo fa parte delle cose che noi non possiamo tenere sotto controllo. Come non possiamo prenderci responsabilità rispetto a come le aziende si rapportano ai ragazzi. Questa vicenda che avete fatto emergere voi sicuramente non è leale, e provvederemo a fare i nostri accertamenti. Però sono cose che avvengono successivamente al Campus. A monte: come vengono selezionate le imprese?Il nostro partner Cegos Search si occupa di comporre il pacchetto di partecipanti. Dal nostro sito riceve le candidature delle aziende che desiderano partecipare e seleziona. In più ci dà suggerimenti su imprese qualificate disponibili a partecipare.La partecipazione è gratuita?Assolutamente gratuita, diciamolo a chiare lettere.Chiedete alle aziende partecipanti, a cui state quindi regalando della visibilità, di assicurare che abbiano posizioni aperte?Assicurare, no. L'interesse, sì. Nel senso: "siete interessati a venire a vedere buoni profili?".Troppo facile…Posso ribattere dicendo che ci è capitato più volte di vedere aziende che venivano con diffidenza, specialmente nelle prime edizioni. Poi, verificato il livello dei ragazzi, aprivano più posizioni.Parliamo del caso Avec. Ha avuto lo spazio gratuito dentro Campus Mentis [nell'immagine, il suo stand in una delle ultime tappe], è venuta in contatto con centinaia di ragazzi, e poi invece di proporre dei lavori ha proposto di comprare i suoi viaggi "stage" all'estero. Cosa farete?Anzitutto le nostre verifiche; qualora le cose stessero effettivamente così, non lavoreremmo più con questa azienda. Sanzionarla sarebbe impossibile, non avremmo strumente per farlo: ma sicuramente chiederemo ragione del loro comportamento ed eventualmente la escluderemo dalle tappe successive.Parliamo di profili bassi: i partecipanti di Campus Mentis sono tutti laureati con alti voti. Eppure la Repubblica degli Stagisti è venuta a sapere che vi sono aziende che sono venute a proporre posizioni per cui addirittura c’erano requisiti fisici, tipo l'altezza per una ragazza. Prima di tutto potrebbero essere aziende che si stanno affacciando oggi sul mercato e hanno quindi necessità di riempire diversi ruoli, tra cui – non lo escludo – anche la hostess. Da un altro punto di vista è chiaro che nessuno è obbligato ad accettare una posizione. C'è chi può dire "non mi interessa, il mio profilo è più elevato" ma c'è anche chi può dire "intanto entro così, poi posso migliorare all'interno".I laureati in Lettere, Scienze della comunicazione, Lingue dicono di venire "rimbalzati", e che tutti vogliono solo ingegneri ed economisti. Come si può lavorare sull'apertura di posizioni anche per profili non strettamente scientifico-economici? Il fatto che siano più ricercate le lauree in economia e ingegneria lo dice il mercato, non noi.Però voi attraverso fondi pubblici offrite ad un'azienda una cosa che quell'azienda sul mercato pagherebbe 4-5mila euro.Io infatti ho sempre pensato che noi stiamo offrendo molto.Allora se offrite molto, perché non chiedere in cambio la garanzia che le aziende partecipanti aprano posizioni anche per laureati in materie deboli? In questo modo si potrebbe davvero trasformare Campus Mentis in qualcosa di più che un career day. No però non dica così, noi ci teniamo a differenziarci dai career day!Con tutti i distinguo del caso, nel momento in cui il ragazzo passa da uno stand all'altro la situazione è in qualche modo assimilabile ad un career day, anche se poi c'è tutto il resto.Sì e no. Nel senso: è vero che il ragazzo passa da uno stand all'altro, ma non lascia solo il curriculum. Fa un colloquio, parlando con persone qualificate. Troppo spesso nei career day le persone dietro gli stand stanno lì esclusivamente a raccogliere curriculum. Certo non facciamo la "rassegna" la mattina, ma la nostra richiesta è di avere - e nella stragrande maggioranza dei casi questo avviene - persone qualificate.Quindi addetti HR assunti ed esperti?Questa è la nostra richiesta. Poi se ci sono stati dei casi in cui le persone non avevano queste caratteristiche, significa che non l'hanno rispettata. Un punto che vorrei sottolineare è che non possiamo fare richieste troppo stringenti, imporre alle aziende "fai questo". Però si potrebbe per esempio chiedere loro di dare prima l'elenco di chi ci sarà, con la qualifica, e dire no a chi manda lo stagista o la hostess.Magari potesse essere così diretto! Le aziende non lo fanno.Ma chi riceve gratis questa possibilità potrebbe anche adeguarsi a qualche regola.Temo l’effetto boomerang: l'irrigidimento porterebbe qualche azienda a ritirarsi, e di conseguenza i ragazzi se ne troverebbero a disposizione di meno. Ultima questione, la sistemazione in alberghi a 4 stelle. Alcuni giovani sono rimasti sorpresi dal lusso di questo pacchetto. Lei fa riferimento solo alla tappa di Milano: Abano non era assolutamente sullo stesso livello. Ma mi perdoni il sorriso: da una parte si dice l'albergo è brutto, dall'altra che l'albergo è troppo bello. La domanda che faccio io è: ma lo sapete che tariffe abbiamo pagato noi o no?Ce le dica!No, io non ve le dico. Ma vi assicuro che abbiamo avuto da quella struttura un'offerta estremamente concorrenziale per la piazza di Milano. Quindi tranquillizzo tutti: non sperperiamo soldi!intervista di Eleonora VoltolinaQualche giorno dopo questa intervista il professor D'Ascenzo, relativamente al caso della Avec srl, ha scritto alla redazione della Repubblica degli Stagisti: «Vi comunico che, a seguito della vostra segnalazione, è stata inviata alla azienda che mi avevate evidenziato una lettera di esclusione».Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- E dopo Campus Mentis la proposta che non ti aspetti: uno stage a pagamento- Campus Mentis, 9 milioni di euro dal ministero della Gioventù per investire sui talenti laureati: ma il gioco vale la candela?- Ecco il backstage della tappa di Milano del maxi career day sponsorizzato dal ministero della GioventùE anche:- Intervista al ministro Giorgia Meloni: «Più controlli per punire chi fa un uso distorto dello stage. Ma i giovani devono fare la loro parte e denunciare le irregolarità»- Il ministro Giorgia Meloni: «Per investire sui giovani è necessario un cambio di mentalità»- Al Jobmeeting di Bologna dibattito «Si può mangiare con la filosofia o la semiotica?», a Torvergata tavola rotonda «Trovare lavoro, inventarsene uno»

Enzo Carra: «Dal 2013 equo compenso per i giornalisti freelance»

La recente ricerca pubblicata dal movimento romano di giornalisti precari Errori di stampa è di quelle che bastano a suscitare sdegno. Freelance, collaboratori, precari: chiamateli come volete, ma sono (quasi) sempre sfruttati. I quotidiani e i periodici italiani, grandi o piccoli che siano, pagano in media 30 euro ad articolo. Ci sono le eccezioni virtuose, certo, ma resta il fatto che statisticamente un giornalista non assunto dovrebbe scrivere un articolo al giorno per... 40 giorni al mese prima di arrivare a racimolare appena mille euro. E il problema delle retribuzioni sotto la soglia della dignità si estende anche a radio e televisioni. La denuncia di Errori di stampa rilancia il dibattito sul disegno di legge per l'equo compenso, già presentato in Parlamento oltre un anno fa. Enzo Carra, 68enne deputato Udc e relatore del ddl, fa così il punto della situazione rispondendo alle domande della Repubblica degli Stagisti.Quali sono i contenuti principali del disegno di legge?La legge serve ad ancorare il compenso per i collaboratori esterni, freelance e precari dei giornali, a parametri tali per cui il loro lavoro non sia pagato meno della media dei giornalisti contrattualizzati. Subito dopo l’approvazione della legge dovrebbe riunirsi un comitato paritetico composto da rappresentanti del dipartimento dell’editoria di Palazzo Chigi, la Federazione nazionale della stampa e l’Ordine dei giornalisti. Questa commissione avrà il compito di individuare, entro 6 mesi, delle indicazioni chiare circa il valore di ogni pezzo, pari alla media del costo che avrebbe se fosse scritto da giornalisti assunti. Tale valore costituirà l’equo compenso per i freelance.Quali schieramenti politici vi si oppongono?Al momento nessuna parte politica è radicalmente contraria al disegno. Abbiamo avuto qualche problema con la Lega che però poi ha acconsentito a farci chiedere come sede legislativa la commissione cultura, permettendoci di non allungare a dismisura i tempi.A che punto è l’iter legislativo?Il testo della legge è già stato trasmesso a Palazzo Chigi. Il governo sta raccogliendo i pareri dei ministeri competenti in materia: Lavoro, probabilmente Sviluppo economico, Rapporti con il parlamento, il dipartimento editoria. Ci risulta che questi ultimi due abbiano già dato un parere positivo sul disegno di legge. Mi auguro che nei prossimi giorni il governo ci ritrasferisca il testo per la votazione nella Commissione cultura, dove direi che l’approvazione è scontata, e poi ci sarà il passaggio in Senato.Quando potrebbe entrare in vigore la legge?Dobbiamo fare un grosso pressing sul Senato per accelerare i tempi. Noi abbiamo fatto tutto in cinque mesi; loro avranno già a disposizione il materiale sull’audizione e le relazioni da noi raccolte, quindi potrebbero impiegare molto meno tempo a decidere. Mi auguro che la legge possa essere già approvata entro giugno. Poi la commissione verrà istituita il prima possibile. Mi aspetto che l’equo compenso entri effettivamente in vigore nei primi mesi del prossimo anno.Come verrà garantito che i giornali rispettino l’equo compenso?Semplicemente, chi non rispetterà i parametri individuati dalla commissione paritetica non potrà accedere ai contributi pubblici per l’editoria. E c’è un numero enorme di giornali che dipendono proprio da questi finanziamenti.Ma le piccole testate che non accedono ai contributi potranno continuare a sfruttare i freelance senza colpo ferire.Crediamo che, nel momento in cui venga stabilito un equo compenso, sia comunque più facile far valere i propri diritti, contrattare il prezzo.Sarà possibile rivolgersi agli Ordini regionali per segnalare chi non rispetta le disposizioni?Certo. Attenzione: in epoca di liberalizzazioni, non si può certo fissare una tariffa minima per il lavoro dei giornalisti. Però è chiaro che, nel momento in cui Odg ed editori individuano insieme in commissione paritetica un equo compenso, possono poi almeno far sì che venga rispettato.La linea tra tariffa ed equo compenso sembra un po’ sfumata…La linea è sottile ed in effetti l’unico problema della legge è che arriva in un momento in cui si mettono sotto accusa gli ordini professionali proprio per le tariffe minime. Quello che importa è non ricadere nella fattispecie, altrimenti si direbbe che stiamo cercando di ingessare la professione. Questo non lo vogliamo e non lo possiamo fare. Vogliamo soltanto dire che un editore non può pagare 1 o 5 euro per un articolo; non è assolutamente una questione di tariffe, ma piuttosto di dignità del lavoro.Come distinguere tra l’equo compenso per una notizia breve, per un’intervista, un’infografica, un articolo online…?Questa è una delle cose più semplici. Non sarà un grande problema per la commissione paritetica individuare dei parametri per ciascuna tipologia di articolo.Ci saranno differenze tra l’equo compenso che dovrebbero pagare i grandi quotidiani e quello che spetterebbe invece alle piccole testate?No, non abbiamo voluto fare nessuna distinzione di questo tipo nel disegno di legge, proprio perché altrimenti si potrebbe dire che ricadiamo nell’individuazione di tariffe minime.I dati raccolti da Errori di stampa mostrano uno scenario nerissimo in cui è praticamente impossibile vivere da freelance. La situazione è davvero così grave?Sì, i dati lo dimostrano a tutti gli effetti. Ed è una condizione del tutto particolare che non esiste per altre categorie professionali. Questa legge vuole risolvere una situazione gravissima che non ha equivalenti e che lede la dignità di lavoratori professionisti.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità- Giornalisti precari alla riscossa: a Firenze due giorni di dibattito per approvare una Carta deontologica che protegga dallo sfruttamento- Articoli pagati 2,50 euro e collaborazioni mai retribuite. Ecco i dati della vergogna che emergono da una ricerca dell'Ordine dei giornalisti- Crisi dell'editoria: per i neogiornalisti il futuro è incerto - Pianeta praticanti- Giornalisti freelance, sì alla reintroduzione del Tariffario: ma i compensi minimi devono essere più realistici. E vanno fatti rispettare con controlli e sanzioniE anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- Un'aspirante giornalista: «Una testata non voleva pagare i miei articoli: ma grazie alla Repubblica degli Stagisti e a un avvocato ho ottenuto i 165 euro che mi spettavano»

Stage gratuiti e lavoro nero, così sopravvive la microeditoria

Quando si è affacciato al mondo della piccola editoria italiana Federico Di Vita aveva 24 anni, una laurea in lettere in tasca e un'attrazione per i libri tanto forte da fargli apparire ragionevole l'idea di iniziare a lavorare come redattore in una casa editrice indipendente. Cinque anni più tardi, dopo aver brillantemente ricoperto praticamente tutti i ruoli disponibili nel settore, Federico non aveva ancora avuto l'onore di firmare un vero contratto di lavoro. Il primo stage si era infatti presto trasformato in una "collaborazione informale", cioè gratuita, durata più di due anni. Il secondo microeditore elargiva invece una remunerazione di 250 euro mensili, in nero. Una situazione limite, un'eccezione? Magari. «Tutto il settore si regge di fatto sul contributo di stagisti e persone che lavorano in condizioni simili alle mie», ammette Federico che in «Pazzi scatenati, usi e abusi dell'editoria italiana» (Effequ 2011) si è preso la sua piccola rivincita. Il suo libro inchiesta, di estremo interesse proprio perché scritto da un insider, racconta i perversi meccanismi che governano la filiera del libro italiano, svelando tra l'altro come centinaia di microeditori riescano oggi a sopravvivere in un mercato in crisi e altamente concorrenziale, dove i grandi gruppi si spartiscono gran parte della torta. La battaglia di resistenza combattuta dalla microeditoria indipendente rischia però di scaricarsi troppo spesso sulle spalle dei lavoratori, se così è lecito definire chi per anni offre il proprio lavoro in cambio di compensi nulli o irrisori. Di Vita, come si è arrivati ad una situazione di illegalità tanto diffusa? Negli ultimi quindici anni il numero delle piccole case editrici è molto cresciuto e al tempo stesso si sono quasi completamente saturati alcuni dei principali sbocchi professionali per i laureati in materie umanistiche, in primis la scuola. Moltissimi laureati si sono così orientati sull'editoria generando una grande offerta di lavoro per un settore che aveva invece capacità di assorbimento limitate. Nel frattempo c'è stata anche una rivoluzione tecnica che ha reso apparentemente semplice mettere in piedi un'impresa editoriale: in tanti hanno pensato che bastasse un computer, senza considerare invece quanto può essere difficile portare un titolo in libreria in un mercato così saturo.A quanto pare in tanti hanno creduto in questa illusione…Sì. Illuso è l'editore che crede di poter un giorno offrire un contratto a quelli che nel frattempo fa lavorare gratis o quasi; e a loro volta illuse le persone che si prestano a lavorare a simili condizioni, perché molto spesso indugiano troppo prima di capire la situazione. Io per primo intendiamoci: ho scritto questo libro proprio perché sono rimasto invischiato per cinque anni in questo ambiente, senza mai aver avuto un contratto ed essendo sempre stato pagato niente o pochissimo.Ma come si giustifica in questi casi l'editore?Molti piccoli editori hanno la «sindrome del benefattore», io la chiamo così.  Ti dicono: ti faccio fare questa esperienza per 250, 300 euro al mese. Certo ti pago in nero, ti sfrutto, ma intanto ti aiuto a formarti. Il microeditore non ti promette un impiego definitivo, anzi molto spesso ti sprona a cercare altro nel frattempo, con l'alibi che la casa editrice non ti impegnerà tutta la giornata. Il che può essere vero: ma a me è capitato più volte di dover lavorare fino alle 4 di notte all'impaginazione di un libro. Alcuni piccoli editori, non c'è dubbio, sono in malafede; tanti altri invece si ritengono sinceramente dei benefattori. Sono una particolarissima specie di squali-sognatori.Che tipo di mansioni si può essere chiamati a ricoprire? Chiunque lavora nel settore finisce per fare un po' di tutto: non solo nella microeditoria, ma anche in case editrici un po' più conosciute e affermate i ruoli non sono quasi mai definiti una volta per tutte. Nell'ultima casa editrice per cui ho lavorato facevo il redattore, ma curavo anche tutta la comunicazione online e fino allo scorso luglio anche l'ufficio stampa. Il tutto per?Per 250 euro al mese, con degli extra a volte. Non è che lavorassi a tempo pieno, però lavoravo tanto, molto molto di più di quello per cui ero pagato. Secondo te quante persone si trovano oggi in una situazione analoga?Facendo un giro sui siti dei vari microeditori, tra lo staff trovi quasi sempre 5 o 6 o anche dieci persone. Poi ti accorgi che la casa editrice esce con un libro ogni due o tre mesi. Quindi o quei libri vendono tutti 200mila copie o questa gente non lavora, oppure, come poi in effetti è, lavora in nero. Mentre fai lo stage, non sei pagato d'accordo, ma almeno resti entro i limiti della legge: dopo ovviamente no. Basterebbe un semplice accertamento fiscale per portare alla luce lo stato delle cose. In un'intervista che riporto nel libro un piccolo imprenditore dice esplicitamente che «si lavora su base volontaria», che è un ossimoro per definizione, un controsenso. Il lavoro è una mansione svolta in cambio di un compenso, intendo dire: vocabolario alla mano.Nelle grandi case editrici la situazione è diversa? Uno stage ha qualche probabilità in più di trasformarsi in un posto di lavoro?Sicuramente anche i grandi editori sfruttano il meccanismo dello stage, anche se in questo caso non posso parlare per esperienza diretta. Ma almeno in una grande realtà non è impossibile riuscire ad avere un contratto e comunque non credo ci siano persone che lavorano per sempre, del tutto e completamente in nero. Oltretutto in Mondadori o in Feltrinelli i ruoli sono ben definiti: se entri come redattore o come ufficio stampa, puoi ragionevolmente presupporre di continuare a fare il tuo lavoro, senza che ti sia richiesto di passare a fare altro semplicemente perché ce n'è la necessità. La definizione dei ruoli aiuta la tua crescita professionale, ma anche la macchina dell'editore a funzionare bene.La vera domanda a questo punto è: perché tante persone si prestano a lavorare in condizioni simili? Secondo me esiste la percezione che sia socialmente prestigioso lavorare nell'editoria e in particolare per una realtà indipendente: aiutare a far crescere una piccola impresa, sfidare i grandi giganti editoriali può sicuramente essere appassionante. Ma se mi presto a lavorare gratis o per cifre irrisorie in realtà io sto svalutando quel lavoro, è come se ammettessi che il valore di quello che faccio è nullo o quasi. Non è solo una questione personale, ma anche sociale. Io sconsiglierei vivamente di intraprendere questa strada. Tu stesso alla fine ti sei deciso ad abbandonarla: la collaborazione con la casa editrice con cui hai pubblicato «Pazzi scatenati» si è interrotta dopo l'uscita del libro. Sì, mi è stato detto che non c'era più la necessaria serenità per continuare il nostro rapporto. Adesso lavoro in una libreria indipendente di Roma e sono soddisfatto: non solo perché mi piace, ma soprattutto perché mi pagano per quello che faccio, cioè proporzionalmente al lavoro che svolgo. A questo punto per me è un dato inaspettato. Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Pietro Ichino: «Bisogna rompere i tabù e introdurre anche in Italia il salario minimo- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno 2 milioni i giovani all'estero- 30mila giovani italiani lavorano sulla base di un accordo verbale. Ma senza contratto, che lavoro è?

Chi c'è dietro la nuova legge della Regione Toscana sugli stage? Un gruppo di ventenni

Dietro la nuova legge regionale sui tirocini in Toscana, che per la prima volta in Italia introduce l'obbligo (quantomeno per quelli "non curriculari") del rimborso spese, c'è un gruppo di ventenni. È la verità: senza i Giovani Democratici toscani questa legge semplicemente non esisterebbe. Sono stati loro a porre fin dall'inizio del 2010 ai vertici della Regione l'urgenza del problema, a pungolarli affinché passassero dalle parole ai fatti, a lavorare sulla bozza del protocollo per i tirocini di qualità e su quella della legge appena approvata. I GD in Toscana contano più di 3mila iscritti; hanno circoli in tutte le province e in più di 80 comuni, e un gruppo su Facebook con 2mila membri. Chi li guida dal febbraio del 2011 è Andrea Giorgio, 25 anni, laureato in Relazioni internazionali all'università di Firenze e a tre esami dal traguardo della specialistica in Scienze del lavoro. Un giovane impegnato in politica fin dal liceo - i primi passi con i movimenti contro la guerra, e subito dopo col Social Forum europeo a Londra e Parigi – e attivo nel partito fin dal momento in cui, dalla fusione di Margherita e DS, nacque il PD.Insomma ce l'avete fatta. La Toscana è la prima Regione in Italia ad avere una legge sugli stage "alla francese" che impone il rimborso spese e sanziona gli abusi.Ce l'abbiamo fatta, sì. È stata lunga però: quasi due anni. L'idea ci venne durante "Job on the Road", un viaggio fatto dai Giovani Democratici nei luoghi di lavoro del nostro territorio. Girammo ore ed ore di interviste rendendoci conto delle condizioni di lavoro di una generazione e di come la crisi, già dall'inizio, si stesse scaricando sui giovani: dagli imprenditori ai precari. Ci rendemmo conto che mentre la crisi distruggeva i posti di lavoro aumentavano gli stage, un fenomeno che già un po' conoscevamo ma sul quale cominciammo a raccogliere testimonianze e storie. E venne fuori che  troppo spesso sotto c'era un vero e proprio sfruttamento legalizzato. Da questo lavoro preparatorio, ed assieme a voi della Repubblica degli Stagisti, siamo partiti per elaborare una nostra proposta su cui abbiamo raccolto in pochi giorni migliaia di firme e che é diventata presto una battaglia. Un territorio come il nostro non poteva tollerare oltre fenomeni del genere: adesso proveremo ad esportare il nostro successo in altre regioni, in attesa che il governo si renda conto di quanto sia importante regolare questo strumento.Sulla proposta di legge qualcuno ha storto il naso, almeno inizialmente. È vero, non é stato facile coinvolgere le istituzioni. Tanto loro quanto le varie parti sociali erano forse poco consapevoli dei numeri e delle condizioni degli stage, strumenti abusati senza regole nè tutele che coinvolgevano più di 15mila ragazzi toscani ogni anno. Ci ha aiutato molto il grande spazio che la nostra campagna ha avuto sui media, e la disponibilità del presidente della Regione Enrico Rossi e dell'assessore al lavoro Gianfranco Simoncini, che hanno dimostrato come non occorra il giovanilismo di facciata per risolvere i problemi della nostra generazione [Rossi e Simoncini hanno entrambi passato la cinquantina, ndr].  Tutti poi hanno dato una mano: dalle associazioni di categoria ai sindacati, ed il primo passo é stata la firma di un protocollo tra la parti sociali e la regione che prendeva atto della situazione e si impegnava a riformare il sistema. E ora? Manca soltanto il regolamento attuativo, che arriverà entro 60 giorni. Poi l'impegno sarà quello di convincere alcuni settori che in questi anni hanno abusato degli stage – penso al commercio, al turismo, alla pubblica amministrazione – che questi contratti non sono delle forme di lavoro a basso costo ma che sono strumenti di formazione e come tali devono essere usati. Quali saranno gli elementi importanti del regolamento? Se la legge é un passo importante, che proietta la nostra regione all'avanguardia in Italia, il vero tassello fondamentale sarà proprio il regolamento, che avrà il compito di definire tante questioni cruciali. Sarà importante lavorare per stabilire bene la durata massima degli stage in funzione delle mansioni, eliminando la possibilità di svolgere stage in alcuni settori a basso contenuto formativo. E andrà definito in un minimo di 400 euro il rimborso mensile, già previsto nella legge. Altra questione fondamentale sarà la previsione di un blocco degli stage per le aziende che abbiano fatto ricorso alla cassa integrazione o a procedure di mobilità negli ultimi mesi, per evitare l'«effetto sostituzione». Stiamo poi lavorando per la creazione di un database pubblico online, gestito dalla regione e dai centri per l'impiego, che metta in rete i soggetti promotori, con una classificazione delle imprese per numero di stage attivabili, numero di stage attivati al momento, eventuali provvedimenti sanzionatori a loro carico. Questa è un'idea che abbiamo ripreso da voi della Repubblica degli Stagisti: pensiamo che sarebbe molto utile tanto come punto di ritrovo tra domanda e offerta, quanto come strumento di controllo a disposizione dei vari enti promotori. L'ultima cosa su cui abbiamo avviato una discussione con la regione, ma che inevitabilmente dovrà essere trattata a parte, é l'estensione dei rimborsi – oltre che delle tutele – agli stage curriculari. Su questo c'é una disponibilità di massima ma dovremo lavorare anche assieme agli atenei. Quando non vi occupate di stage cosa fate?Proviamo ad occupare ogni spazio utile a rappresentare la nostra generazione e a rompere il muro dell'antipolitica. Col nostro esempio cerchiamo giorno dopo giorno di dimostrare come possa essere diversa: un gruppo di ragazzi in gamba, che tutti i giorni spendono gratuitamente il proprio tempo mettendolo a disposizione degli altri. La campagna forse più significativa che abbiamo seguito quest'anno è stata quella che ha portato al progetto «Giovani sì» della Regione Toscana, con 340 milioni di euro in tre anni a favore delle giovani generazioni con incentivi per la stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato, contributi per gli affitti, prestiti agevolati per giovani imprenditori o giovani professionisti, finanziamenti per andare a studiare all'estero e tanto altro.  Prossimi progetti concreti?In questo periodo stiamo raccogliendo le firme per «L'Italia sono anch'io» e a breve presenteremo nei consigli comunali degli ordini del giorno per il riconoscimento della cittadinanza onoraria ai ragazzi nati in Italia e per la creazione dei consigli degli stranieri in tutti i territori. Poi non va dimenticato il lavoro che le singole federazioni e circoli fanno sul territorio, le battaglie per il diritto di accesso alla rete, alle biblioteche, fino al riconoscimento dei diritti civili. E continueremo a lavorare sull'università: evitando che i decreti attuativi del governo portino ad un'omologazione al ribasso del diritto allo studio delle varie regioni, rendendo più progressive le tasse universitarie e provando a costruire migliori sinergie tra atenei e mondo produttivo. A breve avrete il congresso dei GD.Il 2012 in effetti sarà un anno importante. Intanto perché il congresso nazionale dovrà ridefinire gli obiettivi e lo modalità del lavoro della nostra organizzazione. E poi perché dovremo partecipare alla costruzione del programma del PD alle prossime elezioni politiche: questo Paese ha bisogno di puntare con forza sulla nostra generazione, noi vogliamo intestarci la sua rappresentanza e faremo una battaglia perché i giovani diventino il perno di un programma di governo forte ed ambizioso. intervista di Eleonora Voltolinaper saperne di più, leggi anche:- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorioE anche:- La Carta dei diritti dello stagista ispira Regioni, associazioni politiche e siti web a tutelare gli stagisti. A cominciare dal rimborso spese- Il presidente della Regione Enrico Rossi promette: «In Toscana ricevere dei soldi per uno stage sta per diventare un diritto»- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese- Elezioni regionali alle porte: se qualche candidato se la sente di impegnarsi per i giovani, ecco le proposte della Repubblica degli Stagisti- Stage in Lombardia, i punti controversi della bozza del regolamento regionale: niente rimborso spese obbligatorio, di nuovo 12 mesi di durata e apertura alle aziende senza dipendenti

Ancora lontana in Emilia la legge regionale sugli stage, la Cgil: «Entro febbraio? Ma se non esiste nemmeno una prima bozza!»

In Emilia Romagna chi si è diplomato o laureato da più di un anno, come la Repubblica degli Stagisti ha appurato ed evidenziato nelle scorse settimane, non ha più accesso agli stage. Una situazione che è scaturita dall'ultima legge sui tirocini di Ferragosto – e dal disconoscimento della successiva circolare del ministero del lavoro da parte della Regione – e che dovrebbe presto essere sanata attraverso una legge regionale. Il prossimo incontro su questo argomento sarà il 1° febbraio, quando le regioni vedranno i responsabili nazionali del mercato del lavoro e formazione di Cgil, Cisl e Uil proprio per discutere di tirocinio e apprendistato, prima degli incontri nazionali su queste tematiche con il governo e il ministro Fornero programmati tra 15-20 giorni. Però i lavori sono ancora in alto mare: lo denuncia Claudio Cattini, 55 anni, che dal 2005 è il responsabile del dipartimento formazione e ricerca della Cgil Emilia Romagna e nei 15 anni precedenti è stato segretario regionale della Cgil scuola. A che punto è la regione Emilia Romagna nella discussione del nuovo testo di legge sui tirocini?Ma non c’è nessun testo di legge! La Regione ha fatto alle parti sociali accenni molto generali, non nel merito. La discussione di un’eventuale proposta della giunta è già stata spostata due volte in commissione consiliare e l’ultima discussione tripartita è stata sospesa. Non è stato fatto nessun ragionamento di merito: la verità è che la regione ha promesso una legge, ma non ne ha parlato con nessuno.Quindi non avete potuto esaminare nessuna proposta?No, non sono state presentate bozze alla commissione regionale tripartita né alle parti sociali, non c’è niente di scritto. L’ultima volta era presente anche il presidente della commissione lavoro e istruzione, Beppe Pagani, ma nemmeno lui ha qualcosa in mano. Quindi la commissione consiliare che dovrà poi fare la discussione sulla legge non ha nulla. Del resto il governo ha fatto una legge e una circolare contraddittorie: ora fare un nuovo intervento legislativo su quel punto non è semplice.Oggi il confronto in che fase è?È fermo, siamo al dibattito iniziale: se il tirocinio sia una modalità didattica o una transizione al lavoro, con cosa debba essere finanziato... Noi come Cgil, Cisl e Uil vorremmo fare ancora una discussione generale, perché ci sono già le leggi regionali dell’Emilia Romagna del 2003, la 12 e la 17, in particolare l’articolo 9 della legge 12, dove è scritto chiaramente che cos’è un tirocinio: una modalità didattica non una transizione al lavoro. Vuoi che si faccia dodici mesi, ventisette o trentadue dopo la laurea non è questo il punto, ma cosa è nel merito.Nella pratica che cosa cambia?Se è una modalità didattica non è inserimento e reinserimento. Può esserlo il percorso formativo di riconversione o di specializzazione di una persona, ma non il tirocinio in sé. E questo dibattito iniziale lo si sta ancora facendo. Perché se il tirocinio è una modalità didattica, allora è come l’uso dei laboratori o la formazione a distanza: un modo per far raggiungere degli obiettivi formativi a un gruppo di allievi.  Oggi però è spesso usato per introdurre nel mercato del lavoro i giovani….Ma questo è fuori dalle norme nazionali e della regione Emilia Romagna. Sono altre le forme che dovrebbero garantire l’ingresso nel mercato del lavoro: l’apprendistato e il contratto di inserimento. Questi sono contratti di lavoro, il tirocinio no: gli mancano alcune cose importanti come il versamento dei contributi. Quindi non può essere usato in sostituzione di un contratto di lavoro.Potrebbero esserci delle novità in settimana?L’assessore in diverse occasioni ha venduto la cosa come fatta, ma per procedere serve una proposta convincente e condivisa da tutte le parti sociali, non soltanto da quelle datoriali. Nella nostra regione c’è poi il patto per lo sviluppo firmato da poco, dove c’è scritta una cosa precisa: che le risorse in Emilia Romagna vanno per la stabilizzazione al lavoro e per l’apprendistato, non per i tirocini. Quindi la Regione deve investire per trasformare i contratti a tempo determinato in tempo indeterminato. L’unico contratto che va seriamente sostenuto e finanziato è l’apprendistato: la regione ha deciso così insieme a tutte le parti sociali, quindi c’è poi una leggera contraddizione nel mettere in campo i tirocini.Che quindi vanno accantonati?No, però ne va discusso il merito. Tutti questi elementi poi predispongono un fatto: che si disponga di risorse per finanziarli. In Emilia Romagna a sostenere che va fatta una legge sui tirocini e che vadano finanziati quelli d’inserimento e reinserimento sono il comparto del commercio e le pubbliche amministrazioni che di questi 14mila tirocini che lei ha citato nel suo articolo ne utilizzano circa 12mila. Le pubbliche amministrazioni, province e regione, fanno moltissimi tirocini, forse – a pensar male, anche se non si dovrebbe - perché non possono fare assunzioni di altro tipo. Bisogna riflettere sul perché la gran parte dei tirocini sia utilizzata molto in questi due settori. Da qualche mese l’Emilia ha deciso di disconoscere la circolare ministeriale di settembre e di non attivare stage a persone diplomate o laureate da più di 12 mesi. Non si rischia però così di escludere molti da un canale di ingresso al mercato del lavoro?Questo lo capisco in alcune professioni in cui il tirocinio ha un senso, ma francamente fare il tirocinante per fare il portiere non è un’opportunità di lavoro in più, è uno sfruttamento ulteriore ed è negare un posto di lavoro a una retribuzione dignitosa. Insisto: 12mila tirocini di quei 14mila sono di bassissime professionalità e non hanno niente a che vedere con l’avviamento al lavoro, semplicemente quel condominio prendendo un tirocinante spende 400 invece di 800 euro per un contratto. Se posso essere più secco, il tirocinio è un’opportunità di lavoro in meno per i giovani perché si copre un posto di lavoro vero con un rapporto di lavoro falso. Poi ci sono altri 2mila stage che potrebbero avere senso se inseriti in un percorso formativo. Perché alla fine pochissimi di questi vengono trasformati in apprendistato, cioè a tempo determinato. Come paradosso matematico chi fa un tirocinio ha meno probabilità di avere un posto a tempo determinato di chi non lo fa. Quindi i sindacati in questo momento sono contrari a questa eventuale legge?Cgil, Cisl e Uil hanno espresso unitariamente forti perplessità sul principio iniziale che ci è stato illustrato: regolare i tirocini non curricolari, in particolare di inserimento e reinserimento. Se si vuole fare un atto amministrativo, in particolare una legge, lo si fa sui tirocini, non solo su una modalità particolare che per noi non esiste. Il tirocinio è uno solo: formativo e orientativo. Curricolare e non curricolare è un’alchimia di alcune circolari. E per come è fatto oggi, il non curricolare nella maggior parte dei casi non dà nessun riconoscimento, quindi bisogna per forza appesantire il fatto che è un percorso formativo formale, che ci siano delle ore di didattica prima e dopo. Ci deve essere una progettazione e, alla fine, una certificazione che si può fare solo se quel tirocinio è fatto dalle scuole o dai centri di formazione o da altri soggetti. Perché se non ti assumono, devi avere qualcosa che abbia un minimo di valore per il percorso che hai fatto e questa cosa qui se non è curricolare non c’è.Si è già deciso quando si tornerà a discutere?No, per ora non è stata convocata un’altra commissione tripartita. Suppongo che qualcosa, a fine mese, lo diranno perché se vogliono fare una legge entro fine febbraio già sono in ritardo. Il testo deve essere prima discusso con le parti sociali: queste possono dire di non essere d’accordo e il testo può andare avanti lo stesso, però la discussione deve essere fatta. Alla Repubblica degli Stagisti risultava che nel giro di qualche settimana ci sarebbero state delle novità…Sì, però se non riescono a convincere la parte rilevante delle parti sociali sull’utilità dell’operazione si fa fatica a fare una legge. Nel sistema “concertativo” che c’è in Emilia Romagna non è che fai una legge contro qualcuno. Se nel merito ci sono dei dubbi e non c’è una discussione fatta fino in fondo è difficile andare avanti.Che ne dice della legge sui tirocini appena approvata dalla Regione Toscana?La legge della Toscana per me è legittima nel senso che la regione può decidere legittimamente quello che crede rispetto a queste materie, ma penso che sia sbagliato costruire un nuovo rapporto di lavoro perché ne abbiamo già abbastanza. Quello che deve far riflettere è che in ogni regione, Veneto, Lombardia, Puglia, sui tirocini c’è un’interpretazione diversa, ma non è che si possono inventare i rapporti di lavoro a seconda delle regioni perché devono essere regolati con dei contratti nazionali. Certo che quel che può essere diverso da posto a posto sono i percorsi formativi. La legge toscana ha però un taglio che a noi in Emilia Romagna non piacerebbe perché considera il tirocinio come un rapporto di lavoro vero e proprio. In particolare non ci convincono i tirocini di inserimento e reinserimento, perché non hanno finalità didattiche. E il rimborso spese, che fa assomigliare troppo lo stage a un contratto di lavoro di serie B.intervista di Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento leggi anche:- «I tirocini di inserimento non esistono, una circolare non è fonte di diritto»: così la Regione Emilia Romagna blocca gli stage per laureati e diplomati da più di 12 mesi- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorioE anche:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti

«Aprire l'accesso al servizio civile agli stranieri? Attenzione, può portare cortocircuiti». Parla Claudio Di Blasi dell'associazione Mosaico

«Abbiamo 223 ragazzi che devono partire con il servizio civile nazionale il 1 febbraio». E che fino a all'altroieri sono rimasti in sospeso. A parlare è Claudio Di Blasi, presidente dell'associazione Mosaico, sodalizio bergamasco impegnato da anni sul fronte del Scn. Preso in contropiede, così come tutte le realtà analoghe, dalla sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano che ha accolto il ricorso di Syed Shahzad Tanwir, escluso dalle graduatorie perché non è cittadino italiano, bloccando l'attivazione del bando chiuso a novembre dello scorso anno.Di Blasi, dopo l'asccoglimento del ricorso da parte del Tribunale del lavoro di Milano, qual è la situazione?La nostra associazione aveva già ricevuto la conferma delle graduatorie, abbiamo più di duecento ragazzi che avrebbero dovuto iniziare il servizio civile il 1 febbraio. L'altro giorno, però, l'ufficio nazionale ci ha comunicato formalmente che tutto è sospeso.Avvocati per niente e l'Associazione studi giuridici sull'immigrazione hanno accolto la richiesta di sospensiva, sancita giovedì dalla Corte d'appello.Con questo sblocco siamo tutti felici, a cominciare dai ragazzi. In questi giorni mi sono confrontato con una serie di situazioni individuali: c'era quello che aveva lasciato il lavoro per il servizio civile, l'altro che aveva affittato un appartamento vicino al luogo dove avrebbe dovuto essere impiegato... Se le partenze fossero state davvero bloccate, sarebbe stato un dramma per moltissimi di loro.Tornando al ricorso, avete preclusioni rispetto alla partecipazione degli stranieri ai bandi per il Servizio civile?Qui entriamo quasi nel campo delle valutazioni politiche. Diciamo intanto che la nostra associazione non ha mai preso una posizione. Se mi chiede un parere personale, dico che preferirei che il cittadino immigrato mi desse qualche segnale del fatto che vuole entrare a far parte della comunità nazionale. In altre parole, credo che sarebbe logico affermare che a questi bandi possano concorrere gli stranieri che abbiano fatto richiesta di cittadinanza italiana.E quale sarebbe la differenza?Non sono un avvocato, però dal punto di vista della giurisprudenza aprire agli immigrati in modo incondizionato porta a dei cortocircuiti.Può fare un esempio?La legge 64 del 2001, quella che ha istituito il Scn, stabilisce che il 10 per cento dei posti messi a bando per entrare nei vigili del fuoco e nel corpo forestale dello stato siano riservati a chi ha svolto il servizio civile in questi stessi settori. Ora, il corpo dei pompieri in caso di emergenza può essere militarizzato, quindi per farne parte bisogna essere cittadini italiani. Dunque, se apriamo a tutti gli stranieri, che fine fanno questi posti riservati?In un articolo pubblicato sul sito della sua associazione lei è stato molto critico nei confronti di chi ha promosso il ricorso, quasi accusandolo di volersi sostituire al legislatore. Perché?Quando ho letto le parole dei legali di Syed mi è sembrato che tenessero, giustamente, molto in attenzione gli interessi del loro assistito, ma che non avessero considerato i ritorni di questa sentenza sulla vita di tantissime persone. Per me è stata una leggerezza. Quando poi chiedono al governo di sedersi intorno a un tavolo per vedere come modificare la normativa, a me pare che compiano un atto irrituale: in questo Paese le leggi vengono approvate dal Parlamento e possono essere abrogate solo dalla Corte costituzionale o tramite un referendum.Riccardo SaporitiPer saperene di più su questo tema leggi anche:- Dallo stop al bando al via libera definitivo: la vicenda travagliata del bando per il Servizio civile 2012- Leonzio Borea, direttore dell'Ufficio servizio civile nazionale: «Offriamo ai giovani un'esperienza preziosa, ma abbiamo sempre meno fondi»- Al via il nuovo bando per il servizio civile: 20mila posti a disposizione in Italia e all'estero, 433 euro il rimborso spese mensileE anche:-Giovanni Malservigi: «Il servizio civile in una casa di riposo mi ha aperto un altro mondo»-«Il Servizio civile non è un modo per ammazzare un anno di tempo o guadagnare qualche soldo», parla l'ex volontario Luca Crispi

Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso: forse dopo vorrà aprire una stazione di servizio sua»

Tirocini per operai, camerieri e inservienti promossi dalla Regione Sardegna. Fin da venerdì scorso la Repubblica degli Stagisti, dopo aver pubblicato un articolo di denuncia sull'argomento, ha cercato di mettersi in contatto con la Regione. Dopo aver rincorso invano l’assessore Liori tramite l’ufficio stampa, finalmente ha trovato una disponibilità in Stefano Tunis, 39enne direttore dell’Agenzia regionale per il lavoro con una lunga carriera politica e professionale alle spalle: responsabile delle risorse umane in varie aziende tra cui SCR, gruppo attivo nelle bonifiche e nello smaltimento dei rifiuti industriali di impianti petrolchimici; segretario provinciale e poi regionale dell'Udc tra tra il 1994 e il 2004, assessore e consigliere comunale di Sarroch, e infine anche candidato alle elezioni regionali per il PdL nel 2009 (senza però risultare eletto). Ancora oggi Tunis è membro del coordinamento provinciale del Popolo delle Libertà. Tra i primi ideatori e sviluppatori del progetto Voucher TFO 2011, spiega le motivazioni di quella che lui chiama «sperimentazione di una misura»: «Visto lo straordinario successo dei Piani d’inserimento professionale (PIP) per giovani tra i 18 e i 25 anni nei primi dieci mesi del 2011, insieme alla Regione, considerando variabili come il rapporto tra disoccupati e numero di abitanti e la potenziale percentuale di successo, abbiamo deciso di attivare anche dei  tirocini con voucher destinati a diplomati con più di 26 anni e laureati maggiori di 30».Progetto sperimentale in che senso?Si tratta di un programma svolto una tantum. Sarà poi la Regione, sulla base dei risultati, a decidere se istituzionalizzarlo o meno o se eventualmente scegliere una sintesi tra TFO e PIP.Ha parlato di successo del PIP, avete dei dati per dimostrarlo?Da febbraio a novembre abbiamo attivato 2.300 PIP e, per quanto riguarda il monitoraggio di quelli iniziati nelle prime due mensilità, al momento il 28% delle risorse sono state contrattualizzate in seguito al periodo di stage. Di questo 28%, oltre due terzi sono stati assunti a tempo indeterminato.Sì, ma i PIP prevedono una contribuzione regionale nei confronti dell’azienda in caso di assunzione della risorsa, mentre i voucher no. Vi aspettate la medesima percentuale di successo?Ci piacerebbe che a livello di inserimento almeno il 30% dei tirocinanti venisse contrattualizzato. Quello che ci aspettiamo è che entro aprile l’intera dotazione destinata ai voucher sia spesa. Il secondo obiettivo è quello di strutturare un sistema di domanda e offerta professionale istituzionale al fine di superare quello del passaparola che troppo spesso sconfina nella raccomandazione. Ponendo il caso che siano tutti alla ricerca di lavoro, ben oltre il 10% della massa di disoccupati sardi ha utilizzato nei primi giorni lo strumento: questo è già un grande successo. In pochi giorni sono pervenute 1.750 richieste di partecipazione al programma, di cui 1.450 già autorizzate.Venendo ai punti più spinosi. Perché gran parte delle offerte si riferiscono a profili di basso livello? Ci vogliono sei mesi di formazione per imparare a fare l'inserviente in cucina?  La cassiera al supermercato? L’addetto alle pulizie? L'autista e il montatore di mobili? Dov'è il valore formativo in questi tirocini definiti appunto «formativi e di orientamento»?In realtà queste mansioni sono la minoranza. Sono di gran lunga prevalenti i profili di livello medio alto. Per quanto riguarda quelli più bassi si deve tenere presente che potrebbero essere finalizzati a una volontà di successiva creazione d’impresa. Mi spiego meglio: una persona può accettare o cercare uno stage come addetto alla pompa di benzina perché ha in progetto di aprirne una e il suo fine è quello di imparare il mestiere da vicino.Qui cade dunque la finalità di successiva assunzione del tirocinio.Sì. Ma la finalità primaria di questo strumento è quella formativa e in questo caso è rispettata al cento per cento.Quindi continuerete a proporre profili di livello basso?Alcuni, come quelli di addetti alle pulizie, non li ho ancora autorizzati. Mi riservo di fare una riflessione. Per ora, nel frattempo, sono sospesi. Li valuterò ma tenderei a non escluderli.I limiti di età minima fanno intuire che i beneficiari di questa misura abbiano già finito gli studi da 5-6 anni. La Regione cosa pensa che abbiano fatto queste persone in questi anni? Non intuisce che abbiano cercato di inserirsi nel mercato del lavoro - attraverso stage, contratti a termine, magari anche lavoro nero - maturando quelle esperienze che invece si pretende non abbiano?Se queste persone oggi sono ancora disoccupate è evidente che si tratti di profili deboli e che quindi troveranno utile l’opportunità di potersi inserire in un settore professionale. Molte invece sono persone che hanno già operato in un ambito e ne vorrebbero sperimentare un altro: con i TFO ne hanno lo strumento.La vostra agenzia si ritiene esonerata dall'esercitare un controllo sulla qualità e sul rispetto dei vincoli di legge rispetto agli annunci pubblicati? Ve ne sono alcuni limitati solo a ragazze: la legge prevede che ciò non si possa fare.Mi sono accorto tardi di questa tipologia, diversamente non avremmo mai pubblicato annunci che fanno discriminazione di genere. Sto procedendo alla loro cancellazione. In realtà la nostra agenzia svolge un monitoraggio costante dei tirocini attivati e se riscontriamo delle anomalie procediamo subito a verificare ed eventualmente a sospendere.Nella prima delibera, quella di giugno 2011, si diceva che voucher sarebbero stati riservati a disoccupati o inoccupati che non avessero avuto «alcuna esperienza di lavoro presso l’azienda in cui intendono svolgere il tirocinio». Nella delibera del 13 ottobre invece il divieto si è ammorbidito, aprendo la partecipazione a tutti coloro che non abbiano avuto «esperienza lavorativa superiore a tre mesi presso l’azienda in cui intendono svolgere il tirocinio». Chi ha deciso di permettere alle aziende di prendere in stage persone che già avevano avuto come stagisti o dipendenti?Questa decisione nasce da momenti di concertazione tra l’organo politico e le associazioni di categoria. In ogni caso si è posto il limite dei tre mesi.Perché oggi si richiede di fare stage per mestieri per i quali fino a pochi anni fa la prassi prevedeva un inserimento diretto come lavoratori con qualche settimana di addestramento?Sono un sostenitore del tirocinio in tutti gli ambiti, se non abusato. Dal mio punto di vista la prestazione professionale non si compone solamente di capacità tecniche ma è costituita anche da rapporto umano. Per questo un periodo di prova un po’ prolungato è un’ottima opportunità, sia per il datore di lavoro che per la risorsa.Lei ha mai fatto uno stage?Non uno stage, ma sono entrato nel mondo del lavoro con un contratto di prestazione occasionale nel settore Risorse umane di un’agenzia di lavoro interinale. Mi avevano chiesto di scegliere tra la modalità di tirocinio con borsa di studio o questo contratto, il cui compenso, però, era legato al risultato. Il mio «contratto atipico», poi, è sfociato in un’assunzione a tempo indeterminato.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Regione Sardegna promuove stage-vergogna: 10 milioni di euro per tirocini di 6 mesi come inservienti, operai, camerieri. E perfino braccianti agricoli- Tirocini per operai, inservienti e camerieri in Sardegna: il consigliere regionale Marco Meloni prepara un'interrogazione per l'assessore