Categoria: Approfondimenti

Tirocini Les4 di Italia Lavoro, in Puglia nessuno sembra conoscerli. A parte l'agenzia Obiettivo Lavoro

Nei panni di un aspirante stagista Les4. Giovane, laureato, residente in una delle regioni svantaggiate del sud, la Puglia: la Repubblica degli Stagisti ha sondato la rete pubblica e privata dei servizi per l'impiego nel capoluogo regionale e nelle province limitrofe alla ricerca di un ente che possa far partire l'attivazione di uno dei 6mila tirocini promossi e pagati da Italia Lavoro. Ed ecco i risultati. Si comincia dall'affollatissimo centro per l'impiego di Bari, nei pressi della sede del consiglio regionale della Puglia - dove per altro ha appena avuto luogo la protesta di una trentina di medici precari. Nell'ufficio tirocini del centro facce perplesse o annoiate, poi risposte vaghe o sbrigative. Ai tre impiegati - tutti piuttosto in là con gli anni - inizialmente  il nome del progetto sembra non dire molto; poi uno dei tre ha un'illuminazione: «Sì li abbiamo fatti, nel passato; si chiamavano in maniera diversa però. Les3... Aveva un numero diverso...». L'uomo sembra poco convinto. Il consiglio comunque è di provare a sentire direttamente Italia Lavoro, o un altro centro per l'impiego. La ricerca invece prosegue sul fronte del privato, decisamente più capillare di quello pubblico - magari va meglio. «Les che?»: la prima reazione dell'impiegata dell'agenzia Lavoro.doc toglierebbe subito qualsiasi speranza al giovane - o meno giovane, dato che non ci sono limiti di età - desideroso di partecipare al progetto. Dopo le spiegazioni del caso (da parte dell'aspirante stagista si intende) le cose non migliorano: «No no, noi non ci occupiamo di queste cose. Non abbiamo niente a che fare con Italia Lavoro. Bisogna vedere quali sono le agenzie convenzionate». Stupore: il bando prevede «il trasferimento di metodologie e tecnologie ad una rete operativa di attori pubblici e privati dei Servizi per il Lavoro»; che ad attivare i Les4, in sostanza, siano agenzie e centri per l'impiego. Qualsiasi agenzia o centro per l'impiego. Forse la filiale barese di Lavoro.doc è piccola, forse è stata sfortuna; la ricerca continua. Non va meglio però: una delle sedi locali di Adecco, quella che si occupa specificatamente di formazione e tirocini, non sa nemmeno di che si parla. Le due colleghe si consultano e arrivano alla conclusione che no, Adecco non attiva questo tipo di tirocini, ma volendo ci sono dei corsi di formazione per disoccupati ed ex somministrati: sui Les4, tabula rasa. E non sanno nemmeno se altre agenzie, o un centro per l'impiego, potrebbero essere d'aiuto. Ancora sfortuna? Eppure Adecco è una grossa agenzia; solo a Bari ha tre filiali, ciascuna specializzata in alcuni settori... Si cambia provincia e società. Una filiale Metis casca dalle nuvole: «Eh, nemmeno noi sappiamo cosa sono. Provi magari a chiedere a Italia Lavoro, magari hanno una lista di agenzie; noi non siamo stati informati di niente. O forse è un progetto che non è ancora entrato in vigore». Di male in peggio: il progetto è partito a fine 2009, con una durata prevista di tre anni - e scadenza a fine 2012 quindi. Altroché se è in vigore.L'aspirante lesquattrista non demorde, è il turno di Umana. La musica è più o meno la stessa, questa volta almeno l'impiegata sa cosa sono i Les4 ma ammette candidamente: «No, non ce ne occupiamo. Non ci è proprio arrivata comunicazione. Prova con un centro per l'impiego, o con altre agenzie. Può essere che solo alcune lo facciano; noi di sicuro no». E da chi sarebbe dovuta arrivare comunicazione? Proprio dal centro per l'impiego, è la risposta. Ultima tappa, stavolta telefonica, Obiettivo Lavoro. Questa volta va bene. Sì, chi fosse interessato a un tirocinio Les4 può rivolgersi a loro, dice la ragazza, inviando il curriculum per mail all'indirizzo generico della filiale; e poi deve aspettare di essere ricontattato. Però, aggiunge, «adesso è tutto bloccato; si ripartirà probabilmente a gennaio». Il perché del blocco non sa dirlo, ma pare che non sia dovuto alla riforma ferragostana. «Abbiamo esaurito la prima fase, adesso è tutto fermo. A breve ripartiamo. Saremo molto contenti di ricevere il suo curriculum». E io, aspirante stagista, sarei molto contento di non dover sudare sette camicie per trovare qualcuno che possa ricevere la mia candidatura. Alla domanda «Ma siete l'unica agenzia ad occuparvene?» si rimane sul vago: «Mah, noi ce ne occupiamo, non so le altre». Il problema poi non è solo trovare un'agenzia per l'impiego che sappia cosa sia il progetto Lavoro e sviluppo 4 e se ne occupi, ma capire anche come fare a candidarsi. Il bando è estremamente sintetico e per niente esaustivo, nulla viene detto sulle modalità per fare domanda, le informazioni in rete scarseggiano, chi dovrebbe sapere non sa. Obiettivo Lavoro ha chiesto semplicemente l'inoltro del cv; Lavorint, altra agenzia barese, sembra addirittura sorpresa che un ragazzo si faccia avanti per un Les4: «Scusi ma lei è un'azienda o è proprio interessata ad un tirocinio?». E si è disorientati in due, da entrambi i capi della cornetta. «Ma ha già un'azienda disponibile ad accoglierla, che rispetti tutti i requisiti?». L'ulteriore difficoltà di trovarsi da soli un'azienda non era proprio stata messa in conto. «Lei non può proporsi, è l'azienda che deve manifestare interesse». Ma le spiegazioni invece che chiarire confondono ulteriormente, e l'impiegata inizia a spazientirsi per le troppe domande. «Facciamo così, venga da noi con il curriculum e ne parliamo di persona». Incertezza, superficialità, noia, persino irritazione: un giovane in cerca di occupazione nella rete pubblica e privata dei servizi per l'impiego deve mettere in conto anche questo: di poter tornare a casa con un pugno di mosche.Annalisa Di PaloPer saperne di più, leggi anche:- Il regalo alle agenzie interinali nell'attivazione degli stage Les4 di Italia Lavoro- Quel pasticciaccio brutto dei due Les4 omonimi: perchè Italia Lavoro non chiarisce la posizione delle agenzie interinali nell'attivazione dei suoi tirocini?E anche:- Lavoro e sviluppo 4, milioni di euro ma non si sa a chi: la lista delle aziende c'è ma non si vede. Ministero, e la trasparenza?- Al via il Les 4 di Italia Lavoro: 120 milioni di euro per 6mila tirocini in Basilicata, Calabria, Puglia Sardegna e Sicilia  

Don Ciotti a Genova: «Usiamo i soldi e i beni confiscati alle mafie per recuperare i giovani senza lavoro»

L’ospite d’eccezione della fiera “ABCD + Orientamenti” organizzata la settimana scorsa a Genova dall’Agenzia Liguria Lavoro è stato don Luigi Ciotti. Il patron di Libera, associazione che federa decine di associazioni attive nella lotta alla mafia, sa come magnetizzare l’attenzione e ha un talento straordinario per catturare anche quella dei giovanissimi, di solito refrattari e sfuggenti. A Genova ha esordito, accanto all’assessore regionale al bilancio Sergio Rossetti e al presidente del Celivo Stefano Tabò,  parlando non di volontariato ma di calcio. E più precisamente della partita speciale che la nazionale ha giocato il 13 novembre a Rizziconi, in provincia di Reggio Calabria, su un terreno confiscato alla ‘ndrangheta, raccontando come il ct Cesare Prandelli abbia raccolto e fatto propria la proposta di Libera di promuovere una “Carta etica della Nazionale”: un codice di regole d’accesso ispirate ai principi di trasparenza, per «dare un segno che il pallone sta dalla parte della legalità». «Lo sport non è immune al fenomeno mafioso» ha ammonito «e di recente due società sportive sono state confiscate per infiltrazioni mafiose». Dunque segnali come quello lanciato dalla Nazionale sono positivi, «ma attenzione: per avere dei risultati concreti occorre continuità e impegno».E con continuità e impegno il prete in prima linea ha invitato i giovani a coltivare «i due doni più importanti della democrazia, la dignità e la giustizia», senza mai separarli dalla loro «spina dorsale: la responsabilità». La responsabilità è certo dello Stato prima di tutto: e infatti a una domanda sulla riforma della giustizia del governo Berlusconi don Ciotti ha risposto che «in Italia siamo di fronte al sequestro della giustizia, perché si vuole che i pm siano di fatto controllati dalla politica». Facendo riferimento alla Convenzione di Strasburgo sul reato di corruzione, firmata dall’Italia nel 1999 ma mai applicata,  ha commentato: «Al contrario in Italia la politica ha spolpato i reati di corruzione, depenalizzando il falso in bilancio e facilitando di fatto l’abuso di corruzione d’ufficio». In altre parole, i primi irresponsabili sono stati i politici che hanno affollato la nostra seconda Repubblica: «Le mafie si combattono a Roma». Eppure questo non deve servire ai singoli per lavarsene le mani: «Ogni cittadino deve contribuire in prima persona alla legalità, impegnarsi a creare dei percorsi di positività». La responsabilità «fa capo a tutti liberi cittadini, non solo allo Stato. Non esiste un io, esiste un noi».E Libera si occupa anche, in un certo senso, di  occupazione giovanile. Costituita nel 1995 su input  tra gli altri del magistrato Giancarlo Caselli, ha avuto fin dall’inizio della sua storia tre finalità: la vicinanza alle vittime della mafia, la “sfida educativa”, e poi la confisca dei beni mafiosi, già prevista nel 1982 da una legge per il quale Pio La Torre, parlamentare siciliano del Pci, venne ucciso dalla mafia. «I proventi delle mafie ammontano annualmente a 265 milioni di euro, che potrebbero essere impiegati nel recupero dei 2 milioni e mezzo di giovani senza lavoro» ha quantificato don Ciotti rispondendo a una domanda della Repubblica degli Stagisti: «Noi facciamo la nostra parte creando fermento: vogliamo liberare le persone e ridare loro dignità attraverso il lavoro dei campi, la produzione dell’olio, della pasta». E ha ribadito il concetto ricordando che Libera «con la sua rete produttiva e distributiva di cooperative sociali dà dignità al lavoro, dando in uso alle cooperative i beni confiscati alle mafie». Qualcuno potrebbe pensare che per i giovani liguri la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta siano concetti astratti, molto lontani – per fortuna – dalla loro vita e dalla quotidianità del lavoro e dello studio. È sicuramente vero; ma il seme delle parole di don Ciotti potrà germogliare, domani o tra un anno o tra dieci, e renderli adulti consapevoli dell’importanza di impegnarsi in prima persona per la legalità.Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Leonzio Borea, direttore dell'Ufficio servizio civile nazionale: «Offriamo ai giovani un'esperienza preziosa, ma abbiamo sempre meno fondi»- Servizio civile, tempo di selezioni: al sud si sgomita, al nord posti vuoti. E anche il volontariato diventa un ammortizzatore socialeE anche: - Anche don Ciotti e la Repubblica degli Stagisti a Genova per il salone ABCD + Orientamenti

Campus Mentis, 9 milioni di euro dal ministero della Gioventù per investire sui talenti laureati: ma il gioco vale la candela?

Prendi i migliori laureati d'Italia, riuniscili per tre giorni da qualche parte - gratis - e invita una cinquantina di aziende in cerca di giovani talenti: è questa la ricetta di Campus Mentis, l'iniziativa di career guidance dell'ormai ex ministero della Gioventù che si propone di accompagnare i ragazzi dall'università al mondo del lavoro. Puntando sulla qualità da entrambe le parti: «la nostra regola» recita uno degli slogan «è l'eccezione». L'iniziativa, giunta alla terza edizione, è parte di Diritto al futuro, il pacchetto ministeriale di misure anti-precarietà per le nuove generazioni, e si svolge in collaborazione con il centro di ricerca ImpreSapiens, che dall'interno della Sapienza di Roma studia il mercato occupazionale e lavora per invigorire il legame tra università e lavoro. Insieme questi due soggetti per il triennio 2011-13 hanno stanziato 11,5 milioni di euro (9 vengono dal ministero retto fino a pochi giorni fa da Giorgia Meloni), mirando a coinvolgere un totale di 20mila laureati specialistici - oltre 6500 all'anno: quasi il 10% di quanti ottengono questo titolo.Coctail interview, cv guidance, assessment, role play, case study: le sfide che sembrano attendere i superlaureati sono molte. Ma, in sostanza, cosa si "vince"? La possibilità di venire a contatto di persona e in poco tempo con un alto numero di aziende riunite nello stesso luogo, passando da un colloquio, ad una presentazione aziendale, ad un seminario. Niente di diverso da un normale career day, ma prolungato per tre giorni e arricchito, dopo le 18, da momenti ricreativi di sport e spettacolo (la prima edizione del progetto prevedeva addirittura un minicorso di guida sicura). Il tutto a spese del ministero - fatta eccezione per il viaggio, che rimane a carico dei laureati. Le aziende invece, fanno sapere gli organizzatori, pagano di tasca loro la partecipazione al campus (viaggio e pasto il più delle volte), guadagnandoci semmai in qualità delle potenziali assunzioni e in visibilità. Non solo, in realtà. Perché ogni assunzione tramite Campus Mentis dà diritto a un gettone da parte del ministero della Gioventù: per l'azienda, un doppio guadagno quindi.Le selezioni per questa edizione sono aperte e lo rimarranno fino a maggio 2012, quando è previsto l'ultimo dei cinque campus attivati per il 2011. I criteri di scelta si basano ovviamente sul merito: si può candidare chi ha meno di 29 anni e ha concluso il secondo livello di studi universitari con una votazione di almeno 100/110; e bisogna sapere l'inglese. Però - si precisa nelle Faq - anche le candidature che non rispettano questi requisiti vengono accolte, confluendo in una sorta di lista di riserva. I curricula caricati online sono passati al vaglio dal personale Cegos, famosa società di reclutamento e formazione, che opera una primissima scrematura. Il secondo e ultimo passo è un breve test online diviso in due parti, una psicoattitudinale e una di conoscenza linguistica. Da cui la lista finale dei partecipanti. Il progetto, inaugurato nel 2009 con il nome di Global Village Campus, è cresciuto velocemente. Il primo anno è subito boom di domande: il Cegos ne registra addirittura 94mila, di cui però solo un migliaio provengono dal sito del campus, mentre il resto affluisce dal network della società di reclutamento. Le candidature giudicate idonee sono 2.400, da cui poi vengono attinti i 600 nominativi finali. E per un'intera settimana, 120 alla volta, i ragazzi si alternano nell'unica sede attiva, il polo universitario di Pomezia. Nel 2010 si replica in grande: più del doppio dei posti a disposizione (1.500), il triplo delle aziende partecipanti (da 50 a 150) e alla struttura di Pomezia si aggiungono quelle di Abano Terme e Catania. Fino ad arrivare alle attuali cinque. E nel corso del triennio 2011/13 si punta ad arrivare a 15 campus e a 20mila partecipanti [sotto, la cerimonia di premiazione dei migliori talenti - tre assunti e una ventina di vincitori di concorsi premio indetti dalle aziende -  che si è svolta a Palazzo Chigi l'8 aprile di quest'anno].   Grande dispiego di mezzi, insomma. Soprattutto se si considera che le strutture scelte non sono propriamente "alla mano". Il turno milanese che il 24 ottobre ha aperto Campus Mentis 2011 si è svolto in una prestigiosa struttura alberghiera in zona Fiera: circa 150 euro di pernotto a persona, pasti esclusi. Approssimando, fanno più di 100mila euro solo di stanze - tre mini turni da tre giorni, con fino a 150 partecipanti l'uno. Adesso è la volta di Abano Terme, in programma dal 21 novembre al 2 dicembre (600 partecipanti), poi a febbraio 2012 ci sarà Sorrento, ad aprile Pomezia e a maggio Alghero (complessivamente un altro migliaio di laureati). Fatta eccezione per il centro "incubatore" di Pomezia, tutte mete dal sapore vagamente vacanziero.È lecito chiedersi se il gioco valga la candela. Stando ai monitoraggi ufficiali dei mesi successivi, sì: dopo la prima edizione il 75% dei partecipanti ha trovato lavoro entro l'anno, dichiarano ministero e Impresapiens. Se proprio tramite Campus Mentis o no, però, non è dato saperlo - secondo logica si dovrebbe dare per scontato di sì; senza contare comunque che un anno è un arco temporale abbastanza ampio da giustificare una percentuale così alta. E che lavori trovano? Non ci sono dati a riguardo, ma un fatto è certo: la parola più gettonata nelle tregiorni di campus è «stage». E non sempre retribuito. Per iniziare, chiaro. Spuntano poi mansioni non esattamente di alto profilo - hostess ferroviarie di bordo e di terra ad esempio - e l'offerta è appiattita sul settore commerciale (malgrado a fare domanda siano soprattutto laureati in discipline umanistiche, per quasi due terzi donne). E, ancora prima, incontrare vis-à-vis un reclutatore può essere un'impresa. Almeno un centinaio di ragazzi per una quindicina di aziende al giorno (ma alcune non si presentano) e poche ore a disposizione: bene che vada, si possono fare tre o quattro colloqui al giorno; alcuni dei quali si concludono con un «carichi comunque il cv online».Insomma, le intenzioni sono buone; ma forse quei 9 milioni di euro del ministero sarebbe stato meglio spenderli in qualche altro modo, piuttosto che in un maxi career day che poco aggiunge a quelli di taglia regolare, e che a tratti sa invece di mini vacanza.Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Campus Mentis: ecco il backstage della tappa di Milano del maxi career day sponsorizzato dal ministero della Gioventù- Il ministro Giorgia Meloni: «Per investire sui giovani è necessario un cambio di mentalità»- Fondo Mecenati, 40 milioni di euro per la valorizzazione dei giovani talenti- Intervista al ministro Giorgia Meloni: «Più controlli per punire chi fa un uso distorto dello stage. Ma i giovani devono fare la loro parte e denunciare le irregolarità»E anche: - I laureati italiani fotografati da Almalaurea: sempre più disoccupati e meno retribuiti- Il deputato Aldo Di Biagio spiega la sua interrogazione: «Bisogna difendere chi ha lauree "deboli" dalla discriminazione nelle selezioni»

Elsa Fornero, ritratto del nuovo ministro del Lavoro: avanti con il contratto unico e il welfare per i precari

Governo nuovo, ministri nuovi. Tra le tre donne del team Monti c'è Elsa Fornero, 63 anni, docente di economia presso l'università di Torino ed editorialista del Sole 24 Ore, esperta di pensioni e tematiche del lavoro. A lei è stato assegnato uno dei ministeri chiave della nuova compagine governativa: quello del Lavoro, per l'appunto, cui si è aggiunta anche una delega alle pari opportunità.Fornero è torinese, energica, donna di grande rigore che si è già dimostrata capace di sostenere con forza le proprie idee. Senza paura di pestare i piedi alla Lega o di incalzare il governo su temi scomodi come quello della riforma delle pensioni. Il neo ministro arriva all'incarico dopo una lunga serie di esperienze in campo accademico e istituzionale: ha fondato il Cerp, Centro per la ricerca sulle pensioni e le politiche di welfare, primo ente in Italia e tra i primi in Europa con un focus specifico sull'economia dell'invecchiamento; ha fatto parte della commissione ministeriale di esperti indipendenti per la verifica del sistema previdenziale; è stata membro della task force sulla portabilità pensionistica, costituita presso il Centre for economic politicy studies (Ceps) di Bruxelles. Ma è stata anche consigliere indipendente in Buzzi Unicem e, sino alla nomina, vice presidente nel Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo.Il lungo curriculum del ministro non chiarisce da solo quali siano le sue posizioni sui temi più cari ai lettori della Repubblica degli Stagisti: precariato, pensioni, politiche occupazionali per i più giovani. Per quanto riguarda le tematiche previdenziali, le sue posizioni di lunga data sono state rilanciate con forza dai media in occasione della sua recente nomina. La Fornero ha da sempre sostenuto l'esigenza di estendere il calcolo contributivo delle pensioni a tutti i contribuenti, anche a chi era stato escluso dalle vecchie riforme. Ma si è anche espressa più volte pubblicamente in favore di un passaggio dal precariato alla flessibilità. Anzi, alla «flessicurezza». Nella newsletter dell'Associazione Nuovi Lavori dello scorso 27 aprile il neo ministro scrive: «La flessibilità, così come è stata introdotta, avrebbe funzionato (o almeno avrebbe funzionato meglio) se soltanto l’economia fosse cresciuta di più e quindi se ci fosse stata, da un lato, una maggiore domanda di lavoro, e più proiettata sul medio lungo termine; dall’altro, un maggiore base contributiva e un più alto tasso di remunerazione dei contributi in vista del futuro pagamento delle pensioni. In termini un po’ approssimativi: ogni punto percentuale in più di crescita del prodotto lordo italiano avrebbe consentito la creazione di 200-250mila posti di lavoro, portato circa sette miliardi in più nelle casse pubbliche e migliorato il “libretto pensionistico” dei giovani soggetti alle pensioni contributive». L'errore di fondo dei governi passati, aggiunge Fornero, è questo: «Le politiche italiane per la flessibilità del mercato del lavoro e per la sostenibilità del sistema previdenziale non hanno considerato la crescita come un risultato da raggiungere, ma piuttosto come un presupposto».Come passare dalla precarietà alla flessibilità? Il ministro appoggia l'idea di un contratto unico di lavoro, di cui la Repubblica degli Stagisti si è spesso occupata: «La “flessibilità buona” si può quindi individuare precisamente nella riduzione/eliminazione della convenienza a comportamenti, sia delle persone, sia delle imprese, che tendono a trasformare la flessibilità in precarietà. Una via percorribile e più efficace potrebbe essere quella del contratto unico di lavoro, una proposta - avanzata da Tito Boeri e Pietro Garibaldi su La Voce e successivamente fatta propria da un folto gruppo di parlamentari - in grado di conciliare la flessibilità in ingresso richiesta dalle imprese con l’aspirazione alla stabilità rivendicata dai lavoratori». Il contratto, spiega Fornero, potrebbe essere modellato «in modo da adattarsi maggiormente sia alle diverse esigenze del ciclo di vita delle persone - con un periodo iniziale di formazione anche sul posto di lavoro, minore risparmio previdenziale e quindi aliquote contributive inizialmente più basse - sia alle esigenze delle imprese, con una retribuzione e condizioni di impiego commisurate alla produttività». Il punto critico del contratto unico rimane «la licenziabilità dei lavoratori che dovrebbe diventare progressivamente più difficile mano a mano che il lavoratore acquisisce esperienza e diventa più produttivo».E ancora, in un'intervista di gennaio sul Corriere Economia, quando la situazione per l'Italia e l'Europa non era ancora così nera, Fornero dichiarava: «Il mercato ha incoraggiato il lavoro flessibile, trasformandolo in lavoro precario, mentre il welfare lo ignora. Bisogna invece riconoscere che il dipendente precario è a tutti gli effetti un lavoratore e che nelle condizioni di crisi economica in cui viviamo è più difficile trasformare un rapporto a tempo determinato in uno indeterminato. Occorre pensare a un reddito minimo e a una rete di sicurezza che oggi manca e induce molti giovani a dipendere da un genitore che magari non è ricco o da una nonna che fa risparmi su una pensione molto modesta. Non si può accettare un welfare solo per chi lavora a tempo indeterminato; vuol dire chiudere gli occhi sul fatto che molta parte del lavoro dei giovani e delle donne non ha queste caratteristiche».Elsa Fornero, insomma, si presenta come un ministro con le idee chiare in tema di giovani e precariato, e tutte le carte in regola per prendere decisioni rapide ed efficienti. La sua determinazione politica verrà messa alla prova nei prossimi mesi: lo stesso presidente del Consiglio Monti, nel presentare la squadra di governo, ha sottolineato la necessità di rivedere le pensioni e di prestare maggiore attenzione a giovani e donne, prospettando anche il progetto di adottare effettivamente il contratto unico. Saranno quindi i precari italiani i primi a verificare se il welfare prospettato dal nuovo ministro sia destinato a concretizzarsi o a restare un bel progetto sulla carta di vecchi giornali.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Il neopresidente del consiglio Mario Monti in Senato: «Risolvere il problema dei giovani è il fine di questo governo»- In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»- Pietro Ichino: bisogna rompere i tabù e introdurre anche in Italia il salario minimo- L'audizione di Eleonora Voltolina alla commissione lavoro della Camera

Il presidente della Commissione Lavoro della Camera consegna a Mario Monti i risultati dell'indagine sul precariato - l'audizione di Eleonora Voltolina

Silvano Moffa, deputato e presidente della Commissione Lavoro della Camera, ha pochi minuti fa consegnato al premier designato Mario Monti i risultati dell'indagine conoscitiva svolta nei mesi scorsi dalla sua commissione, incentrata sul mercato del lavoro e sui problemi dei giovani italiani a trovare un'occupazione stabile e ben retribuita.All'indagine ha contribuito la Repubblica degli Stagisti attraverso l’audizione del suo direttore, la giornalista Eleonora Voltolina [scarica qui il testo integrale]. «Quando si parla di precariato non si deve dimenticare che c’è una zona grigia che negli ultimi anni si è espansa a vista d’occhio: quella di chi è fermo sulla porta di ingresso, non è più uno studente ma non è ancora un lavoratore» aveva detto Voltolina in quell'occasione, ricordando che gli stagisti sono circa mezzo milione all’anno e che ad essi vanno aggiunti i circa 200mila praticanti che svolgono il periodo di praticantato per poter accedere ad alcune professioni.«I tirocini sono oggi usati in maniera schizofrenica» aveva denunciato Voltolina: «Da una parte paradossalmente ne sono quasi esclusi i giovanissimi, dall’altra vengono utilizzati molto su persone già adulte: lo stage post-laurea é ancora più frequente dello stage pre-laurea, una asincronia che fa perdere tempo prezioso ai giovani». Sottolineando che oggi lo strumento del tirocinio «è utilizzato ormai per tutti i generi di mestiere: dall'ingegnere al barista, dal giornalista alla commessa».Una situazione incontrollabile anche per mancanza di strumenti di monitoraggio: «Il sistema di attivazione degli stage fa capo a centinaia di diversi enti promotori che non sono in rete tra loro, quindi non si scambiano informazioni. Per questo auspico l'istituzione di una sorta di anagrafe degli stagisti, un database nazionale, o anche su base regionale, che possa convogliare tutti i dati relativi all’attivazione di ogni stage, e che permetta una trasparenza totale».Ai deputati membri della Commissione Lavoro Voltolina aveva evidenziato il problema principale di stagisti e praticanti: «Lavorano gratis». Spiegando che in Italia si è spezzato il legame tra lavoro e retribuzione: «Stagisti e praticanti non sono lavoratori, e per questo non hanno diritto a una retribuzione. Ma a un compenso sì. Perchè ogni persona che dedichi tempo ed energie ad una attività, e che contribuisca attraverso il suo apporto alla quotidianità e al profitto di un’organizzazione, ha diritto a vedere riconosciuto anche economicamente questo apporto».Dopo aver ricordato l’esistenza di un progetto di legge a prima firma Cesare Damiano che prevede per chi ospita uno stagista l’introduzione dell’obbligo a corrispondergli almeno 400 euro al mese di emolumento, come in Francia, Voltolina aveva sottolineato che gli stage gratuiti «sono pericolosi anche perchè alimentano la già preoccupante immobilità sociale del nostro Paese, permettendo che solo i figli delle famiglie abbienti possano affrontare periodi di formazione aggiuntiva non pagata».Rispetto all’attualità, e alla recente circolare del ministero del Lavoro che ha differenziato i «tirocini formativi e di orientamento» da quelli definiti «di cosiddetto inserimento / reinserimento lavorativo», il direttore della Repubblica degli Stagisti aveva lanciato un monito: «Operare una distinzione netta tra formazione e inserimento lavorativo è una forzatura pericolosa. Tutti i tirocini hanno per loro natura in sè una parte di formazione e una parte più o meno importante di obiettivo di inserimento: negarlo è pretestuoso. Anziché spezzettare e differenziare, l’obiettivo dovrebbe essere quello di unificare e semplificare».Eleonora Voltolina aveva poi ricordato che la Repubblica degli Stagisti fa parte di un tavolo, istituito informalmente presso il Parlamento europeo con il coordinamento dello European Youth Forum, che ha stilato una «Carta europea per la qualità degli stage e degli apprendistati» contenente una esplicita condanna della gratuità degli stage, che nei prossimi mesi passerà al vaglio del Parlamento UE. E alla Commissione ha rivolto un appello: «L’Italia non rimanga indietro su questo fronte, e non remi addirittura contro. È urgente adeguare la legislazione in modo da impedire l’utilizzo gratuito e lo sfruttamento degli stagisti, e introdurre un obbligo di rimborso spese per tutti gli stage e i praticantati», ricordando che la Regione Toscana proprio in questi giorni sta lavorando a una legge regionale in questo senso.In chiusura Voltolina aveva allargato il discorso dagli stage  a tutti i giovani precari o senza lavoro, auspicando l’introduzione di un salario minimo – «elemento di civiltà» che potrebbe riportare le retribuzioni dei giovani italiani all’interno dei «paletti chiari espressi nell’articolo 36 della Costituzione» – e di un  contratto unico per andare al di là delle «decine di forme contrattuali attualmente esistenti che generano confusione e disparità di trattamento» e ricondurle a una sola, «con tutele progressive e la certezza di poter godere di quelle garanzie che ad oggi sono precluse alla stragrande maggioranza dei giovani».E ricordando di essere tra i firmatari di una denuncia presentata il 14 settembre alla Commissione europea sulla situazione di apartheid del mercato del lavoro italiano, che potrebbe provocare l’apertura da Bruxelles procedura di infrazione e di diffida nei confronti dell’Italia, Eleonora Voltolina aveva chiuso ponendo una domanda provocatoria alla Commissione: «La situazione drammatica dei giovani italiani è sotto gli occhi di tutti: cosa aspettiamo a intervenire per proteggerli dallo sfruttamento, dalla sottoretribuzione e dal precariato eterno?»Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage, un'altra regolamentazione è possibile: il Pd scende in campo con il disegno di legge Damiano- L'apartheid del lavoro italiano al vaglio della Commissione europea: le ragioni di una denuncia- In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»

La Repubblica degli Stagisti lancia quattro proposte alla Regione Lombardia per regolamentare i tirocini in maniera innovativa

Legare indissolubilmente apprendistato e tirocinio. Questa la proposta più innovativa che la Repubblica degli Stagisti ha lanciato alla Regione Lombardia in occasione del convegno «Tirocini e apprendistato in Lombardia», che si é tenuto venerdì al Pirellone. Invitata a intervenire insieme ai consiglieri regionali PD Stefano Tosi e Fabio Pizzul, a sindacalisti (Fulvia Colombini per la Cgil, Roberto Benaglia per la Cisl e Claudio Negro per la Uil) e rappresentanti delle imprese del territorio (Daniele Botti per Confindustria, Fabio Ramaiolo per Confapi, Giuseppe Vivace per la Cna) e alla responsabile lavoro del PD in Lombardia Laura Specchio, Eleonora Voltolina ha lanciato all'assessore regionale al lavoro Gianni Rossoni, impegnato in queste settimane nella stesura di una bozza di regolamento regionale in materia di stage, quattro proposte-chiave per risolverne i problemi principali. In maniera innovativa. La Lombardia ha infatti una responsabilità importante: da sola ospita un sesto degli stagisti di tutta Italia. Solo a Milano e provincia vengono attivati oltre 20mila stage ogni anno nelle imprese private; aggiungendo a questo numero gli 8-10mila stage negli enti pubblici, si arriva a oltre 30mila stage a Milano.La prima priorità che la Repubblica degli Stagisti evidenzia è la sostenibilità economica degli stage da parte dei giovani. Il rimborso spese, inteso come premio mensile forfettario, è imprescindibile per garantire questa sostenibilità. La maggior parte dei soggetti ospitanti non lo prevede, scaricando tutti i costi dello stage sulle spalle delle famiglie e impedendo di fatto che chi proviene da nuclei meno abbienti possa fare questo tipo di esperienza; e nello stesso tempo negando il valore del tempo e dell'impegno degli stagisti. La Regione Lombardia non può limitarsi a dire che le imprese possono accordarsi per l'erogazione di un rimborso. Bisogna fare qualcosa in più: prevedere, come in Francia, che tutti i tirocini di durata superiore a due mesi, di qualsiasi tipo e in qualsiasi settore, debbano prevedere un emolumento di almeno 4-500 euro al mese. La Toscana sta portando avanti un progetto del genere: può la Lombardia, che ospita uno stagista su sei, restare indietro su questo tema? Secondo la Repubblica degli Stagisti non può. La seconda priorità è fare in modo che lo stage non continui ad essere il concorrente sleale dell'apprendistato. Ciò avviene oggi soprattutto per le persone con alti titoli di studio: a fronte di soli 30mila contratti di apprendistato attivati ogni anno a favore dei laureati, vi sono indicativamente 250mila stagisti laureandi o laureati in Italia. La sproporzione è evidente! Quindi la Repubblica degli Stagisti lancia una proposta rivoluzionaria: legare indissolubilmente nelle imprese private  il numero degli stagisti al numero degli apprendisti. La Regione potrebbe spostare cioè per le aziende la proporzione numerica, che la normativa nazionale  vigente (il dm 142/1998) parametra sul numero dei dipendenti a tempo indeterminato, al numero dei contratti di apprendistato attivi. Questo avrebbe un doppio effetto positivo: un immediato aumento del numero di apprendistati per permettere a tutte quelle imprese che al momento non ne utilizzano e però desiderano poter continuare ad ospitare stagisti; e un aumento progressivo e costante nel medio e lungo periodo, perché le aziende si "abituerebbero" a fare più spesso contratti di apprendistato ai loro migliori tirocinanti (andando quindi ad aumentare la bassissima percentuale di assunzione dopo lo stage, oggi ferma a uno su dieci) per poter mantenere stabile una proporzione stagisti - apprendisti. Anche gli studi professionali sarebbero fortemente ricompresi in questa logica di circolo virtuoso, perché incentivati a fare contratti di alto apprendistato ai loro praticanti per poter contemporaneamente continuare ad accogliere stagisti.La terza priorità è il controllo e il monitoraggio costante e incrociato dell'utilizzo dei tirocini. A questo proposito già in occasione delle ultime elezioni regionali la Repubblica degli Stagisti aveva lanciato la sua proposta, che oggi ripropone: un database online che contenga tutte le notizie sull'attivazione e l'esito di ognuno degli 80-90mila stage che vengono attivati ogni anno in Lombardia. Una sorta di anagrafe degli stage: un sito web che renda trasparente l'utilizzo di questo strumento. L'accesso a questo sito dovrebbe essere previsto per tutti i soggetti promotori presenti sul territorio: gli uffici stage/placement delle 12 università lombarde, alla sessantina di centri per l'impiego, alle agenzie per il lavoro. A ciascuno di questi soggetti spetterebbe il semplice compito di andare a registrare tutti i dati dell'attivazione di ogni stage: il nome del tirocinante e il suo status (studente, neolaureato, inoccupato, disabile...), il nome dell'azienda, la durata dello stage, il progetto formativo, le condizioni economiche previste. Al momento della fine dello stage, poi, sempre su questo database il soggetto promotore dovrebbe registrare l'esito: e in caso di assunzione dello stagista, riportare anche la tipologia e la durata del contratto stipulato. Salvaguardando i dati sensibili dei singoli stagisti, questa anagrafe dovrebbe essere accessibile a tutti. Ciascun cittadino potrebbe cioè trovare informazioni su ogni azienda, scoprendo quanto e come ha utilizzato e utilizza lo strumento dei tirocini. Questa trasparenza da sola sarebbe un formidabile deterrente agli abusi, perché ogni datore di lavoro avrebbe la chiara consapevolezza che eventuali abusi verrebbero immediatamente smascherati. In quest'ottica, le password per l'accesso alla zona riservata (quella coi nomi) dovrebbero essere date anche ai sindacati, agli enti previdenziali e alle direzioni provinciali del lavoro, per permettere loro attraverso "query" incrociate di individuare le realtà che tendono all'abuso e di orientare di conseguenza le loro indagini.La quarta priorità è vietare gli stage che prevedono l'apprendimento di mansioni non di concetto o quantomeno ridurne drasticamente la durata massima. La Regione dovrebbe quindi vietare o porre a un mese il tempo massimo per tutti quegli stage che prevedono l'apprendimento di mansioni non di concetto: la Repubblica degli Stagisti si riferisce prevalentemente ai settori ricettivo-turistici, a quello della ristorazione, e al commercio all'ingrosso e al dettaglio. Non sono più accettabili i tirocini di tre o addirittura sei mesi per imparare a fare il barman, la commessa o il cassiere al fastfood!Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage in Lombardia, i punti controversi della bozza del regolamento regionale: niente rimborso spese obbligatorio, di nuovo 12 mesi di durata e apertura alle aziende senza dipendenti- I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»E anche:- Contratti di apprendistato in calo, nasce un sito per rilanciarli- Vademecum per gli stagisti: ecco i campanelli d'allarme degli stage impropri - se suonano, bisogna tirare fuori la voce

Tirocini gratis, i giovani si lamentano ma poi li accettano: si scatena la discussione sul blog della prof Giovanna Cosenza

A volte, combattendo l'abuso di tirocini, ci si scontra con un nemico imprevisto: gli stessi ragazzi. Capita infatti, e non raramente, che gli stagisti - specie se molto giovani - finiscano per essere "complici" di chi offre loro condizioni non dignitose. Lo sa bene la Repubblica degli Stagisti e altrettanto bene lo sa Giovanna Cosenza, docente di Semiotica all'università di Bologna e membro della commissione tirocini del corso di laurea in Scienze della Comunicazione, che nel suo blog Disambiguando ha pubblicato l'altroieri un post dal titolo molto diretto: «Stage: ma se i giovani nemmeno lo chiedono, un rimborso spese, che si fa?» (corredato da una corrosiva vignetta del bravo Arnald).«Faccio da anni una battaglia quotidiana, su questo blog, in aula, via mail, negli incontri faccia a faccia con gli studenti, per informarli che possono chiedere almeno un rimborso spese per il tirocinio curricolare. La legge non lo prevede, ma se si diffonde la consapevolezza del fatto che si può chiedere e ottenere – mi sono detta – e se i ragazzi cominciano a rifiutare stage non pagati né rimborsati, be’, forse le aziende un po’ alla volta sono costrette ad adeguarsi». La prof si sgola, ma i diretti interessati sembrano non seguire il consiglio. Giustificandosi così: «Non ho osato chiederglielo», «Il titolare della ditta al momento non è intenzionato a corrispondermi alcun rimborso. È una persona tanto buona quanto lunatica e quindi non escludo che alla fine dello stage mi possa retribuire qualche indennità», «Non abbiamo parlato di rimborso, anche perché l’azienda si è convenzionata per mia richiesta non volevo avanzare troppe pretese anche se “sacrosante”», «Non l’ho chiesto perchè credevo non lo desse nessuno».«In tanti anni mi sono fatta una statistica personale» conclude Giovanna Cosenza: «Su 100 ragazzi e ragazze che mi chiedono l’autorizzazione a svolgere un tirocinio curricolare, solo 10 sono già consapevoli, e una 20ina riesco a convincerli io a cambiare azienda, per ottenere almeno un piccolo gettone di rimborso. Ma gli altri 70?».La domanda non resta senza risposta. Sono ben 82 al momento i commenti al post, e quasi tutti sono focalizzati su un punto: bisogna armarsi di forza e coraggio, non farsi intimidire, non vergognarsi a chiedere. «Mi perdoni l’espressione, ma nella mia piccola esperienza, sto imparando che bisogna sempre avere la faccia come il c***» scherza Simone. «Ci hanno convinto che non troveremo mai nulla, quindi ogni occasione professionalizzante noi la cogliamo, grati e stupidi, come se fosse un regalo che ci fanno» riflette Emanuela, pentendosi di aver accettato uno stage non pagato che le ha "fruttato" una "collaborazione" a tempo pieno, 36 ore alla settimana, pagata la miseria di 600 euro al mese.  Ma cambiare la mentalità italiana è impresa ardua: famiglie e scuola sono complici dello status quo. «Il mercato è fatto di domanda e offerta» riassume Federico: «Finché le famiglie continueranno a viziare i propri figli ci sarà sempre qualcuno disposto a lavorare gratis (tanto paga il papi) e questo rovina il mercato per tutti». «Conosco una scuola che organizza dei master che sono fatti bene e terminano con degli stage validi» fa un esempio Skeight «ma comunque i loro organizzatori ti sconsigliano vivamente di chiedere il rimborso». Invece le stesse università potrebbero darsi policy virtuose e ottenere buoni risultati, come conferma Falcon82: «Quando lavoravo come rappresentante degli studenti alla commissione tirocini a Cesena a Scienze dell’Informazione potevamo tranquillamente permetterci di rispedire al mittente le richieste di affiliazione delle aziende che non prevedevano neanche un minimo rimborso spese». Giulia è d'accordo:  «L’università potrebbe prendere l’impegno di non affiliarsi a chi non da nessun tipo di rimborso, e intendo tutte le università d’Italia. Cosa succederebbe se le università non stipulassero più convenzioni di nessun tipo con chi offre stage non pagati? Mi sembra una strada più pratica rispetto all’aspettarsi uno “sciopero” dagli stage non pagati da parte della popolazione studentesca, che sarebbe giusto ma che richiederebbe un enorme sforzo e coraggio da parte di singoli individui, seppure in massa».Ancor più difficile è raddrizzare il sistema economico, che ormai in alcuni settori si basa (letteralmente) sulle prestazioni gratuite: «Il sistema è drogato e dipendente dagli stagisti a basso costo, a tal punto che le strategie aziendali spesso li prevedono come parte integrante» dice Lorenzo. Smilablomma rincara: «Il problema è che finché la legge permette alle aziende di scegliere se pagare o non pagare il tirocinio loro decideranno di non pagare.  la legge che va cambiata. gli studenti non sono ingenui, sono coscienti della loro impotenza», e Maurone fa un forte richiamo alla corporate social responsability: «Chi offre tirocini/lavoro non retribuito è totalmente privo di etica e merita l’isolamento da parte di tutti, dico tutti, i nostri giovani. Queste ditte [fatico a chiamarle aziende] devono rimanere schiacciate dal mercato perché chi è privo di etica non ha diritto di esserci».Ben allarga la riflessione: «Una causa profonda di questi comportamenti è la debolezza, in Italia, di una cultura delle regole, a cominciare da quelle più elementari (non si lavora gratis), e della competizione meritocratica di mercato (valgo tot: se mi vuoi, mi paghi tot, altrimenti cerco un compratore migliore)». Sostenendo il progetto di Pietro Ichino del contratto unico: «Un aiuto per gli stagisti a farsi valere verrà probabilmente dal nuovo Codice del lavoro, che il nuovo governo approverà prossimamente. È fra le cose richieste dall’Europa, e Monti è sempre stato molto favorevole». Ma Jun riporta la discussione anche sul piano dei singoli individui: «Accettare uno stage senza rimborso significa semplicemente ammettere la propria sconfitta davanti al mondo, sminuirsi pur di “stare impegnati” prolungando un periodo della propria vita a discapito di un altro, rendendosi perfettamente sostituibili l’uno all’altro (le fotocopie le san fare tutti). E magari poi anche lamentandosi che dopo vari stage non si trova lavoro. Ma se finora l’hai fatto gratis??».Anche Silvia, Letizia e altri lettori della Repubblica degli Stagisti, si affacciano in Disambiguando per dire la loro. «Non mi pento di aver rifiutato stage gratuiti, perchè credo che ognuno di noi valga» afferma Silvia, invitando a prendere coscienza e ribellarsi: «Bisogna aprire gli occhi ragazzi. Avere il coraggio di dire, no grazie» (anche se non tutti sono convinti, come Ariaora: «Condivido la tua rigidità nel non prostituire i frutti del proprio lavoro. Nel frattempo come fai a vivere?»). Mentre Letizia, che lavora a Bruxelles per lo European Youth Forum, cita la Carta europea per gli stage di qualità (un'iniziativa coordinata dallo EYF e dall'eurodeputata 27enne Emilie Turunen, di cui la Repubblica degli Stagisti, unica organizzazione italiana, è fra i promotori), che «contiene degli standard di qualità per gli stage e vuole essere un contributo concreto per rendere gli stage uno strumento formativo di qualità per tutti i giovani europei e non un’altra forma di lavoro precario formalizzato».Anche perché, come ricorda Elena, lo stage è solo il primo gradino: «Il problema ancora più grave è che questo tipo di mentalità poi ovviamente continua anche con i primi contratti: tantissimi miei coetanei “non osano chiedere” perché danno per scontato che il lavoro, seppur malpagato, sia una concessione che non ci si può permettere di trattare! Si deve solo ringraziare di averne avuto uno, come se fosse piovuto dal cielo. Non c’è nulla di cui meravigliarsi quindi se poi le aziende ci marciano e a chi avanza qualche minima e sacrosanta richiesta rispondono prontamente, «ma di che ti lamenti? ci sono centinaia di tuoi coetanei che vorrebbero fare il tuo lavoro a condizioni molto peggiori! guardati intorno!». Il cambiamento deve partire anche da noi».E voi, che ne pensate?Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage gratuiti o malpagati, ciascuno può fare la rivoluzione: con un semplice «no»- Parlamento europeo, risoluzione contro i tirocini gratis e le aziende che sfruttano gli stagisti- Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio» - Un sondaggio dello European Youth Forum svela il prototipo dello stagista europeo: giovane, fiducioso e squattrinatoE anche:- Mantenere i figli è un obbligo per i genitori, anche se sono adulti e vaccinati. Ma chi ci perde di più sono proprio i giovani- La proposta di Ichino per riformare la normativa sugli stage: più brevi e retribuiti- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese- Stage, un'altra regolamentazione è possibile: il Pd scende in campo con il disegno di legge Damiano- Lo Youth Forum: «Gli stage gratuiti e senza prospettive ci sono in tutta Europa, e spesso sono sacrifici inutili»

Stage, i partiti politici giurano: «Noi non ne abusiamo». Ma sarà vero?

Dopo la notizia bufala degli stage all’Italia dei Valori e la polemica sollevata "ad arte" dal caso degli stagisti a 400 euro del Partito democratico, la Repubblica degli Stagisti ha deciso di vederci più chiaro: ed è andata a bussare alla porta dei sei principali partiti politici italiani chiedendo se prendono - e come trattano - gli stagisti. Ne è emersa una realtà poco nitida: Lega, Udc e Idv dichiarano di non fare mai uso di stagisti, Pdl e Fli affermano di accoglierne solo negli uffici parlamentari ma non nel partito, il Pd di prenderne saltuariamente nella sede nazionale ma assicurando qualità formativa e rimborso spese. Ma praticamente tutti ammettono di non sapere con certezza cosa succede nelle sezioni locali.Ad esempio Francesco Sciotto [nella foto a sinistra], ufficio stampa del Pdl, assicura che mai, dai tempi di Forza Italia a oggi, il principale schieramento di centro destra «si è avvalso di stagisti», almeno a livello nazionale. Quello che accade all’interno delle sezioni locali è invece un fatto a sé, «su cui la sede di Roma non vigila». Invece il gruppo parlamentare Pdl di stagisti ne accoglie eccome - anche se Fabio Mazzeo, capo ufficio stampa del gruppo parlamentare alla Camera, precisa: «qui all’ufficio stampa ne abbiamo avuti al massimo 6 o 7 negli ultimi tre anni, su un organico di undici dipendenti. Questo perché noi non vogliamo sfruttare nessuno». Il problema è che il principale partito della maggioranza non prevede nemmeno un euro di rimborso spese, solo «qualche facilitazione per la mensa». E però Mazzeo giura che «i tirocinanti reclutati da noi, tutti neolaureati e selezionati tramite convenzioni universitarie, non fanno certo fotocopie, ma lavorano per davvero, e alla fine dell’esperienza trimestrale trovano quasi tutti occupazione». Chi facendosi strada da solo, chi grazie alle referenze acquisite. All’ufficio legislativo, chiude l'ufficio stampa, avviene più o meno la stessa cosa perché la policy è netta: «Non si deve abusare degli stage». Ironia della sorte, proprio in queste ore è circolata la notizia di un bando per stage a Palazzo Chigi destinato a neolaureati, con un rimborso di appena 250 euro (350 per i fuorisede). L'istituzione al momento presieduta dal premier Silvio Berlusconi garantisce quindi sì un compenso, ma davvero esiguo - e questa volta Il Giornale chiude un occhio, non rilanciando la notizia (come per la vicenda del Pd). Francesco Davanzo, responsabile del personale del Pd, racconta invece la politica democratica in fatto di stagisti partendo da un principio: «È necessario prendere persone esterne, altrimenti il partito rischia di diventare un mostro ripiegato su se stesso». Spiega quindi che finora, «per gli stage attivati dal partito, si è sempre cercato di rispettare la proposta di legge Damiano». Il che vorrà dire d'ora in poi limitare anche la durata del tirocinio a un massimo di sei mesi. Per ora comunque, a parte l’ufficio grafico, il Pd non ha all’attivo stage. In quanto al passato, l’anno scorso sono state attivate tre borse di studio annuali al dipartimento economico per un importo di circa 10mila euro, ma si tratta di un fatto isolato. Eppure anche al Pd ci sono stati degli stage non pagati: quando l’offerta proviene da enti esterni come per il caso di un master - precisa il responsabile - la si valuta e poi si stabilisce l'eventuale trattamento economico. «Sono però solo episodi circoscritti».  Udc e Idv attestano che finora non hanno mai avuto stagisti. Alessia Di Fabio, ufficio stampa del partito di Antonio Di Pietro, specifica che «tutti quelli che lavorano al partito sono sotto contratto, e che neppure in futuro si prenderanno tirocinanti perché non ci sono possibilità di inserimento».Anche la Lega Nord si attesta su una linea simile. Nadia Dagrada dell’amministrazione federale garantisce  alla Repubblica degli Stagisti che il partito «non utilizza tirocinanti perché si troverebbero a maneggiare dati molto sensibili». «Chi lavora qui lo fa per militanza» dice «non avrebbe senso una richiesta di stage dall’esterno». Eccetto che per i tesisti, a cui viene data la possibilità di documentarsi e di frequentare il partito per motivi di studio.C'è poi il caso di Fli. Il partito, nato l'estate scorsa a seguito dello "strappo" del presidente della Camera Gianfranco Fini, «non si avvale di stagisti perché non ci sono possibilità di inserimento» afferma l’addetto stampa del partito Luigi De Gennaro [nella foto a sinistra]. Eppure una lettrice aveva appunto segnalato sul wall del gruppo Repubblica degli Stagisti su Facebook un annuncio per uno stage gratuito di sei mesi per il gruppo parlamentare Fli. In effetti alla Camera dei Deputati il gruppo parlamentare non disdegna la possibilità di prendere stagisti tramite l’università. L’annuncio in questione fa riferimento alla seconda edizione di questo programma: e, se è vero che anche qui non c’è traccia di rimborso, una buona notizia è che almeno le due stagiste precedenti sono state assunte con contratto a progetto (per circa mille euro mensili).Insomma, da questa ricognizione emerge che lo stage è un elemento estraneo alla maggioranza delle forze politiche, più inclini invece a servirsi di lavoro volontario e militanza. Ma come la mettiamo con le sedi locali? Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Il Pd apre due posizioni di stage: 400 euro al mese per un part time. E sul web scoppia un'incredibile polemica- Urgono nuove regole per proteggere tirocinanti e praticanti: tante idee della Repubblica degli Stagisti nel disegno di legge di Cesare Damiano E anche:- Stage gratuiti, Caterina versus Flash Art: il botta e risposta con Giancarlo Politi. E il web si rivolta

Precari sottopagati oggi, anziani sottopensionati domani? Ecco come stanno veramente le cose: meglio prepararsi al peggio

Grazie alla collaborazione tra Lo Spazio della Politica e la Repubblica degli Stagisti, questo articolo di Andrea Garnero viene pubblicato in contemporanea su entrambi i siti.Ogni volta che bisogna metter mano al portafoglio, il Governo pensa a ritoccare le pensioni. Dopotutto si tratta di oltre il 40% dell’intera spesa pubblica italiana (20% del Pil). Che impatto avrà per la nostra generazione un aumento dell’età pensionabile in termini di lavoro e pensioni future?Cominciamo con lo sfatare un mito: i “senior” (usiamo questa definizione politically correct visto che nessuno si definisce vecchio in Italia) non rubano posti di lavoro ai giovani. Alzare l'età pensionabile non ha come conseguenza la riduzione delle opportunità lavorative per i giovani. Anzi l'evidenza empirica dice piuttosto il contrario. La ragione è che l'economia non è una scatola chiusa: non c’è un numero fisso posti di lavoro da ripartire. Le opportunità lavorative crescono con la ricchezza economica e il consumo e i pensionati tendono a risparmiare di più e consumare di meno. Di conseguenza se ci sono più pensionati l'economia "gira" di meno e quindi ci sono meno posti di lavoro per i giovani e viceversa. Questo ovviamente non è vero per il settore pubblico in cui i posti di lavoro sono effettivamente fissi e anche in riduzione di questi tempi di austerity.Ma i giovani alla fine avranno una pensione? Questione critica che solo marginalmente dipende da un eventuale innalzamento dell’età pensionabile. Il dibattito che avevamo già affrontato un anno fa su questo sito si è riacceso nelle ultime settimane con l’uscita di due nuove, e apparentemente contradditorie, pubblicazioni. La prima è un libro di Walter Passerini e Ignazio Marino, Senza Pensioni, uscito per Chiarelettere. La loro analisi prevede per i giovani nati negli anni ‘80 una pensione al 30-40% dell’ultimo salario per i parasubordinati e tra il 50% e il 70% per i dipendenti pubblici e privati, ma con picchi di 10-20-30% per alcune categorie professionali. L’analisi di Stefano Patriarca dell’Inps contesta le stime pessimistiche e prevede una copertura pensionistica al 70% per i lavoratori dipendenti, tra il 40% e il 60% per i parasubordinati.Nonostante le contraddizioni giornalistiche le stime, pur diverse, non divergono del tutto. Per calcolare le future pensioni, infatti, è necessario fare ipotesi sulla crescita economica dei prossimi trenta-quarant'anni, immaginare la carriera salariale del singolo, eventuali interruzioni lavorative, senza contare le frequenti riforme del sistema. I due studi fanno ipotesi diverse e questo spiega parte delle divergenze. Comunque, se si traduce la percentuale in euro si torna ai valori già presentati un anno fa (tra gli 800 e i 1.300 euro). Il problema non è il sistema pensionistico in sé, ma il funzionamento del mercato del lavoro che non garantisce più un reddito continuo. L’innalzamento delle aliquote per i parasubordinati (co.co.pro & co.) sicuramente è un passo per ridurre la differenza tra i diversi contratti (oltre a eliminare un perverso incentivo ad assumere usando questi forme contrattuali più economiche. Inoltre, le stime normalmente sono fatte per carriere omogenee. Se, invece, come più probabile si passa da un lavoro all’altro cambiando ambito professionale è probabile che si verseranno contributi in diverse casse previdenziali. Oltre all’Inps, infatti, quasi ogni ordine ha la propria cassa e i parasubordinati, pur essendo dipendenti, hanno una gestione separata. Se poi a questi dati si aggiunge l’aumento della mobilità all’estero, quale sarà il montante totale della pensione dopo aver pagato i contributi in diversi Paesi?Rimangono inoltre aperte due questioni chiave: primo, l’Italia dovrà ridurre nei prossimi anni la spesa fino a tre punti del Pil e visto che le pensioni rappresentano quasi il 40% della spesa corrente, l’intervento legislativo sarà ancora una volta inevitabile. Tuttavia non basterà alzare l’età pensionabile, ma servirà un vero “attivamento” dei senior e una formazione efficace per permettere loro di rimanere al lavoro. Il vero problema, infatti, è cosa facciamo fare ai senior sul posto di lavoro. Un insegnante di 65 anni riesce a catturare l’attenzione e appassionare la generazione di allievi nativi di internet? Un ingegnere di 65 anni è capace a far funzionare i robot di nuova generazione della fabbrica? Un impiegato di 65 anni star dietro agli sviluppi del software dell'azienda? Se la risposta è no, il senior diventerebbe un “peso” per l’azienda che farebbe di tutto per disfarsene. E come si protegge una persona licenziata a 60 anni che difficilmente potrebbe trovare un altro lavoro? Cosa succederebbe alla già scarsa produttività italiana?Seconda considerazione: una corretta informazione dei lavoratori sulle future pensioni è un diritto del cittadino e un dovere dello Stato che agisce come una banca o assicurazione per i risparmi dei lavoratori. In Svezia, che ha un sistema molto simile al nostro, lo Stato spedisce a casa la cosiddetta “busta arancione” che informa periodicamente i lavoratori sui risparmi accumulati e le previsioni sulla pensione futura. In Italia per problemi tecnici (la difficoltà a cumulare i contributi delle varie casse) e problemi politici (il rischio di rivoluzione paventato da Mastrapasqua) non è ancora stato fatto.Infine, due consigli pratici ai giovani (e non solo) lavoratori: in attesa della “busta arancione” andate all’Inps (o alla vostra cassa di riferimento) oppure in un patronato e fatevi l’estratto conto dei contributi. Questo aiuterà a farvi un’idea e soprattutto a trovare possibili errori e a fare due calcoli sull’opportunità di riscattare la laurea. Secondo, abbiate chiaro in mente che la pensione pubblica non basterà più. Occorre quindi risparmiare (anche se per chi prende 800 euro al mese quest’invito sfiora il ridicolo) per una previdenza complementare. Neanche questa è la panacea a tutti i mali perché i fondi pensione investono sui mercati finanziari che non sono una garanzia di rendimento certo. Tuttavia, tertium non datur, a meno di voler lavorare fino all’ultimo giorno della propria vita…Andrea GarneroPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggiE anche:- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Nelle pagine del Rapporto sullo stato sociale un allarme sulla questione giovanile: e tra 15 anni la previdenza sarà al collasso

Blogdemocrazia, l'era digitale ha cambiato il modo di comunicare e di agire nella società. E la Repubblica degli Stagisti ne è un esempio significativo

Nell’era del web 2.0 la democrazia passa anche attraverso i flussi di notizie veicolati dai nuovi media. Ma i blog e i social network possono sostituire i tradizionali luoghi del dibattito pubblico? A questa domanda cerca di rispondere Blogdemocrazia (Carocci, 17,60 euro), saggio della giornalista Paola Stringa che si interroga sui nuovi possibili utilizzi della rete. E tra i case history di blog partecipativi l’autrice cita anche la Repubblica degli Stagisti (alle pagine 59 e 60) a esempio di come il web, oltre a costituire massa critica,  sappia e possa anche capitalizzare risorse. «Una nuova forma di sociologia web 2.0», riflette Stringa, vicina al modo di agire che «vent’anni fa era prerogativa di un sindacato». Secondo la scrittrice, che racconta come nel 2007 Eleonora Voltolina iniziò scrivendo in un blog le sue esperienze formative e trasformando poi nel tempo il diario online in un giornale, la Repubblica degli Stagisti è oggi un «mezzo di servizio» dove non si raccolgono solo storie negative vissute sul lavoro, ma si dà vita a «issues» in alcuni casi finite perfino in Parlamento. La Stringa si sofferma anche sull’iniziativa Bollino OK Stage, considerata «la novità più importante», comparandola al marchio che danno le agenzie di rating ai titoli quotati in Borsa. «Un decalogo di comportamenti virtuosi a garanzia di chi fa tirocinio in azienda» che a oggi – dice – ha dimostrato un certo peso anche nel mondo dell’offline vista l’adesione di un folto gruppo di imprese. Più avanti l’autrice solleva la questione della capacità del web di diffondere idee e movimenti superando ogni barriera geopolitica. E lo fa partendo dai paesi arabi sconvolti dalle rivoluzioni, in qualche caso - come la Libia - tramutate in vere e proprie guerre. Si parla della Cina, ricordando la censura di Google, e si arriva al caso iraniano e alle proteste giovanili filtrate attraverso i cinguettii di Twitter, a Cuba e al celebre blog Generación Y della dissidente Yoani Sánchez [nella foto]. Non si giunge però a una risposta, né si conduce il lettore verso una unica possibile via di riflessione. Il saggio si limita ad analizzare con metodologia compilatoria, riportando teorie di studiosi ed esperti, la potenza del web nel trasmettere informazioni e creare correnti di pensiero. La Stringa contesta poi anche i limiti dell’era digitale: per primo la simbiosi che si è instaurata tra i cosiddetti «nativi digitali» e la pubblicazione di informazioni personali sui social network abbattendo tutti i paletti della privacy. Nonostante questo ponga un’enorme mole di dati a disposizione di mercati sempre più interessati a intercettare i gusti di potenziali consumatori, e distrugga ogni possibilità di oblio. «Con tutte queste informazioni quotidiane i social network diventano dei grandi contenitori di memoria a disposizione della collettività» col risultato che «ogni giorno Facebook e le altre reti assorbono ricordi, immagini e pensieri». Ma, osserva ancora la Stringa, c’è un altro pericolo a cui si va incontro. Il sovraccarico informativo che ha prodotto internet, con i milioni e milioni di dati che ogni giorno lo attraversano, non solo aumenta la superficialità ma «azzera la possibilità di condurre un serio dibattito pubblico basato sul confronto puntuale delle informazioni del giorno prima o dell’anno precedente». Con il risultato che «nell’era digitale si vive della stessa imprecisione dell’era orale» grazie a «una forma mentis collettiva che è portata più facilmente a dimenticare». Una conclusione inquietante sugli eccessi della rete.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'autrice di Blogdemocrazia: «La Repubblica degli Stagisti fa oggi quello che faceva il sindacato 30 anni fa»E anche:- 1° settembre 2007: tre anni fa nasceva la Repubblica degli Stagisti