Categoria: Editoriali

«Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?

Grazie alla collaborazione tra Lo Spazio della Politica e la Repubblica degli Stagisti, questo articolo di Andrea Garnero viene pubblicato in contemporanea su entrambi i siti.La dichiarazione del presidente INPS secondo cui «se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale» riportata dal Corriere un paio di giorni fa sulle pensioni dei precari ha scatenato un polverone. Il presidente, Antonio Mastrapasqua [nella foto a destra], ha negato la paternità della frase, noi vogliamo credergli però andiamo alla sostanza. Quali saranno le pensioni degli attuali precari? Un calcolo preciso è impossibile perché le future pensioni dipendono dalla crescita economica, dalla carriera salariale del singolo, da eventuali interruzioni lavorative e dalle frequenti riforme del sistema. Si possono pero provare a ipotizzare alcune cifre facendo una serie di ipotesi. La Repubblica riportava alcune cifre del Center for Research on Pensions and Welfare Policies: le stime vanno dai 630 euro ai 724 euro per gli uomini, dai 391 ai 458 per le donne (la differenza è frutto di maggiori interruzioni lavorative e una carriera più limitata delle donne rispetto agli uomini). A questi dati si aggiungono quelli di una ricerca in corso di Tito Boeri e Vincenzo Galasso (Is social security secure with NDC?) che ringraziamo per la gentile concessione. Immaginando il caso di un giovane uomo italiano tipo (caso A nella tabella) che entra nel mercato del lavoro a 25 anni con un contratto precario a 800 euro al mese fino a 35 anni quando ottiene un contratto a tempo indeterminato e raggiungere i 1300 euro a fine carriera, la pensione andrà da un massimo di 1052 euro al mese a un minimo di 638. Sicuramente gli toccherà lavorare più a lungo dei propri genitori e solo andando in pensione a 67 anni il giovane precario tipo potrebbe aspirare ad avere una pensione intorno ai 1000 euro. Per chi, invece, riuscirà ad avere fin da subito un contratto a tempo indeterminato, e quindi una progressione salariale più forte (1600 euro a fine carriera), le prospettive sono migliori (caso B): da 819 euro al mese a 1342. A parità di salario di entrata a 25 anni, quindi, il precariato di inizio carriera causa una perdita di 200-300 euro sulle pensioni future. Il caso C presenta, invece, le prospettive per un lavoratore a tempo indeterminato fin dall'inizio con un  salario iniziale più alto del 25%. Il problema, come si vede dalla tabella, non è tanto il sistema pensionistico attuale (che rimane uno dei più generosi in Europa: Boeri e Galasso replicano le stime per la Svezia e i tassi di rimpiazzo sono molto inferiori) quanto la dualità del mercato del lavoro: da una parte i super protetti che non possono essere licenziati e con prospettive di pensione decenti. Dall'altra la nuova generazione di precari che passa da un lavoro all'altro, senza adeguati servizi di orientamento sul mercato del lavoro né assegni di disoccupazione e che inoltre avrà anche pensioni infime.A questi dati si aggiunge anche l'incertezza legata al «fattore Ryanair»: è sempre più normale lavorare per un paio d'anni in un paese e poi un altro paio d'anni in un altro e poi magari tornare in Italia. Quale sarà, però, il montante totale della pensione dopo aver pagato i contributi in diversi Paesi?Che fare?Il presidente INPS ipotizza un sommovimento secondo il Corriere. Forse ce ne sarebbe bisogno: non per forza una manifestazione o uno sciopero ad oltranza, ma una presa di coscienza seria a livello collettivo. Esistono proposte per superare la dualità del mercato del lavoro, alcune sono già state presentate in Parlamento. Non saranno perfette, si potrebbe fare molto meglio. Forse. Ma non è più tempo di aspettare, si deve fare un primo passo subito prima delle probabili elezioni in primavera.A livello individuale, invece, un consulto con un esperto sarebbe utile per un'analisi, anche approssimativa, del proprio caso individuale. Potrebbe apparire strano dover cominciare a pensare oggi alle pensioni che si riceveranno tra 40 anni, ma purtroppo non c'è tempo da perdere. Andrea GarneroPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Crisi e mercato del lavoro, Tito Boeri: è il momento che i giovani si facciano sentire e lancino delle proposte- Bamboccioni? Nel libro «L'Italia fatta in casa» Alesina e Ichino spiegano di chi è la colpa

Umberto Veronesi, la fatica delle donne e dei figli suoi: ma in verità sono i figli di nessuno che fanno una fatica bestiale per emergere

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti.Evidentemente non si rendono conto. Intendo gli over sessanta ben radicati nella classe dirigente italiana. Nemmeno quelli indicati come i più illuminati. Il che fa ben capire che fanno parte di una stagione da archiviare quanto prima. Un esempio? Sulle pagine culturali di Repubblica la settimana scorsa largo spazio al nuovo libro di Umberto Veronesi, noto e apprezzato oncologo e politico italiano (già ministro della Sanità, ora senatore della Repubblica). Il volume, intitolato «Dell'amore e del dolore delle donne» e pubblicato da Einaudi, parla appunto di donne e dell’importanza per la società italiana di dar loro spazio, rimuovendo gli ostacoli che ne limitano la valorizzazione. E su questo siamo pienamente d’accordo. Un po’ meno sulla sua affermazione che finora il dominio maschile è stato giustificato visto il progresso civile e scientifico che ha prodotto. Insomma, avendo egli contribuito, in qualità di maschio, a tale progresso, giunto quasi alla soglia degli 85 anni, si sente di dire che ora è venuto il momento di passare il timone alle donne. Forse accorgersene prima sarebbe stato meglio, non ci troveremmo ora così in ritardo rispetto agli altri paesi. Ma meglio tardi che mai. E quindi ben venga questo libro.Ma c’è un altro passaggio che ancor più ci fa cadere le braccia. Si tratta del punto nel quale dice: «Avere accanto a me in ospedale Paolo, il mio figlio maggiore, e Giulia, la mia prima figlia femmina è una soddisfazione immensa […]. A volte penso però che lo sforzo che hanno dovuto compiere per affermarsi sia stato, per certi versi, doppio rispetto a chi ha un cognome diverso dal loro». E qui mi sono davvero commosso pensando a tutti i figli di nessuno che in Italia fanno una fatica bestiale a trovare spazio e riconoscimento delle loro capacità e competenze. Se davvero i figli di Veronesi hanno faticato il doppio vuol dire che per affermarsi ed essere ora accanto al padre nel loro lavoro devono essere stati davvero eroici. Non diciamo più quindi che i giovani vanno all’estero perché in Italia lo spazio ce l’hanno solo i figli di papà e chi ha contatti e conoscenze giuste. Chi se ne va è perché non ha avuto la determinazione e la tenacia (oltre che i talenti) dei figli di Veronesi. Per chi non la pensa in questo modo, ovvero ritiene che la fatica vera in Italia la facciano i talenti figli di nessuno, segnalo un'iniziativa da sottoscrivere, il «Manifesto degli espatriati», promossa dai blog Vivo Altrove e La Fuga dei Talenti.Alessandro RosinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precariE anche:- I giovani e il sogno della fuga all'estero: il sito Jobmeeting.it apre un sondaggio per capire cosa cercano e cosa li trattiene

Mae-Crui, la vergogna degli stage gratuiti presso il ministero degli Esteri: ministro Frattini, davvero non riesce a trovare 3 milioni e mezzo di euro per i rimborsi spese?

Niente spazio a bandi per stage senza rimborso spese: è da sempre, i lettori più assidui lo sanno, la precisa linea editoriale della Repubblica degli Stagisti. Anche se questo vuol dire non dare qualche notizia che altri siti invece pubblicano. Per coerenza: gli stage gratuiti sono una iattura, costringono chi vi partecipa a pagarli di tasca propria - anzi il più delle volte a far scucire migliaia di euro ai genitori per coprire le spese di viaggi, vitto, alloggio e trasporti - e i meno abbienti a rinunciare. Chi vuole è certamente libero di farli, perché non è escluso che abbiano un significativo valore formativo: ma non sarà la Repubblica degli Stagisti a promuoverli.Una seconda linea editoriale è quella di non fare copia&incolla dei comunicati stampa, specie quelli "istituzionali". Per nessuna notizia. E anche questo è un modo di lavorare molto diverso da parecchi altri siti. Queste due premesse per fare il punto sulla questione degli stage Mae-Crui, quelli organizzati dalla Fondazione Crui presso le sedi del ministero degli Esteri in Italia e nel mondo, che coinvolgono ogni anno migliaia di studenti universitari e neolaureati. Un programma che, come denunciato anche nel libro La Repubblica degli stagisti - Come non farsi sfruttare, ha un aspetto molto criticabile:  «I tirocini, rigorosamente gratuiti (ai ragazzi non viene rimborsato nemmeno il viaggio aereo per raggiungere la destinazione della sede diplomatica!), vengono svolti talvolta a Roma, alla Farnesina, sede centrale del ministero, ma più spesso in ambasciate, consolati e istituti di cultura in giro per il mondo. Centinaia di ragazzi, ogni anno, vanno in stage in posti dove il personale diplomatico guadagna decine di migliaia di euro al mese, e loro invece si devono pagare vitto e alloggio di tasca propria (o meglio, come sempre, tasca di mamma e papà), e talvolta, per non correre rischi, magari anche un’assicurazione sanitaria privata».L'approfondimento di Andrea Curiat su questo tema, scaturito dalla lettera che la studentessa Katya dell'università Ca' Foscari ha scritto alla redazione della Repubblica degli Stagisti, ha messo in luce un aspetto del programma Mae-Crui che pochi conoscevano. E cioè che circa un quarto degli atenei italiani che partecipano all'iniziativa, rendendosi conto del problema, ha previsto di impegnare una parte del proprio denaro per sostenere i giovani che svolgono questi tirocini, erogando rimborsi o borse di studio per aiutarli ad affrontare le spese.Ogni università è indipendente dalle altre e sceglie a sua discrezione come utilizzare i suoi soldi. Il fatto che 18 atenei «virtuosi» (le università di Udine, Verona, Catania, Perugia, Cagliari, del Piemonte orientale, Genova, Macerata, Messina, Salerno, Sassari, Siena, Palermo,  la Sant’Anna e la Normale di Pisa, l'università per stranieri di Siena, la Lumsa e la Bocconi di Milano) abbiano compiuto questa scelta non comporta affatto, per gli altri, l'obbligo di fare lo stesso. Ca' Foscari, quindi, tecnicamente non ha colpa: i suoi dirigenti hanno semplicemente scelto di destinare altrove i propri fondi - peraltro sempre più esigui, per cui ci sono ben poche chance che il numero delle università che prevedono questo tipo di sostegni economici  aumenti.Il punto è che, al di là delle "toppe" che alcune università possono meritoriamente metterci, i tirocinanti Mae-Crui vengono impiegati negli uffici del Mae. E pertanto starebbe al Mae, in primis, accantonare ogni anno un tot di risorse per dare a questi ragazzi un rimborso spese decente. Nel 2010 il programma ha riguardato 1800 giovani. Nel primo bando 2010 erano state infatti inserite 609 posizioni di stage (404 in Europa e poi 39 in Africa, 46 in America del Nord, 28 in Asia, 60 in Centro e Sud America, 19 in Medio Oriente, 13 in Oceania); nel secondo bando i tirocini erano stati 612 (così suddivisi: 413 in Europa, 46 in America del Nord, 55 in America del Centro-Sud, 39 in Africa, 27 in Asia, 19 in Medio Oriente e 13 in Oceania). Nell'ultimo - quello di cui si parla in questi giorni - vengono messi a bando 580 posti: 372 in Europa e 208 in paesi extraeuropei (38 in Africa, 53 in America del Nord, 29 in Asia, 56 in Centro e Sud America, 19 in Medio Oriente e 19 in Oceania).Per gli stage in Europa, che rappresentano circa il 65% del totale, si potrebbe prevedere un rimborso forfettario di 500 euro; per il restante 35% di stage in Paesi extraeuropei il rimborso potrebbe essere di mille euro al mese. Servirebbe quindi ogni anno una copertura di un milione 760mila euro per i tirocini «vicini», più un milione e 900mila euro per i tirocini «lontani».Ministro Frattini, ogni ambasciatore guadagna oltre 250mila euro all'anno: davvero il suo ministero non ha tre milioni e mezzo di euro  per i suoi stagisti? È vero che si tratta di una cifra notevole: ma  il bilancio annuale del Mae è di oltre 2 miliardi di euro, quindi basterebbe solamente prevedere che un piccolo 0,2% di esso venisse destinato a questo scopo. E investire sui tirocinanti anzichè sui soliti 50-60enni «di ruolo» non sarebbe un bel modo di contribuire a far tornare l'Italia, come dice Alessandro Rosina, un paese per giovani?Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Le università «virtuose» del Mae-Crui: tutti i dettagli sui rimborsi spese e le borse di studio per i tirocini in ambasciate, consolati e istituti di cultura- Rimborso spese per gli stage Mae-Crui, a chi sì e a chi no. La richiesta di aiuto di una lettrice: «Non è giusto: tutti dovrebbero ricevere un sostegno»- Stage all'estero, Mae-Crui ma non solo: attenzione all'assicurazione sanitaria- Stage all'estero senza assicurazione sanitaria: le storie di chi ci è passato

Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti.In termini di spazi e di opportunità per i giovani, esiste un’Italia di serie B e una di serie C. La prima è sostanzialmente collocata nel Nord, la seconda nel Sud del Paese. La serie A è, invece, l’Italia che non c’è. Ovvero quel “Paese per giovani” che ancora non siamo, pur avendo tutte le potenzialità per diventarlo.Nell’Italia di serie C chi è bravo e si posiziona bene in classifica passa alla serie B. Ed infatti i principali flussi degli ultimi anni in uscita dal Sud sono costituiti da giovani altamente qualificati diretti prevalentemente verso il Nord. Secondo i dati Istat, tra i laureati meridionali che a tre anni dal conseguimento del titolo hanno un lavoro, il 40% si trova al Nord. Di questi, circa quattro su dieci hanno ottenuto una votazione di 110 su 110. Un’interessante lettura a questo proposito è il recente libro di Bianchi e Provenzano dal titolo eloquente Ma il cielo è sempre più su? (editore Castelvecchi - nell'immagine a sinistra, la copertina).Allo stesso modo, chi nell’Italia di serie B è bravo, dinamico, convinto di avere qualità da valorizzare, cerca di passare alla serie superiore. Ma la serie A qui ancora non c’è e quindi si immette nel mercato internazionale. Ed infatti, dicono i dati Eurostat, cediamo molti giovani cervelli all’estero, mentre ne attraiamo pochi. I talenti non accettano, del resto, volentieri di essere retrocessi in serie B. Tra i motivi maggiormente indicati dai giovani ricercatori e professionisti italiani della permanenza all’estero ci sono i maggiori guadagni, ma anche la maggior disponibilità di risorse e finanziamenti per svolgere al meglio il proprio lavoro, oltre che il maggior riconoscimento delle capacità dei singoli e un progresso di carriera più trasparente e meritocratico. Non che nel resto d’Europa ci sia l’Eldorado, ma complessivamente le cose vanno meglio. Essere giovane con titolo di studio elevato è in generale un vantaggio, non uno svantaggio. Come fare per costruire condizioni di serie A anche in Italia? Se le capacità ci sono, perché non riusciamo a valorizzarle qui? Cosa serve? Maggior investimento in ricerca e sviluppo; un welfare che promuova i comportamenti virtuosi dei singoli; un mondo del lavoro meno ingessato ed inefficiente; un sistema culturalmente più aperto all’innovazione e alla formazione del capitale umano. L’attenzione alla qualità del capitale umano e alla sua valorizzazione è considerata elemento centrale per la crescita in tutti i paesi che vogliono essere competitivi nel XXI secolo. Solo noi non ce ne siamo accorti. Finché tutto questo non cambia, i contratti di serie B rimarranno il massimo che un giovane di belle speranze possa ambire qui in Italia.Alessandro RosinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Solo otto consiglieri regionali under 35 eletti in Lombardia: giovani senza rappresentanza e senza voce- Bamboccioni? Nel libro «L'Italia fatta in casa» Alesina e Ichino spiegano di chi è la colpaE leggi anche gli ultimi editoriali scritti da Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- L'intramontabile Marcello Lippi e la disfatta ai Mondiali: c'è bisogno urgente di un ricambio generazionale- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari- Sanremo e l’arte del finto rinnovamento: spazio ai giovani (vedi Valerio Scanu) a patto che abbiano dietro un grande vecchio (vedi Maria De Filippi)- La lezione di Rita Levi Montalcini: i giovani devono credere in se stessi nonostante tutto e tutti  

1° settembre 2007: tre anni fa nasceva la Repubblica degli Stagisti

La Repubblica degli Stagisti compie tre anni. Giusto giusto il 1° settembre del 2007 andava online il primo post su quello che allora era un piccolo blog neonato sulla piattaforma blogspot.E allora non facciamoci mancare l'amarcord... Eccolo qua, il post che ha dato inizio a tutto!Ne abbiamo fatta di strada, eh?

In tempo di crisi i tirocini aumentano o diminuiscono?

Il 2009, lo sanno anche i muri, è stato l'anno della crisi: «la peggior congiuntura economica dai tempi del crollo del 1929», hanno detto gli economisti. Il mondo imprenditoriale è entrato in sofferenza, gli utili sono crollati, il business si è ridotto, centinaia di migliaia di posti di lavoro sono andati perduti. Le aziende hanno subito cali più o meno significativi del loro giro d'affari: meno commesse, meno vendite, meno eventi, insomma: meno tutto. Questo si è tradotto anche in un concreto calo delle cose da fare negli uffici: e per questo i direttori del personale hanno spesso imposto ai dipendenti di smaltire le ferie arretrate, concesso ponti lunghissimi che in anni di superlavoro sarebbero stati un miraggio, e così via.In questo quadro, la parabola degli stage è ascendente o discendente? Cioé: in un periodo di crisi e scarso lavoro il numero degli stagisti cresce o diminuisce?A rigor di logica si dovrebbe puntare sulla seconda ipotesi: se già c'è poco da fare per i dipendenti regolarmente assunti, gli stagisti si ritroverebbero inevitabilmente a girarsi i pollici. Nelle realtà più sindacalizzate il blocco dei tirocini è stato richiesto esplicitamente dal sindacato: se non c'è lavoro e non vengono rinnovati i contratti ai precari, o ancor peggio vengono messi in prepensionamento, mobilità o cassa integrazione i dipendenti, vuol dire che questo non è il momento per aprire le porte agli stagisti.C'è però sempre in agguato il lato oscuro della forza - e cioé la convenienza di un tirocinante. Che non costa nulla, vuole imparare, magari qualcosa già lo sa fare, è entusiasta, non comporta esborso di contributi, e si può tranquillamente lasciare a casa al termine dello stage. Quindi le imprese meno serie potrebbero aver scelto, proprio per fronteggiare la crisi, di usare ancor più massicciamente gli stagisti, per disporre di personale a costo quasi zero e abbattere così la voce "costo del lavoro" sul bilancio.Quale delle due strade avrà imboccato l'Italia? Tra poco lo sapremo. Entro qualche settimana sarà infatti pubblicato il nuovo rapporto Excelsior, che fotograferà gli stage svolti nel corso del 2009 nelle imprese private italiane. Negli ultimi anni questa indagine ha evidenziato che il numero degli stage è cresciuto al galoppo, con percentuali a due cifre. La crisi avrà arrestato questa corsa? Lo vedremo.Certo nell'attesa si può già fare una considerazione preventiva. Se il numero degli stage sarà diminuito, o sarà rimasto invariato rispetto a quello (305mila) dell'anno scorso, vorrà dire che le imprese avranno imboccato la via della correttezza. Se invece, malgrado la crisi, il numero sarà ancora una volta aumentato, bisognerà porsi alcune importanti domande sullo stato dell'imprenditoria italiana e sul malcostume di utilizzare gli stagisti per risparmiare sul costo del personale.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Quanti sono gli stagisti italiani? Tutti i dati regione per regione, tratti dall'indagine Excelsior 2009- Rapporto Excelsior 2009: sempre più stagisti nelle imprese italiane, sempre meno assunzioni dopo lo stage

Quanti sono gli stagisti negli enti pubblici italiani? Nessuno lo sa. L'appello della Repubblica degli Stagisti a Brunetta: ministro, ce lo può dire?

Dall'ultimo rapporto di Almalaurea sul Profilo dei laureati emerge che tra quelli proclamati "dottori" nel 2009 ben 103.550 han fatto almeno uno stage durante il percorso di studi. A questo dato, di per sé interessante, ne consegue un altro: considerando che il 32,5% di essi lo ha svolto in un ente o azienda pubblica, e un altro 19,9% direttamente all'interno dell'università – che nella maggior parte dei casi è statale – il numero degli stagisti negli enti pubblici è superiore a 54mila. E stiamo parlando esclusivamente degli studenti universitari: a questa stima mancano pezzi numericamente importantissimi come gli studenti delle scuole superiori, i diplomati, i laureati, gli studenti di master e corsi extrauniversitari.54mila all'anno, contando solo gli universitari. La Repubblica degli Stagisti lancia allora un appello al ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta: ministro, lei che ha fatto della trasparenza uno dei baluardi della sua attività di governo, renda trasparente questo dato. Ci dica quante sono in tutto le persone che ogni anno fanno stage negli uffici pubblici, dai ministeri alle regioni, dai comuni ai tribunali, dalle asl alle municipalizzate. È un'informazione importantissima per capire meglio l'universo stage italiano. Ed è quasi incredibile che, mentre un "censimento" degli stagisti nelle imprese private, per quanto approssimativo, esiste da almeno due anni – si trova nel rapporto annuale Excelsior di Unioncamere, secondo cui nel 2008 sono stati 305mila gli stagisti accolti nelle aziende italiane – invece per gli enti pubblici il mistero sia tanto fitto.Il ministro risponderà all'appello?La Repubblica degli Stagisti promuove anche una raccolta di firme a sostegno di una proposta: che gli stage negli enti pubblici valgano qualche punto in sede di concorso. La proposta, che ha già oltre 130 firmatari, può essere sostenuta sottoscrivendola a questo link.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La carica dei centomila studenti stagisti: i nuovi dati di Almalaurea sui tirocini svolti durante l'università- Identikit degli stagisti italiani, ecco i risultati: troppo spesso i tirocini disattendono le aspettative- Rapporto Excelsior 2009: sempre più stagisti nelle imprese italiane, sempre meno assunzioni dopo lo stage

L'intramontabile Marcello Lippi e la disfatta ai Mondiali: c'è bisogno urgente di un ricambio generazionale

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un Paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti.[E grazie ad Arnald per la vignetta]L’uscita ingloriosa della nazionale di calcio italiana dal Mondiale fornisce lo spunto per una riflessione sui meccanismi perversi che regolano il ricambio generazionale nel nostro Paese. La nostra classe dirigente nel migliore dei casi è costituita da persone come il sessantaduenne Marcello Lippi. Grandi vecchi che pensano di essere intramontabili, di essere la soluzione adatta per tutte le stagioni. Hanno magari ottenuto successi importanti in passato, e per Lippi è stato senz’altro così, ma non capiscono quand’è il momento giusto per mettersi da parte. E così, un Paese che ha tutte le potenzialità per crescere, si ritrova guidato da persone con una storia alle spalle ma poca visione di quello che serve per vincere le sfide del presente e del futuro. Il mondo cambia sempre più velocemente, mentre la nostra classe dirigente è sempre più ostinata a mantenere le sue posizioni. Non capendo che i fattori che hanno determinato il successo di ieri non garantiscono necessariamente il successo di domani. In questo modo si lascia però anche poco spazio alle nuove generazioni e alla possibilità di innovare l’approccio verso le nuove sfide, che rimettono sempre in discussone le vecchie soluzioni. Questo significa anche rischiare e quindi poter sbagliare. Ma l’errore di un giovane che sperimenta è utile perché consente di imparare e crescere. L’errore di un vecchio serve solo per finire ingloriosamente una carriera.Aiutiamo allora i grandi vecchi a non fare la fine di Lippi, facendo del male a se stessi e al Paese. Si potrebbero proporre anche scelte drastiche. Come ad esempio, stabilire che dopo i sessant’anni si lascino le cariche più importanti, potendo ricoprire ruoli che valorizzino l’esperienza - come supporto e consiglio - ma non siano direttamente decisionali. Si dirà che così facendo si rischia di privarsi di alcuni anziani ancora in grado di svolgere ad alto livello una funzione di leadership. Forse sì, ma io penso sia molto maggiore il danno attuale dei troppi illustri e meno illustri intramontabili che non ci stanno a farsi mettere da parte tenendo in ostaggio la crescita del Paese e frenando l’emergere di visioni ed idee nuove.Alessandro RosinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Solo otto consiglieri regionali under 35 eletti in Lombardia: giovani senza rappresentanza e senza voce- Bamboccioni? Nel libro «L'Italia fatta in casa» Alesina e Ichino spiegano di chi è la colpaE gli ultimi di Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari- Sanremo e l’arte del finto rinnovamento: spazio ai giovani (vedi Valerio Scanu) a patto che abbiano dietro un grande vecchio (vedi Maria De Filippi)- La lezione di Rita Levi Montalcini: i giovani devono credere in se stessi nonostante tutto e tutti

Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti. L'editoriale è stato pubblicato anche sulla pagina Facebook di Nidil - Cgil Milano, sindacato dei lavoratori atipici.Ad un certo punto ci si può anche stancare. M’immagino il giovane italiano come un incazzato al quadrato.In primo luogo, nei confronti delle generazioni più vecchie per la condizione in cui sono state messe le nuove generazioni. I dati dell’ultimo rapporto Istat sono un’ulteriore conferma di quanto i costi delle mancate riforme, del mancato sviluppo, della difesa ad oltranza dei piccoli interessi di parte, siano state fatte ricadere sui più giovani. Che ora si trovano con un enorme debito pubblico sulle spalle, con scarse opportunità occupazionali e di remunerazione, con futura pensione da fame, con un sistema di welfare che fa acqua da tutte le parti. Costretti a trent’anni a dipendere ancora dai genitori perché il lavoro non c’è o è precario e si è sottopagati.In secondo luogo, incazzato anche nei confronti dei propri coetanei. Mi immagino, infatti, che l’ipotetico giovane si chieda: Come abbiamo potuto accettare che tutto accadesse? Lasciare che in questi quindici anni qualsiasi scelta politica fosse sempre sistematicamente a danno delle nuove generazioni? Dove eravamo noi giovani? Troppo immaturi per capire o per votare (e votare chi, poi)? Forse sì. Ma cosa possiamo fare ora? Certamente non limitarci a piangerci addosso.L’Italia ha bisogno di una piena partecipazione attiva dei giovani, non di giovani passivi e sfruttati. L’Istat dice che ci sono oltre due milioni di under 30 a spasso, che non lavorano e non studiano? Con un esercito così si potrebbe fare una rivoluzione, perché invece nulla accade? Perché non invadono simbolicamente una piazza? Perché non occupano pacificamente un palazzo del potere? Il giovane solo, che aspetta nella casa dei genitori che i tempi migliorino, è un perdente. Una generazione che si mobilita può ottenere qualsiasi cosa.Alessandro RosinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Giovani e disoccupazione, binomio sempre più stretto: l'Istat traccia un quadro cupo per le nuove generazioni in cerca di lavoroE anche:- Caro Celli, altro che emigrare all’estero: è ora che i giovani facciano invasione di campo e mandino a casa i grandi vecchi- Chance ai giovani, Bangladesh - Italia uno a zero. A quando anche qui un microcredito "alla Yunus" per aiutare i ragazzi a diventare indipendenti?

Giornalisti freelance, sì alla reintroduzione del Tariffario: ma i compensi minimi devono essere più realistici. E vanno fatti rispettare con controlli e sanzioni

Da una parte della barricata c'è l'Ordine dei giornalisti col suo Tariffario quasi irreale (e peraltro caduto in disuso). Dall'altra le centinaia di testate giornalistiche che pagano i collaboratori una miseria, come è emerso dalla ricerca «Smascheriamo gli editori» realizzata dal segretario del consiglio nazionale dell'Odg Enzo Iacopino. In mezzo ci sono migliaia di giornalisti, pubblicisti e professionisti, nella maggior parte dei casi giovani, che si arrabattano mettendo insieme collaborazioni da poche decine di euro a pezzo, che non si possono permettere di scovare le magagne o di criticare i centri di potere perché si sentono (e hanno) le spalle scoperte, che quando vanno a proporre un pezzo sono alla mercè non soltanto degli editori ma anche dei direttori e dei singoli caporedattori. Giovani che spesso alternano (con conseguenze facilmente intuibili e poco edificanti) l'attività giornalistica con quella di ufficio stampa, pur di riuscire a mettere insieme uno stipendio decente. E' il momento di fare chiarezza, e dire con coraggio che un articolo non vale né 342 euro né 2,50. Nessuno dei due prezzi è giusto: né quello esoso suggerito dal Tariffario, che molti giornali non vogliono o non possono pagare, né quello miserevole che alcune testate impongono ai propri collaboratori, sicure che nessuno avrà il coraggio di denunciare e soprattutto che né l'Ordine né il sindacato avranno il potere di sanzionare.Il Tariffario del resto è il frutto dell'organo che l'ha prodotto. L'Ordine è composto in prevalenza di giornalisti coi capelli bianchi, spesso pensionati, e ha per questo parecchia difficoltà a comprendere la realtà di oggi. Ragiona ancora con gli schemi di qualche anno fa e stenta a capire che accanto ai giornalisti di vecchia data, ben protetti dall'articolo 1 del contratto di lavoro che li mette al riparo da licenziamenti (e giudizi sull'efficienza e la qualità del loro lavoro) e sicuri di ricevere alla fine del mese un ottimo stipendio, vi è una schiera sempre più folta di giornalisti freelance, tenuti fuori dalle redazioni e sottopagati, per i quali i compensi minimi indicati nel Tariffario sono quasi uno schiaffo. Uno sberleffo alla loro situazione: come potete dire che dovrei essere pagato 100 euro per ogni articolo, se non riesco a convincere il giornale a darmene nemmeno 20?Allo stesso modo, gli editori hanno buon gioco a eludere compatti una regola se essa è irragionevole: e la legge della domanda e dell'offerta rafforza la loro posizione, perché hanno a disposizione tanti - troppi - giornalisti disposti a lavorare per poche briciole pur di vedere la propria firma sulla pagina. Nel caso del web il problema si eleva a potenza: in questo settore sono davvero poche le testate che si comportano bene e rispettano il valore del lavoro giornalistico. La Repubblica degli Stagisti è fra questi, e ne va fiera: paga mediamente 40 euro lordi per ogni articolo, il che non è ancora perfettamente in linea con quanto suggerito dal Tariffario 2007, ma è il doppio o addirittura il triplo di quanto la maggioranza delle testate web (tra cui anche molte blasonate) paga i collaboratori. Buona, ottima idea sarebbe quella di ripristinare il Tariffario. Ma a due condizioni: aggiornarne i contenuti per renderlo aderente alla realtà, e dare all'Ordine o alla Fnsi precisi compiti (e poteri) di controllo e di sanzione nei confronti di quelle testate che non vi si adeguano. Rispetto al primo punto, la discussione è aperta. Qual è il prezzo giusto del lavoro giornalistico?Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Collaboratori pagati «a pezzo», qual è il prezzo giusto? Ecco cosa suggerisce il Tariffario con i compensi minimi per le prestazioni giornalistiche- Articoli pagati 2,50 euro e collaborazioni mai retribuite. Ecco i dati della vergogna che emergono da una ricerca dell'Ordine dei giornalistiE anche:- Da 250 a 600 euro: quanto costa diventare giornalisti pubblicisti e quali sono le altre differenze tra le varie regioni- Crisi dell'editoria: per i neogiornalisti il futuro è incerto - Pianeta praticanti: inchiesta della Repubblica degli Stagisti