Con Spillover imparare la scienza è un (video)gioco da ragazzi

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 28 Lug 2014 in Articolo 36

StagistiInsegnare la scienza ai ragazzi attraverso un videogioco. Di questo si occupa Spillover, ultima creatura di Selene Biffi. Nata 32 anni fa a Monza, si è laureata alla Bocconi di Milano ed ha conseguito un master tra lo University College di Dublino e l'Universidad de Deusto, in Spagna. Ha lavorato sia in India che in Afghanistan, diventando un punto di riferimento per tutto l'ecosistema. Tanto che l'allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera la volle nella task force che elaborò il dossier Restart Italia!, dal quale è nata la legge 221/12.
Spillover è la quinta azienda fondata da Biffi. La prima fu nel 2005 YAC, piattaforma di elearning che forniva corsi online gratuiti per i giovani di 130 Paesi del mondo, quindi venne Forgotten Diaries, portale di citizen journalism per raccontare i conflitti dimenticati. Dopo essere stata in Afghanistan per conto delle Nazioni Unite, nel 2010 ha fondato Plain Ink, organizzazione attiva in Italia e in India che racconta, tramite fumetti e libri per bambini, strategie di lotta alla povertà. Lo scorso anno ha aperto a Kabul The Qessa Academy, scuola che insegna ai ragazzi disoccupati il mestiere di cantastorie. E sempre lo scorso anno ha lanciato Spillover.
Se c'è un filo conduttore in questa biografia così densa è la diffusione della conoscenza. «Ho sempre lavorato in contesti nei quali l'istruzione è difficile e ho toccato con mano la differenza che 
può fare. Io cerco di sopperire a quei bisogni che non vengono colmati dalla scuola», racconta via Skype dalla Singularity University, in Silicon Valley, dove è impegnata in un programma di formazione di dieci settimane. Al quale partecipa grazie ad un premio ottenuto dalla sua ultima start-up.

«In realtà è un'idea che avevo in mente da due anni, continuo sul fil rouge del mio lavoro negli ultimi dodici: l'istruzione non formale, tutto quello che non è scolastico». Nata a settembre 2013, il mese successivo è stata presentata allo Smau di Milano. Anche se il primo videogioco è stato lanciato ad aprile del 2014: protagonista della storia un agente segreto che deve ritrovare alcuni scienziati per riuscire a sconfiggere l'Ombra. Giocando i ragazzi - il videogame è pensato per i bimbi dagli 8 anni in su - imparano alcuni principi scientifici. Il modello è quello freemium: un'anteprima gratuita e la versione completa in vendita a 3,59 euro.
Disponibile al momento solo per iPad: «abbiamo già ottenuto risultati interessanti in termini di download, ma non facciamo disclosure». Così come resta top secret, ma questa volta per contratto, l'importo del finanziamento seed che questa start-up ha ottenuto da AngelLab Ventures. «Posso dire che questi fondi mi hanno permesso di creare un team di otto persone e di uscire con un primo videogioco nel giro di sei mesi». La squadra di Spillover conta alcune figure full time, come il programmatore, altri in collaborazione, come gli illustratori. Iscritta nel registro delle start-up innovative come azienda a vocazione sociale, i prossimi passi di questa realtà sono la pubblicazione di nuove storie e la creazione di una versione per il web e di una per gli smartphone, visto che ad oggi è utilizzabile solo da chi usa i tablet di casa Apple.
A Selene Biffi però è impossibile non chiedere come giudichi l'impatto della legge sulle start-up che ha contribuito a scrivere:
«Credo che i frutti siano sotto gli occhi di tutti» afferma: «siamo i primi in Europa ad avere una legge sul crowdfunding, poi ci sono gli sgravi fiscali, la riduzione del costo del lavoro, gli incentivi per l'investitore. Ed anche la certificazione per gli incubatori, che specifica tutti i servizi che queste realtà devono fornire». Eppure c'è chi dice, come il presidente della Fondazione Mind the Bridge Alberto Onetti, che quella delle start-up è una bolla che preso esploderà. «Sono d'accordo, c'è stato un boom sia in termini di nuove aziende che di concorsi e competizioni dedicate». E se questo fermento è positivo, «il problema è a monte ed è di tipo culturale: mancano la formazione e la mentalità. Quando dico queste cose divento impopolare: tutti possono fare start-up, ma non nel tempo libero. Si tratta di lavorare 15 ore al giorno, senza guadagnare dei soldi, per cercare di creare un prodotto che forse funziona e forse no». E allora l'idea di diventare imprenditore in un Paese dove la disoccupazione giovanile è al 36% è appetibile. Ma «il discrimine tra chi lo fa davvero e chi cerca lo status sono i sacrifici che si fanno per tirar fuori la propria idea».

Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it

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