Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud

Annalisa Di Palo

Annalisa Di Palo

Scritto il 01 Nov 2010 in Approfondimenti

A fine settembre l'Istat, Istituto nazionale di statistica, ha diffuso i risultati dell'indagine «Ingresso dei giovani nel mercato del lavoro», avviata l'anno precedente per fotografare nel periodo aprile-giugno 2009 la situazione di quasi 14 milioni di italiani tra i 15 e i 34 anni che passano dal mondo della formazione a quello dell'occupazione. Lo scopo è quello di migliorare l'informazione sul tema: «le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro sono determinate dalla scarsità dei canali di informazione», oltre che «dalle inefficienze del sistema pubblico di intermediazione». Non a caso il 55% dei giovani dopo gli studi trova lavoro tramite parenti e amici (i "canali informali") e meno del 5% si serve di centri per l'impiego e agenzie del lavoro (i "canali formali professionali"); nel mezzo, con il 20% a testa, quanti inviano candidature spontanee o rispondono a inserzioni su web e stampa.

Lo stage è una delle vie per muovere i primi passi nel mondo del lavoro, soprattutto per chi ha alti livelli di istruzione: se tra i diplomati il 22% dopo svolge almeno un programma di tirocinio, tra i laureati la percentuale si alza al 36% e, tornando indietro all'università, si scopre poi che ben il 41% dei laureati tra il 2007 e il 2009 ha svolto almeno uno stage mentre studiava. Nei primi anni del 2000 - continua il rapporto - erano il 35%. L'indagine evidenzia poi come in Italia i momenti di alternanza studio-lavoro - nei quali si fa rientrare anche l'apprendistato - vengano utilizzati poco nella formazione secondaria, quando invece la tendenza auspicabile sarebbe quella di anticiparli il più possibile come "ipoteca" per il futuro. 

Parlando di contratti di lavoro, l'Istat dà numeri preoccupanti: tra i laureati del biennio 2007-2009 quasi la metà non ha mai avuto esperienze di lavoro, contro il 24,9% del biennio 2005-2007 e il 14,2% di quello 2003-2005: un dislivello del 34% in quattro anni. La disoccupazione, pur aumentando per tutti, è direttamente proporzionale al grado di istruzione: più si studia, più difficilmente si trova lavoro. Non si tratta del resto solo di quantità di lavoro disponibile: avere un buon titolo di studio non assicura un lavoro ad alta specializzazione - quasi la metà dei diplomati e laureati del secondo trimestre 2009 hanno un titolo superiore a quello richiesto per il la loro attività. Chi un impiego ad ogni modo ce l'ha, ma a tempo determinato, dopo ha alte probabilità di rimanere a casa: nel biennio 2007-2009 il 64% degli occupati a termine sono scivolati nell'area dell'inoccupazione.

C'è poi il capitolo Mezzogiorno, dove il livello di criticità è ancora più alto. Si studia di meno: più di un terzo si ferma alla licenza media (la maggior parte sono uomini), mentre ottiene un diploma il 55,3%, a fronte del 72,4% del centro e del 68,7% del nord. E si lavora di meno: solo poco più della metà del campione al momento della rilevazione ha dichiarato di aver avuto esperienze di lavoro dopo gli studi, contro l'83% del centro-nord. Ci si mette anche di più per iniziare a lavorare: i meridionali impiegati entro un anno dalla fine degli studi sono il 15,8% del totale nazionale, contro il 38,7% del nord e il 34,9% del centro. Tra questi pochi fortunati, sempre meno donne: ben il 55,7% a studi conclusi rimane con le mani in mano, contro il 33,7% degli uomini. Molto più alta, infine, la percentuale di inattivi e disoccupati: 20% al nord, 48% al sud.

Peccato che lo stage in questa rilevazione non emerga come fenomeno distinto dagli altri, anzi venga addirittura assimilato all’apprendistato. Ma stage e apprendistato sono cose diverse, che non andrebbero messe nello stesso calderone. Se rimane il principio comune del learning by doing, cambiano infatti i diritti: l'apprendistato è un vero e proprio rapporto di lavoro, con tanto di stipendio, contributi e ferie, tutte chimere per un tirocinante. Sarebbe stato utile avere invece dall’Istat un quadro specifico dello stage per capire quali prospettive occupazionali apre, e forse anche strategico per decidere quanti soldi pubblici investire in questi programmi formativi, e con quali modalità. Chissà, magari sarà per la prossima volta.

 

Annalisa Di Palo
(e grazie ad Arnald per la vignetta)

 

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:

- Giovani e disoccupazione, binomio sempre più stretto: l'Istat traccia un quadro cupo per le nuove generazioni in cerca di lavoro

- Dalla parte dei laureati - lo stage serve per trovare lavoro?

Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?


 

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