Tirocini curriculari, il rimborso deve esserci perché «fa parte dell'esperienza»

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 04 Ott 2018 in Notizie

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«Se lo stage è uno strumento per avvicinare al lavoro chi fino a quel momento ha studiato, ricevere un compenso fa parte dell'esperienza di lavoro. La persona deve ricevere tutto il “package”: quindi anche soldi per il lavoro che sta facendo». Parole sante, verrebbe da dire, pronunciate da Manuela Kron, responsabile della Comunicazione istituzionale di Nestlé Italia, azienda del circolo virtuoso della Repubblica degli Stagisti, nel suo intervento alla conferenza stampa per la presentazione della proposta di legge sui tirocini curriculari quelli svolti  mentre si studia. Alla stesura del testo, il cui primo firmatario è il giovane deputato PD Massimo Ungaro, abbiamo attivamente collaborato anche noi della Repubblica degli Stagisti, che da anni ci battiamo per la regolamentazione degli stage curriculari.

Stage curriculari che per la cronaca sono circa 200-250mila ogni anno, ma la cifra è a spanne non esistendo un monitoraggio ufficiale (e le ragioni sono spiegate in questo editoriale). Percorsi formativi per i quali non è obbligatorio erogare una indennità mensile, come la legge prevede invece per gli stage extracurriculari, e che quindi si svolgono sostanzialmente gratis a meno che l'azienda non si dimostri particolarmente generosa. Un controsenso perché – proprio come dice Kron
  ricevere un compenso «fa parte dell'esperienza». E riconosce anche un valore al tempo e all'energia che ogni giovane dedica allo stage.

La proposta principale del testo di
Ungaro un passato decennale nel Regno Unito, «dove la campagna contro gli stage gratuiti va avanti da molto tempo» è che «l'indennità sia pari almeno a 350 euro al mese». Unica eccezione sarebbero gli stage della durata di meno di un mese (160 ore), «ma sopra queste tempistiche il rimborso deve esserci, altrimenti il tirocinio diventa un veicolo di immobilismo sociale che solo alcuni possono permettersi».

Tra le novità elencate da Ungaro c'è anche una diminuzione della durata massima, «limitata a tre mesi nel caso di lavori manuali, a sei in caso di mansioni di concetto», perché il «tirocinio è utile se si tratta di un'esperienza formativa, non se si trasforma in lavoro a basso costo». E ancora la nuova regolamentazione prevederebbe la comunicazione dell'avvio dello stage all'Ispettorato del lavoro in modo da consentirne la mappatura. E poi niente turni festivi o notturni per gli stagisti curriculari, divieto di sostituire lavoratori in malattia o che stanno scioperando, quote massime rispetto al numero dipendenti. «Tutte cose di buon senso» commenta Ungaro, «in un Paese che non dà ancora attenzione sufficiente ai giovani e non pensa alla giustizia intergenerazionale».

Delle migliorie nel settore degli stage sono già state fatte. «Tra il 2012 e il 2014 le istituzioni sono intervenute e la vita degli stagisti è migliorata» precisa Voltolina, riferendosi in particolare alla legge-pilota della Regione Toscana del 2012, e poi all'approvazione delle linee guida sui tirocini extracurricolari nel 2013 in sede di conferenza Stato-Regioni con tutte le conseguenti normative regionali da lì discese. «Ma questo è avvenuto solo per la metà degli stagisti». Oggi ci sono dunque da una parte tirocinanti extracurriculari che godono di varie tutele e dall'altra parte «stagisti studenti che invece si devono rifare a una normativa che ha vent'anni
– mi riferisco al decreto ministeriale 142/1998 al punto che alcune prescrizioni vanno in conflitto con le normative regionali fatte per gli extracurriculari, perché la differenziazione non esiste da sempre, e certo non esisteva nel 1998». Ma serve proprio una nuova legge? Secondo Voltolina «in questo caso non si può fare altrimenti, per uscire dal paradosso della compresenza di tirocinanti di serie A e serie B, e introdurre garanzie simili».

Tra l'altro, come sottolinea Valeria Cotza, responsabile Scuola e università di FutureDem, spesso i tirocinanti sono «disposti a tutto per assicurarsi un contratto dopo», esponendosi quindi al rischio di «un ricatto anche economico».
I tirocini «vanno riconosciuti, e non si può solo e sempre ragionare in termini costi ma anche in diritti e tutele» rincara Chiara Gribaudo, deputata PD.

Alla fine, dalla platea arriva la domanda di un ragazzo, Federico: «Non temete che così si possa ridurre il numero di aziende disposte a attivare tirocini?». Secondo Ungaro no: ciò che serve è proprio «una battaglia culturale contro ogni forma di lavoro non retribuito». D'altronde se lo stage non prevede indennità, vuol dire «quella mansione non reca valore alla azienda, quindi non dovrebbe esistere». Ma anche i numeri smentiscono questo scenario. Ricorda Voltolina che «si diceva lo stesso per gli extracurriculari nel 2011-2012, prima che venisse introdotto il rimborso obbligatorio». Eppure a oggi il numero complessivo di tirocini è aumentato. Si sono solo date «le stesse opportunità, anzi di più, con una maggiore qualità».


Ilaria Mariotti 

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