Zara: per fare il commesso serve lo stage. E così l'azienda risparmia

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 04 Feb 2013 in Notizie

Uno stage per diventare commessa: sembra un paradosso e invece è una realtà per il colosso dell'abbigliamento Zara. Sul forum della Repubblica degli Stagisti tempo fa era arrivata la segnalazione di Darietta, che scriveva di aver ricevuto, proprio da Zara «una proposta di stage per trecento euro al mese per otto ore lavorative giornaliere. Per accrescere la professionalità come commessa, una vergogna!». Da allora nulla è cambiato: basta fare un giro sul portale di recruiting di Inditex (gruppo che comprende Zara, Pull&Bear, Stradivarius e Massimo Dutti) per constatare che le offerte di stage per addetti vendita sono pubblicate in bella vista (ed è curioso che ce ne siano solo per l'Italia e nessun altro Paese europeo). Eccone una: a Sassari si cerca uno stagista addetto alle vendite full time e con  diploma o laurea conseguiti da non più di dodici mesi (assicurato però un rimborso spese più buoni pasto). Ma possibile che serva un titolo accademico, e un periodo di formazione aggiuntiva, per imparare a vendere o fare da assistente in negozio? Peraltro in negozi come Zara dove i commessi non si occupano di seguire i clienti, che nella maggior parte dei casi si arrangiano da soli, ma di tenere l'ordine e smistare i capi? La Repubblica degli Stagisti ha provato a contattare l'ufficio stampa di Inditex per chiedere spiegazioni, ricevendo picche. «Siamo un gruppo troppo grande per poter fornire risposte in tempi brevi» affermano. E anche se la Repubblica degli Stagisti ha avuto pazienza, e ha aspettato molte settimane, nemmeno così le risposte sono arrivate. 
E pure chi dovrebbe difendere la categoria cade dalle nuvole: «Non è mai emerso nulla da delegati regionali sul problema degli stagisti dentro i negozi di Zara» giura Sabina Bigazzi, funzionaria nazionale di Filcams. Dissociandosi però in modo netto: «Per me uno stagista in negozio non ci dovrebbe essere mai, è solo manodopera a costo zero o sottopagata. Tuttavia io posso intervenire sull'abuso, se si è nei parametri di legge ho le mani legate, posso contestarli solo sul piano sindacale e politico». E infine assicura: «Voglio verificare. Forse è un problema rimasto in ultima fila tra quelli che abbiamo affrontato». 
Beatrice Cimini, funzionario Filcams del Lazio, è certa invece che quello degli stage in negozio sia un fatto appurato e sempre più comune. A Roma per esempio, dove sono otto i negozi del marchio, gli stagisti sono circa dieci, hanno un rimborso di 300 euro mensili per 40 ore lavorative, e usufruiscono di 22 buoni pasto legati alle presenze. Quanto alla durata, in genere si tratta di tre mesi, rinnovabili, ma il dato si ricava solo dalle segnalazioni ricevute, spiega la Cimini (che proprio di Zara si occupa): l'azienda infatti non specifica mai nell'annuncio quanto durerà. Quanto all'uso dello stage «è legale e costa di meno. Gli stagisti/commessi vengono pagati poco, e la società risparmia» chiarisce. L'unico svantaggio è che «il personale è meno disposto a svolgere a un costo minore le stesse mansioni di chi è assunto e per questo si fa più fatica a reperirlo». Un uso a dir poco distorto dello stage che non fa onore a questa azienda. Recita l'articolo 18 della legge 196 del 1997 che il tirocinio è creato «al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro». È chiaro che la legge si rivolge a professioni di alto profilo, per cui è necessario un tempo di apprendimento. Ma purtroppo molti "soggetti ospitanti" puntano invece solo al risparmio. Eppure il gruppo di cui fa parte Zara assicura ai dipendenti un trattamento di tutto rispetto. Paolo P., commesso di un negozio del centro di Roma, descrive alla Repubblica degli Stagisti cosa viene riservato a chi entra in azienda con regolare contratto di lavoro. «Si fa prima un contratto determinato, di uno o tre mesi a seconda se si sceglie il full o il part time». Dopodiché «al terzo rinnovo, se il neoassunto piace al responsabile, scatta il contratto a tempo indeterminato», provvisto di tutte le ormai rarissime tutele del caso (maternità, ferie pagate etc.). Gli stipendi sono discreti: 600/700 euro netti per un part time di 18 ore, salendo  fino a 1200 euro netti per un tempo pieno di 40 ore settimanali. E poi le possibilità di carriera ci sono, spiega il commesso: «Se vali puoi, attraverso un percorso piramidale, diventare viceresponsabile junior di un negozio, essere promosso responsabile prodotto e arrivare pure agli uffici come responsabile nazionale». Facendo un rapido calcolo, solo su Roma, utilizzando dieci stagisti a 300 euro al mese al posto di lavoratori regolarmente assunti, Zara risparmia ben 9mila euro al mese, che spalmati su tre mesi di stage fanno 27mila euro, e addirittura 54mila su sei mesi. Un vantaggio non da poco.
Del resto Zara non è l'unica catena a fare uso degli stage in negozio. È apparso di recente sul portale Jobsoul un annucio della multinazionale Kiabi che cerca per 400 euro mensili e un full time di cinque giorni settimanali - weekend inclusi - «studenti giovani e motivati che hanno voglia di imparare e fare una prima esperienza nel mondo della grande distribuzione». Qui lo stagista non starà certo con le mani in mano, specificano: dovrà imparare nozioni come «etichettaggio, sistemazione e impiantazione del prodotto». Ma questo solo nella prima fase. Nella seconda, a cui – spiegano - arriva solo chi ha «compreso, praticato ed interiorizzato le basi del mestiere di addetto vendita», il candidato dovrà gestire in autonomia un perimetro del negozio e in particolare imparare cose come la «tenuta del perimetro e la regola delle tre P (Pieno, Prezzo, Pulito)» o «l'aggressività del prezzo». E il bello viene ora: la condizione per candidarsi è essere studente o neolaureato in Lettere e Filosofia. Altro che gli sbocchi nell'insegnamento o nel giornalismo: ora a chi viene dalla formazione umanistica tocca andare a vendere. L'azienda, contattata dalla Repubblica degli Stagisti, si rifiuta di commentare: dunque non resta che tornare all'annuncio, in cui si legge che lo stage serve a «scoprire la base del mestiere di responsabile di reparto. È una prima esperienza che permette di capire l’importanza della relazione con i clienti e del merchandising». Ma soprattutto che lo stagista deve «contribuire a sviluppare il fatturato del proprio perimetro». E per fortuna che dovrebbe essere formazione. 


Ilaria Mariotti


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