Servizio civile tutto da rifare: le proposte ci sono, ma mancano i soldi

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 29 Giu 2013 in Approfondimenti

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Per far ripartire il Servizio Civile Nazionale occorrono investimenti, finanziamenti certi. Lo sa bene Giovanni Bastianini, direttore della Comunicazione della Protezione Civile: «L'ex ministra Idem ha trovato una situazione finanziaria che avrebbe permesso l'avvio al servizio di 12mila giovani. Con qualche manovra è arrivata a un plafond che permetterà di passare a 15mila volontari: siamo oltre le condizioni minime perché l'istituto sopravviva». Parole che pesano come macigni - vista la situazione in cui versano le casse dello Stato - al convegno organizzato di recente dall'Arel a Roma, in cui si è parlato di un modello di riforma del servizio civile. Bastianini è uno dei componenti del gruppo di lavoro che ha analizzato la situazione del Servizio civile nazionale nell'ambito dell'Osservatorio Giovani, su commissione dei deputati Pd Marianna Madia e Edoardo Patriarca, e ha messo sul tavolo una serie di idee per ripensarlo e dotarlo di maggiore rilevanza a livello politico. Ed è lui a specificare che «condizione affinché il servizio civile non scompaia è che non venga cancellato dall'azzeramento degli stanziamenti». Al contrario, «dovrebbe esserci una quota fissa, esattamente come avviene per il sistema della Difesa» e che si rinnova di anno in anno. Altrimenti non si va da nessuna parte.

Finora infatti uno dei problemi dell'istituto è stato proprio quello di essere privo di uno «status autonomo», da sempre visto come «contraltare del servizio militare»: un percorso per chi, contrario all'uso delle armi, volesse intraprendere una strada alternativa, di volontariato e pacifista. Tutto questo fino agli anni della leva obbligatoria (2005). Di lì in poi è stato trattato un po' come figlio di un dio minore delle politiche giovanili attuate (già di per sé quasi inesistenti). Una via per valorizzarlo, a detta di Bastianini, è quella allora di ritornare alle origini dell'obiezione di coscienza e di concepirlo come strumento non militare di difesa della patria. Farlo diventare un mezzo a disposizione dei giovani dai 18 ai 28 anni per sentirsi parte della collettività, «cittadini e non più consumatori». «Un tipo di difesa che richiede umanità, intelligenza, sensibilità e non uso della forza»,chiarisce. Ma non solo andando a tappare i buchi del welfare (non c'è niente di male purché venga fatto con una programmazione preventiva, si dice al convegno), bensì utilizzandolo come «strumento aggiuntivo di risorse umane» soprattutto nella dimensione territoriale: verso settori bisognosi come le periferie («dove i giovani non ricevono alcuna proposta di impiego delle proprie capacità» denuncia l'esponente della Protezione civile), nelle carceri, dove si impara solo «a essere malviventi migliori», nei centri a presenza mafiosa, là dove si annida l'abbandono scolastico. E poi nel recupero del patrimonio culturale e ambientale, di cui ultimamente si fa un gran parlare come possibile asset strategico del Paese. La proposta di Bastianini è insomma di impiegare così i giovani: in progetti annuali (mai a titolo gratuito: va ricordato che è previsto un rimborso mensile di 430 euro circa), in cui sia «lo Stato e non più gli enti accreditati a proporre i progetti».


A tracciare le linee guida di una versione più moderna e efficace del servizio civile ci ha pensato anche Maurizio Ambrosini [a sinistra], del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell'università di Milano. Le valenze dell'istituto devono essere cinque: «occupazionale, formativa, solidale, integrativa del welfare, orientata alla cittadinanza attiva» scrive nella sua relazione. Il servizio civile va visto come «un'alternativa ai lavoretti, un'opportunità di orientamento che va incontro alle esigenze dei ragazzi più in difficoltà come quelli del Sud». Ma guai a considerarlo solo come «un succedaneo dei posti di lavoro che mancano o come un escamotage fare contratti al ribasso», avverte: piuttosto lo scopo è renderlo una chance formativa, di «apertura al mondo e di fuoriscita dalla socialità ristretta». I giovani devono pensare secondo Ambrosini, di «inserire nella propria biografia un anno di servizio alla comunità». Il professore però è meno critico verso l'ipotesi che lo si usi per sostituire i servizi di welfare messi a rischio dalla crisi: «Avere a disposizione dei giovani del Servizio Civile può consentire di tenerne in piedi alcuni. Soprattuto nelle realtà piccole e più legate al volontariato può offrire un presidio relativamente stabile e continuativo».

Anche per lui è fondamentale che i giovani coinvolti diventino cittadini consapevoli e attenti ai problemi della comunità locale. E lo è altrettanto abbattere le criticità, come la questione degli enti senza programmi strutturati che improvvisano sulle attività da realizzare, prive di programmazione (è così nel 35% dei casi secondo Ambrosini, mentre solo nel 40% dei casi esiste un ufficio apposito all'interno degli enti accreditati che si dedica ai progetti per l'impiego dei volontari). Ed è infine imprescindibile ammodernare la figura del responsabile dei progetti: meno dell'8% si dedica al servizio civile a tempo pieno e quasi la metà non ha mai ricevuto formazione per poterlo fare con cognizione di causa.

Tutte condizioni che rendono molto difficile fare dei passi avanti. E nonostante le idee affascinanti presentate da chi sta abbozzando la nuova versione del Servizio Civile, nessuno ha fatto finora un calcolo concreto sui soldi necessari per questa riforma. Anche solo per la formazione di persone in grado di occuparsi in modo professionale dei progetti di servizio civile.

Ilaria Mariotti


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