Tirocini extracurriculari, proibito rinunciare al rimborso anche se lo stagista è d'accordo

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 16 Set 2015 in Approfondimenti

«Il soggetto ospitante avrebbe dovuto corrispondermi 400 euro lordi al mese. Io non ho bisogno di questo compenso e non voglio gravare l'ospitante di questa spesa, quindi voglio rinunciarvi», racconta Elena, aspirante stagista, sul forum della Repubblica degli Stagisti. Un'eventualità più unica che rara: desiderare di non usufruire del rimborso spese in caso di tirocinio.

Per tutti gli stage extracurriculari, cioè quelli svolti al di fuori dei percorsi di studi, da un paio d'anni il compenso è diventato obbligatorio. A questo risultato si è arrivati dopo anni di battaglie, portate avanti sopratutto dalla Repubblica degli Stagisti: tra le tappe principali del percorso, la riforma Fornero del 2012, l'accordo in sede di Conferenza Stato - Regioni del gennaio 2013 e le normative regionali che ciascuna Regione ha emanato successivamente. Eppure per la lettrice, ripagata dal fatto di imparare, l'aspetto economico dello stage sembra irrilevante: «Lavoro, ma non sono soddisfatta del mio impiego e mi è stata offerta la splendida opportunità di imparare il lavoro dei miei sogni direttamente sul campo» spiega nel suo intervento sul Forum. Di lì la scelta di lasciare il posto, e lo stipendio, «per cominciare al più presto questa esperienza». Gratuitamente. Se l'azienda fosse una no-profit, potrebbe risolversi il problema inquadrando la ragazza non come tirocinante bensì come volontaria. Ma non lo è.

Per approfondire la questione la Repubblica degli Stagisti ha interpellato Francesco Duraccio, consigliere nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro. E l'esperto ha chiarito che non è tecnicamente possibile rinunciare all'indennità: uno stagista non può dire 'no, grazie' all'ente ospitante che la eroga - obbligato per legge –  «in quanto la corresponsione del rimborso, derivando da norme imperative, costituisce elemento costitutivo e caratterizzante dello stage, indisponibile alle parti e, dunque, irrinunciabile». Come conseguenza della legge Fornero si andrebbe anzi incontro a una «sanzione amministrativa che va da mille a 6mila euro, previsione ripresa dalle linee guida in Conferenza Stato Regioni del 24 gennaio 2013, che fissano i principi poi recepiti dalle singole leggi regionali». Bisogna insomma accettare il compenso, pena la possibile penale a scapito dell'azienda (anche maggiore che lo stesso emolumento da corrispondere: la stagista si troverebbe quindi in questo caso – paradossalmente - a gravare ancora di più sull'azienda che vorrebbe 'sollevare' dall'obbligo di pagamento).

Non che non sia materialmente impossibile rinunciare al rimborso: basta che «il tirocinante, pur formalmente invitato, magari tramite offerta reale» continua Duraccio «non ritiri la somma erogata dal soggetto ospitante e regolarmente prevista in convenzione». Chiaramente, si tratta qui di un vero e proprio escamotage. Come potrebbe essere quello - ancor più oneroso per lo stagista - di iscriversi a un corso di laurea, o a un master, apposta per poter risultare studente e dunque poter attivare lo stage nella modalità curriculare, per la quale non vige l'obbligo di indennità.

Volendo invece proprio rinunciare al rimborso dello stage extracurriculare alla luce del sole? Una ipotetica scrittura privata che sancisse un accordo in questo senso tra i due soggetti sarebbe del tutto improponibile: «È evidentemente contra legem, e oltre a contravvenire alle vigenti disposizioni normative, configurando un comportamento sanzionabile amministrativamente, potrebbe addirittura, in estrema ipotesi, ricondurre l’esperienza formativa nella natura subordinata del rapporto».

Detto in altri termini, per l'azienda “furbetta” che decidesse di sottrarsi all'obbligo di versare il rimborso, magari proprio attraverso la sottoscrizione di una scrittura privata, l'esito potrebbe essere addirittura la trasformazione del rapporto da quello di tirocinio a quello di lavoro subordinato. Qui ci si addentra negli aspetti più tecnici della legge, ma non è da escludere - commenta il consulente - che il giudice, «come da consolidata giurisprudenza», possa inasprire la sanzione per l'azienda inadempiente «non riscontrando nella fattispecie analizzata quegli elementi costitutivi e caratterizzanti richiesti dalla legge». Come appunto il rimborso spese obbligatorio.

Non è facile capire le ragioni che possono stare dietro una scelta così “autolesionista”, almeno in apparenza, come la rinuncia a un rimborso spese cui si ha diritto e che certamente permette, se non di mantenersi, almeno di pagarsi alcune spese come il vitto o l'alloggio. La lettrice Elena dichiara di non averne bisogno, auspicando che sia lasciata ad ogni singolo stagista la scelta di accettare o rifiutare l'indennità; ma se la sua posizione e la sua richiesta venissero considerate valide, il rischio sarebbe evidente. Molte aziende potrebbero cominciare a cercare e a scegliere solo stagisti provenienti da famiglie abbienti, e disponibili a rinunciare alla indennità con la motivazione appunto di non averne bisogno.

Certo è vero che mentre si fa lo stage si sta imparando, e per i primi tempi l'apporto dello stagista all'azienda – seppur presente è limitato. In effetti, attualmente in Italia l'obbligo di compenso (attenzione, mai chiamarlo “retribuzione”!) vige solamente per i tirocini extracurriculari, mentre per i tirocini curriculari no: proprio perché la ratio è che lo studente in stage non sia sufficientemente concentrato sull'attività lavorativa, dovendo ancora studiare e dare esami, e che comunque il suo interesse precipuo sia fare esperienza on the job e magari accumulare crediti formativi, e che dunque per lui la gratuità non sia un problema.

Un presupposto che in altri Paesi non esiste (in Francia per esempio l'obbligo di indennità riguarda proprio i tirocini curriculari, anche perché lì quelli extracurriculari sono praticamente inesistenti), e la stessa Repubblica degli Stagisti lo rigetta, sperando invece che presto intervenga il ministero dell'Istruzione con una normativa ad hoc sui tirocini curriculari, che possa estendere anche ad essi
magari con somme minime più basse  l'obbligatorietà del rimborso («benché prevederla in tale contesto potrebbe costituire un aggravio e, dunque, un deterrente per il soggetto ospitante» frena però Duraccio).

Ma per gli stage extracurriculari, come quello che la lettrice Elena si appresta a cominciare, il discorso è ben diverso. Questi stage vengono svolti da soggetti già diplomati o laureati, con un obiettivo che è al contempo sia di formazione sia di inserimento nel mercato del lavoro. In questo caso, chi può negare che dal lavoro del tirocinante l'azienda tragga un beneficio? E infatti la legge, da un paio d'anni, fortunatamente protegge gli stagisti extracurriculari dal pericolo della gratuità.

Infine, una riflessione. Le leggi regionali pongono gli importi minimi del compenso agli stagisti, che variano da 300 a 600 euro al mese a seconda della Regione. In media ci si attesta sui 400 euro mensili: per un'impresa con i conti a posto una cifra del genere, parametrata al bilancio complessivo, è davvero poco rilevante. Sopratutto considerando che si tratta esclusivamente di quella somma mensile, senza aggravi aggiuntivi come quote contributive, tfr o altri costi che invece gravano sui veri contratti di lavoro.

Può accadere che un giovane, specialmente in questo periodo in cui le porte sbattute in faccia sono numerose, provi un senso di gratitudine per un'azienda che si dichiara disposta ad ospitarlo e a insegnargli un mestiere (soprattutto se quello “dei sogni”). Ma sarebbe bene che questa gratitudine non facesse perdere di vista ciò che è sacrosanto: che lo stage avvenga secondo le regole sancite dalla normativa, rimborso compreso. 

Ilaria Mariotti 

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