Reddito minimo garantito, parte la raccolta firme della Cgil per ripristinare la legge sperimentale in Lazio. Con due ombre: il costo spropositato e il rischio di assistenzialismo

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 28 Nov 2011 in Notizie

Reddito minimo garantito per adulti in difficoltà economiche. È questo in estrema sintesi il contenuto della campagna 'La precarietà non paga, il reddito garantito sì!', lanciata giovedì scorso, il 24 novembre, da Cgil Roma e Lazio, Giovani non più disposti a tutto e Bin (Basic Income Network). Obiettivo: raccogliere firme per ripristinare una legge regionale già esistente – e che la giunta Polverini vorrebbe abrogare - che fino all’anno scorso garantiva 700 euro netti al mese a disoccupati, inoccupati o lavoratori in mobilità tra i 30 e i 44 anni residenti nel Lazio e con un reddito inferiore agli 8mila euro annui. Qualcosa di diverso dal sussidio di disoccupazione, che riguarda chi nel mercato del lavoro è già entrato con un contratto a tempo indeterminato o determinato, e una volta scaduto il termine oppure licenziato riceve dallo Stato un contributo temporaneo. Il reddito minimo, al contrario, potrebbe includere anche chi non ha mai avuto un contratto e un lavoro vero e proprio. Per accedervi è sufficiente rispettare i criteri indicati.
Il provvedimento per il reddito minimo era stato varato per la prima volta nel 2009, quando la Regione Lazio era presieduta da Piero Marrazzo. L’allora governatore aveva stanziato 46 milioni di euro per un progetto sperimentale unico in Italia che prevedeva l’erogazione di un contributo ai lavoratori precar
i in situazione di difficoltà economica. In Regione erano arrivate ben 135mila domande, di cui 7mila risultate poi vincitrici (anche se di fatto le procedure di pagamento non sono mai state avviate). La giunta Polverini ha però recentemente deciso di apportare una modifica alla manovra finanziaria sottraendo i fondi necessari all'applicazione della legge, e dichiarando infine pochi giorni fa di voler procedere a una sua definitiva abrogazione.
Il tema del reddito minimo in tempi di crisi potrebbe forse risultare un po’ stridente, non può comunque essere liquidato con l’argomento della mancanza di risorse economiche. Ne è certo Salvatore Marra dell’ufficio Politiche giovanili della Cgil Roma e Lazio. La ricetta per finanziarlo è semplice: «attingere dal buco mostruoso della sanità», oppure abolire «qualcuna delle ventuno commissioni regionali in cui ogni deputato percepisce doppi stipendi grazie a doppi incarichi», insomma «razionalizzare le spese». In effetti sono diversi in Europa i casi di paesi (uno è la Danimarca) che garantiscono un reddito minimo, o che se non altro adottano misure di welfare che permettono ai soggetti più svantaggiati di condurre una vita dignitosa.
La questione è anche arrivata sul tavolo del neo insediato governo Monti, al quale il comitato Il nostro tempo è adesso ha fatto pervenire il suo decalogo di proposte per migliorare la condizione dei giovani, lanciando idee in larga parte condivise dalla Repubblica degli Stagisti: contratto di lavoro stabile, lavoro ben pagato,
previdenza, diritti come malattia e maternità, formazione continua, aiuti per la casa.
Altra cosa è però il reddito minimo garantito, iniziativa che solleva perplessità sia di carattere economico - s livello nazionale erogare anche solo 500 euro al mese, cioè 6mila euro annui, a una platea ipotetica di un milione di beneficiari costerebbe l'esorbitante cifra di 6 miliardi di euro all'anno - sia di tipo organizzativo e in un certo senso morale.
Ad esempio: come si potrebbe essere sicuri che gli assegnatari del sussidio continuerebbero ad attivarsi per cercare lavoro pur percependo soldi dallo Stato? Non bisogna nascondersi che in Italia la tendenza a "sedersi" sugli aiuti pubblici è più marcata che in altri Paesi. A detta di Sandro Gobetti di Bin Italia, intervenuto alla presentazione della campagna, la questione troverebbe soluzione nello stesso dettato della legge, che stabilisce che «il centro per l’impiego dia avviso delle nuove offerte di lavoro». Ma la norma permette di rifiutarle se ritenute non congrue al proprio background formativo: e dunque non vi sarebbe limite agli eventuali rifiuti? Elemento che non è dato sapere.
Gobetti si dice poi convinto che i beneficiari del reddito minimo non starebbero certo a casa con le mani in mano, ma al contrario andrebbero «in cer
ca di opportunità o di come guadagnare qualche soldo per sopravvivere, sperando che qualcosa vada in porto per dare vita a un progetto di lavoro». Insomma, è d’obbligo concedere il massimo della buona fede. E alla domanda se quella del reddito minimo garantito non potrebbe trasformarsi in una misura assistenzialistica fine a se stessa e per di più molto pesante per le casse dello Stato, Gobetti risponde che «in termini generali può costare molto meno dare 500 euro a una ragazza madre senza lavoro piuttosto che lasciare a lei o alla famiglia il compito di occuparsi della propria sopravvivenza».
In linea teorica forse è vero. In pratica, però, stabilire che chiunque non abbia un lavoro possa essere mantenuto dallo Stato anche per anni, e di conseguenza mettere una spesa dell'ordine dei miliardi di euro sulle casse dello Stato, non è probabilmente la mossa migliore per incentivare l'occupazione giovanile.

Ilaria Mariotti


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