Nicola Zanella, autore del libro "Il brainstorming è una gran caxxata": «Gli stage servono a far lavorare gratis la gente»

Andrea Curiat

Andrea Curiat

Scritto il 14 Dic 2009 in Interviste

«Come avrei intitolato un ipotetico capitolo dedicato agli stage? Semplice: “Gli stage servono a far lavorare gratis la gente”, ecco come».  Nicola Zanella, autore del polemico libriccino Il brainstorming è una gran caxxata (edito da Sperling&Kupfer), non perde certo il suo spirito caustico, neanche quando si parla di giovani e tirocini. Ma poi aggiunge, quasi ripensandoci: «Sia ben chiaro, voglio essere deliberatamente provocatorio. In fondo, il mio obiettivo è sempre stato quello di smitizzare i modelli e le teorie tanto in voga al giorno d’oggi presso grandi e piccole aziende, per tornare a fare discorsi pratici e con i piedi per terra. Ma se è vero che non si possono fare generalizzazioni, certe cose bisogna pur dirle chiaramente». Zanella, 37 anni, si è laureato in economia aziendale alla Bocconi di Milano, ha lavorato nel marketing per Wella e dal 2000 ha avviato uno studio per fornire servizi di consulenza e formazione manageriale. In effetti, il suo libro è un po' un “anti-manuale”, ricco di consigli che stupiscono per il loro essere del tutto controtendenza e, al tempo stesso, apparentemente fondati sul semplice buon senso («le presentazioni powerpoint sono dannose», «I capi bastardi sono i migliori», «fare utili e ridurre i costi porta al fallimento»). La Repubblica degli Stagisti gli ha chiesto di applicare questa sua ricetta per dare ai lettori un parere spassionato sulla “questione stage”.

I capitoli del suo libro si compongono di una parte destruens, ferocemente critica, e di una serie di consigli più costruttivi. Vogliamo partire proprio dalle critiche?

Mi è capitato di conoscere manager che inserivano gli stagisti sotto la voce “manodopera a costo zero” nel bilancio dei progetti. Tutto qui: i ragazzi non rappresentavano altro che questo per l’azienda. È chiaro che un sistema del genere non è ammissibile: danneggia gli stagisti, che dovrebbero sempre e comunque essere retribuiti e avere né più né meno gli stessi diritti degli altri dipendenti,  ma anche le aziende, che si ritrovano con manodopera ad altissimo turnover, poco preparata e priva di motivazioni.

E i giovani in cosa sbagliano?

I ragazzi sopravvalutano l’importanza di uno stage: quando possibile, è meglio accontentarsi di un lavoro un gradino al di sotto rispetto a quello al quale si avrebbe diritto, piuttosto che sprecare mesi in tirocini per posizioni più elevate ma difficilmente raggiungibili. Il modo migliore per apprendere è cominciare a lavorare, e bisogna farlo il prima possibile. Troppo spesso, poi, i neolaureati si lasciano attrarre da master che pubblicizzano gli stage come parte integrante del corso. Nella maggior parte dei casi, inviando per conto proprio un curriculum alle aziende è già possibile ottenere uno stage, senza bisogno di spendere migliaia di euro in master inutili e di rimandare di anni l’ingresso sul mondo del lavoro.

Esistono stage "buoni"?

Naturalmente sì, e sono quelli in cui l'azienda vuole veramente formare i ragazzi. Bisognerebbe ispirarsi al modello dell’apprendistato di bottega, ovviamente con le debite differenze. Il tutor dovrebbe essere quanto più possibile vicino a un “mastro” per il suo apprendista: laddove nelle botteghe si apprendeva per imitazione, nelle aziende bisognerebbe cercare di coinvolgere i ragazzi nelle riunioni importanti e nei processi decisionali, chiedere il loro parere e trasmettere loro il patrimonio di conoscenze dell’impresa. È bene tenere a mente che le aziende di maggior successo sono quelle con il grado di fedeltà più alto da parte dei dipendenti e con il turnover più basso. Quale modo migliore per raggiungere questi risultati se non seguire la carriera dei ragazzi sin dallo stage?

Qualche consiglio?

Informatevi sin dal principio sulle prospettive di assunzione dopo lo stage. Qualche selezionatore del personale probabilmente ve lo sconsiglierebbe, ma secondo me è bene che i rapporti di lavoro siano chiari sin dal principio, almeno quando vi è serietà da parte delle aziende. Cercate anche di capire se i progetti ai quali lavorerete potranno insegnarvi qualcosa di utile da riproporre in altre aziende, qualora lo stage non dovesse andare a buon fine.

 

Andrea Curiat

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- Il brainstorming? Una gran caxxata: in libreria un manuale che demolisce manager e aziende

E anche:

- Stage gratuiti o malpagati, ciascuno può fare la rivoluzione: con un semplice «no»

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