Il Daily Telegraph mette il naso nella vita degli stagisti inglesi. Conclusione: non se la passano bene neanche loro

Annalisa Di Palo

Annalisa Di Palo

Scritto il 27 Set 2010 in Approfondimenti

Anche in Inghilterra lo riconoscono: «Non è facile essere stagista». Questo il titolo dell'articolo apparso a fine agosto sul sito del Daily Telegraph [in basso a sinistra, la pagina web], autorevole quotidiano di stampo conservatore. A firmarlo, la 26enne Sarah Barnes [a fianco nella foto], autrice di un blog femminista, tre anni di stage alle spalle e un lavoro part-time in negozio «per poter pagare le bollette». Volendo capirne di più, la blogger ha intervistato altre cinque stagiste, tra i 18 e i 27 anni, approdando alla prevedibile conclusione che «per quanti non hanno alle spalle famiglie facoltose, fare gli stagisti equivale a fare i giocolieri».

Le testimonianze si sovrappongono a un quadro generale preoccupante. E il problema non si ferma ai tirocini mal retribuiti, o gratuiti (quest'ultimi un terzo del totale secondo il Trades Union Congres, che rappresenta sei milioni di lavoratori inglesi). Per inserirsi nel mondo del lavoro si è persino disposti a pagare. L'autrice cita casi estremi, come la messa all'asta di uno stage nella redazione americana di Vogue per 42.500 dollari, circa 33.500 euro, mentre vale "solo" 4.600 sterline, quasi 5.600 euro, un tirocinio mensile da Christies's, azienda famosa nel commercio d'arte. I soldi hanno alimentato cause benefiche - nel secondo caso, per esempio, sono andati alla National Society for the Prevention of Cruelty to Children -  ma la singolarità della pratica rimane. E c'è di più: la Barnes cita un'accurata indagine pubblicata sul sito per studenti Push e un dato allarmante: il prossimo anno ogni laureato inglese dovrà affrontare un debito medio di 21.200 sterline, circa 25.800 euro, accumulato per sostenere le spese universitarie.

Stando a questi dati, oltremanica il neolaureato-tipo è indebitato e con la prospettiva di uno o più stage gratuiti o male retribuiti. «Lavoro cinque giorni a settimana, mi vengono rimborsate solo le spese e non ho un altro lavoro» afferma Jessica Turner, 25 anni e una laurea in discipline umanistiche, da marzo stagista in una casa di produzione cinematografica a Londra. «Non puoi aspettarti molto, è un settore molto competitivo. Però ho l'appoggio di mia madre». E, unico caso tra le intervistate, dopo sei mesi di tirocinio è arrivata la proposta di rimanere come dipendente, regolarmente retribuita.

Anche Rasa Abramaviciute, coetanea e studentessa lituana di moda, stagista per cinque mesi nell'atélier della stilista Vivienne Westwood, non si fa illusioni: «Se vuoi farti strada nella moda devi lavorare sodo, e gratis. Io lavoro cinque giorni a settimana, dalle 10 alle 18, ma a volte le giornate sono ben più lunghe e stressanti». Paula Morrison, anche lei 25 anni, laureata in arte, si divide invece tra un lavoro part-time come sarta e uno stage di tre giorni la settimana in una galleria d'arte contemporanea della east London. Come le altre, si ritiene fortunata: «Mi rimborsano spese di vitto e di viaggio, ma vivo lì vicino, e posso andare a piedi. Ormai sono alla fine» continua «e dopo voglio avviare il mio progetto personale di esposizione. Sarà dura, ma almeno non ho un mutuo, né dei bambini».

Non va certo meglio cambiando settore e tipologia di studi. Hannah Sanderson ha 27 anni, all'attivo una laurea nel campo della cooperazione internazionale e anni di volontariato all'estero. Da marzo svolge uno stage presso la sede londinese dell'associazione Merlin, specializzata nelle emergenze sanitarie nei paesi in via di sviluppo: «Lavoro tre giorni a settimana e ricevo 20 sterline al giorno [circa 25 euro, 300 al mese]. Ho perso mio padre e tutti i soldi dell'assicurazione sulla vita sono serviti per pagarmi gli stage. Sono fortunata perché vivo con mia madre, anche se questo vuol dire due ore di viaggio al giorno. Senza la mia famiglia non ce l'avrei fatta. Se avessi 35 anni e stessi ancora lavorando gratis mi direi: "Ma che sto facendo?"». È ancora più decisa la 18enne Sarah Harding, neodiplomata, che ha passato l'estate nell'ufficio del parlamentare democratico Don Foster, aiutando ad organizzare la conferenza del partito che si è tenuta a Liverpool dal 18 al 22 settembre. «A 18 anni, penso sia accettabile lavorare gratis» dice «a 22-23, probabilmente no». E poi la solita nota: «Sono fortunata perché sto dai miei zii. Dopo lo scandalo dell'anno scorso sugli sperperi dei politici, gli stagisti non hanno più diritto al rimborso spese. Tanti ragazzi estremamente capaci non fanno il mio stesso stage perché non possono permetterselo».
E così il mancato rimborso spese genera una sorta di apartheid di classe: se una famiglia non è ricca abbastanza da poter mantenere il proprio figlio per uno o più stage gratuiti, quello inevitabilmente perderà molte occasioni.


Annalisa Di Palo


Per saperne di più, leggi anche:
- Stagisti inglesi, il Guardian svela: un ente vigilerà affinché le aziende non li sfruttino
-
La denuncia del Financial Times: «Le aziende smettano di prendere stagisti per coprire i loro buchi di organico, e comincino a pagarli»

Community