Lavorare gratis: anche il cinema sfrutta gli stagisti

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 30 Apr 2012 in Approfondimenti

«Si lavora gratis per anni. Molti anni. Finché non sei proprio... grande».Stagisti Dimenticate i lustrini, i red carpet, i flash dei fotografi. Dietro le quinte del cinema la realtà è quella dello sfruttamento della manodopera. A denunciarlo è Irene Iaccio [nella foto a destra], 27 anni, napoletana trapiantata a Roma che ha lasciato il cinema dopo un anno e mezzo. Motivo? Semplice: «Lavorando gratis non si mangia».
Eppure sono in tanti a farlo. Nel 2011 Enpals, la cassa pensionistica dei lavoratori dello spettacolo, contava 85mila impiegati nel cinema. Un dato che il coordinamento Cresco (che raggruppa le realtà che lavorano nella produzione e nella diffusione della scena contemporanea - quindi compagnie di produzione, sale, teatri, residenze, festival, rassegne, artisti, critici, operatori dello spettacolo dal vivo) ritiene invece maggiore: il numero reale degli addetti oscillerebbe tra 120 e 140mila.
Tra questi c'era anche Irene, che ha accettato di raccontare la sua esperienza alla Repubblica degli Stagisti: «Tutte le figure professionali legate alla produzione non vengono pagate.
Succede perfino agli attori, ovviamente quelli meno affermati». Ma di quante persone si tratta? «L'ultimo film al quale ho lavorato mi ha visto impegnata alla scenografie, io e altri due, poi ce n'erano tre ai costumi. Diciamo che si arriva ad essere anche una decina di persone». Tutte 'assunte' a zero euro. Difficile definire una media dei lavoratori impiegati nella realizzazione di un film, molto dipende dalle dimensioni della produzione: quelle più grosse possono arrivare ad occupare una cinquantina di persone tra assistenti alla regia, scenografi, macchinisti, costumisti, elettricisti e fotografi. E non è detto che tutti vengano retribuiti. «Se il budget è basso, non essere pagati è la regola». E se il film piace al pubblico e incassa oltre ogni aspettativa? «Tendenzialmente non c'è mai una redistribuzione dei ricavi». Così che il successo di un film, per chi ci ha lavorato gratis, diventa solo un motivo in più per masticare amaro.
Il fenomeno è diffuso: «Nessuno di quelli che hanno fatto il corso con me al Centro sperimentale di cinematografia ha mai lavorato in forma retribuita. Nemmeno due lire». Il Csc è una scuola che offre corsi di formazione della durata di tre anni, al costo di 1.500 euro l'anno.
«Io ho lasciato dopo un anno e mezzo, perché non dava prospettive». È stato durante questo periodo che Irene ha avuto occasione di lavorare gratis - così come continuano a fare i ragazzStagistii iscritti come lei all'istituto. Loro mantengono il silenzio per il semplice motivo che vogliono rimanere nel mondo del cinema. Irene invece ha fondato «ilgattohanuovecode», un collettivo di produzione di audiovisivi web-oriented che si occupa di produrre contenuti di ogni genere: da quelli per la Rete alle riprese di spettacoli ed eventi dal vivo, fino ai filmini dei matrimoni. Mettersi in proprio, oltre ad uno stipendio, le ha dato anche la libertà di raccontare la sua esperienza. «La parola merito, nel cinema, non esiste. E nemmeno la carriera, al massimo puoi dire che hai conosciuto qualcuno che ti fa lavorare: è un meccanismo esplicito, non c'è nulla di nascosto». Una conferma al racconto di Irene arriva dal rapporto «Professionisti: a quali condizioni?», pubblicato da Ires nella primavera dell'anno scorso. Secondo questa ricerca il 64,9% dei lavoratori del settore della cultura e degli spettacoli, tra i quali rientrano anche quelli del cinema, afferma che le conoscenze servono molto per trovare un'occupazione; più o meno la stessa percentuale ritiene importantissimo il passaparola tra i datori di lavoro.
«Di solito, almeno una persona per ogni settore della produzione viene regolarizzata. Gli altri non vengono pagati, oppure gli vengono riconosciuti i contributi Enpals per una sola giornata. È capitato anche a me, per un film per il quale ovviamente avevo lavorato per molto più tempo». Come si spiega il fatto che le case cinematografiche possano permettersi di far lavorare gratis le persone? «Non è che ci voglia tutta questa competenza: occuparsi delle scenografie spesso si riduce a spostare dei mobili in una stanza, chiunque può farlo». Anche se questo non giustifica che venga fatto gratis. Comunque, anche quando c'è, lo stipendio di chi opera nella cultura non è certo tra i più alti. Sempre secondo il rapporto Ires, nel 2009 tra i lavoratori con contratto di lavoro dipendente uno su tre ha dichiarato un reddito inferiore ai 15mila. Ancor peggio va a chi è inquadrato come autonomo: qui due su tre stanno sotto a quella soglia, e ben un quarto si ritrova a dover spesso chiedere aiuto alla famiglia.
Davvero è possibile che stipendi di questa misera entità siano in grado di far saltare i bilanci delle case cinematografiche?
«Or
a che si utilizza la tecnologia digitale i costi si sono ulteriormente ridotti. I contributi statali potrebbero essere utilizzati per pagare chi lavora». Contributi? Sì, questa prassi è così comune che la seguono anche alcune delle realtà che ricevono sovvenzioni pubbliche. Ogni anno, infatti, attraverso il Fondo unico per lo spettacolo, il ministero dei Beni culturali sostiene la cinematografia italiana. Lo scorso anno il settore ha ricevuto 75 milioni e 800mila euro, una parte dei quali è stata destinata alla produzione. In particolare, secondo il recente rapporto «Il cinema italiano in numeri» realizzato da Anica e dal Mibac, 10 milioni e mezzo di euro hanno finanziato 21 pellicole ritenute di interesse culturale, mentre 7 milioni e mezzo hanno contribuito alla realizzazione di 40 opere prime e seconde. Per il 2012 il governo ha stanziato oltre 76 milioni di euro: ma solo le briciole arriveranno ai giovani che tentano di avviare un percorso professionale nel mondo del cinema.
Da quanto le cose vanno in questo modo? «Io ho iniziato quattro anni fa a lavorare in questo settore, ma ho il sospetto che sia sempre stato così». Anche perché ci sono tante persone disposte a lavorare gratis. «Questo
Stagistiè un mestiere molto ambito, sono in tanti a voler fare cinema: ecco perché si accettano queste condizioni». Irene no, si è trovata un altro lavoro. Ma non ha dimenticato. E così, quando qualche settimana fa ha ricevuto una mail di una casa di produzione che cercava stagisti a costo zero per le riprese romane del film «Vi perdono» di Valeria Golino iniziate a metà aprile (il film ha anche ottenuto un contributo di 200mila euro dal ministero), ha deciso di rompere il silenzio. Pubblicando sul blog «ilgattohanuovecode» lo scambio di comunicazioni con i responsabili della produzione. A chi cercava tra gli studenti e i diplomati del Csc degli stagisti per le riprese, l'ex scenografa ha ribattuto: «Mi sembra che lei abbia piuttosto necessità di forza lavoro a titolo gratuito per far fronte ad esigenze che con tutto hanno a che fare meno che con la formazione degli allievi. Potrà smentirmi spiegando nel dettaglio quale sarebbe l'offerta formativa oppure indicando la retribuzione che avete pensato per il periodo di lavoro». La smentita non è arrivata. E così la giovane ha deciso di raccontare: «Credo che sia la strada più semplice. Il primo passo è parlarne, poi i giudizi sulla vicenda li lascio a chi legge, così che ognuno si faccia un'idea. L'importante è che non rimanga un discorso tra gli addetti ai lavori».

Riccardo Saporiti

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