Stage al ministero della Cultura, ci risiamo: cento posti a 1000 euro al mese, ma zero prospettive di assunzione

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 09 Gen 2023 in Notizie

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Cambia il Governo, cambia il ministro della Cultura, dopo i quasi otto anni di Dario Franceschini, ma non cambiano le politiche di utilizzo dei giovani all’interno di musei, archivi di stato e biblioteche pubbliche con tirocini formativi in uffici senza alcuna possibilità di uno sbocco lavorativo.

È stato pubblicato il 19 dicembre l’Avviso di selezione per l’attivazione di tirocini formativi e di orientamento per 130 giovani fino a 29 anni di età che «saranno impiegati per la realizzazione di progetti specifici, nell’ambito del sostegno delle attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale».

«Altri 130 tirocinanti. Di nuovo. Esattamente come l'anno scorso. Per musei, biblioteche, archivi di Stato. E non tirocinanti qualunque: richieste
lauree specifiche, voti alti, titoli e esperienze molto gradite» è l’allarme lanciato dall’associazione Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, che dal 2015 si batte per la valorizzazione dei lavoratori dei beni culturali: «Di fatto dei para-funzionari, pagati molto meno, e pronti da premiare con punteggi stratosferici ai concorsi (nel presente concorso per funzionari, i tirocini al MiC valgono 10 volte di più di ogni altra esperienza di lavoro). Non c'è nessun altro ministero che abusi così di tirocini, volontariato e lavoro sfruttato. Ministero della Cultura non vi vergognate?»

Nel bando all’articolo 1 si spiega che questi giovani «saranno impiegati presso gli uffici centrali e periferici del Ministero e gli istituti e luoghi della cultura». L’obiettivo è «attrarre i più meritevoli» e per farlo si applica quanto già previsto nelle modalità di accesso al Fondo giovani per la cultura all’articolo 24, comma 4, del decreto legge 104 del 14 agosto 2022.

Quel Fondo era stato istituito nel 2013 con il nome di "Fondo mille giovani per la cultura": il ministero all’epoca aveva stanziato 1 milione di euro per il 2014 per promuovere tirocini formativi e di orientamento per giovani fino a 29 anni nei settori della cultura. Sei anni dopo, nel 2020, in piena pandemia, l'iniziativa ha cambiato nome: è diventata “Fondo giovani per la cultura” ed è stata rifinanziata per 300mila euro per l’anno in corso e per un milione di euro annui per il seguente. Già nel 2021 i posti messi a bando erano 130. E nei primi mesi di quell’anno, quando era stata pubblicata la primissima selezione per 40 tirocini formativi, la Repubblica degli Stagisti scrisse che «in pratica nel 2021 potrebbe essere pubblicato un nuovo bando, che potrebbe arrivare a coprire lo svolgimento di oltre 100 stage sempre nel settore dei beni culturali».

In realtà i numeri sono stati molto più ampi. E potrebbero ancora aumentare. Offrire stage ben pagati non è sbagliato. Il problema è farlo nell’ambito dei beni culturali in cui la crisi durante e post pandemia è stata altissima, è riproporre un programma di tirocinio che non ha portato a nulla, in un settore pubblico dove gli stage non potranno mai sfociare in un contratto vero e proprio e in cui, nonostante i concorsi banditi negli ultimi anni, continua ad esserci una cronica mancanza di organico con la conseguenza di usare gli stagisti per rimpiazzare i dipendenti mancanti. E forse anche per questo la ricerca è per tirocinanti particolarmente brillanti e qualificati, insomma non un laureato qualsiasi.

Il ministero continua ad aver bisogno di personale e approfitta dell’uso distorto del tirocinio, mettendo bene in chiaro già nel bando all’articolo 7 che alla conclusione del programma formativo «è rilasciato un attestato di partecipazione valutabile ai fini di eventuali successive procedure selettive nella pubblica amministrazione». Ma questo «non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero della cultura», e per essere più chiari si puntualizza che «l’ammissione al tirocinio non dà luogo in alcun modo alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato».

Eppure con la stessa cifra si potrebbe assumere qualcuno a tempo indeterminato, non solo per sei mesi di stage ma per un quarto di secolo con un contratto vero e proprio. È Alessandro Garrisi, presidente dell’Associazione nazionale archeologi a fare la stima: «Ai tirocinanti spettano mille euro per sei mensilità, per 130 posizioni, per un totale di 780mila euro. Se facciamo un calcolo a spanne, un funzionario a inizio carriera guadagna circa 1.200 euro al mese, quindi contando le 13 mensilità annuali con la stessa cifra si arriverebbe a coprire 50 anni, ovvero un funzionario e mezzo, tenendo conto di 35 anni di età media lavorativa. Non è con queste cifre che si risolve la questione delle carenze dei ruoli nella pubblica amministrazione. Il tirocinio», continua a spiegare Garrisi alla Repubblica degli Stagisti, «ha senso se gli stagisti sono inseriti in un percorso che gli consenta di acquisire competenze tali da essere, domani, professionisti migliori, quindi bisognerebbe porre l’accento su cosa vanno a fare effettivamente questi 130 tirocinanti».

C’è poi un’altra questione, quella relativa all’attestato di partecipazione rilasciato al termine del periodo di stage, che potrebbe rivelarsi molto importante in seguenti selezioni pubbliche. È già successo con il concorso per funzionari al Mic dove i precedenti tirocini di questo tipo sono stati valutati 5 punti per ogni semestre contro un punto per qualsiasi altro tipo di esperienza professionale maturata con qualsiasi contratto con la pubblica amministrazione.

«È un’ingiustizia: si crea una discriminazione al momento del concorso tra giovani e meno giovani» osserva però Garrisi: «Qualsiasi modalità che crei una ingiusta disparità di partenza nei requisiti di accesso non è mai considerabile una prassi corretta, soprattutto nel momento in cui diventi svalutativa dell’esperienza professionale maturata al di fuori dei tirocini, che non può essere sminuita. Le Soprintendenze in questi anni si sono riempite di giovani che hanno fatto stage come questi e che non avendo alcuna reale esperienza professionale altra, finiscono talvolta per essere pessimi funzionari. L’esperienza nel settore privato andrebbe valorizzata ben oltre quella del tirocinante. Non c’è alcun paragone tra la competenza alla quale ti costringe lo svolgimento della professione e sei mesi passati in non ben specificati percorsi formativi».

Se, nonostante le premesse non proprio positive, si volesse comunque far domanda, bisogna compilarla in via telematica entro le ore 12 del 20 gennaio 2023 attraverso l’applicazione informatica al link servizionline.cultura.gov.it Si può accedere solo con Spid o carta di identità elettronica e si può inoltrare domanda per tutte le Direzioni generali e per l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale. Per ogni tipologia di tirocinio si possono inviare fino a cinque candidature.

I tirocini dureranno sei mesi per venticinque ore settimanali e i tirocinanti riceveranno un’indennità mensile di mille euro lordi, comprensivi della quota assicurativa. Per partecipare è necessario aver conseguito una laurea magistrale tra quelle indicate nel bando con una votazione pari o superiore a 105/110 entro 12 mesi antecedenti la pubblicazione dell’avviso. La selezione avviene per titoli e colloquio che si svolge in modalità telematica. All’orale saranno chiamati i candidati con il punteggio più alto pari a tre volte il numero dei posti disponibili e saranno selezionati i primi 130 in graduatoria. I posti di stage sono così suddivisi: 40 presso la Direzione generale archivi, 30 presso la Direzione generale biblioteche e diritto d’autore, 10 presso la Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, 10 all’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale, 10 presso la Direzione generale educazione, ricerca e istituti culturali e 30 presso la Direzione generale musei. I candidati possono far domanda per ognuna delle varie categorie senza limiti.

Ai giovani con i titoli necessari non resta che far domanda sperando di rientrare nei “fortunati” tirocinanti. Resta la delusione nel constatare l’assenza di un cambio di passo tra il vecchio e il nuovo esecutivo. L’incapacità di dire: è un programma sbagliato, senza sbocchi. E di provare a pensare a qualcosa di diverso per dare ai giovani che hanno deciso di dedicare i loro studi al settore artistico e culturale attratti dalla ricchezza che l’Italia offre in questo campo, il meritato sbocco lavorativo.

«Al nuovo ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, chiediamo di tenere conto di tutto il corredo normativo e legislativo che regolamenta il settore, affinché sia sempre rispettato, e che si attuino strategie sagge che lo potenzino, attraverso la messa a sistema di piani di sviluppo di lunga gittata temporale, volti a garantire una crescita costante, con adeguati investimenti, congruo impiego di risorse, adeguamento degli standard digitali, politiche di partenariato pubblico privato, un ruolo centrale per i professionisti del settore», conclude il presidente Garrisi, con una proposta: «È arrivato il momento di chiedere l’esternalizzazione di alcuni servizi teoricamente svolti dalle soprintendenze che, per mancanza di personale, non riescono a smaltire. Si risolverebbero così non pochi problemi e si smaltirebbero le pratiche arretrate. Così si creerebbe lavoro in un ambito, quello dei beni culturali e dell’archeologia che ha questi numeri: solo un 16% dei professionisti lavora nel settore pubblico, università o soprintendenza, mentre più di otto archeologi su dieci lavora in forme privatistiche offrendo i servizi necessari».

Marianna Lepore

Foto di apertura: di Fred Romero da Flickr in modalità Creative Commons

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