Autoimprenditorialità con Garanzia Giovani, Selfiemployment va avanti a passo di lumaca

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 14 Mar 2018 in Notizie

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Come sta andando Selfiemployment, l’iniziativa di Garanzia Giovani dedicata agli under 30 inattivi interessati ad avviare un’attività in proprio? Per rispondere con un eufemismo: a passo di lumaca. Quanto a passo di lumaca lo dicono purtroppo i numeri: da quando l’iniziativa è partita concretamente, a settembre 2016 – dunque più o meno un anno e mezzo fa – sono state presentate soltanto 2.283 domande. Meno di 150 al mese. Tutte queste domande sono passate al vaglio dei selezionatori e finora solo 630 sono state ritenute in linea con i requisiti richiesti e dunque meritevoli di essere approvate: sono state dunque concesse a questi 630 soggetti agevolazioni per un totale di 21,1 milioni di euro.

Si tratta di un risultato davvero scarso, se si considera che la dotazione finanziaria di Selfiemployment, così come annunciata dal ministro Giuliano Poletti nel 2016, è cospicua: 124 milioni di euro. Dunque aver concesso (attenzione: non erogato – i due termini indicano fasi diverse del programma, e i finanziamenti concessi vengono erogati successivamente, e in varie rate) 21,1 milioni vuol dire aver utilizzato, per ora, meno di un quinto dei soldi a disposizione: il 17% per la precisione.

«Le domande presentate non sono così numerose da saturare la dotazione finanziaria» conferma alla Repubblica degli Stagisti Vincenzo Durante, 48 anni, responsabile dell’area Occupazione di Invitalia – l’ente incaricato di gestire Selfiemployment.

Eppure l’obiettivo di una misura del genere dovrebbe essere invece quello di distribuire i fondi il più in fretta possibile, per far uscire il prima possibile il maggior numero possibile di Neet dalla loro condizione di inattività, in questo caso attraverso la misura dell'autoimpiego.

Selfiemployment, si diceva, è una delle misure di Garanzia Giovani. Accanto ai tirocini (la misura più utilizzata in assoluto), ai corsi di formazione, alle esperienze interregionali (pochissime: il 4% circa) o all’estero (residuali se non inesistenti, ahinoi), al servizio civile e all’incentivo alle assunzioni vere e proprie tramite contratto, infatti, Garanzia Giovani prevede anche di sostenere quei Neet che avrebbero voglia di mettersi in proprio.

Ma perché quasi nessuno chiede i soldi di Selfiemployment? Gli iscritti a Garanzia Giovani sono un numero impressionante: quasi 1 milione e mezzo di under 30 si sono registrati al programma in tre anni e mezzo (l’ultimo dato Anpal è aggiornato a settembre 2017), circa un milione è stato preso in carico, e a 573mila è stata proposta una misura.

È senz’altro vero che Selfiemployment è partito in ritardo rispetto alle altre misure: ma sulla carta avrebbe dovuto avere un certo appeal sui giovani, dato che prometteva un prestito da 5mila a 50mila euro a tasso zero, senza garanzie personali e con un piano di ammortamento fino a 7 anni.

Il primo target di Selfiemployment era, in prima battuta, formato dai 4.200 iscritti a Garanzia Giovani che secondo le stime avrebbero potuto usufruire di un percorso di accompagnamento all'avvio di un'impresa. In realtà era già chiaro fin da subito, a chiunque avesse un minimo il polso della situazione, che la misura aveva un oggettivo problema in partenza legato ai potenziali beneficiari: a fine 2015, infatti, solamente 459 giovani avevano usufruito in tutta Italia di questa misura. Intere Regioni – tra cui Puglia, Veneto, Campania, Piemonte! – non avevano attivato nemmeno uno di questi percorsi. Tanto che Poletti era corso ai ripari chiedendo aiuto a Unioncamere per predisporre ulteriori percorsi di accompagnamento all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità, in modo da aumentare il numero di potenziali beneficiari. Ma anche questo tentativo era fallito e dunque il ministero aveva deciso, poco dopo l’avvio di Selfiemployment, di eliminare l’obbligatorietà di questi percorsi di accompagnamento propedeutici all’accesso al fondo: indicati inizialmente come un prerequisito necessario per inoltrare la domanda di partecipazione, i corsi erano dunque quasi subito diventati facoltativi.

Ma a nulla è valsa anche questa semplificazione. Il numero di candidature per Selfiemployment è lì, drammaticamente basso, sotto le 2.300. Quasi tutte peraltro provenienti da una sola Regione, la Campania, che da sola rappresenta oltre la metà delle domande pervenute (1.195 su 2.283) e delle agevolazioni concesse (326 su 630).

La buona notizia è che proprio in queste settimane «è in corso una riflessione con l’Anpal che potrebbe portare a modificare lo strumento agevolativo per renderlo più attrattivo» anticipa Durante. Attualmente Invitalia gestisce «la fase di valutazione delle domande, quella di erogazione e il tutoring», ma non ha nessuna voce in capitolo per quanto riguarda, per esempio, la pubblicizzazione e promozione della misura ex ante: cioè la fase in cui si vanno a scovare i potenziali beneficiari e li si invoglia a fare domanda di partecipazione. Forse questo potrebbe cambiare l’appeal della misura?

Certo il fatto che contemporaneamente sia stata lanciata un’altra iniziativa simile, “Resto al sud”, non aiuta: il rischio cannibalizzazione è dietro l’angolo. Ma «sono due strumenti agevolativi non sovrapponibili, considerate le aree di intervento, la tipologia di agevolazione concedibile e il target di età dei destinatari» assicura Durante: «Ad esempio “Resto al Sud” non finanzia il commercio, che rappresenta il 37% delle attività agevolate da Selfie. E poi Selfie finanzia anche i liberi professionisti, “Resto al Sud” no; viceversa “Resto al Sud” finanzia anche società di capitali, al contrario di Selfie». Si spera che ciascuno trovi un nutrito pubblico, e che le risorse a disposizione vengano sfruttate nel migliore dei modi dai giovani cui sono destinate.

Eleonora Voltolina

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