Archeologi sottopagati sempre più in crisi, dal Lazio un grido d’allarme

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 22 Ott 2021 in Notizie

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Retribuzioni e contratti di lavoro inadeguati, richieste illecite da parte dei committenti, pressioni indebite sul professionista, mancata applicazione delle normative nazionali in materia di tutela e di archeologia preventiva, fraintendimento del ruolo del professionista in sede di progettazione: è solo parte dell’elenco delle tante denunce che l’Associazione Nazionale Archeologi del Lazio ha raccolto negli ultimi 18 mesi. Comportamenti scorretti e spesso anche contro legge che hanno fatto lanciare l’allarme e portare l’ANA a richiamare l’attenzione di tutti gli attori coinvolti.

«Sono anni che l’Associazione riceve segnalazioni, ma negli ultimi mesi abbiamo deciso di iniziare una raccolta più dettagliata anche in funzione della ripresa lavorativa post pandemica», spiega alla Repubblica degli Stagisti Alessandro Garrisi, 45 anni, archeologo, direttore generale della Fondazione Nino Lamboglia Onlus e direttore archeologo degli scavi di Capo Don presso Riva Ligure nonché presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Archeologi dal 2019. «In totale», continua a spiegare, «solo nella regione Lazio abbiamo raccolto alcune decine di segnalazioni».

L’allarme che ANA lancia è in particolare sull’inadeguata retribuzione dei professionisti coinvolti. «Purtroppo gli archeologi escono dall’università senza essere pronti per confrontarsi sul mercato del lavoro. Non hanno neppure una vaga idea di quali siano i costi a cui andranno incontro per la semplice gestione della propria attività, per cui specie all’inizio arrivano ad accettare qualsiasi offerta», racconta Garrisi. Situazione che è andata peggiorando anche a causa della pandemia e del lungo blocco che c’è stato in questo settore lavorativo. «Negli ultimi tempi ci sono colleghi che anche dopo anni di esperienze e titoli maturati si piegano a tariffe inammissibili che diventano lesive per tutta la categoria professionale. Parliamo di soggetti che lavorano anche a 60 euro lordi al giorno. Ma quando si fa lavorare un professionista qualificato con queste cifre o gli si commissiona una valutazione di impatto archeologico per 150 euro, la qualità del lavoro sarà commisurata a quello che viene pagato. Questo significa che il pagamento di una tariffa irrisoria non solo squalifica il lavoro di chi la accetta, ma mette anche a repentaglio la qualità del processo di tutela».

Eppure la figura del professionista dei beni culturali è diventata sempre più centrale negli ultimi anni, «con una richiesta sempre più evidente delle nostre competenze nelle fasi di progettazione ed esecuzione delle opere di interesse pubblico», spiega Aglaia Piergentili Màrgani, presidente di ANA Lazio, e questo «dimostra la centralità del nostro ruolo a tutela del patrimonio archeologico».

Centralità che nei fatti non trova, però, riscontro quando si tratta di pagare. Perché in questo caso non solo le cifre sono inadeguate ma anche i tempi di pagamento sono mortificanti. «Quando faccio un lavoro e anziché essere pagato all’emissione della fattura, o entro 30 giorni che sarebbe ancora un termine accettabile, vengo pagato dopo mesi a volte addirittura dopo anni, di fatto non si consente al professionista di fare affidamento sull’introito del proprio lavoro che non sa quando arriverà». Non solo, si lasciano tanti soggetti impossibilitati nel pianificare la propria vita.

Il presidente nazionale ANA evidenzia anche un altro aspetto troppo spesso non raccontato. «L’impresa che paga in ritardo sta usufruendo di una sorta di prestito a tasso zero: se deve pagare al dottor Rossi mille euro e non lo fa per sei mesi, di fatto il dottor Rossi sta facendo un prestito per sei mesi visto che in quel lasso di tempo l’impresa potrà investire quei soldi altrove».

Come spesso capita ad essere maggiormente colpiti dallo sfruttamento sono i neo-archeologi, quindi professionisti giovani, under 35. La pandemia, però, ha messo sempre più in luce il problema delle sottoretribuzioni. «In questa fase c’è stata la riscoperta della professione da parte di tante colleghe e colleghi che negli anni avevano indirizzato la propria attività professionale altrove rispetto al lavoro da campo, per esempio lavorando in tutte quelle attività legate alla fruizione dei beni culturali che si sono completamente fermate con la chiusura dei luoghi della cultura. Ed ecco quindi che il fenomeno delle retribuzioni inadeguate è diventato ancora più evidente», conclude Garrisi. Coinvolgendo a questo punto anche tanti ultra quarantenni.

Ma dove, nel grande mondo dei beni culturali, si viene più spesso sottopagati? «In particolare nella cantieristica legata ai servizi, quindi scavi per condutture acqua, luce, gas o fibra. Qui il sistema dell’appalto e del sub-appalto genera i danni più importanti». Non bisogna però generalizzare in negativo, perché, ci tiene a ricordarlo il presidente ANA, esistono anche imprese che si comportano con correttezza nei confronti del professionista. Comportamenti in regola che dimostrano a suo avviso come «i margini di profitto siano sufficienti a garantire floridezza all’impresa e un’equa retribuzione al professionista. Quando questo non avviene, il motivo è evidente».

I dati raccolti ad oggi riguardano solo la regione Lazio, «perché questa sezione regionale ha lanciato l’iniziativa e ha avuto la capacità di concretizzarla per prima». L’intento, però, è quello di replicarla anche in altre regioni nei prossimi mesi ed arrivare a consolidare il rispetto delle normative per esempio sulle figure autorizzate ad operare nei beni culturali e quello della legge sull’equo compenso per il professionista.

In un settore come quello dei beni culturali in cui si moltiplicano gli annunci, anche ministeriali
di offerte di lavoro gratis o sottocosto – come il bando per la selezione di un’associazione di volontariato senza scopo di lucro per attività di collaborazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio in cui si pagava ogni volontario 27,50 euro al giorno, o quello per uno stage di sei mesi della Direzione generale beni culturali in cui si cercavano tra gli altri 10 stagisti archeologi che fin dall'inizio sapevano non sarebbero stati mai assunti o quello dei 500 giovani per la cultura, stagisti per mesi non pagati dal ministero a cui non seguì mai alcun inserimento  – in cui da sempre mancano investimenti e dove, a causa degli ultimi due anni di chiusure forzate in tutto il comparto, i guadagni sono stati minimi, il grido d’allarme dell’Associazione Nazionale Archeologi contro una prassi di sfruttamento consolidata della categoria suona ancora più forte e dovrebbe essere subito accolto da chi di dovere per porre un freno al fenomeno. E dare una svolta che tuteli i lavoratori del settore privato impegnati nella tutela del patrimonio archeologico, vitale per l’economia italiana.

Marianna Lepore

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