8 marzo: una festa celebrata da troppe casalinghe?

Alessandro Rosina

Alessandro Rosina

Scritto il 05 Mar 2012 in Editoriali

Perché è bassa l’occupazione femminile italiana? Uno dei motivi è… perché l’occupazione femminile è bassa. stageOvvero, la partecipazione delle donne incentiva e stimola essa stessa una crescita della presenza femminile nel mercato del lavoro. Gli ostacoli che le donne trovano nel loro percorso valgono quindi al quadrato e spiegano le forti differenze sia tra Italia e gli altri paesi avanzati sia all’interno del territorio italiano.
L’apprendimento dei ruoli di genere inizia molto presto. Già nei primissimi anni di vita. I bambini interiorizzano le norme e le aspettative sociali corrispondenti al loro sesso. Come vari studi hanno mostrato, è molto comune nelle famiglie italiane pretendere molto più dalle figlie femmine che dai maschi - anche quando la madre ha alto titolo di studio - di aver cura delle proprie cose e di collaborare nelle attività domestiche. Questo stile educativo riproduce di generazioni in generazione un modello asimmetrico che porta poi in età adulta le donne a sentirsi molto più responsabilizzate verso i carichi familiari, anche a costo di sacrificare il lavoro, mentre gli uomini a proiettarsi maggiormente verso l’esterno. Più che il titolo di studio, come vari studi documentano, sembra essere il fatto che la madre lavori essa stessa a forzare lo stile educativo verso una maggiore simmetria. L’essere occupata, da un lato trasmette verso le figlie femmine un modello di donna che non rinuncia ad una realizzazione professionale, ma tende a produrre, dall’altro, anche una ricaduta sulle attese verso i figli maschi: non potendo essere pienamente a loro servizio viene richiesto anche a questi ultimi un maggiore impegno nel gestire le proprie cose e nel contributo all’interno della famiglia.
Anche nella politica e nella classe dirigente, in generale, avere poche donne non aiuta. Se c’è un mondo da riconfigurare per consentire di valorizzare meglio il capitale umano femminile, servono sensibilità e competenze adatte per agire sulle leve giuste. Se invece sono poche le donne ai vertici, non prevale la loro visione, tanto più se sono arrivate ad alte posizioni imitando e adottando modelli maschili di comportamento. Una condizione di questo tipo è addirittura controproducente. So di  donne che arrivate ai vertici avendo rinunciato ad avere figli davano per scontato che chi faceva figli non fosse adatta o all’altezza o sufficientemente motivata per far carriera.
Il fatto è che per millenni ruoli maschili e femminili sono stati di un certo tipo e la società si è radicalmente strutturata coerentemente con questi ruoli. Ancora non pochi decenni fa la famiglia considerata come “idealtipo” e sedimentatasi nell’immaginario collettivo (basta vedere le pubblicità di allora e in parte anche di oggi), era quella con marito che porta a casa il salario e la donna che fa la casalinga e si dedica totalmente alla casa e ai figli. Un modello ben interiorizzato dagli appartenenti all’attuale classe dirigente italiana, che, come ben noto, è composta prevalentemente da maschi nati negli anni Cinquanta e dintorni.
Per cambiare questo stato di cose non basta il riconoscimento che quel mondo non esiste più e che anzi sensibilità e capacità femminili sono ora più in sintonia di quelle maschili con le nuove sfide dello sviluppo. Ma è altresì ben vero che prima si cambia in tale direzione e maggior crescita e coesione sociale si ottengono, come una letteratura scientifica consolidata evidenzia.
Tutto quello che ci obbliga a dare più spazio alle donne è quindi benvenuto, anche a costo di forzature. Le quote rosa e il congedo di paternità obbligatorio, se aiutano ad accelerare in questa direzione, ben vengano. Si tratta di misure che in un mondo ideale non dovrebbero esserci, quindi quando saremo sufficientemente vicini al paradiso in terra si potranno poi togliere. E allora anche la festa delle donne non sarà più necessaria.

Alessandro Rosina

Per saperne di più su questo argomento:
- Per risollevare l'economia bisogna ripartire dalle donne

E anche:
- I giovani italiani lavorano troppo poco e sono i più colpiti dalla crisi: lo conferma il Rapporto Censis 2011

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