Categoria: Notizie

20 febbraio, una giornata per dire no agli stage-sfruttamento: basta una foto a sostegno del Global Intern Strike

Il 20 febbraio sarà un giorno importante per gli stagisti di tutto il mondo. Dopo l'International Interns Day – la “Giornata internazionale degli stagisti” di un anno e mezzo fa – la coalizione che raggruppa la maggior parte delle realtà che in tutto il mondo si battono per i diritti dei tirocinanti – tra cui ovviamente vi è anche la Repubblica degli Stagisti per l'Italia – ha annunciato una nuova giornata di mobilitazione.Stavolta il titolo è “Global intern strike”, uno sciopero globale degli stagisti: una modalità tradizionale, scelta per rappresentare i bisogni di figure non tradizionali nel mercato del lavoro.La finalità principale dello Strike è quella di protestare contro gli stage non pagati, una piaga che purtroppo persiste in molti Paesi e anche in realtà blasonate come l'ONU: non a caso una delle manifestazioni più importanti si terrà a Ginevra, dove ha sede il quartier generale europeo dell'Onu.«Come Repubblica degli Stagisti naturalmente aderiamo a questa giornata di mobilitazione» dice Eleonora Voltolina, la giornalista che ha fondato e dirige da quasi dieci anni la testata online che perora i diritti degli stagisti in Italia: «Lanciamo a tutti gli stagisti la proposta di farsi una foto con un cartello con la scritta Global intern strike e poi farla circolare sui social network e postarla sulla nostra pagina Facebook, per dare forza alla protesta internazionale».«Noi in Italia abbiamo parzialmente risolto la piaga degli stage gratuiti» continua Voltolina: «Tra il 2012 e il 2014 sono state approvate in tutte le Regioni nuove normative che hanno introdotto una indennità mensile minima obbligatoria a favore di tutti i tirocinanti extracurriculari, cioè quelli che fanno uno stage al di fuori di un percorso formativo».Dunque gli stage gratuiti in Italia sono illegali? «Non del tutto» precisa Voltolina: «Resta al di fuori di questa protezione un buon 50% degli stage che ogni anno vengono attivati nel nostro Paese: i curriculari, cioè quelli che vengono svolti mentre si sta facendo per esempio l'università, o un corso di formazione, o un master».Per questi stagisti dunque il diritto al rimborso spese è ancora un miraggio: «Noi combattiamo gli stage gratuiti per molte ragioni. La più importante è che sono classisti: una opportunità di formazione on the job che non prevede un compenso è infatti preclusa a tutti coloro che non hanno una famiglia abbiente, disponibile a mantenerli per la durata dello stage - magari addirittura in un'altra città».La Repubblica degli Stagisti chiede al Parlamento e al ministero dell'Istruzione (a differenza dei tirocini extracurriculari, che sono di competenza regionale, quelli curriculari sono infatti di competenza statale), di introdurre una nuova normativa che mandi definitivamente in pensione quella attuale (il dm 142/1998), ormai obsoleta e troppo vaga. «La nostra proposta è di prevedere una indennità obbligatoria anche per i tirocini curriculari, magari un po' più bassa di quella prevista per gli extracurriculari» specifica la direttrice della Repubblica degli Stagisti: «Un compenso minimo per tutti i tirocini di durata superiore alle 200 ore, che equivalgono a poco più di un mese».Ovviamente vi sono poi molti altri aspetti che determinano la qualità di uno stage: «Noi siamo fortemente contrari, per esempio, alla possibilità di usare questo strumento per mansioni semplici e ripetitive: non dovrebbero essere permessi stage di 6 mesi, o addirittura di più, per fare i commessi nei negozi o i cassieri al supermercato. Eppure non solo questi stage sono molto comuni, ma scavando un po' si scopre che spesso e volentieri sono inseriti in programmi statali e pagati con fondi pubblici, come è accaduto e ancora accade con Garanzia Giovani» si rammarica Voltolina.La situazione degli stagisti italiani è ancora molto critica: per questo la Repubblica degli Stagisti abbraccia il Global Intern Strike del 20 febbraio, e sarà presente con una sua rappresentante alla manifestazione di Bruxelles.

Erasmus Plus, i nuovi bandi del 2017: oltre 5700 opportunità

Continuano anche con il nuovo anno le opportunità di mobilità all’estero offerte dai bandi Erasmus Plus di atenei e associazioni. Dal 2014 Erasmus Plus è il programma che raccoglie sotto un unico cappello tutti i progetti di mobilità in ambito europeo relativi a istruzione, formazione, gioventù e sport. Ecco quelli con scadenza più imminente.Sono 25 le borse di mobilità della durata di tre mesi ciascuna messe a bando dall’università del Molise. Gli studenti dei corsi di laurea o di dottorato dell’ateneo che si aggiudicheranno le borse avranno diritto a tre mensilità per un totale di 1440 euro, importo valido per tutte le destinazioni: Belgio, Grecia, Germania, Austria, Francia, Romania, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Regno Unito, Cipro, Croazia, Bulgaria, Lituana, Macedonia. L’ultimo giorno utile per presentare la propria candidatura è il 20 febbraio. Il modulo per la candidatura è disponibile sul sito dell’università e può essere inviato tramite raccomandata all’ufficio Relazioni Internazionali dell’università, tramite posta elettronica oppure a mano all’ufficio protocollo dell’ateneo. Le borse di mobilità sono destinate a studenti di tutte le facoltà.26 febbraio invece ultimo giorno utile per provare ad aggiudicarsi una delle borse di mobilità messe a bando dal consorzio SEND, di cui sono partner 9 atenei italiani: 440 mensilità, per un budget complessivo di 200mila euro, per un’esperienza all’estero nel settore dell’europrogettazione, intesa come insieme di attività finalizzate alla produzione, presentazione e gestioni di progetti indirizzati all’UE, da effettuare tra il 15 marzo e il 31 dicembre 2017, per una durata che può andare da due mesi a un anno. Possono partecipare alle selezioni giovani iscritti a un corso di laurea, master o dottorato di uno dei 9 atenei appartenenti al consorzio (università di Venezia, Cagliari, Catania, Macerata, Padova, Palermo, Roma Sapienza, Trieste), in possesso di un livello di conoscenza dell’inglese pari almeno a B1. Il contributo mensile per le borse di studio può variare dai 480 ai 430 euro a seconda del paese ospitante. La candidatura deve essere inoltrata online attraverso la compilazione di un formulario, disponibile al link indicato nel bando.Fino al 27 febbraio è possibile candidarsi per una delle oltre 1700 borse di mobilità stanziate dall’università di Modena e Reggio-Emilia e destinate agli studenti di laurea triennale, magistrale, a ciclo unico e di dottorato. I soggiorni all’estero vanno da un minimo di tre mesi a un massimo di 12, con partenza previste tra il primo giugno 2017 e il 30 settembre 2018. Le destinazioni variano a seconda delle facoltà e gli importi vanno dai 280 euro mensili per paesi con costo della vita alto, come Danimarca, Finlandia, Francia e Irlanda ai 230 di paesi come Belgio, Spagna, Turchia, Bulgaria. La domanda di partecipazione può essere presentata esclusivamente online tramite la pagina dedicata.Il 6 marzo prossimo è fissato il termine per concorrere a una delle oltre 900 borse di mobilità messe a bando dall’università di Udine e distribuite tra le facoltà di ingegneria, matematica, agraria, economia, giurisprudenza, medicina, scienze della formazione, lettere, lingue e relazioni pubbliche. Di durata variabile tra tre mesi e un anno, con partenze previste tra giugno 2017 e settembre 2018, le borse di mobilità sono destinate a studenti di corsi di laurea e dottorato dell’ateneo di Udine, in regola con il pagamento delle tasse.Nella domanda di partecipazione lo studente può indicare fino a un massimo di quattro destinazioni, a scelta dall’elenco disponibile per ciascuna facoltà sul sito dell’ateneo. Anche in questo caso le borse hanno importo variabile a seconda del costo della vita dei paesi di destinazione: si va dai 280 euro mensili per paesi con costo della vita alto (tra cui Austria, Danimarca, Finlandia o Norvegia) ai 230 di quelli con costo della vita più basso (come Belgio, Grecia o Bulgaria). Sono previsti dal bando anche ulteriori contributi per studenti in condizioni economiche svantaggiate. La richiesta di partecipazione può essere inoltrata online, attraverso la registrazione all’area dedicata del sito dell’università, oppure può essere cartacea e deve essere spedita all’Ufficio Protocollo dell’università di Udine, indicando obbligatoriamente sulla busta la seguente dicitura: “candidatura Erasmus+ studio 2017/2018, Astu / ufficio mobilità”.Un giorno in più, la scadenza è il 7 marzo, per le oltre 3mila borse di mobilità rivolte agli studenti di qualsiasi facoltà dell’università di Padova, di durata tra i 3 e i 12 mesi e con destinazioni europee ed extra europee. I soggiorni devono essere effettuati tra il primo luglio 2017 e il 30 settembre 2018.Gli importi vanno dai 280 euro mensili per paesi come Austria, Danimarca, Finlandia, Francia ai 230 di destinazioni come Belgio, Lettonia, Lituania, Spagna. Per le destinazioni extra europee l’importo mensile è di 650 euro, più un contributo per le spese di viaggio variabile a seconda dei km di distanza tra l’ateneo di origine e quello di destinazione. In entrambi i casi la candidatura va inoltrata esclusivamente online tramite la registrazione al sito. La deadline è infine fissata al 31 marzo per i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni e i disoccupati e inoccupati tra i 18 e i 35 anni domiciliati in Piemonte che intendono partecipare all’assegnazione di una delle 12 borse di mobilità nell’ambito del progetto EMPIT. Destinazione: Lituania. Indispensabile aver acquisito esperienza di studio o lavoro in ambito IT. Oggetto del bando sono infatti tirocini in questo settore, con partenze previste tra aprile 2017 e febbraio 2018 e copertura delle spese di viaggio per e dal paese di destinazione e di vitto e alloggio. Le domande vanno compilate esclusivamente online tramite il modulo disponibile sul sito www.euroformrfs.it. Alla domanda firmata dovranno essere allegati copia della carta di identità fronte retro, CV formato Europass e lettera di motivazione. Le candidature dovranno pervenire esclusivamente presso Euroform RFS (Corso Umberto I n° 31 -Torino), a mezzo posta o a mano entro e non oltre la data ultima di presentazione.Chiara Del Priore  

L'industry 4.0 è il futuro: 15 opportunità di apprendistato di alta formazione in Bosch, candidature fino a fine febbraio

Assunti subito, senza bisogno di stage. Assunti con un contratto vero, subordinato: un apprendistato di due anni. E non un apprendistato qualsiasi: un apprendistato di alta formazione, che implica un enorme investimento dell'azienda perché prevede che una parte della durata del contratto sia dedicata a formazione in aula. E poi, ancora, l'opportunità di passare sei mesi all'estero, nel paese "casa madre". Specializzandosi in quelle competenze che sono già oggi il futuro della produzione industriale.Il nuovo programma di assunzione di talenti del gruppo Bosch in Italia, che fa parte dell'Rds network, racchiude tutto questo. Si chiama "Bosch Industry 4.0 Talent Program" ed è una opportunità aperta a quindici laureati di eccellenza. Neoingegneri, matematici e fisici sono i potenziali partecipanti; il requisito principale, oltre alla competenza in queste materie, è ovviamente una passione per il tema dell'Industry 4.0 e delle nuove tecnologie. Buone conoscenze di informatica e dei principali linguaggi di programmazione, disponibilità alla mobilità nazionale e internazionale e ottima conoscenza dell'inglese completano il profilo del (o della!) "candidato/a ideale".Le candidature sono aperte da meno di tre settimane e sono già oltre mille i giovani che hanno compilato l'application form. «Siamo molto soddisfatti dalla qualità delle candidature» commenta Angelo Formenti, employer branding manager di Bosch: «Purtroppo alcuni non hanno i requisiti base, penso sopratutto ai laureandi: per questo specifico programma di assunzioni possiamo infatti considerare solo chi è già in possesso di laurea magistrale. Inoltre è bene ricordare che vi è un limite anagrafico, posto dalla normativa sull'apprendistato, per cui alla data del 10 aprile bisognerà che i partecipanti non abbiano ancora compiuto 30 anni».Il graduate program si basa sulla collaborazione tra Bosch, Cefriel e il Politecnico di Milano: «Dopo una iniziale scrematura sulla base dei prerequisiti e un primo colloquio conoscitivo, che svolgiamo al telefono oppure via Skype, scegliamo la rosa di candidati da chiamare per gli assessment, i colloqui di gruppo: proprio ieri abbiamo fatto il primo, nella sede di Cernusco, e oggi ne faremo un altro a Milano».  Le selezioni si svolgeranno anche presso le sedi Bosch di Torino, Bergamo, Offanengo in provincia di Cremona, Udine, Bari e Modena ma anche in Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Lazio, Piemonte, Toscana e Marche, per dare a tutti l'opportunità di provarci.L'ultima prova di selezione sarà un hackathon, per testare le capacità informatiche, di programmazione e sviluppo software dei candidati. I 15 che arriveranno in fondo alla selezione saranno inizialmente assunti con un contratto di apprendistato di alta formazione di due anni, durante i quali frequenteranno un master esclusivo presso il Politecnico di Milano. «Durante il percorso formativo i neoassunti saranno impegnati per circa 50 giorni in aula» conferma Formenti «e per altri 50 giorni in un progetto Industry 4.0 ad hoc legato all'innovazione». Nello specifico qui si parla di digitalizzazione delle macchine, data mining (il processo di estrazione di conoscenza da banche dati di grandi dimensioni tramite l'applicazione  di algoritmi), IoT (acronimo di "Internet of things", neologismo riferito all'estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti: gli oggetti acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati e accedere ad informazioni aggregate - gli impianti di riscaldamento che interagiscono con clima esterno, per dirne una). «È previsto un periodo di formazione di sei mesi in Germania, a Blaichach, uno dei plant d'eccellenza per l'Industry 4.0 di Bosch» aggiunge Formenti. Blaichach è un sito produttivo; vi lavorano 3.400 persone e rappresenta la più importante realtà industriale dell'Allgäu, una regione situata nella parte meridionale della Germania, al confine con Austria e Svizzera. A Blaichach vengono prodotti sistemi elettronici di controllo dei freni (ABS e ESP), sistemi per veicoli ibridi, componenti della catena cinematica come la tecnologia di iniezione, turbocompressori e sensori di gestione del motore, sensori video, e le linee di produzione per la rete di produzione internazionale. Si tratta di uno stabilimento completamente proiettato verso l'innovazione e l'Industry 4.0, dove vengono costantemente sperimentati nuovi strumenti e modalità di lavoro.«Ai neoassunti questa esperienza internazionale permetterà di sviluppare soluzioni pratiche per migliorare le performance aziendali attraverso la digitalizzazione delle macchine e IoT» spiega Formenti: «Al termine del percorso, conosceranno in modo approfondito le realtà del gruppo Bosch e seguiranno progetti trasversali in ambito produttivo, commerciale entrando a far parte del team di riferimento per tutte le tematiche riguardanti l'Industry 4.0». C'è tempo fino a martedì 28 febbraio per provare a cogliere questa opportunità; l'ufficio HR di Bosch ha deciso di posticipare l'avvio dei contratti e dunque del master dal 20 marzo al 10 aprile, per avere più tempo per vagliare tutti i cv. «Un ultimo messaggio? Vorremmo sempre più giovani donne candidate, dunque il nostro appello alle ingegnere e alle matematiche è sicuramente quello di candidarsi!»Ci si candida al Bosch Industry 4.0 Talent Program attraverso il sito Bosch o utilizzando i canali partner di employer branding come Glickon. Chi ha i requisiti adatti si faccia sotto!

Donne e scienza, questione di fisica?

Un anno fa Fabiola Gianotti veniva nominata direttore generale del Cern, il più grande laboratorio mondiale di fisica delle particelle, diventando così la prima donna nella storia dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare ad assumerne la guida. Un motivo di orgoglio per il nostro paese, ma anche uno sprone per tutte quelle ragazze che temono di affrontare una carriera che statisticamente resta appannaggio maschile.La fisica è infatti una delle materie dell’area Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) dove si registra una maggiore difficoltà nel superamento del gap di genere. Secondo i dati dell’Anagrafe nazionale studenti (Ans), nell’anno accademico 2015/16 su 3.632 immatricolati alla classe di lauree in "Scienze e tecnologie fisiche" solo il 31% erano donne. Più o meno la stessa percentuale di dieci anni prima.Il divario si avverte profondamente anche nel mondo del lavoro. Secondo l’Unione europea la fisica è tra le discipline scientifiche con la più bassa rappresentatività di donne a tutti i livelli di carriera. Emblematico lo studio Careers in physics: which perspectives for women?, condotto nell’ambito del Progetto Genera (Gender Equality Network in the European Research Area). I primi risultati sono stati presentati lo scorso novembre in occasione del Gender Summit di Bruxelles da Sveva Avveduto, direttrice dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali  del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Fra i dati raccolti, spiccano quelli sui ricercatori in fisica del Cnr: solo il 32,3% sono donne. E più è alto il livello di carriera più la differenza aumenta.Per sensibilizzare le nuove generazioni sul tema il Cnr, insieme all’Istituto nazionale di fisica nucleare, ha recentemente bandito un concorso rivolto alle scuole superiori di II grado per la realizzazione di un elaborato dalla seguente traccia Donne e ricerca in fisica: stereotipi e pregiudizi. Il testo giudicato migliore sarà presentato nel maggio prossimo in occasione del Gender in Physics Day, sempre nell’ambito del Progetto Genera.Ma all’abbattimento degli stereotipi si può contribuire anche e soprattutto con l’esempio di donne che non si sono arrese ad essi. «Alla mia prima esperienza a colloquio, alla Deutsche Bank, mi dissero di no perché ero una donna, allora non assumevano donne», racconta alla Repubblica degli Stagisti Anna Sirica, direttore generale dell’Agenzia spaziale italiana, per intenderci l’equivalente italiano della Nasa. «Ho fatto una serie di domande da direttore generale» continua «e non sono stata presa perché ero donna. Ma non mi sono mai arresa».Nel 2002 le capitò sotto mano un bando di concorso dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che allora stava nascendo. «Nonostante dovessi occuparmi di aspetti gestionali, fui interrogata da un astrofisico e da due commissari, e questo loro amore per una materia per me allora inavvicinabile - io odiavo la fisica - questa passione per la scienza, me la trasmisero tutta. Da quel momento mi sono studiata la fisica, l’astronomia, ho partecipato ad osservazioni in Arizona, alle Canarie. Poi sono passata alla fisica nucleare e infine allo spazio, e oggi seguo la nuova missione di Paolo Nespoli».Un incontro, quello di Anna Sirica con la fisica, avvenuto per caso dopo gli studi in Economia e commercio, ma che le ha cambiato la vita. Per questo oggi è convinta che le ragazze abbiano ottimi motivi per scegliere questa materia. «Qui secondo me c’è maggiore riduzione del divario di genere, ad esempio dal punto di vista dei salari. La donna riesce comunque ad arrivare a livelli apicali. Quello della fisica è un mercato molto competitivo e strategico per l’Italia, valuta quanto sei innovatore, al di là che tu sia uomo o donna». Il direttore generale Asi riporta l’esempio a lei più vicino: «In Agenzia la proporzione apicale è di un terzo: su circa 30 responsabili, 10 sono donne, in aree strategiche e tecnologiche non amministrative. E abbiamo aperto un asilo nido, forse primo caso in un ente pubblico, che consente alle donne di avere un ruolo anche apicale senza sacrificare la famiglia».Anche l’Istituto italiano di tecnologia  di Genova rappresenta un modello positivo di impegno concreto per il superamento del divario di genere in ambito scientifico. È infatti l’unico centro di ricerca ad avere introdotto, due anni fa, la regola dello  “Stop the clock for maternity”  (“Ferma l’orologio per la maternità”), considerata una best practice a livello internazionale. In sostanza i contratti a tempo determinato, subordinato o a progetto vengono prorogati per un periodo che pareggia la maternità, e la sospensione delle attività non impatta sul curriculum, perché è come se la carriera fosse “congelata”. Quella dell'Iit è stata la risposta italiana allo slogan “Freeze your eggs, free your career”, ("Congela i tuoi ovuli e libera la tua carriera") di Facebook ed Apple.«Dopo un paio di esperienze all’estero» racconta alla Repubblica degli Stagisti Greta Radaelli, 30 anni, ricercatrice e amministratore delegato della start up BeDimensional «ho avuto la fortuna di imbattermi nell’Istituto italiano di tecnologia, che dà la possibilità di budget competitivi in Europa e di mettersi in gioco su progetti industriali. Quindi da un lato di continuare a fare ricerca, dall’altro di affacciarsi a problematiche del mondo reale». Greta Radaelli è nel database online 100esperte.it, che ha raccolto i profili di 100 donne italiane esperte nell’area Stem, al fine di combattere il gender gap nei mezzi di informazione. La sua start up è nata in seno all'Iit per favorire l’introduzione nelle aziende manifatturiere del “materiale del futuro”, il grafene. Duplice la funzione di BeDimensional: da un lato produrre grafene e altri materiali bidimensionali; dall’altro sviluppare ricette che permettano alle aziende di sfruttarne le potenzialità, sia in sostituzione dei materiali standard sia in integrazione ad altri materiali. Tanti i possibili campi di applicazione del grafene, così come i vantaggi del suo utilizzo. Qualche esempio: integrato nella scocca di un casco, aumenta la resistenza agli urti, e quindi la sicurezza, nonché il comfort termico; usato nella soletta di una scarpa, le conferisce la capacità di dissipare il calore. Con il grafene si possono produrre “magliette intelligenti” in grado di monitorare il battito cardiaco. E ancora, a livello ambientale, lo speciale materiale può essere utilizzato per produrre del fotovoltaico semitrasparente e rendere le finestre conduttrici di energia elettrica pulita.Un mondo di potenzialità che presto potrebbero aver bisogno di nuove menti. «Oggi siamo in una fase di incubazione e resteremo nell’Iit ancora per un anno, ma quando entreremo sul mercato confidiamo di poter offrire nuove opportunità lavorative», conclude Greta Radaelli. Il suo auspicio è quello di poter restituire ad altri giovani quella fiducia che lei ha avuto la fortuna di ricevere e la capacità di meritare.Insomma, oggi le ragazze - al pari dei loro colleghi - hanno tutto l'interesse a formarsi nel campo della fisica, senza aver paura di sognare in grande. 

Bip, con l'exponential recruting per 15 neolaureati subito l'inserimento in azienda: “Fossero tutti così i colloqui...”

Metti una mattinata qualunque all'università, tra i banchi di un'aula: ma non per lezioni o esami, bensì un colloquio di lavoro. Con esito immediato: se piaci, arriva seduta stante una proposta di stage finalizzata all'assunzione. Succede a Tor Vergata, dove qualche giorno fa Bip, multinazionale della consulenza, membro del circolo virtuoso RdS, ha convocato una ventina di studenti – 15 ragazzi e 5 ragazze – per una giornata di exponential recruiting. Hanno tutti tra i 23 e i 27 anni, sono laureati da poco oppure a pochi esami dal traguardo.Un format innovativo che mette da parte i tradizionali metodi di reclutamento e consente a chi è nel ruolo di esaminare il candidato di «osservarlo nella versione migliore di se stesso» spiegano alla Repubblica degli Stagisti Angelo Proietti, partner di Bip e ideatore del format, e Alberto Gennari, founder e managing partner di WeOne, società specializzata in processi innovativi che ha messo a punto le metodologie dei laboratori collaborativi utilizzate da Bip. Entrambi hanno voluto seguire dal vivo la tappa romana, per poterla raccontare dall'interno. «A un certo punto mentre lavorano si dimenticano di essere valutati». Non è casuale: dietro c'è il metodo del cosiddetto design thinking, che fa sì che tutto il processo sia come «collegato da un filo rosso».Funziona così: Bip contatta l'ufficio placement di un ateneo (questa di Tor Vergata è la sesta edizione, in passato gli appuntamenti sono stati in altre città tra cui Palermo, Milano, Trento e Pavia). L'università si attiva e chiede a qualche professore delle facoltà interessate – in questo caso Economia e Matematica – di inviare una call ai migliori studenti, tra laureandi e laureati. C'è entusiasmo per questa iniziativa, una professoressa di tanto in tanto fa capolino in aula per controllare come stanno andando i suoi studenti. «Si crea un punto di contatto tra i career service e il mondo occupazionale, e loro ne sono contentissimi» conferma Gennari.«In tutto sono arrivati 45 curriculum» aggiunge Valeria Falconi delle risorse umane di Bip. «Li mandano direttamente a noi, in modo che non ci siano altri filtri» prosegue. «Lo screening si basa non tanto sul voto, quanto sul tempo che hanno impiegato per laurearsi, le esperienze all'estero, le competenze linguistiche». E a quel punto si apre la giornata, a cui invece di prendere parte solo gli addetti Hr, «partecipano anche i manager di linea, cioè quelli con cui i candidati si troveranno poi a lavorare». All'inzio non si sa quanti saranno presi: «Dipende» commenta Falconi: «Potenzialmente anche tutti, se ci colpissero tutti quanti». Bip è infatti in fase di espansione dell'organico e per il 2017 è prevista l'assunzione di 350 professionisti, di cui 150 tra neolaureati e laureandi.Dopo il benvenuto iniziale, si passa alla prima fase. Banditi i cellulari e altri mezzi digitali: le regole del gioco prevedono solo musica di sottofondo, cartoncini, pennarelli. Ragionamento puro senza fronzoli. C'è la presentazione dell'azienda da parte dei manager, e poi viene chiesto ai partecipanti di farlo a loro volta. «Un'inversione identitaria in cui smettono di essere studenti» chiarisce Proietti. «E già da lì si comincia a vedere chi è in grado di esporre con una certa autorevolezza». Segue la divisione in gruppi, per la risoluzione di un problema, che va successivamente esposta. «Si capiscono le capacità di presentare, di fare analisi, sintesi e formulare ipotesi» commenta. Ha appena finito di chiacchierare con i ragazzi, in gruppo. A loro è stato chiesto di esprimersi a ruota libera, senza una traccia precisa, sulla base di alcune cartoline con su scritto ognuna una frase diversa.Dopo la pausa la seconda parte. Adesso ai candidati viene chiesto di risolvere un caso pratico aziendale, e di sintizzare le idee per poi presentarlo. Intorno a loro è stato ricreato il sistema di lavoro aziendale reale Con il cronometro si calcola quanto manca alla fine dell'esercizio: finito il tempo, si confrontano a rotazione con i manager: spiegano – talvolta devono farlo anche in inglese – perché quella opzione, come superare quell'ostacolo, cosa dire al cliente. O quanto budget stanziare, «che è la parte dove i ragazzi di solito tentennano di più» confida Gennari.«Come si fa a ricordare i singoli profili?», chiede la Repubblica degli Stagisti. «Facciamo una foto a ognuno, che poi useremo per il finale, quando andremo a decidere» spiega Falconi. Dopo la pausa pranzo i manager e gli addetti HR si riuniranno infatti per mettere ai voti i candidati. Tutti avranno un feedback, anche solo tramite sms. Per Gennari «è una questione di rispetto: loro ci dedicano del tempo, e noi glielo dobbiamo anche per dare modo di riflettere su quello che eventualmente non è andato».A sei di loro, a fine giornata, viene chiesto di presentarsi per un secondo colloquio per confermare la propria idoneità alla posizione. È il caso di Federica, 23 anni, soltanto quattro esami dalla laurea specialistica in Economia. «Ci sarà una seconda convocazione» racconta alla Repubblica degli Stagisti. «Questo è stato il primo colloquio della mia vita e mi è piaciuto tanto perché è un ambiente informale. Sei in aula a lavorare con i tuoi compagni, non ti senti sotto pressione» ammette. «Fossero tutti così i colloqui...».Per nove di loro, invece, direttamente una lettera di proposta di inserimento in stage, che è poi quasi una garanzia di assunzione visto che Bip stabilizza più del 90% dei tirocinanti che inserisce. Domenico, laureato da due mesi in economia da 110 e lode, è tra questi: «Esperienza molto dinamica e stimolante, ma anche faticosa perché devi tenere alta la concentrazione per sei ore di seguito». E serve prepararsi prima: «Ho studiato sui business case di qualche libro». L'inizio è da subito, si dovrà solo decidere dove: «Vivo ad Avezzano, in Abruzzo. Ma la sede la potrò scegliere io». Adesso si aprirà per lui una nuova stagione come business analist. E poi, con tutta probabilità, un contratto a tempo indeterminato.Ilaria Mariotti

Bando agli stereotipi, con Bet she can si scommette sulle donne: fin da piccole

Investire sulle future generazioni e in particolare sulle bambine che diventano veicolo e centro del cambiamento: da qui parte la fondazione Bet She Can, (espressione inglese che vuol dire “scommetto che ce la fa!”) nata nel gennaio 2015 da un’intuizione di Marie Madeleine Gianni, 44 anni, oggi dirigente part time in una multinazionale italiana, con l’obiettivo di offrire a giovanissime gli strumenti per sviluppare la consapevolezza di se e delle proprie potenzialità.«Ho avuto la fortuna di vivere un’infanzia e un percorso professionale e personale da privilegiata, senza subire una serie di stereotipi e sovrastrutture, che hanno pesato meno rispetto ad altre coetanee sulla mia educazione. Ma, purtroppo, nelle nostre società occidentali ci sono ancora tante costrizioni per le bambine. E da qui è nato l’intento di ragionare in modo diverso dal solito concentrandosi sulle opportunità», spiega la presidente della Fondazione Gianni. Partire quindi con un approccio positivo e far crescere delle opportunità, altrimenti non prese in considerazione, proprio in una fascia di età in cui gli stereotipi non giocano ancora un ruolo predominante. «Tra gli otto e i dodici anni si può ancora agire in modo positivo e ottenere un cambiamento. Anche perché la fascia di età successiva, l’adolescenza, ha altre priorità e il dialogo con gli adulti diventa più complesso». Perciò la Fondazione ha scelto questo target, buttando un occhio a quello che succede all’estero. Se in Italia corsi di empowerment per donne non mancano ma sono principalmente dedicati alle giovani dai 16 anni in su, all’estero - in particolare in Canada e Stati Uniti - ci sono varie realtà che anticipano questo tipo di interventi.Al momento Bet she can offre vari progetti, in corso o in cerca di finanziamento, come la seconda edizione di “In viaggio con Rosetta”. «È un progetto che tocca il settore della robotica e dell’aeronautica e attraverso l’avventura della sonda Rosetta che va a raggiungere la sua cometa, le bambine svolgono dei laboratori di robotica e programmazione e dei workshop sui pianeti e le comete. Quindi nozioni base di astrofisica per avvicinarle a questi mestieri prettamente maschili». Oggi le donne rappresentano ancora solo circa il 10% degli ingegneri nell’industria aeronautica e aerospaziale. Un altro progetto che ha avuto molto successo è stato Cambiamo gioco, abbinato alla campagna «Barbie puoi essere tutto ciò che desideri» organizzato a Roma questa primavera con l’appoggio della Mattel, che lo aveva finanziato per diffondere il messaggio che la bambola «non sia tanto un recipiente di stereotipi ma un avatar che dà alle bambine la possibilità di sperimentare tutta una serie di opportunità di vita e di esperienze».La Fondazione ha una serie di progetti attivi, ma è sempre disponibile ad attivarne nuovi. «Prima li ideiamo e poi cerchiamo il finanziamento». Al momento sono tutti concentrati tra centro e nord Italia, ma solo perché ci sono poche risorse. «Mi piacerebbe svolgere i prossimi progetti al Sud, anche perché la portata della Fondazione è assolutamente nazionale. Purtroppo però non abbiamo una struttura fissa: sono la presidente ma faccio la dirigente in una multinazionale italiana, quindi la Fondazione è la mia passione ma posso seguirla nei ritagli di tempo. Trovare partner locali per strutturare un progetto prende molto tempo e al momento nessuna azienda del sud ci ha chiamato per realizzare qualcosa insieme. Ma siamo convinte che queste tematiche siano assolutamente trasversali, geograficamente ma anche culturalmente e in termini sociali e di religione».La Fondazione, poi, va oltre i corsi di empowerment. «Stiamo costruendo un database, raccogliendo i dati con dei questionari somministrati ai genitori, che a quell’età sono il punto di contatto delle bambine, per seguirle negli anni e vedere se rispetto alla media nazionale avranno strade diverse». Anche perché se vengono abbandonate e lasciate alla quotidianità ricca di stereotipi perderanno tutto ciò che hanno imparato. «Per questo sono importanti formule annuali come La Tribù. Di solito le bambine sono entusiaste, ma poi il corso finisce. La Tribù, invece, è ripetibile, con varie annualità, e superati i 12 anni si può anche diventare tutor delle bambine più piccole, dando continuità al percorso». Un modo per seguire queste giovanissime, pensando a tutte le difficoltà che a causa del loro genere saranno costrette ad affrontare: «Pensiamo che le iscritte al Politecnico di Milano ancora oggi sono il 10-20%: trovarsi in una classe di ingegneria meccanica dove si è l’unica ragazza è complicato, si vive una vita di minoranza. Ma se uno ha acquisito gli strumenti per affrontare al meglio queste difficoltà, allora sarà più semplice». Di strada, però, ce n’è ancora moltissima da fare. Basti pensare che nell’ultimo report del World economic forum sulla partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica, il nostro Paese è 114esimo su 145. «Uno magari nella vita di tutti i giorni non se ne rende conto, ma questa è la realtà dei fatti».Bet she can è tra i pochi a prevedere percorsi di empowerment femminile per bambine così in tenera età. Ci sono però progetti simili realizzati per altre fasce di età. Per esempio il progetto La Nuvola Rosa, ideato da Microsoft Italia per sensibilizzare le studentesse tra i 17 e i 24 anni a colmare il divario di genere nella scienza, tecnologia e ricerca. Nel 2016, dopo le prime tre edizioni a Firenze, Roma e Milano, il progetto ha toccato il Sud, fermandosi a Bari, Napoli e Cagliari. In più di mille hanno potuto seguire dei corsi di formazione gratuiti, in ambiti molto tecnici, come il coding, per imparare basi di programmazione o sviluppare app o cloud computing.A giugno 2016 è partito il progetto biennale Women in Technology promosso dalla Fondazione Mondo Digitale con la Costa Crociere Foundation e dedicato a 150 studentesse tra Campania, Calabria e Sicilia per prevenire il fenomeno dei Neet e creare nuove opportunità di lavoro. In questo caso il progetto è applicato in tre istituti di istruzione secondaria superiore dove si svolgono una serie di attività che mirano a dare informazioni sulla redazione di un business plan e mentoring nello sviluppo del progetto. Con l’obiettivo di supportare i progetti imprenditoriali delle giovani donne nel settore delle tecnologie.Un altro programma tuttora in corso che cerca di aiutare le ragazze a raggiungere l’obiettivo della parità di genere nel mondo del lavoro – che secondo il World Economic Forum di questo passo non ci sarà prima di 100 anni – è Coding Girls. Promosso da Fondazione Mondo Digitale e dall’Ambasciata americana in Italia in collaborazione con Microsoft, cerca di raggiungere le pari opportunità nel settore scientifico e tecnologico. Destinatarie del programma sono mille studentesse di Milano, Napoli e Roma, suddivise in dodici scuole. Il progetto è partito nel 2014, durante il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione europea e nel 2015 ha coinvolto 400 studentesse di sette scuole secondarie di Roma e Napoli.Progetti apparentemente diversi tra loro per target, struttura e finanziamenti, ma accomunati dall’obiettivo di dare fiducia alle donne, fin dalla tenera età, e convincerle che tutte le strade nella loro vita saranno possibili. «Più una persona cresce, più si accorge dell’importanza di questi temi», spiega Marie Gianni motivando il perché abbia deciso di dare vita a Bet she can. Perché solo con corsi di questo tipo si potrà cercare di ridurre veramente il divario tra donne e uomini e dare alle prime la possibilità di fare nella vita tutto quello che desiderano e per cui si sentono portate, semplicemente alla pari dei maschi.Marianna Lepore

Trasferte all'estero, nessun problema: per l'Inail gli stagisti sono uguali ai lavoratori

Secondo l’Inail «gli stagisti sono lavoratori». Con una interpretazione opposta a quanto di continuo ripetuto dalle istituzioni, cioè che lo stage non è un rapporto di lavoro, l’Inail, l'Istituto italiano per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, equipara  di fatto i tirocinante ai dipendenti. La Repubblica degli Stagisti lo ha scoperto, quasi per caso, contattando l’Inail per avere chiarimenti sulla copertura assicurativa delle trasferte all’estero nell’ambito di tirocini nazionali.«Per quanto riguarda la trasferta, intesa come mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione nell'interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro e con previsione certa di rientro nella sede di lavoro di provenienza, il lavoratore inviato in qualsiasi paese estero rimane sempre assoggettato integralmente alla legislazione italiana» spiega Agatino Cariola, direttore centrale dell’Ufficio Rapporti internazionali e gestione prestazioni economiche Inail: «L’obbligo di comunicazione all’Inail, da parte del datore di lavoro, vige soltanto nel caso in cui il lavoratore venga esposto a rischi diversi da quelli per i quali è stato già assicurato presso l’Istituto». Alla richiesta della Repubblica degli Stagisti di specificare il trattamento del tirocinante, e non del lavoratore, dopo due mesi l’Istituto risponde così: «Per l’Inail lo stagista è un lavoratore, e come tale sottoposto alla disciplina di cui alla precedente risposta». Insomma, il tirocinante è equiparato al lavoratore a tutti gli effetti, quindi anche per le trasferte internazionali.Durante il periodo di tirocinio potrebbe infatti presentarsi l’opportunità di fare dei viaggi di lavoro, o anche una trasferta di un solo giorno. E, se l’azienda ospitante è una multinazionale o comunque è attiva sui mercati esteri, questi spostamenti potrebbero riguardare la visita di sedi aziendali in paesi stranieri oppure la partecipazione a eventi internazionali. Un’indubbia occasione di crescita e di confronto per chi si affaccia al mondo del lavoro nell’epoca globale. Ma questo tipo di esperienza è davvero consentita al tirocinante al pari di un lavoratore?Alla Repubblica degli Stagisti è giunta segnalazione, nei mesi scorsi, che alcuni enti promotori di tirocini in Lombardia vietano di mandare all’estero i propri stagisti. In particolare, le è presentato il caso di una società convenzionata, e quindi autorizzata alla promozione di stage, dalla Regione Lombardia. L’ente in questione aveva giustificato l’imposizione del divieto spiegando di aver contattato direttamente la Regione Lombardia per una delucidazione ufficiale, e di aver ricevuto conferma che uno stagista accolto presso un'impresa in Italia non può assolutamente svolgere nemmeno una piccolissima parte del proprio stage in terra straniera. La motivazione? Che il tirocinante, uscendo dai confini nazionali, non sarebbe più stato coperto in caso di incidenti. Eppure le trasferte all’estero sono consentite ad esempio dalle principali università milanesi. Ciò vuol dire che esse mettono a rischio i propri studenti? O... soggetto promotore che vai, regola che trovi?Sul sito ufficiale della Regione Lombardia nella sezione dedicata ai tirocini si legge: «Il soggetto promotore, o il soggetto ospitante se previsto dalla convenzione, è tenuto a garantire l’attivazione delle seguenti garanzie assicurative: assicurazione del tirocinante contro gli infortuni sul lavoro, presso l’Inail; assicurazione del tirocinante per la sua responsabilità civile verso i terzi durante lo svolgimento del tirocinio, con idonea compagnia assicuratrice. La copertura assicurativa deve comprendere anche eventuali attività svolte dal tirocinante al di fuori della sede ospitante». “Al di fuori” è un po' vago: al di fuori dalla sede, certo, ma anche della Provincia? della Regione? Dei confini nazionali?La Repubblica degli Stagisti ha chiesto conto alla Regione Lombardia della risposta data alla società convenzionata, interpellando la Direzione Generale Istruzione, Formazione e Lavoro. Il dirigente Alessandro Corno però smentisce tutto, negando che la Regione abbia mai vietato ai tirocinanti di effettuare trasferte all’estero: «In base alla normativa regionale vigente, la Regione Lombardia non dispone divieti circa la eventualità che la realizzazione del  tirocini possa svolgersi anche con attività  fuori sede, a condizione che vengano rispettate: le garanzie assicurative estese a tutte le attività rientranti nel progetto formativo; il tutoraggio; l'indennità di partecipazione; e la durata del tirocinio».Stessa risposta da parte dell’Afol Metropolitana, l'Agenzia per la formazione, l’orientamento e il lavoro di Milano. L'istruttore amministrativo Yeni Castaneda risponde così: «La trasferta breve all’estero, massimo una settimana, è consentita. Se la sede operativa viene spostata all’estero, allora il tirocinio non ha più validità. Il tirocinante deve essere accompagnato dal tutor o da un suo collega». Alla richiesta di un testo che lo formalizzi, la risposta è che si tratta di una «regola non scritta, che si è deciso di adottare per motivi assicurativi». Perchè proprio sette giorni, piuttosto che due o dieci? «Perché più il tempo di permanenza all'estero aumenta più aumentano i rischi», risponde Castaneda. La regola contrasta con quanto affermato dalla Regione, che non aveva parlato di limiti temporali. Come mai? «Le Afol Metropolitana dispongono di propri moduli per potere richiedere una eventuale trasferta all'estero da parte del tirocinante», è la risposta del dirigente Corno. Viene fuori quindi ancora una volta che in Italia basta spostarsi di ufficio... per trovare regole diverse.La Repubblica degli Stagisti ha condotto allora una piccola indagine fra gli atenei lombardi, per capire come si regolano nel caso in cui per i loro studenti si presenti l’opportunità di una trasferta all’estero. Ebbene, tutti confermano che la trasferta è consentita, se pur con condizioni che variano da un’università all’altra.«La nostra assicurazione come ateneo pubblico copre tutte le attività, comprese le trasferte all'estero», spiega alla Repubblica degli Stagisti Barbara Rosina, direttore del Cosp dell'università Statale di Milano: «La comunicazione di tali spostamenti deve essere inserita nel progetto formativo o, se essi subentrano in un secondo momento, basta inviare all'ateneo una mail precisa, che specifichi anche che il tirocinante è accompagnato da un tutor o che ne troverà uno nel luogo di destinazione». Ma difficilmente arrivano richieste di questo tipo: «I casi di trasferte all’estero nell’ambito di tirocini svolti in Italia sono molto rari, mentre capitano più di frequente stage interamente all’estero». Viene quindi da chiedersi se questa opportunità non venga davvero quasi mai sfruttata, magari per una questione economica, o se piuttosto lo step della richiesta di autorizzazione venga bypassato.Al Politecnico di Milano Cristina Perini, responsabile dell’ufficio Relazioni con i Media, conferma l’obbligo di comunicazione preventiva, che deve essere presentata dall’azienda con almeno 24 ore di anticipo all’Ateneo (Ufficio Career Service) via email, indicando il periodo di effettuazione della trasferta, le modalità di raggiungimento del luogo, le motivazioni e possibilmente anche l’accompagnatore. Qui emerge però anche una differenza di trattamento fra tirocinanti curriculari ed extracurriculari. «Lo studente o il laureato in trasferta in Europa risultano coperti dal Politecnico di Milano in termini di infortuni e responsabilità civile» puntualizza Perini: «Lo studente è coperto anche per trasferte extra-Europa, mentre il laureato in trasferta fuori dall’Europa perde la copertura per infortuni».All’università Cattolica funziona ancora diversamente. Qui i tirocinanti possono effettuare viaggi di lavoro all’estero anche da soli. Emanuela Gazzotti dell'ufficio stampa di ateneo – per conto dell’ufficio stage e placement – risponde infatti che «i tirocinanti sono obbligati a comunicare la trasferta ma non ad essere accompagnati dal tutor».E ancora, all'università di Brescia «i tirocinanti possono effettuare trasferte all'estero, ma sono tenuti a comunicare lo spostamento all'ateneo – spiega Elisa Fontana dell'ufficio stampa – e ad essere accompagnati da un tutor. La copertura assicurativa copre le trasferte sia nel paesi Ue che extra Ue, e senza differenze fra tirocinanti curriculari ed extracurriculari».Insomma: un tirocinante può effettuare una trasferta all’estero, a patto che il viaggio rientri nelle attività previste dal tirocinio, che l’azienda ospitante ne dia preventiva comunicazione al soggetto promotore, e che – a parte qualche eccezione – lo stagista sia accompagnato dal proprio tutor. Perché per l'Inail, a livello di assicurazione contro gli infortuni, la trasferta fuori Italia di uno stagista è esattamente identica alla trasferta di un lavoratore.Rossella Nocca    

"Stagisti Anonimi", al via gli incontri riservati per confrontarsi dal vivo

A volte – o per meglio dire, quasi sempre – quando si muovono i primi passi nel mondo del lavoro, ci si sente soli. I punti di riferimento sono pochi, instabili, spesso lontani. A chi confidare un problema senza mettere in pericolo la propria situazione professionale? Come risolvere un intoppo burocratico, o verificare il rispetto dei propri diritti? In che modo capire se la situazione che si sta vivendo è insolita, o se già altri ci sono passati? Noi con la Repubblica degli Stagisti ci muoviamo da molti anni su questo fronte, offrendo attraverso il sito un luogo di informazione, confronto, supporto. Il nostro Forum è uno spazio aperto e molto frequentato da tantissimi ragazzi che lo usano per condividere le proprie esperienze e cercare consigli.Ma a volte un sito non basta. Scrivere da casa propria, poter raccontare i propri dubbi attraverso una tastiera, ha certamente il vantaggio di potersi esprimere in anonimato, accedere a informazioni e supporto da luoghi remoti. Ma per quanto viviamo immersi nella società dei social network – e consideriamo ormai sempre più normale leggere i giornali online, coltivare rapporti di amicizia online, fare shopping online, corteggiarci online! – c'è comunque quel piccolo particolare che siamo animali sociali. Che la nostra vita acquista senso grazie ai rapporti umani offline che stabiliamo.Per questo come Repubblica degli Stagisti abbiamo spesso accettato e continuiamo ad accettare gli inviti di scuole e università, non solo per tenere workshop e seminari ma anche per fornire un "punto di incontro" e di ascolto in occasione di career day ed eventi speciali. Ma fino ad ora non ci eravamo mai spinti a organizzare noi stessi incontri di questo tipo. Adesso ne sentiamo l'urgenza: riteniamo che sia indispensabile creare delle occasioni di incontro faccia - a - faccia con i nostri lettori.Abbiamo dunque deciso di organizzare “Stagisti Anonimi”, una serie di incontri informali per dare la possibilità a piccoli gruppi di nostri lettori di venire a conoscerci, confrontarsi con noi, raccontarci le loro esperienze, condividere dubbi e riflessioni. Guardandoci negli occhi. Una delle particolarità degli incontri sarà la riservatezza: chi verrà a raccontare il suo problema avrà la garanzia non solo dell'anonimato ma anche della discrezione sui contenuti emersi.Il debutto di “Stagisti Anonimi” sarà a Milano mercoledì 1 febbraio, dalle 18:30 alle 20, nella sede della testata giornalistica online Linkiesta in via G. B. Morgagni n° 6; l'accesso sarà naturalmente libero e gratuito, ma solo per i primi 15 che si iscriveranno attraverso questo form. Ciascuno dei partecipanti avrà a disposizione un suo momento (all'incirca 5 minuti) per la sua riflessione, testimonianza o domanda; e oltre alle risposte di Eleonora Voltolina, fondatrice e direttrice della Repubblica degli Stagisti, ci sarà anche la possibilità di confrontarsi in maniera orizzontale, condividendo esperienze e consigli con gli altri. Vi aspettiamo.

Tasse in calo per gli studenti universitari, ma restano grandi differenze tra Nord e Sud

Quanto costa andare all’università? In tempi di crisi economica per le famiglie diventa sempre più difficile sostenere le spese necessarie per mantenere uno o più figli all’università. E allora l’indagine dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori sui costi degli atenei pubblici italiani torna utile per capire dove orientarsi e soprattutto quali differenze ci sono lungo lo Stivale. In linea generale, le tasse universitarie portano via da 158 a 3.890 euro, a seconda di quale ateneo si scelga e soprattutto di quale sia il reddito dello studente (o della sua famiglia) e il conseguente inserimento nelle fasce Isee che vanno dalla più bassa, fino a 6mila euro, alla più alta, oltre i 30mila.La ricerca, pubblicata un paio di mesi fa, ha cercato di dare un quadro il più possibile completo suddividendo l’Italia in tre macroaree geografiche e poi esaminando per ciascuna di queste le tre regioni con il maggior numero di studenti: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia. In ognuna di queste regioni sono state considerate due università, scelte in base alla grandezza, e di cui sono stati analizzati gli importi previsti per cinque fasce di reddito Isee.I dati raccolti raccontano quello che sarebbe facile dedurre, ovvero che gli atenei del Nord sono più cari rispetto a quelli del Sud con una differenza particolarmente accentuata per le fasce medio basse. Uno studente di prima fascia, quindi fino a 6mila euro di reddito, in Veneto paga in media 624 euro contro i 456 del suo omologo a Palermo, con una differenza del 27% che sale ulteriormente se si prendono in considerazione le singole università di Verona e Palermo.La differenza Nord - Sud è costante: l'importo medio per gli appartenenti alla prima fascia, infatti, è negli atenei settentrionali oltre l'8% più alto di quello applicato nel Mezzogiorno. Ma, un po’ a sorpresa, le rette più basse sono richieste dalle università del centro Italia che, ad esempio nel caso della prima fascia di reddito, chiedono circa la metà delle somme previste negli atenei del nord.Come si spiega questo grande divario? È dovuto principalmente alle importanti modifiche introdotte nei sistemi di calcolo delle tasse, in particolare nelle università dell’Emilia Romagna, dove sono state inserite agevolazioni economiche per le prime tre fasce di reddito. Specie  nell’università di Parma, tra le due prese in considerazione nella regione, si è passati da sei fasce contributive dell’anno accademico precedente alle 24 di quello attuale e gli studenti con un Isee inferiore ai 23mila euro sono stati esentati totalmente dal pagamento di tasse e contributi universitari. Quindi chi rientra in questa categoria deve versare solo la tassa regionale. Ecco spiegato perché quest’ateneo che nell’anno accademico 2015-2016 aveva ottenuto il primato di più caro tra quelli presi in considerazione, quest’anno è, invece, con la sua media dai 158 ai 1600 euro, tra quelli con rette più basse.Se poi lo studente preferirà una facoltà scientifica piuttosto che una umanistica, allora dovrà mettere in conto di spendere, almeno per alcune università, un po’ di più. Per quanto riguarda la prima fascia di reddito, infatti, si vanno dai circa 80 e 70 euro in più per gli atenei del Salento e la Federico II di Napoli ai poco più di 30 de La Sapienza di Roma, con un aumento che va dai tre ai sette punti percentuali.In questo quadro c’è una buona notizia che val la pena ricordare: rispetto agli importi delle tasse del 2015, nell’anno accademico iniziato ci sono state delle diminuzioni tra il 4 e il 14% per le prime quattro fasce di reddito, con il picco della più alta riduzione per gli appartenenti alla terza fascia, cioè quella con un Isee tra i 10 e i 20mila euro. Diminuzioni che però, comunque, difficilmente arrivano davvero a fare la differenza, e aiutare le famiglie che in tempi di crisi devono affrontare lo sforzo economico di pagare gli studi dei figli.Anche il report ci tiene a sottolineare che nonostante tutto le rette restano alte e, soprattutto, che il metodo di calcolo degli importi in base al reddito non risolve i problemi connessi all’evasione fiscale. Motivo per cui il figlio di un evasore riuscirà ad usufruire di agevolazioni e rette più basse, pur non avendone bisogno, a differenza del figlio di un operaio che potrebbe trovarsi a pagare di più. E come se non bastasse riuscirebbe difficilmente a conciliare un eventuale lavoro con la frequenza universitaria. L’ultimo rapporto Istat sugli studenti universitari pubblicato mostra, infatti, come negli ultimi dieci anni (dal 2005 al 2015) sia dimezzato il numero degli studenti lavoratori che, l’anno scorso, erano appena il 2% del totale.Un quadro, quindi, solo parzialmente positivo. Perché poi alle cifre delle tasse universitarie vanno aggiunti i libri di testo e, nel caso dei fuorisede, anche tutte le altre spese necessarie per vivere lontano da casa. Costi che Federconsumatori aveva analizzato durante lo scorso anno accademico, in un rapporto in cui definiva “esorbitanti” le spese sostenute dalle famiglie dei circa 600mila studenti fuorisede. Obbligati a pagare tra gli 8mila e gli oltre 9.600 euro annui per coprire tutte le spese di vita lontano da casa.Tempi, quindi, un po’ duri per le famiglie che devono mantenere i figli all’università. Se, da una parte, possono festeggiare una parziale riduzione delle tasse, dall’altra devono affrontare i costi comunque alti per gli studenti fuorisede oltre, poi, a confrontarsi con un mondo del lavoro che non sempre è pronto ad accogliere e quindi a mettere effettivamente a frutto gli anni di studio universitario.A questo punto, però, non può mancare un confronto con l’estero, anche questa volta abbastanza deludente per il nostro Paese. I dati arrivano dal National student fee and support systems in European higher education 2016/2017  di Eurydice, la rete che raccoglie, aggiorna e diffonde informazioni sulle politiche e l’organizzazione dei sistemi educativi europei. Il rapporto offre una panoramica comparativa delle tasse e dei sistemi di sostegno per gli studenti nei 33 paesi che fanno parte della rete Eurydice. Ed evidenzia come l’Italia sia tra i paesi in cui meno di un terzo degli studenti ottiene borse di studio, elemento che sommato alle alte tasse universitarie rende i giovani totalmente dipendenti dall’aiuto economico familiare. Meglio di noi fa la Spagna, con quasi il 29% di studenti beneficiari di borse di studio, e decisamente meglio Germania, Danimarca e Svezia dove non sono previste tasse e le borse di studio arrivano a coprire, come nel caso svedese, quasi nove studenti su dieci.Marianna Lepore

Garanzia Giovani, troppi tirocini e pochi sbocchi professionali: più della metà si ritrova al punto di partenza

I Neet sono oggi in Italia 2 milioni e 279mila. Quando partì Garanzia Giovani «erano 2 milioni e 250mila, quindi 20mila in più». A fornire il dato è Andrea Brunetti, responsabile Politiche giovanili del principale sindacato italiano, la Cgil [nella foto sotto], a un incontro convocato appena prima di Natale per riflettere sui tirocini in Italia e in Europa e il futuro di Garanzia giovani. Presenti tanti esperti del mondo del lavoro: da Corrado Brachetti, coordinatore del mercato del lavoro della Cgil, a Cesare Damiano, già ministro del lavoro e oggi presidente della commissione Lavoro alla Camera; e poi Eleonora Voltolina, direttrice della Repubblica degli Stagisti, Anna Teselli, ricercatrice della Fondazione Di Vittorio, Diego Ciulli, policy manager di Google, e Claudio Treves del Nidil Cgil, solo per citarne alcuni. Obiettivo: interrogarsi su cosa di questo programma abbia, o non abbia, funzionato. Perché è evidente che se dopo un tirocinio svolto nell'ambito di Garanzia Giovani più della metà dei partecipanti si ritrova allo stesso punto di partenza (come rilevato da un questionario promosso dalla Cgil su un campione casuale di quasi mille persone, presentato all'evento) forse l'obiettivo non è stato proprio centrato.«Il quadro sarà più chiaro a marzo» riflette Gianna Gilardi, sindacalista, alludendo a una nuova indagine conoscitiva ufficiale sul programma che partirà a gennaio. Ma le fila si possono tirare sin da ora. «I mesi di tirocinio dei partecipanti non ne hanno cambiato la posizione, e ce li ritroveremo in carico nel nuovo programma». A tutte le perplessità sulla gestione del programma europeo dedicato ai Neet se ne aggiunge un'altra: e cioè che lo stage sia lo strumento su cui puntare tutto, come finora è stato. Il 'peso' dei tirocini nell'ambito del programma lo dà la percentuale di utilizzo, che è del 73% in media, secondo i dati Isfol di cui ha parlato la ricercatrice Giovanna Infante, con picchi «dell'88% nel Lazio».I risultati dell'indagine presentati da Brunetti la dicono lunga: per il 35% è stata l'unica proposta arrivata dall'ente incaricato della presa in carico, oppure la «scelta migliore» per il 31% degli intervistati, nei casi in cui con tutta probabilità l'alternativa non era un posto di lavoro ma un corso di formazione. La stragrande maggioranza finisce insomma in un percorso di tirocinio dopo l'iscrizione. E dopo cosa succede? Gli assunti con contratto a tempo determinato o indeterminato sono circa uno su dieci (secondo i dati Isfol invece chi trova un'occupazione dopo quattro mesi è un più soddisfacente 37%). Quasi il 60% resta disoccupato, oppure – in piccolissima parte – ha iniziato un nuovo stage. Chi insomma ha beneficiato in modo concreto di Garanzia Giovani, o trovando un impiego direttamente nell'azienda che lo ha ospitato o contando sulle competenze acquisite tramite quell'esperienza, supera di poco il dieci per cento.Ma almeno si sarà trattato di buona formazione? Niente affatto: per oltre la metà lo stage è stato vero e proprio lavoro mascherato, e solo per un ristretto 30% ha rappresentato una buona occasione di crescita professionale. Dunque bisogna lavorare anche sulla qualità dei tirocini, come ha ricordato Voltolina [nella foto a sinistra]. «Sul nostro forum non sono pochi gli interventi di chi racconta che sta facendo il tirocinio come cassiere in un supermercato». Se «utilizziamo fondi pubblici per regalare a un supermercato un addetto in più stiamo facendo una cosa contraria rispetto all'obiettivo di Garanzia Giovani». Quando è stato fatto presente, sottolinea, «Grazia Strano, direttore generale dei sistemi informativi del ministero del Lavoro, ha ammesso che non si fanno controlli a monte sulla qualità dei tirocini in Garanzia Giovani».  L'altro grande problema resta, come osserva Damiano [nella foto sotto], «la mancanza di continuità: non basta il contatto tramite lo stage». Naturale che quei giovani resteranno «delusi e distanti dalle istituzioni», se conclusa l'esperienza «quella porta viene subito richiusa». O meglio, «si apre un po' e poi la si richiude subito» come aggiunge Anna Teselli, che sul tema dell'efficacia dello stage ha da poco pubblicato il volume Formazione professionale e politiche attive del lavoro (Carocci editore). Non è detto che il tirocinio non possa valere come misura temporanea, ma per evitare che presti il fianco a distorsioni «deve essere utilizzato in tempi strettissimi». Questa tipologia di inquadramento deve valere come «l'anello di una catena». Sono tre i contratti attorno a cui si gioca la partita dopo lo stage: «altro tirocinio, una collaborazione, oppure l'apprendistato». Se nei 36 mesi non arriva il consolidamento però, «si è espulsi dalla carriera».In sostanza il tirocinio va ripensato come misura di politica attiva – specie in Garanzia giovani – perché nel 40% dei casi «chi partecipa non accede poi al mercato del lavoro dipendente». Treves propone anche un ripensamento dei criteri di profilazione, «rivedendoli attraverso una operazione di trasparenza che tenga conto delle prospettive economiche del territorio di riferimento». Senza sottovalutare l'aspetto da sempre troppo trascurato, che è il matching delle aziende con i candidati giusti.Lo ha ricordato Ciulli, responsabile di un progetto speciale all'interno di Garanzia Giovani, Crescere in digitale, che a differenza di quello generale non passa per le regioni. Crescere in digitale, gestito da Google in collaborazione con Unioncamere, organizza formazione e tirocini in ambito digital allocando ragazzi in aziende che hanno bisogno di aggiornarsi sulle nuove tecnologie. «Facciamo due call, una ai ragazzi interessati e una alle imprese, di cui molte sono nostri clienti». Ma queste «faticano a trovare ragazzi con le competenze giuste». Se non si interverrà eliminando le storture del mercato di oggi «pagheranno i nostri figli, cui si rischia di consegnare un futuro che tale non ha diritto di definirsi» paventa Brachetti. Assicura che il sindacato non si arroccherà in difesa: «è pronto a fare la sua parte». Ilaria Mariotti