Giudici onorari, precari fuori legge senza contributi né ferie proprio nei Tribunali dove si applica la legge

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 29 Lug 2015 in Approfondimenti

Sono nati nel 1998, con la così detta Legge Carotti, e reclutati con un concorso per titoli e un mandato di tre anni prorogabile per una sola volta: da allora i vice procuratori onorari (Vpo) e i giudici onorari di tribunale (Got) hanno visto puntualmente la propria carica prorogata ogni anno, diventando dei veri e propri dipendenti a cui non sono riconosciuti i minimi diritti. La storia è ben raccontata in Precari (fuori) legge, ogni giorno in tribunale, Round Robin editrice, scritto da Paola Bellone, 41 anni, vpo dal lontano 2002. «L’idea di scrivere il libro nasce davvero dalla voglia di narrare i processi con l’intenzione di raccogliere fondi per finanziare le azioni giudiziarie e chiedere di veder riconosciuta la previdenza. È stata la casa editrice che, conosciuta la nostra storia di precariato, ha chiesto di approfondirla».

L’azione giudiziaria nel frattempo c’è stata: i vpo torinesi hanno fatto causa al ministero della Giustizia chiedendo che venisse riconosciuta la copertura pensionistica come collaborazione coordinata e continuativa. In primo grado hanno vinto ma la sentenza è stata impugnata dal ministero e in sede di appello la Corte ha stabilito che «non siamo cococo in quanto sussiste un rapporto di immedesimazione organica». In sostanza la Corte ammette che il rapporto di questi lavoratori è ormai diventata un’occupazione stabile e che la normativa attuale non è più idonea. Ma che non può esprimersi oltre perché la richiesta era stata solo quella di essere assimilati alle collaborazioni coordinate e continuative.

Nonostante la causa sia stata persa, le spiegazioni della Corte di appello hanno in un certo senso rinforzato la volontà di veder riconosciuto il proprio lavoro subordinato. Per questo, assistiti dall’avvocato Claudio Tani del foro di Milano, «a settembre partiranno azioni di accertamento del rapporto di lavoro subordinato in tutto il territorio nazionale». Si partirà quindi con una nuova azione legale, ma questa volta non ristretta al solo capoluogo piemontese.

«La nostra situazione oggi non è più tollerabile» dice perentoria Paola Bellone alla Repubblica degli Stagisti: «Il magistrato onorario è stato pensato tale dai deputati dell’assemblea costituente in quanto svolge le funzioni in modo occasionale e trae il proprio reddito da altre professioni». Di fatto, però, non è più così e anche il titolo di “onorario” è fuorviante visto che la maggior parte dei vpo ormai vive del solo compenso – definito “indennità” nella legge
riconosciuto per svolgere queste funzioni. C'è però comunque una percentuale, nel caso torinese non superiore al 20%, di vpo che continuano a fare la professione di avvocato, com'è pure consentito dalla legge, trovandosi nella situazione piuttosto strana di avere colleghi che talvolta fanno da controparte e talvolta da giudice.

Al momento non c’è
in cantiere solo l’azione giudiziaria ma anche la promozione di una riforma che sia conforme alla situazione di fatto. «Il disegno di legge depositato in Senato dal governo non va bene» dice la vice procuratrice onoraria «e non siamo gli unici a dirlo, l’hanno fatto molti professori e avvocati. Si aumentano le competenze dei magistrati onorari e si prevedono tre mandati di quattro anni, in tutto dodici». Non solo, si prevede un compenso con una quota fissa e un’altra incentivante subordinata al raggiungimento di obiettivi fissati dal capo dell’ufficio, ma non si stabilisce a quanto ammonti questo compenso.

Per chi è già in servizio, poi, si prevede una maxiproroga «ancorata a fasce di età e senza prendere in considerazione l’anzianità di servizio. Mano a mano che si innalza l’età è previsto un minor numero di proroghe, con la conseguenza di rendere precario chi non lo è e disoccupato in età lavorativa chi è precario di lungo corso». Un esempio? Bellone lo fa proprio sulla sua pelle: «Ho 42 anni, sono in servizio dal 2002, prevedendo altri 12 anni di proroghe a 54 anni dovrei smettere e diventerei disoccupata». Non solo, la riforma non aggiunge altro, nessun contributo previdenziale, lasciandolo volontario a totale carico dei vpo. Come fondamentalmente succede già oggi. «Al momento non abbiamo copertura pensionistica. Chi fa anche l’avvocato ed è iscritto alla cassa forense versa volontariamente i contributi lì. Gli altri no, a meno che non abbiano una previdenza privata. Io, ad esempio, è dal 2002 che non ho un contributo versato».

Una situazione pericolosa, per lei e per quanti sono nella sua stessa situazione, perché non aver mai versato contributi significa in prospettiva non poter contare su alcun trattamento pensionistico tra venti o trent'anni. Al momento la media «generosa» la definisce Bellone, è di un guadagno di 1700 euro netti al mese. Calcolati sui 73 euro netti che guadagnano al giorno per cinque ore di lavoro e che raddoppiano qualora, per qualche motivo, le udienze si prolunghino e si superino le cinque ore. Non sono previsti obblighi di giornate o ore di lavoro, «rispondiamo alle richieste che ci vengono fatte». Però è una situazione molto complessa che è difficile generalizzare. «Ho un badge orario che va dalle 7 alle 10 ore di lavoro. Ma il vero punto è che non siamo considerati lavoratori, da qui partono i problemi. Se ho un’udienza con 30 processi il lunedì mattina, la domenica andrò in ufficio a studiare i fascicoli, le eccezioni, gli interrogatori e per questa attività di studio, quindi ore di lavoro, non sono retribuita». 

Il punto assurdo è anche il modo in cui questi lavoratori sono pagati, direttamente dal ministero della Giustizia. Per chi svolge contemporaneamente la libera professione e ha quindi una partita iva, «emette fattura alla fine del mese. Ma chi, come me, non ha la partiva Iva, allora ha la busta paga su cui c’è la dicitura “lavoratore a tempo indeterminato”. Il mio cud lo scarico come tutti gli altri dipendenti della pubblica amministrazione».

La richiesta di questi lavoratori, oggi, è di essere inquadrati in un ruolo, con la precisazione però che non pretendono di essere arruolati nella magistratura di carriera né avere il suo trattamento economico. Ma veder riconosciuto il proprio lavoro, questo sì, perché senza questi 3800 vpo che si aggirano nei tribunali italiani una gran fetta di contenziosi rimarrebbero senza sentenze. Di quelli non se ne occupa la magistratura ordinaria, già impegnata con molti altri casi, né si potrebbe mai pensare che possa iniziare a farlo in futuro.

«Iniziamo giovanissimi e ogni giorno impariamo qualcosa in più, è un lavoro appassionante» sottolinea con entusiasmo Paola Bellone, «che a noi piace tantissimo. Ma si arriva ad un’età in cui bisogna essere responsabili. Personalmente se ci sarà una riforma, continuerò, altrimenti è chiaro che me ne andrò perché non posso più continuare così». Anche perché c’è un fraintendimento che va evidenziato: nonostante la legge preveda la libertà di continuare a fare gli avvocati ricoprendo anche il ruolo di vpo, «la maggioranza fa solo questo. Qui a Torino l’80% lo svolge come lavoro esclusivo».

Per chi non riuscisse a capire come è possibile che i magistrati italiani non riescano a seguire tutti i procedimenti, e sia necessario far fronte a queste altre figure professionali, è di aiuto la seconda parte del libro, che racconta le tante storie di processi davanti a cui si sono trovati negli anni questi vice procuratori onorari. Un lungo elenco delle vicende che finiscono davanti ai giudici intasando il sistema giustizia: dalla lite tra condomini all’insulto, dal litigio tra i coniugi all’indicazione errata degli ingredienti nel menù. «Piccole storie» le definisce nel libro Bellone, che arrivano anche al terzo grado di giudizio. Ha senso una giustizia così? «No, non ha senso. Ora è intervenuta la riforma che introduce il principio dell’indennità anche nei processi per i reati di competenza del tribunale monocratico. In alcuni casi ci sarà la possibilità di archiviare i procedimenti e ridurre i contenziosi. È ancora troppo presto, però, per fare una stima dei risultati».

Vpo e Got non sono, però, gli unici “precari” della giustizia. Ce ne sono altri di cui la Repubblica degli Stagisti si è ampiamente occupata nell’ultimo anno. Sono i tirocinanti degli uffici giudiziari, che a partire dal 2010 in alcune regioni e 2012 in altre hanno svolto tirocini formativi, di volta in volta rinnovati, per aiutare lo smaltimento dell’arretrato. Giovani laureati alle prime esperienze lavorative ma anche cassintegrati e disoccupati, sfruttati per far funzionare gli uffici e poi puntualmente lasciati a casa.

Non può quindi mancare un richiamo alla loro situazione, che per quanto diversa per molti aspetti sottolinea, come in questo caso, la fragilità di un sistema a rischio esplosione per numero di cause, di carte e materiale che si perde nei tribunali, di leggi che non semplificano ma complicano. E della conseguente necessità di personale, vedi vpo, got e tirocinanti, che in qualche modo aiuta a sfoltire questo caos. «Ormai la tendenza è snaturare la funzione formativa del tirocinio e la natura onoraria delle funzioni per risparmiare» commenta Bellone, lanciando un monito e dando un suggerimento su come uscirne: «In questo momento è la qualità ad essere a rischio. Bisognerebbe fare una riforma nazionale, investire nell’ufficio del processo con personale stabile, anche attraverso concorsi, magari decentrati. E, a mio avviso, sarebbe razionale prevedere in prospettiva un altro percorso di accesso alle funzioni attuali della magistratura di carriera: una sorta di cursus honorum».

Marianna Lepore

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