Il futuro dei giovani? Dipende ancora troppo dalla famiglia di appartenenza e troppo poco dal merito

Paolo Balduzzi

Paolo Balduzzi

Scritto il 03 Mar 2020 in Approfondimenti

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Meritocrazia è una pessima parola che però illustra bene un punto condivisibile: i premi, i voti, i lavori, i redditi andrebbero distribuiti in base ai risultati e alle performance individuali. Tuttavia è innegabile che tali risultati siano frutto tanto di sforzi e impegni personali quanto di quelle che potremmo definire “condizioni di partenza” o “contesto di provenienza” – vale a dire reddito familiare, titolo di studio dei genitori, luogo di nascita o residenza, e così via. Può quindi la politica perseguire al contempo la finalità di ridurre le disuguaglianza e di premiare il merito?

Secondo un moderno approccio al tema della disuguaglianza – filosofico ma ormai anche economico – noto come “uguaglianza delle opportunità”, sono accettabili disuguaglianze degli esiti che dipendono da disuguaglianze negli sforzi; invece non sono accettabili disuguaglianze che dipendano da altri fattori, non legati a scelte o volontà degli individui. Lo Stato dovrebbe quindi agire per riequilibrare le posizioni di partenza e, una volta garantito questo, non agire per livellare gli esiti ottenuti.

Nel campo del rapporto tra sforzi individuali, condizioni di partenza e risultati finali, forse quello dell’istruzione è l’ambito che meglio si presta sia a una comprensione della problematica sia a una sua analisi in termini quantitativi e scientifici. Anche per l’impatto che esso ha come fattore di sviluppo sia nella vita di una persona sia in quella di una società.

Dal punto di vista aggregato l’istruzione determina le conoscenze, la produttività, la capacità di influenzare i progressi tecnologici e quella di utilizzarli. Non stupisce quindi che l’Italia, essendo uno dei paesi europei che meno investe nell’istruzione – specialmente quella terziaria – sia anche uno di quelli che meno cresce dal punto di vista economico. Secondo i dati Eurostat, nel 2017 l’Italia ha infatti dedicato solo il 3,8% del proprio prodotto alla spesa per istruzione, a fronte di una media europea del 4,6% e ben lontana da paesi come Svezia (6,8%), Danimarca (6,5%) e Belgio (6,3%) e Finlandia (5,7%) all’interno dell’Unione o da altri come Islanda (7,5%) e Norvegia (5,6%) al suo esterno.

Dal punto di vista delle vite di ciascun cittadino un titolo di studio più elevato, o in generale un ottima qualità del percorso formativo, permettono di raggiungere con maggiore probabilità un lavoro meglio retribuito e un’occupazione più in linea con le proprie aspettative. Certo sono tantissime le storie individuali di persone che – pur ottimamente  preparate – si sono scontrate o si stanno scontrando con la mancanza di opportunità nel mondo del lavoro o con un trattamento (economico, ma non solo) a volte al limite della sopportabilità. Ma questa è un'altra storia...

Sul tema delle disuguaglianze in accesso al sistema dell’istruzione, interessanti sono due recenti studi che analizzano le determinanti dell’uguaglianza delle opportunità nell’istruzione primaria e secondaria, vale a dire quella obbligatoria, e in quella terziaria.

Per quanto riguarda l’uguaglianza delle opportunità nell’istruzione primaria e secondaria di diversi paesi dell’Ocse, l’articolo “Reexamining the inequality of opportunity in education in some European countries”, pubblicato da Casilda Lasso De La Vega, Agurtzane Lekuona e Susan Orbe nel 2019 sulla rivista “Applied Economic Letters” confronta appunto questo tipo di disuguaglianza con quella, più tradizionale, basata sulla mera osservazione degli esiti. E stabilisce che paesi come Islanda, Finlandia e Norvegia sono quelli dove gli sforzi personali contano più delle circostanze; i paesi con minore disuguaglianza, tanto delle opportunità quanto degli esiti, sono Irlanda, Grecia e Norvegia, mentre al contrario il paese con maggiori disuguaglianze è il Belgio.

L’Italia è un paese a livello nazionale
(non esistono risultati su base regionale) che mostra livelli di disuguaglianza delle opportunità sopra la media e anche piuttosto elevata. Più precisamente, il lavoro utilizza come misura di performance i risultati dei test Pisa 2012, cioè una serie di questionari standardizzati rivolta ogni tre anni a studenti quindicenni dei paesi Ocse per stabilire il grado di conoscenze e di abilità acquisite nel corso degli studi.

Gli autori dello studio hanno considerato, tra le variabili che determinano le circostanze di partenza: il genere dello studente, il livello di istruzione e l’occupazione dei genitori, il paese di nascita, le dotazioni infrastrutturali della scuola di appartenenza e la performance media dei compagni di classe – cioè il cosiddetto peer group effect, “effetto dei pari”.
Tra le variabili che determinano lo sforzo personale, al contrario, sono state considerate:  le ore dedicate ai compiti a casa, le ore di lezione (non) saltate, l’assenza di bocciature. Risultato: l’Italia è uno di quei paesi in cui le condizioni di partenza contano più degli sforzi individuali per riuscire a ottenere determinati risultati.

Nello specifico, per quanto riguarda la disuguaglianza dei risultati – tecnicamente misurata dalla loro varianza – questa dipende per oltre il 50% da sforzi individuali e da condizioni esterne in sei paesi su venti (in ordine decrescente): Olanda, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania e Italia. Inoltre, ed è ciò che qui interessa di più, la componente “condizioni di partenza” vale ben il 95,73%  in Italia, più o meno come in Lituania (95,85); davanti a noi quindi solo Olanda (97,55%),  e Croazia (98,40). Come paragone, vale la pena di ricordare nelle nazioni dove questa quota è inferiore (poco sorprendentemente Finlandia e Norvegia, ma anche Spagna e Portogallo) essa ha un valore medio dell’80%.

Il tema della disuguaglianza delle opportunità nell’istruzione terziaria è invece affrontato per la prima volta dalla ricerca “Inequality of opportunity in tertiary education in Europe”, di Flaviana Palmisano,  Federico Biagi e Vito Peragine, pubblicata sempre nel 2019 come “Technical report” della Commissione europea. I risultati non sono molto differenti: i paesi più egalitari sono generalmente quelli scandinavi mentre quelli più problematici sono quelli mediterranei, con l’Italia tra i peggiori. In questo caso i dati utilizzati sono quelli della European Survey on Income and Living Conditions (EU – SILC) del 2005 e del 2011.

In tutti i Paesi presi in considerazione, appartenere  una famiglia in cui almeno un genitore ha un titolo di studio elevato aumenta la probabilità di laurearsi, così come avere almeno un genitore in occupazioni impiegatizie (white collar).

Rispetto a queste dimensioni, l’Italia non è un caso limite; ma vale la pena di ricordare, per avere un’idea della rilevanza del fenomeno, che solo il 19% dei laureati italiani proviene da famiglie in cui nessun genitore ha un titolo superiore alla scuola media inferiore, mentre la percentuale sale al 61% quando anche solo uno dei due genitori ha almeno un titolo di studio di scuola superiore (dati Istat 2011). In alcuni paesi – Islanda, Finlandia, Estonia e Lettonia, fortunatamente non l’Italia! – anche il genere di appartenenza sembra una condizione importante anche se, la ricerca sottolinea, non necessariamente ciò comporta l’esistenza di discriminazioni per genere.

A livello di spesa pubblica per l’educazione (quota su spesa pubblica totale e quota su PIL), emerge una forte correlazione positiva tra spesa pubblica per istruzione e disuguaglianza delle opportunità nell’istruzione terziaria. Poiché tale disuguaglianza è positivamente correlata anche alla disuguaglianza dei redditi, e benché i rapporti di causalità debbano essere sempre analizzati con cura, si può immaginare che maggiori investimenti nell’istruzione pubblica possano portare a riduzioni virtuose della disuguaglianza.

Qualitativamente, dal punto di vista della policy, la conclusione degli autori è che se il ruolo della famiglia di appartenenza è così importante, delle buone politiche per ridurre la disuguaglianza delle opportunità potrebbero essere quelle di promozione di borse di studio basate sul merito e sul reddito e che riducano il peso finanziario dell’istruzione terziaria sulla famiglia: un'indicazione da valutare con grande attenzione.

Ridurre la disuguaglianza a favore delle fasce di popolazione meno protette e tutelate dovrebbe essere un imperativo morale per ogni società; capire quali siano davvero le determinanti della disuguaglianza l’unico strumento necessario per farlo. In Italia, per ogni livello di istruzione, è sotto gli occhi di tutti – nonché confermato da studi e ricerche come quelle che abbiamo citato qui – che le circostanze sono più importanti degli sforzi e dell’impegno individuale.

Prima ancora che il legislatore, dovrebbe essere la società stessa a interrogarsi: è accettabile che sia così?

Paolo Balduzzi

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