Giovanni Padovani, ex stagista al Parlamento europeo: «Ancora oggi i disabili devono affrontare, oltre alle barriere architettoniche, anche quelle occupazionali»

Annalisa Di Palo

Annalisa Di Palo

Scritto il 14 Mag 2010 in Storie

Ultimo giorno utile per candidarsi a due programmi di stage ben pagati al Parlamento europeo: 140 posti disponibili nell'ambito del programma di tirocini Schuman e sette posti per quello riservato alle persone disabili. Per l'occasione la Repubblica degli Stagisti ha raccolto la testimonianza di Giovanni Padovani.

Dopo la laurea in Scienze politiche all'università di Padova, nel 2007 ho partecipato alla prima edizione del progetto di tirocini per persone con disabilità promosso dal Parlamento europeo, dall’inizio di marzo alla fine di luglio, con sede di lavoro a Lussemburgo. Verso la fine del tirocinio mi è stato proposto di rimanere in qualità di "agente contrattuale" e dopo quasi due anni mi trovo ancora qui. La mia giornata-tipo da stagista, non molto diversa da quella di adesso, era di otto ore al giorno,
dal lunedì al venerdì dalle nove di mattina alle sei di sera. Dopo l’iniziale periodo di adattamento, ho potuto svolgere attività molto interessanti: per esempio ho collaborato all’organizzazione di un seminario sull’occupazione di persone con disabilità nelle istituzioni europee. Gli edifici del Parlamento fortunatamente sono perlopiù privi di barriere architettoniche: quando si è verificata una situazione di mancanza temporanea di accessibilità, ho sollevato la questione e le autorità competenti in seno al Segretariato generale si sono mosse con discreta celerità.
Dei mesi di tirocinio non vorrei cambiare niente: anche gli errori che ho commesso mi hanno spinto a progredire professionalmente. Mi piacerebbe continuare questa esperienza a Lussemburgo ancora per qualche anno e poi mettere  le competenze acquisite come membro del Comitato giovani dell’European Disability Forum 
a disposizione della mia comunità locale e nazionale. Insomma, mi piacerebbe fare politica!
Ad oggi, cinquanta persone con le più svariate tipologie di disabilità hanno preso parte ai tirocini presso il Segretariato generale del Parlamento europeo e tutte hanno portato a termine i loro cinque mesi di stage senza difficoltà. In Italia penso che non siano attivi progetti simili nelle pubbliche amministrazioni: ho perciò proposto al comune della mia città, Verona, di lanciare su scala ridotta un’iniziativa simile, e farò altrettanto col Parlamento nazionale e altri organi centrali. Secondo stime europee, circa il 10% della popolazione dei 27 Paesi membri ha una disabilità o una malattia di lungo corso ma sono ancora tanti i pregiudizi e gli stereotipi che precludono un accesso spontaneo di questa specifica categoria al mercato del lavoro. Non è vero, ad esempio, che la disabilità implichi costi supplementari per i datori di lavoro, dal momento che le soluzioni di accessibilità che (raramente) si rendono necessarie, sono economicamente del tutto ragionevoli. Il punto è che non c’è una vera cultura della diversità sul luogo di lavoro, valore che invece molte grandi imprese internazionali hanno fatto proprio, partendo dall’assunto che un’impresa, più rappresentativa è, più clienti raggiunge. Spesso, invece, le assunzioni sono dovute più che altro a obblighi legali da rispettare per evitare sanzioni.
Ai giovani disabili italiani, laureati e no, che sentono l'esigenza di impiegare le proprie capacità nella società consiglio di informarsi, chiedere, a volte rompere anche le scatole per raggiungere il proprio obiettivo. Esigere che, in ogni campo, la propria disabilità non sia un ostacolo. Vivere la vita tout court, non fermarsi alle inadeguatezze di un sistema, non adeguarsi a esse, lottare per correggerle. Viaggiare, fare esperienza all’estero, imparare delle lingue, avere una marcia in più rispetto agli altri, con o senza disabilità. Io otto anni fa, a 22 anni, ho subito un'amputazione della gamba destra al livello della coscia. La mia forza credo sia stata quella di non volermi far cambiare la vita da questo evento, continuando, dopo l'inevitabile periodo di riabilitazione, a fare la vita che facevo prima. A neanche due mesi dall'amputazione, ancora senza protesi ma con le stampelle, sostenevo esami a Padova e andavo allo stadio di Verona a seguire le partite. Cinque anni dopo l'incidente, non è stato facile lasciare la mia famiglia, i miei amici, la mia rete di sostegno e partire per vivere, da solo, all'estero. È stata una scelta coraggiosa ma che mi ha ripagato. Consiglio a tutti di provare questa esperienza: se proprio non funziona, si può sempre tornare indietro.

testo raccolto da Annalisa Di Palo


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