Tfa per insegnanti, un business da 50 milioni di euro (chiesti in anticipo) per le università

Antonio Siragusa

Antonio Siragusa

Scritto il 26 Gen 2013 in Approfondimenti

Migliaia di giovani e meno giovani aspiranti docenti hanno iniziato o stanno per iniziare in tutta Italia il tirocinio formativo attivo (Tfa), il nuovo master di abilitazione all’insegnamento nella scuola che sostituisce le vecchie Ssis, chiuse nel 2008.  La maggioranza di chi ha superato le prove a numero chiuso di ammissione (un test a risposta multipla, una prova scritta e una prova orale, svoltesi a livello regionale tra luglio e novembre) e che nella graduatoria finale di ciascuna università è  rientrato nel numero massimo di posti disponibili per ogni classe di concorso, ha già dovuto pagare la tassa di iscrizione, che oscilla tra i 2.500 e i 3mila euro. Gli ammessi sono 20mila su 115mila candidati: circa 4mila per le scuole medie e 16mila per le superiori. 
In molti casi le università hanno chiesto il pagamento della quota di iscrizione senza informare i vincitori sulle modalità di svolgimento del tirocinio, sui giorni in cui saranno previste le lezioni all’università, sugli orari, i programmi didattici, le scuole nelle quali ciascun tirocinante dovrà fare pratica di insegnamento. La prima necessità sono i soldi, poi l’organizzazione la decideremo successivamente: più o meno questo hanno detto agli studenti alcune università. 
La maggior parte dei vincitori ha
comunque pagato, perché vede il tirocinio come una grande occasione per il futuro inserimento nella scuola; qualcuno ha rinunciato perché non se l’è sentita di sborsare cifre non indifferenti senza sapere nulla, nemmeno se potrà conciliare il lavoro precario o la maternità con il tirocinio. È quanto accaduto per esempio all’università di Roma3, all’Alma mater di Bologna, a Genova, alla Statale e alla Bicocca di Milano, a Perugia, alle università della Toscana, alla Sapienza di Roma.
«Io ho superato le selezioni a Perugia. Il termine ultimo per l'iscrizione era il 5 gennaio ma ancora non si sapeva nulla di orari, calendario, tipologia dei corsi. Chiunque si sia iscritto lo ha fatto a scatola chiusa, oltretutto con la tassa d'iscrizione più alta d'italia, 3.077 euro» racconta un utente del
Forum Orizzontescuola. Ma gli iscritti avrebbero almeno la possibilità di essere rimborsati qualora scoprissero, al momento della pubblicazione di date e orari, di non poter conciliare i propri impegni lavorativi col Tfa? «La prassi non lo prevede» risponde alla Repubblica degli Stagisti Giovanni Salemmi, responsabile dell'ufficio che si occupa di scuole di specializzazione all'università di Perugia. «Poi i casi specifici possono essere analizzati dal rettore e dal direttore amministrativo. Comunque ci manca poco per pubblicare tutto sul nostro sito: i ritardi sono derivati anche dai ricorsi di alcuni partecipanti alle selezioni per l'ammissione al Tfa». Questi ritardi sono ammessi, non quelli sul pagamento della quota d'iscrizione entro i termini previsti.
Un’altra ragazza, che preferisce mantenere l’anonimato, racconta alla
Repubblica degli Stagisti che «anche a Milano è stato richiesto il versamento della prima rata senza che fosse ancora reso noto il calendario dettagliato dell'organizzazione didattica. Questi dettagli, comprensivi di orari, modalità di svolgimento dei laboratori didattici e metodi di valutazione, sono stati presentati solo il giorno prima della scadenza del periodo aperto all'immatricolazione. Per quanto riguarda l'attività di tirocinio diretto, presso gli istituti, tuttora non si hanno dettagli consistenti». Anche alla “Federico II” e alla Seconda università degli studi di Napoli il periodo non prorogabile di iscrizione è stato fissato tra il 10 e il 21 dicembre, prima della pausa natalizia, senza però fornire alcuna informazione sui corsi. Un’altra aspirante insegnante, che ha superato il Tfa alla Seconda università di Napoli nella classe di concorso A043 (Italiano, storia e geografia alle medie), racconta alla Repubblica degli Stagisti che si è rifiutata di pagare 2.500 euro senza sapere se il Tfa sarebbe stato conciliabile coi suoi impegni: «Si tratta di una cifra pari a circa 4 stipendi del mio contratto a progetto. Gli unici sicuri di poter seguire i corsi sono quelli che hanno alle spalle la famiglia e sono senza lavoro. Inoltre dalla pubblicazione delle date utili per l’immatricolazione fino alla scadenza dei termini passavano poco più di dieci giorni e non era semplice procurarsi i soldi in tempi così ristretti». 
A dire il vero non è stato ovunque così: ci sono atenei che hanno avviato i corsi prima dell’apertura dei termini di pagamento e altre che hanno opportunamente informato gli studenti prima di richiedere il pagamento, come l’università di Padova o quella di Trento. 
«Gli atenei hanno totale autonomia» spiega alla Repubblica degli stagisti Lucrezia Stellacci, direttore generale del Miur a capo del dipartimento per l’Istruzione. «Tuttavia, per coordinare le diverse università impegnate nei percorsi di Tfa e per chiarire i punti problematici rappresentati dai corsisti in merito alla frequenza, sta per essere varata una circolare della Direzione generale Università». Un po’ tardi, visto che molti corsi sono già iniziati.
E poi, che prospettive reali di occupazione hanno i giovani che frequentano il Tfa? Dipenderà molto dalle scelte politiche del futuro governo, dalla volontà di confermare quanto annunciato dal ministro Francesco Profumo, ovvero nuovi concorsi pubblici nella scuola per i prossimi due anni, per accedere ai quali viene attualmente richiesto il requisito dell’abilitazione.
Dipenderà anche dalle sentenze della giustizia amministrativa relative al concorsone della scuola, che è partito a metà dicembre con la prima prova
: sebbene fosse richiesta l’abilitazione o la laurea prima dell’anno accademico 2002-2003, molti non abilitati e laureati post-2003 sono stati ammessi con riserva dal Tar e ora si attende la sentenza del Consiglio di Stato sulla loro ammissibilità. «Con riferimento a quanti, pur non avendo i requisiti per accedere al concorso, vi hanno partecipato con ordinanza cautelare sospensiva del Tar, siamo in attesa di conoscere l'esito dell'udienza che si svolgerà il 21 febbraio. Ove la decisione fosse negativa per i ricorrenti, gli stessi saranno esclusi definitivamente dal concorso
» continua Lucrezia Stellacci. «Sulla legittimità del Tfa, penso che per abolirlo come istituto giuridico non basti una sentenza, ma che occorra un provvedimento normativo della stessa forza del decreto ministeriale n. 249/2010 che l'ha istituito».
Se il ricorso fosse definitivamente accolto, comunque, si  potrebbe determinare un precedente giuridico tale da consentire a tutti, abilitati e non, di partecipare ai futuri concorsi. In questo caso il Tfa non avrebbe più motivo di esistere. Per partecipare al concorso sarebbe sufficiente la laurea quinquennale.
L’altra cosa che fa riflettere è che il tirocinio durerà pochissimo, ben che vada quattro-cinque mesi. Si pagano 2.500 euro o più per seguire corsi da febbraio a giugno, o da gennaio a giugno per chi ha già iniziato: non si dovrebbe andare oltre questo mese perché uno degli elementi caratterizzanti del Tfa è il tirocinio nelle scuole, che non può ovviamente protrarsi oltre la data di chiusura delle stesse. Per i corsi teorici di didattica e laboratorio, invece, ci sono meno limiti, ma molte università sembrano comunque intenzionate a terminare entro giugno. E che sia eccessivo il contributo economico richiesto lo conferma il fatto che in Francia dal 2013 la formazione degli insegnanti sarà addirittura remunerata dallo Stato, un po' come quella dei medici.
Infine c’è un’altra considerazione da fare: non si può slegare la questione dell’abilitazione da quella del reclutamento, e su questo punto saltano agli occhi alcuni abusi del sistema. Il rischio è di fornire tante abilitazioni a pagamento a giovani in cerca di lavoro per poi non assumerli mai perché i posti sono pochi e, di conseguenza, pochi sono i posti a concorso.  Dopo cinque anni dalla chiusura delle SSIS, l’Italia è ancora molto lontana dal riuscire a immettere in ruolo i vecchi abilitati Ssis, alcuni dei quali non sono riusciti ancora a fare un solo giorno di supplenza. Il ministero ha fatto male i conti realizzando la prima prova, il test a risposta multipla, che è risultato molto ostico, tanto che in molte università è accaduto che il numero degli ammessi alla seconda prova, quella scritta, fosse inferiore al numero totale di posti disponibili in diverse classi di concorso.  Così il ministero è in parte tornato sui suoi passi, dando per buone alcune risposte in modo da consentire a molti di avere un punteggio sufficiente per l’ammissione allo scritto. Lì dove gli ammessi allo scritto e all’orale erano ancora in numero inferiore ai posti disponibili, è capitato che tutti i partecipanti abbiano superato entrambe le prove. Per fare un esempio, alla Seconda università di Napoli, nella classe di concorso A043, il test preliminare è stato superato da una quarantina di persone su 350 candidati e 70 posti totali disponibili. Tutte le 40 persone che hanno superato la prima prova sono poi riuscite ad andare fino in fondo, superando anche scritto e orale e venendo ammesse al Tfa. Tutti bravissimi o forse l’università aveva bisogno di finanziarsi con quei soldi? In Italia è sempre in agguato il rischio che si commettano abusi e che l’interesse economico (in questo caso, delle università) prevalga sulla trasparenza dei criteri di ammissione al Tfa e sull’ organizzazione di un valido percorso formativo. Le università, coi fondi pubblici drasticamente ridotti, hanno bisogno di finanziamento e 20mila ammessi per 2.500 euro (in media) di iscrizione corrisponde a circa 50 milioni di euro. In tempi di vacche magre e di tagli all'istruzione, non proprio una cifra trascurabile.


Antonio Siragusa


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