Tanti stage impropri, nessuna segnalazione agli ispettori. Perché? Due testimonianze

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 18 Dic 2009 in Storie

Lo sfruttamento degli stagisti è un affare sommerso. Anche in quei casi in cui i giovani decidono di ribellarsi, e di non subire la situazione, è davvero raro che si rivolgano alle DPL. Nella maggior parte dei casi preferiscono mantenere un profilo più basso, interrompendo magari lo stage ma senza clamore e soprattutto senza tirare in ballo i temuti ispettori. Oppure nemmeno sanno che esistono, gli ispettori.
Quel che è successo un paio d'anni fa a Martina M., brillante laureata in Psicologia all'epoca 25enne, stagista in un'azienda informatica (una software house), ha dell'incredibile. Inizialmente affidata a una tutor cocopro, di un anno più grande di lei, fino a cinque mesi prima a sua volta stagista; poi addirittura promossa (sempre durante lo stage) al ruolo di tutor. Per un rimborso spese di 400 euro al mese, insomma, la stagista Martina doveva non solo fare il lavoro di recruiting, smistamento dei cv, colloqui e tutto il resto, ma contemporaneamente anche istruire le nuove risorse. Da un lato veniva ritenuta non sufficientemente preparata per avere un contratto decente e uno stipendio adeguato, dall'altro preparatissima per formare le new entry: diventando quindi di fatto, lei stagista, la tutor di altre due stagiste. Il tutto per poi restare con un pugno di mosche in mano: al termine dello stage, il contratto di apprendistato che l'azienda le aveva promesso si è volatilizzato, e lei è rimasta a casa.
«Non avevo idea che ci fosse la possibilità, per gli stagisti sfruttati, di rivolgersi alle DPL e di sollecitare l'intervento degli ispettori del lavoro» confida Martina alla Repubblica degli Stagisti: «Noi giovani non siamo tutelati dal sindacato neanche quando abbiamo un contratto vero, tipo un cocopro: figuriamoci in stage. E comunque è strano che gli ispettori del lavoro non si muovano autonomamente: queste situazioni sono all'ordine del giorno e alla luce del sole. Che bisogno hanno di aspettare le segnalazioni? Se volessero indagare e fare qualcosa, basterebbe veramente poco per smascherare le imprese che usano gli stage in maniera impropria… E invece tutte queste imprese restano sempre impunite, nessuno fa nulla».
Oggi Martina lavora con un cocopro per una piccola società di consulenza e formazione, sempre a Roma. Il suo contratto è in scadenza, e non verrà rinnovato: «Qui siamo in 11, non c'è nessun dipendente e abbiamo scoperto che perfino il capo ha un contratto a progetto. In questo momento non ci sono tirocinanti, ma so che ce ne sono stati. L'unica che ha un contratto serio è la segretaria: peccato che sia un apprendistato, malgrado lei abbia 30 anni e lavori da 10» racconta ancora Martina: «A settembre hanno cambiato il nome della società per non rispettare l'obbligo di assumere dopo due anni di contratto a progetto. E ora, a parte il fatto che mi hanno relegato a fare le fotocopie per sei mesi, a me non rinnovano il contratto dicendo "non abbiamo la possibilità" e basta, senza altre giustificazioni. Questa situazione è veramente da denuncia: dopo che mi avranno pagato lo stipendio di dicembre, non è detto che non lo faccia. Magari andando proprio alla DPL di Roma».
Annarita invece, classe ‘77, laureata in lettere, a rivolgersi alla DPL non ci ha nemmeno pensato. Eppure ne avrebbe avuto motivo: dopo tre anni come cocopro in una casa editrice si sentì fare l’incredibile proposta "Tramutiamo il tuo contratto in uno stage". La vicenda viene raccontata dal giornalista Concetto Vecchio nel suo ultimo libro, Giovani e belli [Chiarelettere - nell'immagine, la copertina]. La Repubblica degli Stagisti ha rintracciato Annarita e si è fatta raccontare meglio la sua storia: «Dopo l’università trovai un contratto a progetto presso una casa editrice. Lavorai per loro dal 2003 all'inizio del 2006 facendo la redattrice per il sito e scrivendo le schede editoriali». Da un certo punto di vista i criteri del cocopro vengono rispettati: «Non mi obbligavano alla presenza quotidiana, non avevo vincoli di orario. Prendevo 650 euro al mese, che chiaramente non mi bastavano per mantenermi: così usufruivo di questa flessibilità e organizzavo il mio tempo in modo da riuscire a portare avanti collaborazioni come giornalista, e proseguire la mia formazione». A un certo punto però la casa editrice comincia a dire ad Annarita che c’è bisogno di una persona più presente, che vada lì tutti i giorni. «Io mi aspettavo che mi proponessero un contratto. Ben presto capii invece che il loro unico obiettivo era quello di abbattere i costi: già un cocopro era troppo. Insomma, mi dovevano liquidare. E lo fecero questa proposta inaccettabile, lo stage. Chiaramente rifiutai, e al mio posto presero una neolaureata, con uno stage di 12 mesi, dandole circa 500 euro al mese di rimborso spese. A questa stagista vennero affidate esattamente le stesse mansioni che prima svolgevo io».

Annarita però sceglie di andarsene senza far rumore, e sopratutto senza denunciare l’accaduto: «Sarebbe stato giusto e doveroso farlo come questione di principio, è vero: ma non avevo la disponibilità mentale di seguire questa cosa, ero presa dal percorso giornalistico che stavo intraprendendo. Forse è stata una leggerezza: ma a dirla tutta non mi sarebbe servito, e poi non volevo bruciarmi una collaborazione che sarebbe potuta proseguire, come infatti è avvenuto». Annarita non è pentita di aver taciuto: «Sostanzialmente a me della casa editrice interessava poco, era - ed è - giusto un modo per racimolare qualche entrata extra, perchè in realtà io voglio fare la giornalista. Secondo me si deve essere rigorosi e indisponibili a compromessi quando si agisce nel proprio ambito lavorativo: se mi avessero fatto questo giochetto in una redazione giornalistica sarei andata dritta alla Fnsi, alla Nidil Cgil che è il sindacato per il lavoro flessibile, magari anche agli ispettori del lavoro». Ma dato che, in fondo, del posto alla casa editrice non le importava, ha preferito soprassedere. E la casa editrice, così, è rimasta impunita.

Eleonora Voltolina

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